Dopo essere entrati nel merito di diverse proposte interpretative, diversamente coinvolte nel tema del quale ci andiamo ad occupare, si dovrebbe, per quanto possibile, tenere a uguale distanza le singole posizioni o i registri esplicativi in funzione dei quali esse hanno potuto essere formulate. Nella trama di tali vicende interpretative è possibile individuare, accanto ai temi dominanti, alcuni punti sensibili che andrebbero affrontati in maniera più diretta e organica. Intanto, quanto si è visto sin qui rende conto che ci sono vie d’accesso differenti, tutte legittime, alla discussione di questa parte del sistema
peraltro tanto limitata dal punto di vista espositivo e – almeno a un primo sguardo – ben identificabile nelle sue note fondamentali.
Se si assume che vi sia un solo orizzonte problematico cui rifarsi, bisognerà ammettere che si tratta di un orizzonte costitutivamente mobile, dinamico. Quasi fosse un nervo scoperto all’interno del sistema, la teoria delle nozioni comuni vede il convergere di differenti ordini di questioni: la conoscenza adeguata e l’intelligibilità della natura estesa, l’idea universale declinata in termini non immaginativi e la differenziazione tra i generi di conoscenza.
Quest’ultimo aspetto sembra preso a sua volta tra esigenze contrastanti, quella di una demarcazione aprioristica dell’adeguato rispetto all’inadeguato e quella di una mediazione tra le forme della mente pensante. Su quest’ultimo punto, rifacendoci a quanto si è avuto modo di osservare in varie occasioni (Gueroult, Mignini, Zourabichvili) va sottolineato il peso specifico del problema della rapporto (continuità?) tra ragione e immaginazione. Problema il quale, qualora si faccia riferimento all’intricato percorso sotteso alle opere filosofiche antecedenti l’Ethica, viene a risolversi nella riflessione sulle operazioni astrattive e sul ruolo dei concetti universali.
Ancora, se si assume come punto di partenza il concetto di adaequatio con la densità concettuale che esso assume via via attraverso le diverse parti del capolavoro spinoziano, ci si accorge che la differenziazione tra i generi di consocenza e le loro mediazioni interne rappresentano un aspetto soltanto relativo. Nella quinta parte non si pone la questione di offrire un criterio per stabilire quali conoscenze siano adeguate e quali no, ma a quali condizioni la mente possa ottenere un massimo di attività di contro a un minimo di passività, fino a “riposare” (acquiescere) nella sua potenza di pensare ciò che parimenti sente (E 5P4S).
Rispetto a questo quadro risulta di essenziale importanza comprendere in quale modo le nozioni comuni possano caratterizzare la nostra aptitudo alla formazione di idee adeguate. Questo compito non si limita al rilievo pratico, o meglio terapeutico, assegnato dalla quinta parte alle nozioni comuni (E 5PP2-4S); bisogna prima considerare quegli aspetti che divengono manifesti nella trattazione De potentia
Intellectus (attività e passività della mente affettiva, aptitudo del corpo, ordine delle
affezioni e ordine delle idee, ecc.) ma che sono già implicati o sottintesi nella seconda parte.
Per quanto riguarda la sequenza di proposizioni che introduce il tema nella seconda parte, va chiarito in quali termini il valore di verità che Spinoza ascrive alla
conoscenza fisica e alla razionalizzazione del mondo esteso abbia lasciato un’impronta indelebile su tale formulazione. Ciò equivale a dire che non bisogna concordare con chi afferma che il rimando alla teoria dei corpi avrebbe, nel contesto interessato, un mero valore esemplificativo (così Di Vona, Gueroult, ecc.): con quel rimando, Spinoza indica al lettore come vada inteso il soggetto delle proposizioni sui principi della conoscenza razionale.
È significativo che la forma della deduzione, che contempla sia la distinzione che la connessione di «comune» e «proprio», al contempo sottenda questioni di ordine differente. La cogenza che la dimostrazione delle nozioni comuni proprie manifesta rispetto a quella che la precede non dev’essere priva di rapporti con il fatto che essa – come risulta dal successivo corollario – concerne direttamente l’attingibilità delle proprietà comuni come oggetti della nostra cognitio. Ciò può far pensare non solo alle operazioni cognitive di cui la fisica offre il modello e l’esempio, ma anche e soprattutto, al progetto spinoziano di una «scienza degli affetti» di cui la terza parte dell’Ethica fisserebbe i principi e la tassonomia.
Per il resto, se si può sostenere che le nozioni comuni proprie fanno riferimento alle condizioni di possibilità della fisica, a maggior ragione si deve intendere che le nozioni comuni universali hanno un legame privilegiato con la metafisica. Non a caso Spinoza prova la necessità della conoscenza adeguata della natura divina facendo ricorso ad esse (E 2P46D).
Tutto ciò solleva ulteriori complicazioni, perché non si tratta di verificare che si danno tratti comuni alla ragione e alla scienza intuitiva, proprio dal punto di vista dei rispettivi fondamenti (nozioni comuni e idea dell’essenza di Dio), quanto piuttosto di rimettere in discussione l’ordine delle ragioni per comprendere cosa fonda cosa – ovvero, in che modo la ‘fondazione’ che è stata fornita facendo ricorso alle nozioni comuni sia non contraddittoria rispetto alla spiegazione della conoscenza adeguata secondo il suo proprio principio.
Ad esempio, se seguissimo l’indicazione di Walther, secondo il quale le nozioni comuni trovano nell’idea dell’essenza di Dio il loro fondamento trascendentale, dovremmo considerare come un controsenso la scelta di spiegarne la necessità per sé, tramite proposizioni e dimostrazioni.
Per porre nella giusta prospettiva questo fascio di problematiche è indispensabile porre la questione della specificità della conoscenza razionale in un ordine diacronico, cioè tale da considerare i testi antecedenti l’Ethica. È quanto si farà nel prossimo
capitolo. Non si tratta semplicemente di chiedersi se l’autore avesse già in mente, più o meno definita, la sua teoria dei fondamenti del raziocinio allorché componeva il De
Emendatione o il Tractatus theologico-politicus, quanto piuttosto di capire quali aspetti
intervengono, in ciascun contesto, a determinare nei loro tratti caratteristici le questioni qui indicate (conoscenza universale e astrazione, ragione speculativa e razionalizzazione nelle scienze, autonomia della ragione discorsiva).
Infine, una questione particolarmente sensibile tra quelle elaborate dagli interpreti riguarda il rapporto con gli «assiomi» e le «verità eterne» in senso cartesiano e ancor più con la connessa ipotesi di un innatismo dissimulato all’interno della dottrina spinoziana (Scribano). Altri (Wilson) ha contrapposto ad un innatismo solo presunto l’«automatismo» che denuncia il precoce distacco di Spinoza da Cartesio a proposito di questo tema capitale. In ogni caso bisogna constatare che il pensatore di Amsterdam, anche per via della sua destituzione del cogito e per l’impronta marcatamente oggettivistica che assegna alla questione, non pone in termini cogenti la necessità delle nozioni comuni rispetto alla nostra mente (Mignini), e questo dato, insieme ad una certa reticenza dell’autore, in qualche modo apre il fianco ad una ricostruzione in termini di innatismo.
Non si hanno elementi diretti per stabilire sia come queste communes notiones possano sussistere identiche in tutte le menti umane, se poi divengono attuali soltanto per alcune menti (le quali, di conseguenza, sono capaci di avere un concetto adeguato, scevro da pregiudizi finalistici o antropomorfici, dell’essenza divina): la nozione comune non consiste nell’affezione in quanto riferita alla sola mente, ma è un concetto che la nostra mente forma «assolutamente», «dall’interno».
Al tempo stesso, l’idea di ciò che è comune appartiene già da sempre al nostro intelletto, è cioè inscritta nell’essenza singolare della mente umana in quanto idea: tra l’idea che questa è e l’idea adeguata che abbiamo si collocherebbe una dinamica dell’attenzione cosciente. Gueroult ad esempio ha sostenuto che abbiamo una nozione comune allorché l’intelletto riconosce nelle nostre percezioni il tratto caratteristico dell’adeguatezza103.
Il problema è insomma quello di stabilire se la natura apriori e universale delle nozioni comuni universali vada presupposta oppure divenga quel che è in concomitanza con le nostre conoscenze adeguate. Poiché la questione dell’innatismo non può che essere posta in termini indiretti, bisognerà considerare in primo luogo i dati testuali e gli
aspetti teorici che investono gli assiomi, le nozioni comuni, i per se nota. Bisogna infatti stabilire se queste tre categorie di idee siano sussumibili nel genere delle «verità eterne»; se così fosse, la tesi di una forma di innatismo congeniale a Spinoza potrebbe ottenere una conferma. Questa indagine particolare, che sarà svolta nel terzo capitolo, ci permetterà di interrogare in modo spregiudicato i testi che formano la deduzione.
2.