SCRIBANO
Restano da considerare i lavori di due studiose italiane, Emanuela Scribano e Cristina Santinelli, le quali hanno speso importanti riflessioni sul tema che c’interessa, entrambe nel quadro di un’interpretazione del rapporto mente-corpo in Spinoza. Sebbene procedano da premesse critiche ed esegetiche diverse, le due studiose elaborano gli aspetti che ruotano attorno alla conoscenza adeguata non più in funzione della fondatezza della teoria della ragione, ma secondo l’idea che siano compresenti, nella seconda parte dell’Etica, registri teorici differenti e soprattutto premesse implicite il cui senso verrà chiarito solo nel seguito (la quinta parte). Tanto Scribano che Santinelli confrontano tesi e articolazioni della seconda e quinta parte dell’Ethica senza riconoscere una pertinenza alla problematica della ‘seconda fondazione’ sostenuta da Mignini; così facendo optano per una lettura non lineare dell’esposizione more
geometrico (dove cioè il significato di un concetto in un dato contesto andrebbe ottenuto
esclusivamente a partire dai passaggi precedenti, facendo riferimento al reticolo dimostrativo o ai rimandi impliciti tra gli scolii).
Il capitolo dedicato a Spinoza nel saggio Angeli e beati. Modelli di conoscenza
da Tommaso a Spinoza, di Emanuela Scribano81, corrisponde all’impianto generale del saggio; il compito è quello di stabilire se in Spinoza la possibilità di accedere alle verità eterne da parte della mente umana si rifaccia ad un modello innatista o partecipativo, a Descartes oppure ad Agostino. Le conclusioni optano per la seconda possibilità: nell’Amor Dei intellectualis la conoscenza di Dio è immediata, e non può esserlo se non perché la mente è unita a Dio, ma ciò a sua volta impone di pensare che una parte della mente è preposta a questo contatto con l’eterno del quale per sua natura partecipa, «La posizione di Spinoza è la ripresa estrema della tesi neoplatonica e agostiniana secondo la quale ogni qual volta si conoscono verità universali e necessaire le si conoscono in Dio»82.
Del resto, va precisato, l’attribuzione di una posizione innatista – ricorrente nella letteratura critica – andrebbe esclusa apriori per il semplice fatto che in Spinoza non c’è un concetto della mens come anima ‘creata’, concepibile nella sua propria finitezza: la mente viene sussunta sotto la categoria dell’idea; è idea-del corpo, come cosa esistente in atto (parte peritura) o come essenza (parte eterna). Secondo la studiosa, però, il ripudio del dualismo cartesiano delle sostanze finite non impedisce a Spinoza di dar luogo, nel seno del sistema, a una forma di dualismo, sottile e insidiosa, proprio perché si cela nelle pieghe dell’argomentazione.
Il fatto che alla mente umana appartenga l’idea dell’essenza del corpo, oltre che l’idea dell’esistenzza del corpo, fa sì che la mente di ogni individuo sia come spaccata in due e viva sia nella dimensione sub specie
aeternitatis… sia nella dimensione della temporalità e della durata83;
[…] avendo respinto… il dualismo mente/corpo cartesiano, e avendo rifiutato altrettanto recisamente di attribuire un qualche valore epistemico all’empirismo…. Spinoza doveva reintrodurre un’altra forma di dualismo che gli consentisse di recuperare quella conoscenza universale e necessaria che l’empirismo, nella sua stessa opinione… non poteva dargli84.
81
E. Scribano, «I beati di Spinoza», in Ead., Angeli e beati. Modelli di conoscenza da Tommaso a
Spinoza, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 250-287.
82 Ibidem, p. 274. 83
Ibid., p. 262
Alle spalle di queste conclusioni sta l’idea che lo sviluppo deduttivo delle proposizioni e delle dimostrazioni sia una dimensione discorsiva relativa e ingannevole, che cela tale dualismo implicito, principio ordinatore della differenziazione tra adeguato e inadeguato.
L’identificazione della mente umana con l’idea dell’essenza del corpo gioca una parte effettiva negli argomenti della seconda parte, sebbene questi dal punto di vista formale si reggano esclusivamente sulla definizione della mente cui si è più volte accennato (E 2P13). Si tratta di una tesi forte anche perché il metodo geometrico non può più essere inteso semplicemente come un sistema di produzione di evidenze e di esposizione coordinata di concetti, poiché tra le sue risorse andrebbe annoverata una forma di dissimulazione.
Per quanto attiene specificamente alla parte di nostro interesse, la studiosa sostiene che Spinoza riesce a dare conto della possibilità della conoscenza adeguata radicandola nelle stesse condizioni dellla percezione, senza ricadere in uno schema di formulazione empiristico. I problemi dovuti alla teoria delle nozioni comuni, o ad essa comunque legati, sorgono allorché il filosofo intende identificare la conoscenza adeguata nel suo complesso tramite questi concetti primitivi, che sembrano piuttosto consoni a fornire una definizione ristretta della ragione nel suo rapporto di diversità e simultaneità rispetto all’immaginazione, a «ricavare una prima nicchia di adeguatezza all’interno della stessa percezione sensibile»85.
Va notato che per Scribano, come per molti altri prima di lei, il riferimento alle determinazioni costitutive del mondo fisico è un esempio limitante, e che dal punto di vista strutturale le nozioni comuni comprendono sia «le proprietà fisiche e metafisiche comuni a tutti i corpi… sia proprietà logiche – l’impossibilità, ad esempio, di essere e non essere nello stesso tempo -…sia quelle che in Cartesio erano le “nature semplici” sia gli assiomi»86. Va cioè accettata l’idea che la formazione e il possesso attuale della nozione comune richieda un passaggio attraverso l’empirico – il corpo, l’unificazione dell’attività cognitiva mediante la dimensione sensibile, è una condizione necessaria ma non sufficiente per la formazione di questi concetti – mentre l’assunto che ciò debba comportare una corrispondenza esclusiva tra idee adeguate e proprietà dei corpi sarebbe un malinteso interpretativo87. 85 Ibid., p. 267 86 Ibid., p. 265 87 Cfr. ibid., p. 266, n. 57
Simultanea alla dimostrazione della necessità di una conoscenza razionale, relativamente autonoma da quella immaginativa, è lo scopo di rendere conto di come la ragione non esaurisca il dominio della conoscenza adeguata e al tempo stesso fornisca i mezzi per accedere all’idea dell’essenza di Dio: tutto ciò tramite la comprensione della necessità dei propri oggetti, quindi dell’aspetto di eternità che essi implicano, quindi della loro dipendenza da Dio. Spinoza sembra in un primo tempo fornire una definizione sufficiente e coerente della ragione, in seguito allargarne i confini ed estenderne le prerogative sino alla tesi, apparentemente paradossale, secondo cui la nozione comune “Dio” sarebbe ricavata dalla conoscenza dei corpi, concepiti sub
(quadam) specie aeternitatis a partire dalle proprietà che condividono.
Per Scribano gli sconcertanti assunti presenti nella tematizzazione della conoscenza adeguata – come momento comprensivo della scienza intuitiva – vanno innanzitutto ricondotti alla divisione tra una mente eterna e una mente che dura, una premessa occultata in questo contesto(E 2P45-47); soprattutto va messo in luce un aspetto di grande incidenza: in quanto si tratta di qualcosa che è dato alla mente umana di acquisire (l’ipotesi innatista va scartata), l’idea adeguata (idea di proprietà, nozione comune, assioma, verità eterna) può coincidere con un nostro atto mentale secondo condizioni che per forza di cose coinvolgeranno la divisione che attraversa la natura della mente umana. La reticenza di Spinoza avrebbe dunque più di una ragion d’essere: […] La dipendenza da Dio di ogni cosa finita… certamente fa dell’essenza di Dio una proprietà comune di tutte le cose, ma l’implicazione tra le idee dei corpi esistenti in atto e l’essenza eterna di Dio vale solo nella misura in cui delle cose singolari si ha una idea adeguata, ossia nella misura in cui si abbandona la conoscenza parziale che se ne ha quando le si considera nella durata…88
Stando così le cose, la questione più urgente è quella di comprendere come sia possibile avere accesso alle idee adeguate dei corpi (cioè, nella fattispecie, dell’essenza del proprio corpo) e, a partire da lì, all’idea adeguata di Dio. Si tratta di tenere conto di entrambe le dimensioni della natura della mente, per capire come divengano in noi attuali le idee adeguate e in che modo convergano verso la conoscenza adeguata dell’essenza divina; il mutamento di statuto delle nozioni comuni, quindi, dev’essere inteso in funzione di quelle condizioni che le rendono attuali e le fanno agire, fino quasi a ‘plasmare’ il nostro pensiero.
Se oggettivamente disponiamo delle idee di proprietà, queste diventano parti o principi di nostre conoscenze solo nella misura in cui possiamo organizzare le nostre percezioni dall’interno, sfuggendo alla distrazione che è connessa alla componente sensibile e al fluttuare che è proprio dell’immaginazione. Se possiamo rendere conto di come queste idee vere diventano parti integranti del nostro pensare, allora possiamo giustificare la continuità tra idee di proprietà e conoscenza adeguata dell’essenza divina.
L’ordine delle questioni riporta ugualmente alla differenza tra modalità passiva e attiva della mente, esplicitata a partire dalla terza parte dell’Etica: poiché la mente è attiva, ha un accesso consapevole agli assiomi, ai teoremi fisici e metafisici fondamentali che pensa come verità necessarie e quindi eterne. Insomma, «la conoscenza degli assiomi e delle proprietà comuni… non implica un processo induttivo, ma piuttosto l’attenzione alle idee adeguate oggettivamente possedute dalla mente»89. Questa consapevolezza, funzione della conoscenza adeguata, include anche l’esistenza del corpo, cioè il suo essere attuale nel senso definito dal testo di E5P29S: il corpo in quanto esiste non nella durata, ma nella sua dipendenza dall’esistenza necessaria che identifica l’essenza divina e rappresenta perciò la «cosa singolare» che è oggetto del terzo genere di conoscenza.
Il quadro ricostruttivo è così completo; in esso, due aspetti concorrono a suggerire che nella lettura di Scribano vengano introdotte componenti appartenenti al cartesianesimo, componenti che non possono essere attribuite all’approccio spinoziano senza incorrere nel rischio di malintesi interpretativi. Infatti, da una parte l’assimilazione di nozioni comuni, assiomi e verità eterne è un’eredità cartesiana che Spinoza non può aver fatto sua se non con grandi riserve, tenendo ferma oltretutto una distinzione implicita tra assiomi e nozioni comuni senza presupporre la quale, del resto, non sarebbero state scritte le prime righe di E 2P40S1; dall’altra la chiave di lettura data dalla questione dell’«accesso consapevole agli assiomi», per certi versi convincente, ha l’inconveniente di riproporre un aspetto dell’innatismo cartesiano, dove l’attenzione e il modo di presenza dell’idea alla mente fa la differenza tra le verità e il sapere che di queste verità ci rende certi.
1.12 NOZIONI COMUNI, AFFEZIONI E APTITUDO DEL CORPO NELL’INTERPRETAZIONE DI