Alquanto divergente da quella appena esposta è la prospettiva di lettura fatta propria da Santinelli, che – a quanto pare – si pone in ideale continuità con un pionieristico studio di Emilia Giancotti sulla mens spinoziana90. Nel saggio in esame91, Santinelli rileva il protagonismo del tema della potentia agendi e dell’aptitudo del corpo umano, tema che inaspettatamente ricorre verso la fine della quinta parte, nel cuore della spiegazione dell’eternità della mente (E 5P39); questo dato testuale simbolizza un tratto caratteristico dello spinozismo, vale a dire il rimando reciproco tra temi come l’adeguazione e la conoscenza del corpo – intesa quest’ultima in tutte le sue ramificazioni –, mettendo al centro la premessa fondamentale del parallelismo come identità di ordine del distinto, pensiero ed estensione.
Gli effetti teorici di questa premessa testimonierebbero a favore di una coerenza fondamentale, di un’unità del disegno etico, gnoseologico e soteriologico ben riconoscibile nelle ‘venature’ del concetto di mens.
[…] mentre la crescita psico-fisica è vista da Cartesio come una progressiva emancipazione della mente dalla soggezione al corpo, Spinoza è conseguente alle premesse ontologiche del suo sistema, che fondano il rapporto mente-corpo non più come permixtio, bensì come simultaneità (identità nella distinzione), e ne propone perciò una lettura in termini di sviluppo spontaneo e sincronico92.
La via perardua tracciata nella quinta parte non si definisce attraverso l’azione della mente isolata dal corpo, come se l’unione con Dio escludesse l’unione con l’oggetto costitutivo del pensiero, quanto piuttosto come una sublimazione e un’intensificazione del rapporto tra la mente, divenuta capace di «cogliere il proprio oggetto specifico sullo sfondo della sua appartenenza alla sostanza»93.
Delle nozioni comuni Santinelli esalta «la fisionomia mediana e mediatrice»94, cioè il loro fare da cerniera tra l’ordine delle cause esterne e l’ordine dell’intelletto: si tratterebbe del correlato oggettivo, nel pensiero, di ciò che mette in relazione le cose o i
90 E. Giancotti, «A margine del Lexicon. Sul concetto spinoziano di mens» (1963), ripubblicato in E.
Giancotti , Studi su Hobbes e Spinoza, a cura di C. Santinelli e D. Bostrenghi, Napoli, Bibliopolis, 1995, pp. 357-400.
91
C. Santinelli, «Corpus ad plurima aptum. Affezioni del corpo ed eternità della mente in Spinoza», in Ead., Mente e corpo. Studi su Cartesio e Spinoza, Urbino, Quattroventi, 2000, pp. 155-259.
92 Ibidem, p. 249 93
Ibid.
corpi. È sufficiente che si dia un oggetto tale da essere condiviso invariabilmente dal nostro corpo e dai corpi esterni, affinché alla mente sia data una conoscenza adeguata. La comunanza che sussiste nella realtà fisica è soltanto «una declinazione particolare della categoria della “relazione”», categoria fondante in quanto esprime l’essere- determinato che è costitutivo di ogni res.
Il riferimento alla fisica avrebbe inoltre un significato paradigmatico e fondativo: la relatività delle condizioni che pongono in essere la conoscenza inadeguata, la confusione o l’errore non viene espressa direttamente nelle proposizioni inerenti alla conoscenza razionale, ma ben prima, allorché nell’abbozzo di fisica Spinoza stabilisce l’intelligibilità del corpo non in quanto «essenza», ma in quanto «forma» riconducibile ad una proporzione costante di moto e quiete. Questa articolazione interna alla trattazione de Mente secondo la studiosa sta a significare che vanno intese come simultanee l’ignoranza abituale del corpo e la sua conoscenza chiara, capace di tradursi in ragionamento95.
Soggettività e oggettività non si escludono a vicenda ma sono simultanee e coimplicate, non diversamente da quanto accade per la durata e l’eternità rispetto al nostro essere corporeo e mentale. Andando oltre Cartesio, che aveva garantito autonomia ontologica al corpo ma lo aveva svalutato dal punto di vista epistemologico, il pensatore di Amsterdam stabilisce che esso non è causa delle nostre idee confuse, che pure occasiona: l’inadeguatezza è il portato della complessità intrinseca alle nostre affezioni, che si concatenano all’infinito in altre affezioni i cui rapporti e la cui costituzione ci è inattingibile. Per il resto, la simultaneità che lega la mente umana al proprio oggetto rappresenta un dato epistemologicamente neutro e primario96 e la teorizzazione dell’individualità fisica, della forma corporis, di fatto sancisce uno stato di cose in cui la mente, che non può attingere ad una conoscenza integrale del corpo cui è unita, tuttavia è in grado di coglierne i tratti costitutivi.
Da tutto ciò risulta che non c’è nulla di circostanziale o di esemplificativo nel rimando al lemma di fisica: la condivisione di proprietà da parte dei corpi, come via d’accesso alla relazionalità che investe ogni cosa e tutte quante nel loro essere determinato è, dal punto di vista delle argomentazioni condotte da Spinoza, una via obbligata, dal momento che la deficienza del nostro conoscere è stata ricondotta alla complessità inattingibile sottesa alle affezioni, mentre d’altra parte, con la destituzione della nozione tradizionale di facultas – già precedentemente compiuta da Cartesio –, si è
95
Cfr. ibid., pp. 178 ss.
negato all’immaginazione ogni possibile ruolo di mediazione tra il sensibile e l’intelligibile97.
[…] attraverso la teoria delle nozioni comuni, Spinoza presenta innanzitutto la tesi per cui la conoscenza chiara (necessaria e universale) è il corrispettivo di ciò che i corpi condividono… La corporeità accompagna dunque la conoscenza che abbiamo della realtà non solo nel senso “condizionante” di imprimerle il carattere della soggettività, come voleva Cartesio, ma anche rendendo possibile la conoscenza adeguata98
[...] Il corpo condiziona, in quanto oggetto permanente, costitutivo dell’idea-mente, non solo la percezione comune, soggettiva e ingannevole della realtà, ma anche l’intellezione di essa99.
Un ulteriore aspetto che viene puntualizzato all’interno di questa critica riguarda la semantica del termine ‘parte’, il cui ventaglio di significati permette di cogliere l’orizzonte unitario ma dinamico entro cui vengono tematizzate la mens e l’adaequatio. Spinoza ci tiene a sottolineare che la mente non implica negazione in quanto è parte della natura (E 3P3S, E 4P2) per cui rispetto al modo l’essere-determinato non esprime passività ma potenza, ma allorché impostata la deduzione della natura della mente umana e dell’idea adeguata, il pensatore olandese sfrutta l’ambiguità del termine per dare conto simultaneamente di entrambi gli aspetti.
Come afferma il fondamentale testo di E 2P11C, la nostra mente è parte dell’idea infinita di Dio, da cui dipende, ma questo suo essere parziale vale anche come «espressione finita, parziale, e perciò mancante delle altre…idea mutilata o
inadaequata»100. Ora, chiosa Santinelli, bisogna fare attenzione al fatto che questo elemento di inadeguatezza, per quanto intrinseco alla natura della mente, ha tuttavia uno statuto derivato e relativo, non costituisce una realtà per sé ed è un’implicazione del fatto che la dipendenza della mente finita rispetto alla mente infinita comporta fa sì che la partecipazione si esplichi sub duratione101.
Tutto ciò è ancora una volta coerente con la prospettiva finale della liberazione e dell’eternità: non solo perché la mente resta idea del suo corpo anche allorché è intesa esistere in Deo, ma anche perché la fisionomia della sequela deduttiva nel libro De
Libertate mette al centro l’intelligere, la conoscenza adeguata di ciò che è necessario e
quindi eterno, intesa come «parte» della mente umana, che però esprime 97 Cfr. ibid., p. 196, n. 54 98 Ibid., pp. 199-200 99 Ibid., p. 257 100 Ibid., p. 164 101 Cfr. ibid., p. 214
simultaneamente una «parte» dell’intelletto infinito102. Declinando la parte finale della sua trattazione De Libertate come teoria della «parte eterna» della mente, l’autore dell’Ethica perviene a ricollocare le nozioni comuni all’interno dell’intelligere, cioè in ultima analisi a dare di scienza intuitiva e conoscenza razionale due modalità dell’eternità della mente.
Questa tesi sembra valida se si pensa che l’esigenza principale in questo contesto non è quella di demarcare differenti generi di conoscenza, quanto piuttosto di mostrare come la mente perviene all’affermazione di sé nei termini che sono più conformi alla sua essenza. Ancora una volta il riferimento equivoco alla relazione parte-tutto risulta essere la cifra di uno snodo sistematico e argomentativo imprescindibile.
Un’obiezione da fare riguarda la lettura del problema della conoscenza del corpo. Risulta poco attendibile l’ipotesi che sia già nel piccolo trattato di fisica, con la teorizzazione della forma corporis, Spinoza fornisca gli estremi per intendere tanto l’autosufficienza quanto la limitatezza delle nostre risorse cognitive, ovvero che l’intelligibilità postulata ugualmente a proposito del nostro corpo e dei corpi esterni permetta di demarcare l’adeguato rispetto all’inadeguato, o di fare del primo il limite immanente del secondo. Se fosse così, infatti, non si spiegherebbe il rilievo sistematico e dimostrativo assunto dal testo in cui Spinoza spiega le cause dell’adeguatezza e dell’inadeguatezza (E 2P11C). L’assunto dell’autrice, insomma, benché getti nuova luce sulle questioni coeve, è incapace di rendere conto dell’esigenza di una deduzione formale delle nozioni comuni, cioè del modo in cui la tematica della conoscenza adeguata ottiene una figura propria e s’innesta all’interno dell’ordine delle ragioni.