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MERCATO DEL LAVORO

Nel documento Consuntivo 2008 (1,1mb) (pagine 23-38)

Considerazioni sulla metodologia dell’indagine delle forze di lavoro. L’andamento del mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna viene prevalentemente analizzato sulla base della nuova rilevazione Istat delle forze di lavoro. Rispetto al passato, siamo in presenza di un’indagine definita continua in quanto le informazioni sono rilevate con riferimento a tutte le settimane dell’anno, tenuto conto di una opportuna distribuzione a livello trimestrale del campione complessivo.

I cambiamenti non hanno riguardato le sole modalità di rilevazione, ma anche alcune definizioni delle varie condizioni, arricchendo nel contempo le informazioni sull’occupazione, facendo emergere il lavoro coordinato e continuativo e interinale. Nell’ambito della disoccupazione è stato accresciuto il campionario di possibilità e la precisione dell’individuazione delle azioni di ricerca effettuate. Tra le motivazioni che spingono ad uscire dal mercato del lavoro sono state introdotte la cura della famiglia per assenza di servizi adeguati - la mancanza di asili è tra queste - e la indisponibilità di impieghi part-time.

Per quanto concerne la figura di occupato, nella vecchia rilevazione veniva considerato tale chi dichiarava di esserlo, sottintendendo un criterio soggettivo basato sulla percezione di essere in questa condizione. Con la nuova rilevazione è considerato occupato colui che nella settimana precedente l’intervista ha svolto almeno un’ora di lavoro remunerato, o anche non remunerato se l’attività è svolta in un’azienda di famiglia. Siamo pertanto di fronte ad un criterio di sapore più oggettivo, che prescinde dalla percezione soggettiva della persona intervistata. Per le persone in cerca di occupazione, che devono essere comprese tra i 15 e i 74 anni, siamo in presenza di parametri sostanzialmente uguali a quelli in vigore precedentemente. Si deve essere disponibili a lavorare nelle due settimane successive all’intervista e si deve avere effettuato almeno una ricerca attiva di lavoro nelle quattro settimane precedenti. Non tutte le informazioni sopra riportate sono state divulgate a livello regionale, come ad esempio, nel caso delle collaborazioni continuative a progetto.

Il confronto fra il 2008 e l’anno precedente è omogeneo, come modalità di rilevazione. Le massicce regolarizzazioni di cittadini stranieri avvenute negli anni passati dovrebbero ormai essersi stemperate. La più recente è stata varata nel 2006 e ha comportato la regolarizzazione di circa 500.000 persone, senza dimenticare l’estensione della libera circolazione dei lavoratori comunitari in Italia anche agli otto paesi di recente adesione quali Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, che avrebbero potuto beneficiarne solo dal 2011. Le persone regolarizzate, dopo avere ottenuto il permesso di soggiorno, hanno cominciato a iscriversi nei registri anagrafici, accrescendo la popolazione residente e modificando di conseguenza l’universo a cui rapportare i dati campionari. In Emilia-Romagna, al primo gennaio 2008, la popolazione straniera residente è ammontata a 365.687 unità, contro le 317.888 di inizio 2007 e 130.304 di inizio 2001. Tra inizio 2001 e inizio 2008 c’è stato un aumento percentuale del 180,6 per cento, a fronte della crescita nazionale del 134,4 per cento. Nello stesso arco di tempo l’incidenza della popolazione straniera sul totale è salita in Emilia-Romagna dal 3,3 all’8,6 per cento, in Italia dal 2,5 al 5,8 per cento. La popolazione complessiva dell’Emilia-Romagna tra il primo gennaio 2001 e il primo gennaio 2008 è cresciuta da 4.030.220 a 4.275.802 unità, vale a dire il 6,1 per cento in più.

Le regolarizzazioni attuate negli anni scorsi oltre ad aumentare la popolazione ufficiale, hanno fatto emergere posizioni lavorative prima sconosciute. Ne consegue che l’analisi dell’andamento occupazionale degli ultimi anni deve essere effettuata con la dovuta cautela.

L’evoluzione generale. Nel 2008 il mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna si è chiuso con un bilancio che si può considerare positivamente, soprattutto se si considera che è maturato in un contesto generale caratterizzato dalla più grave crisi economico-finanziaria del secondo dopoguerra. Come vedremo diffusamente in seguito, la crescita dell’occupazione ha perso un po’ di slancio, mentre la disoccupazione è tornata sopra la soglia, comunque contenuta, del 3 per cento. Nonostante ciò l’Emilia-Romagna si è confermata tra le realtà più dinamiche del Paese.

Nel 2008 le rilevazioni Istat sulle forze di lavoro hanno stimato mediamente in Emilia-Romagna circa 1.980.000 occupati, vale a dire l’1,3 per cento in più rispetto alla media del 2007, equivalente, in termini assoluti, a circa 26.000 persone. L’andamento dell’Emilia-Romagna è risultato meno dinamico rispetto all’evoluzione del 2007 (+1,8 per cento) e a quella riscontrata nella ripartizione Nord-orientale (+1,5 per cento), ma meglio intonato rispetto a quanto avvenuto in Italia (+0,8 per cento). In ambito regionale,

l’Emilia-Romagna ha evidenziato l’ottavo miglior tasso di crescita dell’occupazione su venti regioni. La regione più dinamica è risultata l’Abruzzo, con un incremento del 3,2 per cento, davanti a Umbria (+2,4 per cento) e Trentino-Alto Adige (+2,1 per cento). I cali hanno interessato cinque regioni, in un arco compreso tra il -0,1 per cento del Friuli-Venezia Giulia e il -2,2 per cento della Campania.

Se analizziamo l’evoluzione trimestrale, possiamo vedere che l’aumento su base annua dell’Emilia-Romagna è stato determinato da tutti i trimestri, anche se in misura sostanzialmente differente. Fino al trimestre estivo, l’occupazione è aumentata tendenzialmente con una certa intensità, ovvero con tassi compresi tra l’1,4 e l’1,9 per cento. Nel quarto trimestre, quando è stato toccato il punto più basso del ciclo economico, la crescita è scesa ad un modesto +0,3 per cento, a fronte della media nazionale di +0,1 per cento e Nord-orientale di +0,9 per cento. Una ulteriore conferma del rallentamento del tasso di crescita dell’occupazione è venuta anche dallo scenario economico proposto nello scorso maggio da Unioncamere Emilia-Romagna - Prometeia, relativamente alle unità di lavoro, che misurano l’effettiva intensità dell’occupazione. Per fare un esempio pratico, quattro persone che abbiano lavorato ciascuna per tre mesi all’anno, danno origine ad una unità di lavoro. Inoltre viene tenuto conto del lavoro effettivamente prestato nei vari settori, indipendentemente dalla persona che lo ha svolto. Non sono infrequenti i casi, ad esempio, di occupati che lavorano per qualche ora nel proprio fondo agricolo, dopo avere terminato l’attività principale nell’industria o nel terziario. In questo caso le ore prestate all’agricoltura vengono conteggiate in questo settore e non nell’industria che rappresenta l’attività principale della persona occupata.

Nel 2008, secondo le stime del sistema camerale e di Prometeia, le unità di lavoro sono cresciute dello 0,6 per cento rispetto al 2007, che a sua volta era apparso in aumento dell’1,8 per cento.

Per quanto concerne il genere, la componente femminile è apparsa più dinamica di quella maschile (+1,7 per cento contro +1,1 per cento). In Italia, le donne sono cresciute dell’1,9 per cento, a fronte della sostanziale stazionarietà palesata dagli uomini. Il peso della componente femminile sul totale dell’occupazione dell’Emilia-Romagna si è conseguentemente rafforzato, passando al 43,4 per cento rispetto al 43,3 del 2007. Nel 1993, ultimo anno oggetto della ricostruzione sulla base dei nuovi criteri della rilevazione, si aveva un rapporto superiore al 41,0 per cento.

La nuova crescita della consistenza degli occupati è coincisa con il migliore tasso specifico di occupazione del Paese, rappresentato da una percentuale di occupati in età di 15-64 anni sulla rispettiva popolazione pari al 70,2 per cento, confermando nella sostanza i livelli del 2007 (70,3 per cento), In ambito territoriale, a fronte della media nazionale del 58,7 per cento, l’Emilia-Romagna ha preceduto Trentino Alto Adige (68,6 per cento) e Valle d’Aosta (67,9 per cento). I tassi più contenuti, e non è certo una novità, hanno riguardato le regioni del Sud, con le ultime posizioni occupate da Campania (42,5 per cento), Sicilia (44,1 per cento), Calabria (44,1 per cento) e Puglia (46,7 per cento). Rispetto al 2007 quasi la metà delle regioni italiane (undici su venti) ha migliorato il proprio tasso di occupazione in un arco compreso tra +1,2 punti percentuali dell’Abruzzo e +0,1 punti di Liguria e Puglia. L’Emilia-Romagna, come accennato precedentemente, è diminuita di un punto percentuale, in contro tendenza rispetto al tuttavia modesto miglioramento medio nazionale di 0,1 punti percentuali. Oltre all’Emilia-Romagna, sette regioni hanno evidenziato un deterioramento del tasso di occupazione, in un arco compreso tra i -0,1 punti percentuali delle Marche e i -1,2 punti percentuali della Campania. Al di là delle varie oscillazioni l’Emilia-Romagna è stata l’unica regione italiana che ha rispettato, con due anni di anticipo, l’obiettivo fissato dall’Unione europea nel consiglio straordinario di Lisbona, che prevede di portare entro il 2010 il tasso degli occupati dal 61 per cento al 70 per cento della popolazione europea, e la quota di donne che lavorano dal 51 per cento a una media superiore al 60 per cento.

Sotto l’aspetto delle varie classi di età, in Emilia-Romagna, come nel resto del Paese, è nuovamente quella intermedia da 35 a 44 anni a registrare il tasso di occupazione più elevato pari all’87,5 per cento, davanti alle fasce da 45 a 54 anni (86,5 per cento) e 25-34 anni (83,8 per cento). I tassi si riducono notevolmente, e non può essere altrimenti, nella classe da 15 a 24 anni, che comprende larga parte della popolazione studentesca (32,2 per cento), e in quella da 55 anni e oltre, che è largamente costituita da pensionati (16,9 per cento). Nel gruppo da 65 anni e oltre, ad esempio, il tasso di occupazione scende al 2,3 per cento. L’esiguità temporale della serie disponibile non consente di cogliere in pieno i mutamenti in atto. Qualche tendenza tuttavia emerge. Tra il 2004 e il 2008, appare in riduzione il tasso di occupazione delle classi fino a 44 anni, in particolare quella dei giovanissimi da 15 a 24 anni che si riduce di quasi cinque punti percentuali. Nelle classi più anziane, oltre 44 anni, si hanno invece aumenti, compresi fra i 5,9 punti percentuali della classe da 45 a 54 anni e i 2,8 punti di quella da 55 anni e oltre. Se nel 2004 gli occupati fino a 34 anni costituivano il 34,1 per cento del totale, nel 2008 la percentuale scende al 29,6 per cento. L’invecchiamento degli occupati non è che lo specchio di quanto avviene per la popolazione, anche se occorre sottolineare che il crescente impatto della popolazione straniera sta un po’ invertendo la tendenza.

Se analizziamo i tassi di occupazione calcolati sulla popolazione in età di 15 anni e oltre dal lato del titolo di studio, possiamo vedere che i valori più elevati hanno nuovamente riguardato i possessori di laurea breve, laurea e dottorato (78,1 per cento) e di diploma 2-3 anni (73,2 per cento), vale a dire un titolo che può sottintendere delle qualifiche professionali. Nell’ambito del diploma 4-5 anni il rapporto scende al 72,6 per cento. In ambito nazionale troviamo una situazione analoga, ma articolata su tassi generalmente più contenuti rispetto a quelli proposti dall’Emilia-Romagna. I tassi tendono a ridursi per i possessori di licenza media e licenza elementare. In Emilia-Romagna il tasso di occupazione della licenza media si è attestato nel 2008 al 56,8 per cento, per scendere al 13,9 per cento nell’ambito della licenza elementare. In Italia i rispettivi tassi sono ammontati al 46,1 e 12,1 per cento. Rispetto alla situazione del 2004, le riduzioni più consistenti dei tassi di occupazione hanno riguardato i titoli di studio meno qualificati: -2,8 punti la licenza elementare; -2,2 punti la licenza media. Siamo alla presenza di una situazione che sembra sottintendere il graduale aumento della qualità della scolarizzazione della popolazione, intendendo con questo termine l’acquisizione di titoli di studio sempre più qualificati. Il condizionale è tuttavia d’obbligo in quanto al rafforzamento del tasso di occupazione dei titolari di diploma 4-5 anni, si è associata la riduzione di 1,5 punti percentuali dei possessori di titoli accademici.

Il tasso di attività è costituito dal rapporto fra la forza lavoro, intesa come insieme delle persone in cerca di occupazione e occupate, e la popolazione. L’aumento di questa variabile può essere messo in relazione all’esaurirsi delle migrazioni verso l’estero, dalla crescita dell’immigrazione straniera, oltre alla progressiva accelerazione dell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Tende invece a decrescere quando, ad esempio, la popolazione inattiva aumenta a causa del progressivo invecchiamento, oppure a seguito dell’innalzamento del livello d’istruzione scolastica, che accresce la durata degli studi, ritardando l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro. Il tasso di attività emiliano-romagnolo è senza dubbio intaccato dalla diffusione della scolarizzazione e dall’invecchiamento della popolazione, ma l’antidoto principale al suo ridimensionamento è rappresentato soprattutto dalla immigrazione straniera. Senza di essa avremo una drastica riduzione della partecipazione al lavoro e non solo, come dimostrato da una proiezione dell’Istat fino all’anno 2050 effettuata su dati regionali e nazionali. Il tasso di attività in età 15-64 anni dell’Emilia-Romagna nel 2008 è nuovamente risultato il più elevato del Paese, con una percentuale del 72,6 per cento, in miglioramento rispetto ai rapporti del 2004, anno più lontano con il quale è possibile effettuare un confronto omogeneo (70,9 per cento) e del 2007 (72,4 per cento). Alle spalle dell’Emilia-Romagna si è collocato il Trentino-Alto Adige (70,6 per cento), seguito da Valle d’Aosta (70,2 per cento) e Lombardia (69,6 per cento). Nel Paese la partecipazione al lavoro si è attestata al 63,0 per cento (era il 62,5 per cento nel 2007). I rapporti più contenuti sono stati nuovamente riscontrati nel Mezzogiorno, in particolare Campania (48,7 per cento), Calabria (50,2 per cento), Sicilia (51,2 per cento) e Puglia (52,9 per cento).

Il primato dell’Emilia-Romagna in termini di partecipazione al lavoro trae origine dalla forte presenza di donne nel mercato del lavoro. Nel 2008 il relativo tasso di occupazione sulla popolazione in età 15-64 anni è risultato il più elevato del Paese, attestandosi al 62,1 per cento (62,0 per cento nel 2007; 60,2 per cento nel 2004), al di sopra dei parametri auspicati dall’obiettivo di Lisbona, precedendo Valle d’Aosta (59,9 per cento), Trentino-Alto Adige (59,7 per cento) e Umbria (61,0 per cento). Man mano che si discende la Penisola i tassi femminili di occupazione tendono a decrescere, fino a raggiungere la punta minima del 27,3 per cento della Campania. Una classifica sostanzialmente analoga emerge in termini di tasso specifico di attività. In questo caso la partecipazione al lavoro delle donne emiliano-romagnole in età di 15-64 anni è stata del 64,9 per cento (64,6 per cento nel 2007; 63,4 per cento nel 2004), davanti a Valle d’Aosta (62,5 per cento) e Trentino-Alto Adige (62,0 per cento). Ultima la Campania, con un tasso di attività femminile del 32,8 per cento, seguita da Sicilia (35,3 per cento) e Puglia (35,9 per cento).

L’evoluzione dell’occupazione per rami di attività economica. L’occupazione del settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca è apparsa in ripresa (+2,9 per cento per un totale di circa 2.000 addetti), recuperando parzialmente sulla flessione del 6,5 per cento accusata nel 2007. L’incidenza sul totale dell’occupazione si è attestata al 4,0 per cento, in leggero recupero rispetto alla quota del 3,9 per cento del 2007. Al di là delle oscillazioni, il settore primario ha contato circa 10.000 addetti in meno rispetto alla situazione del 2004, che registrava una incidenza sul totale dell’occupazione pari al 4,8 per cento. La tendenza riduttiva della consistenza degli addetti è una costante del settore primario, emersa in tutta la sua evidenza anche dalle vecchie indagini sulle forze di lavoro. Le cause sono per lo più rappresentate dalla mancata sostituzione di chi abbandona l’attività, vuoi per raggiunti limiti di età, vuoi per motivi economici, e dal processo di razionalizzazione che vede sempre meno aziende, ma più ampie sotto l’aspetto della superficie utilizzata. In Italia è stata riscontrata una flessione degli occupati pari al 3,1 per cento, che è corrisposta a circa 28.000 persone, che si sono aggiunte alle 58.000 perdute nel 2007.

L’aumento delle “teste” registrato dall’indagine sulle forze di lavoro, ha avuto un analogo riscontro per quanto concerne le unità di lavoro, che misurano l’effettiva intensità dello stesso, nel senso che vengono

misurate le ore prestate nel settore indipendentemente dall’occupazione principale di chi le esplica.

Secondo lo scenario predisposto nello scorso maggio da Unioncamere Emilia-Romagna e Prometeia, nel 2008 c’è stata in regione una crescita del 3,3 per cento, in contro tendenza rispetto al decremento del 4,1 per cento rilevato nel 2007.

Dal lato del genere, l’incremento dell’occupazione complessiva del settore primario è stato determinato dalle donne (-15,0 per cento), a fronte della flessione del 2,0 per cento degli uomini. Per quanto concerne la posizione professionale, c’è stata una risalita degli indipendenti, rappresentata da un aumento dell’8,9 per cento, cui hanno concorso sia gli uomini (+6,3 per cento), che le donne (+15,6 per cento). Al di là della crescita, rimane in ogni caso una tendenza negativa di fondo. Nel 1993 l’occupazione autonoma poteva contare in Emilia-Romagna su circa 75.000 addetti, che nel 2000 scendono a circa 66.000, per ridursi ai circa 54.000 del 2008. In Italia tra il 1993 e il 2008 si scende da 794.000 a 470.000 addetti.

L’occupazione dipendente è invece diminuita dell’8,0 per cento, per un totale di circa 2.000 addetti. Il calo è stato causato dalla componente maschile, a fronte dell’aumento del 14,1 per cento di quella femminile. Nel Paese c’è stata una flessione del 3,9 per cento, equivalente a circa 17.000 addetti, ma in questo caso è stata determinata sia dagli uomini (-2,9 per cento), che dalle donne (-6,3 per cento).

Per quanto concerne l’orario di lavoro, la crescita complessiva degli occupati in agricoltura, silvicoltura e pesca è stata principalmente determinata dagli occupati a tempo parziale, la cui consistenza è salita da circa 6.000 a circa 8.000 unità (+31,3 per cento), a fronte della sostanziale stazionarietà rilevata per il tempo pieno (+0,3 per cento). Il part time ha inciso per il 10,6 per cento dell’occupazione, a fronte della media generale del 12,9 per cento. Nel 2004 si aveva una percentuale più elevata, pari al 12,7 per cento.

Tavola 3.1 - Indagine sulle forze di lavoro. Occupati per posizione nella professione e settore di attività economica. Anni 1995-2008. Emilia-Romagna (a).

Settori di attività 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Agricoltura Dipend. 52 48 38 36 44 42 44 43 21 24 25 26 27 25

Indipend. 85 74 74 75 76 66 61 62 69 66 58 56 50 54

Totale 137 122 112 111 120 108 105 105 91 89 83 82 77 79

Totale industria Dipend. 503 494 511 514 524 536 526 537 545 517 524 529 544 537

Indipend. 124 125 120 123 119 119 130 122 135 134 139 146 149 140

Totale 627 619 631 637 643 655 656 659 680 651 663 675 693 677

Di cui: Costruzioni Dipend. 58 51 58 52 50 59 62 64 61 68 72 70 75 79

Indipend. 44 47 46 47 48 48 52 51 59 61 63 66 73 72

Totale 102 98 104 99 99 106 114 115 119 129 136 137 148 151

Di cui: Industria Dipend. 445 443 453 462 474 478 464 473 485 449 452 458 469 458

in senso stretto Indipend. 80 78 74 76 71 71 78 71 76 73 75 80 77 68

Totale 525 521 527 538 544 549 542 544 561 521 528 538 546 526

Servizi Dipend. 609 634 639 648 669 684 710 741 720 748 783 827 839 877

Indipend. 329 338 338 330 341 352 350 347 379 358 343 334 344 346

Totale 938 972 977 978 1.010 1.036 1.059 1.088 1.099 1.106 1.127 1.161 1.183 1.223 Totale occupati Dipend. 1.164 1.176 1.188 1.198 1.237 1.262 1.279 1.320 1.286 1.288 1.333 1.382 1.410 1.439

Indipend. 537 538 531 529 536 537 541 531 583 558 540 536 543 540

Totale 1.701 1.714 1.720 1.726 1.773 1.799 1.820 1.851 1.870 1.846 1.872 1.918 1.953 1.980

(a) Dati dal 1995 al 2003 ricostruiti.

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat (indagine continua sulle forze di lavoro).

Per motivi facilmente comprensibili è la componente femminile a registrare l’incidenza più elevata di occupati a tempo parziale: 14,4 per cento contro l’8,8 per cento dei maschi. Se si analizza più profondamente l’andamento degli occupati a tempo pieno si può notare che è stata la componente femminile a mantenere stabile l’occupazione (+13,4 per cento), a fronte della flessione del 4,6 per cento accusata dagli uomini. Questo andamento potrebbe sottintendere da un lato la diminuzione dei conduttori dei fondi, nei quali è prevalente la componente maschile, e dall’altro l’aumento della figura del

coadiuvante, che in agricoltura è per lo più rappresentato da donne. Questo andamento si coniuga alla riduzione delle imprese a conduzione diretta, che nel 2008 sono ammontate a 43.438 rispetto alle 44.695 del 2007 e 57.510 del 2000.

Sotto l’aspetto della durata dei contratti, l’occupazione dipendente a tempo indeterminato è scesa da circa 18.000 a circa 17.000 unità (-6,0 per cento) e lo stesso è avvenuto per quella precaria, la cui consistenza è passata da 9.000 a circa 8.000 addetti (-12,2 per cento).

In sintesi è tornata a crescere l’occupazione autonoma, con un probabile sbilanciamento verso la figura del coadiuvante, mentre è stato perso un non trascurabile numero di dipendenti di genere esclusivamente maschile, per lo più stabili.

Le attività industriali hanno risentito della sfavorevole congiuntura. Nel 2008 l’occupazione si è attestata su circa 677.000 unità, vale a dire il 2,3 per cento in meno rispetto all’anno precedente (-0,7 per cento in Italia), per un totale di circa 16.000 addetti. In pratica è stato quasi completamente annullato l’aumento di circa 18.000 addetti rilevato nel 2007. E’ inoltre da sottolineare che è la prima volta che l’industria perde addetti, da quando Istat ha avviato l’indagine campionaria di tipo “continuo”, cioè dal 2004. Il decremento è stato per lo più determinato dalla componente femminile, i cui occupati sono scesi del 5,9 per cento, a fronte del calo, molto più contenuto, rilevato per i maschi (-0,9 per cento).

Le donne hanno di conseguenza pagato più degli uomini quella che è stata definita la peggiore crisi economica del secondo dopoguerra.

Dal lato della posizione professionale, sono stati gli occupati autonomi ad accusare il calo più sostenuto (-6,2 per cento), a fronte della diminuzione, comunque significativa, dei dipendenti (-1,3 per cento) che in termini assoluti è equivalsa a circa 7.000 addetti. Per quanto concerne il tipo di orario, la crisi economica ha colpito maggiormente l’occupazione a tempo parziale (-11,6 per cento), rispetto a quella a tempo pieno (-1,6 per cento). L’occupazione part-time ha inciso per il 6,3 per cento dell’occupazione industriale rispetto al 5,9 per cento del 2004 e 7,0 per cento del 2007. Anche se non si può parlare di licenziamenti al cento per cento, c’è tuttavia la sensazione che le industrie, in un momento di crisi, abbiano preferito privarsi di figure che possiamo definire di “complemento”, visto l’orario ridotto, cercando di mantenere, per quanto possibile, l’occupazione a tempo pieno che spesso si coniuga con i contratti a tempo indeterminato. In Italia il part-time è invece cresciuto del 2,2 per cento, a fronte della diminuzione dello 0,9 per cento del tempo pieno, con una incidenza sul totale degli occupati che è arrivata al 6,6 per cento, in miglioramento rispetto alle percentuali del 6,4 e 6,2 per cento riscontrate rispettivamente nel 2007 e 2004. Il diffondersi del lavoro a tempo parziale, almeno a livello nazionale, è stato incoraggiato da recenti provvedimenti legislativi. Con il Decreto Legge del 10 settembre 2003 n.

Dal lato della posizione professionale, sono stati gli occupati autonomi ad accusare il calo più sostenuto (-6,2 per cento), a fronte della diminuzione, comunque significativa, dei dipendenti (-1,3 per cento) che in termini assoluti è equivalsa a circa 7.000 addetti. Per quanto concerne il tipo di orario, la crisi economica ha colpito maggiormente l’occupazione a tempo parziale (-11,6 per cento), rispetto a quella a tempo pieno (-1,6 per cento). L’occupazione part-time ha inciso per il 6,3 per cento dell’occupazione industriale rispetto al 5,9 per cento del 2004 e 7,0 per cento del 2007. Anche se non si può parlare di licenziamenti al cento per cento, c’è tuttavia la sensazione che le industrie, in un momento di crisi, abbiano preferito privarsi di figure che possiamo definire di “complemento”, visto l’orario ridotto, cercando di mantenere, per quanto possibile, l’occupazione a tempo pieno che spesso si coniuga con i contratti a tempo indeterminato. In Italia il part-time è invece cresciuto del 2,2 per cento, a fronte della diminuzione dello 0,9 per cento del tempo pieno, con una incidenza sul totale degli occupati che è arrivata al 6,6 per cento, in miglioramento rispetto alle percentuali del 6,4 e 6,2 per cento riscontrate rispettivamente nel 2007 e 2004. Il diffondersi del lavoro a tempo parziale, almeno a livello nazionale, è stato incoraggiato da recenti provvedimenti legislativi. Con il Decreto Legge del 10 settembre 2003 n.

Nel documento Consuntivo 2008 (1,1mb) (pagine 23-38)