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In un mercato a crescente competitività, le imprese cinesi rappresentano un nemico temibile da cui guardarsi attentamente; si tratta di produttori in grado di sfruttare manodopera a basso costo, una moneta sottovalutata e una serie di aiuti statali che vanno a minare pesantemente la competitività delle aziende italiane.

In aggiunta, in molti casi si tratta di imprese che operano senza alcun rispetto delle norme sociali e ambientali, a ritmi insostenibili per gli altri mercati, sfruttando l’alta disponibilità di forza lavoro del paese; si genera quindi un potenziale di esportazioni a prezzi a dir poco competitivi, in grado di abbattere la concorrenza di ogni produttore internazionale.

La produzione dell’industria tessile cinese è aumentata costantemente nel corso degli anni, raggiungendo nel 2010 un volume di fibra prodotta di 41,3 tonnellate, in crescita del 60,7% rispetto al 2005. Il valore totale della produzione delle imprese tessili è aumentato del 30% dal 2005; in particolare, la produzione di fibre chimiche, filati, tessuti e abbigliamento ha raggiunto livelli di crescita rispettivamente dell’ 86,21%, 88,21%, 63,09% e 92,59%. Il valore degli investimenti si è attestato, nel corso del 2010, a 44 milioni di Euro, in aumento del 50% rispetto al 2005, con una domanda interna sempre molto forte, elemento indispensabile per stimolare la produzione interna, le vendite e le esportazioni del settore tessile. Proprio queste ultime hanno raggiunto nel 2010 i 206 miliardi di Dollari, registrando un +75% rispetto al 2005.11

Nonostante i numeri impressionanti di cui sopra, l’industria tessile cinese è tuttora esposta a diverse problematiche; aumento dell’inflazione nei mercati emergenti, problemi di reclutamento della manodopera spesso costretta a ritmi e condizioni lavorative improponibili e soprattutto un costante aumento del costo delle materie prime che potrebbe, nel corso degli anni, ridurre drasticamente la profittabilità delle aziende in questione le quali, sviluppando esclusivamente la propria offerta in ragione della variabile prezzo, potrebbero non essere più capaci di garantire al mercato prodotti competitivi a basso costo.

Dietro l’industria tessile cinese si nasconde in aggiunta un consistente sistema di aiuti pubblici, con finanziamenti elargiti tramite prestiti a tassi ridotti per le aziende con obiettivi di export, riduzione dei costi di acquisto dell’energia e sovvenzioni alle aziende di Stato in perdita. La base finanziaria non appare quindi delle più solide, essendo molte imprese strettamente dipendenti dagli aiuti statali.

Ad ogni modo, nonostante alcuni aspetti negativi, l’impatto della crescita dell’industria cinese sul mercato italiano ed europeo del tessile/abbigliamento è stato a dir poco rivoluzionario.

L’invasione è stata facilitata dalla concentrazione della distribuzione europea, con la presenza di grosse catene distributive che, sulla scia dei prezzi bassi e dei miglioramenti della logistica cinese, ha contribuito all’incremento degli acquisti dalla Cina.

Le importazioni dal colosso asiatico nel 2010 hanno raggiunto il valore record di 4,9 miliardi di Euro, in aumento del 19,2 % rispetto al 2009, raggiungendo una quota sul totale import del 27%12.

Tutti i rimanenti paesi fornitori ne hanno risentito ma, mentre alcuni hanno registrato ripercussioni negative evidenti (Russia, Croazia), altri (come Turchia, Germania, India), sfruttando l’onda positiva e trainante del mercato cinese sono riusciti a conseguire miglioramenti nelle vendite nel mercato italiano.

Concentrando l’analisi in termini quantitativi (numero di capi), emerge, in modo ancora più chiaro e palese, la rivoluzione provocata dal mercato cinese con l’import che in determinati casi ha evidenziato incrementi non comparabili a quelli di nessun altro mercato concorrente (vedi ad esempio l’import di pantaloni e abiti da donna che nel solo 2005 aveva registrato incrementi di oltre il 2500% o le importazioni di pullover e t-shirt di fatto decuplicate sempre nello stesso periodo).

L’incremento dell’offerta interna risponde all’esigenza di soddisfare una domanda in costante crescita sia sul mercato internazionale sia su quello interno. Ciò ha determinato lo spostamento di risorse verso l’industria tessile/abbigliamento, a differenza di quanto avveniva in altre economie più avanzate dove invece si stava sviluppando un processo inverso. Ad oggi la Cina è senza alcun dubbio il paese in cui l’industria manifatturiera è il settore che conta di più nell’economia (37% 13), con

l’aumento di circa 5 punti percentuali dal 2000 al 2008.

2.8 Considerazioni

La perdita di quote di mercato a vantaggio di paesi in via di sviluppo rappresenta un aspetto naturale e inevitabile; i fattori discriminanti del processo sono invece le modalità e le tempistiche con cui si manifesta la perdita produttiva.

12Fonte: SMI-ATI su dati Istat

Se questa avviene in modo graduale, genera evoluzioni interessanti, nuovi sviluppi di mercato e non determina l’insorgere di problematiche particolari. Differentemente, se il processo si manifesta in modo rapido e improvviso, con una perdita di quote non compensata da nuove acquisizioni, spesso scaturiscono forti tensioni sul mercato con un naturale aumento del livello di disoccupazione.

In questo contesto, per superare le difficoltà evidenziate dal nuovo quadro macro economico, il focus generale è rappresentato dal concetto di innovazione, intesa come capacità di rinnovamento di tutti quei fattori che possono portare l’azienda al raggiungimento di un vantaggio competitivo.

In generale il termine innovazione rappresenta un concetto molto più ampio che comprende una serie di azioni che caratterizzano l’azienda e il contesto su cui si sviluppa. Nello specifico intendiamo:

1. l’investimento delle imprese per reinventare il modello produttivo e il sistema delle relazioni di filiera e distretto;

2. la scelta delle autorità governative di concentrare la propria attenzione sulla lotta alla contraffazione del marchio,

3. la spesa sulle tecnologie informatiche per creare rapporti più efficaci all’interno di un network di prodotto in grado di generare differenziazioni rispetto all’offerta di chi punta all’ abbattimento dei costi14.

La definizione appare in evidente contrasto con la struttura industriale che caratterizza il panorama italiano attuale, basata su una molteplicità di piccole/medie aziende fortemente specializzate che collaborano con una certa continuità ma che appaiono ancora distanti dal modello di interconnessione strategica sopra descritto; modello che di fatto garantirebbe una dimensione operativa più efficace e più corrispondente alle esigenze competitive del mercato.

A questo si aggiungono investimenti insufficienti soprattutto nell’ambito delle tecnologie informatiche, strumenti necessari per il raggiungimento di quel livello di interdipendenza riportato nella definizione di innovazione.

Si tratta di tecnologie che permetterebbero grosse possibilità di crescita a basso costo; ma ancora oggi l’industria tessile italiana evidenzia significativi ritardi nell’acquisizione e utilizzo delle stesse, con i dati Assicom sul primo trimestre 2011 che evidenziano un calo complessivo dell’ICT15del -3,3% rispetto allo stesso periodo 201016.

14Fonte: FILTEA (Federazione Italiana Lavoratori Tessile Abbigliamento). 15Information and communications technology.

Consideriamo inoltre i risultati delle vendite da cui emergono elementi di preoccupazione non trascurabili (nonostante alcuni segnali di ripresa nel 2010), spesso determinati da fattori (crisi dei consumi, cambio euro/dollaro, invasione dell’industria cinese) che vengono alimentati nel mercato italiano da imprese che presentano grosse difficoltà nel modificare il proprio comportamento e la propria strategia competitiva. Tra i sintomi più evidenti delle difficoltà riscontrate nel sistema moda italiano abbiamo la riduzione delle esportazioni nel periodo 2005 – 2010, che evidenziava un -16% sul 2009, poi contenuta a un -7% grazie alla parziale ripresa del 2010.

Di seguito tabella di confronto:

In questo contesto, in un mercato con domanda carente e capacità produttiva eccedente si rende ancora più cruciale la scelta dei fornitori, favorendo coloro che sono in grado di aggiungere servizi complementari alla mera fornitura con soluzioni che si integrino alle esigenze del produttore.

Per superare la crisi e le difficoltà che si stanno evidenziando nel mercato attuale è necessario che le imprese italiane definiscano delle priorità da seguire; tra queste una necessaria differenziazione dell’offerta da quella dei paesi emergenti, puntando su offerte qualitativamente superiori, sfruttando lo stile universalmente riconosciuto in termini di marchio, affidabilità e soddisfazione del cliente, evitando di competere in campi in cui il mercato orientale è di fatto imbattibile (variabile prezzo).

A questo si aggiunge la necessità di superare i limiti derivanti da una struttura produttiva alquanto inadatta, che non garantisce alle imprese italiane di approcciarsi al mercato globale in modo competitivo; ciò è possibile grazie a intense attività di supporto reciproco tra le imprese.

In questa direzione, sono necessari innanzitutto un aiuto concreto da parte delle istituzioni e iniziative da parte degli stessi imprenditori; il processo di delocalizzazione produttiva che sta interessando il panorama internazionale può costituire un’opportunità per concentrare l’attività degli impianti nazionali sulle fasi a più alto

valore aggiunto (quali ad esempio l’attività di progettazione, ricerca e sviluppo e assistenza).

Le aziende italiane dovranno poi essere capaci di conservare internamente le fasi strategiche che hanno caratterizzato la produzione del Made in Italy, cercando di sviluppare un processo produttivo basato su un’attività di collaborazione che consenta di riunire le competenze necessarie per lo sviluppo di prodotti orientati al soddisfacimento delle esigenze della clientela; l’obiettivo è quello di giungere alla creazione di una sorta di filiera globale, avvicinandosi il più possibile al modello di interconnessione strategica sopra descritto.

La realizzazione di un prodotto di qualità rimane l’obiettivo principale delle aziende tessili, aspetto necessario per fronteggiare le richieste del consumatore, le cui attese appaiono in costante movimento, soprattutto a livello di servizio offerto.

In quest’ambito, tra i problemi principali evidenziamo sicuramente il rispetto delle tempistiche; per essere competitivi è necessario puntare sulla tempestività, intesa come tempo d’evasione dell’ordine e rispetto del cosiddetto “lead time” evitando inutili inefficienze17.

Da questo punto di vista, il lead time assume valori piuttosto elevati per effetto di una filiera molto lunga e complessa; le tempistiche inerenti alla mera lavorazione sono di fatto molto contenute rispetto al totale del tempo necessario per il completamento dell’intero processo produttivo.

Pertanto appaiono basilari i concetti di time to market e la capacità di innovazione in termini di collezione; ciò comporta una ridefinizione dei processi di supply-chain e, come detto sopra, una collaborazione totale a livello di filiera, coordinando le forniture e la logistica con le richieste della clientela18.

D’altronde, la non prevedibilità della domanda, sempre più correlata alle mutabili preferenze del cliente, richiede la presenza di una supply chain integrata con le altre fasi aziendali, in grado di trasmettere lungo tutta la filiera le informazioni in tempo reale.

17

Il lead time o tempo di riordino, può essere definito come l’ intervallo di tempo che intercorre tra il momento in cui si avverte la necessità di ricostituire le scorte e il ricevimento delle stesse nel magazzino ed è formato dal tempo di emissione, trasmissione, esecuzione dell’ordine, di trasporto e di ricevimento merci.