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La cristallizzazione si basa sulla possibilità di portare le macromolecole in fase solida in maniera ordinata, in modo che formino una struttura periodica. Le condizioni necessarie per fare questo sono due: prima di tutto, la proteina deve essere sufficientemente concentrata e pura; in secondo luogo, la soluzione in cui il campione si trova deve essere supersaturata. In una soluzione satura, infatti, le molecole libere e la fase solida sono in equilibrio: ciò significa che il passaggio di molecole tra le due fasi è uguale nei due sensi, e in queste condizioni i cristalli non crescono. In una soluzione supersaturata, invece, viene ridotta la solubilità della proteina facendo evaporare il solvente gradualmente: in questo modo le molecole lasciano il solvente per unirsi alla fase solida, fino a riportare il sistema all’equilibrio; se questo passaggio è sufficientemente lento, le molecole tendono ad interagire in maniera ordinata, dando origine a cristalli.

Lo stato di supersaturazione può essere indotto modificando le proprietà del solvente, agendo su vari fattori.

Presenza di agenti precipitanti

Vengono generalmente classificati in quattro categorie.

- Sali: competono con le proteine nel legame delle molecole d’acqua, perciò hanno un effetto disidratante; per poter soddisfare le proprie esigenze elettrostatiche, le molecole proteiche cominciano ad associarsi e questo può portare alla formazione di cristalli. I sali maggiormente usati sono quelli di solfato, fosfato, citrato e acetato.

- Solventi organici: agiscono riducendo la costante dielettrica della soluzione, aumentando così la forza delle interazioni elettrostatiche che permettono alle molecole di attrarsi. Il più utilizzato è MPD (metil pentan diolo).

- Polimeri a catena lunga: es. PEG, che può avere un peso molecolare che varia da 400 a 20.000; agiscono sia competendo per l’acqua sia abbassando la costante dielettrica del medium, inoltre promuovono la separazione di fasi.

- Polimeri a basso peso molecolare e composti organici non volatili.

Variazioni di pH

La capacità di aggregazione delle proteine dipende dalla carica netta e dalla distribuzione delle cariche superficiali; di conseguenza, variazioni anche piccole nel valore di pH della soluzione possono influenzare le interazioni tra macromolecole e possono fare la differenza tra la formazione di precipitato amorfo e la crescita di cristalli.

Variazioni di temperatura

Alterando la temperatura a cui si lavora è possibile agire sulla solubilità e sulla stabilità della proteina. Quando si cerca di cristallizzare una proteina, perciò, è consigliabile fare tentativi in parallelo a 4 °C e a temperatura ambiente.

Ci sono, poi, molti altri fattori che possono in qualche modo condizionare la crescita dei cristalli. In particolare, si può lavorare sulla concentrazione della proteina oppure cercare di favorire e/o stabilizzare le interazioni facendo uso di detergenti, coenzimi, substrati, ioni metallici, agenti riducenti o ossidanti.

Tra le tecniche più comunemente usate per indurre lo stato di supersaturazione troviamo la diffusione di vapore: una soluzione reservoir (contenente gli agenti precipitanti) e una goccia di “mother liquor” (data per metà dal campione proteico e per metà dalla soluzione reservoir) vengono isolati dall’ambiente esterno, ma messi in contatto tra loro attraverso la fase gassosa; la minore concentrazione di agenti precipitanti nella goccia porta ad un lento passaggio di vapore acqueo da questa al reservoir, fino a che non viene raggiunto l’equilibrio. In questo modo gli agenti precipitanti si concentrano nella goccia, la soluzione proteica viene supersaturata e si può sperare nella crescita di cristalli.

I metodi usati nella tecnica di diffusione di vapore sono due: hanging drop e sitting drop.

Nella tecnica di hanging drop (o goccia sospesa), la goccia viene posizionata su un vetrino, che va a chiudere la camera in cui si trova il reservoir; la chiusura generalmente si ottiene grazie all’uso di un vetrino e di silicone, in modo che la camera risulti essere isolata dall’ambiente esterno (figura 15).

Nel caso del sitting drop (o goccia seduta), il campione proteico è posto nella cavità di un piedistallo posto al di sopra della soluzione reservoir; il pozzetto viene poi chiuso con un apposito nastro adesivo o con un vetrino e silicone (figura 15).

Figura 15: rappresentazione dei metodi hanging drop (a sinistra) e sitting drop (a destra). La soluzione reservoir contiene il tampone e gli agenti precipitanti, che sono presenti anche nella soluzione proteica ma a minore concentrazione; alla goccia possono anche essere addizionati ioni o metalli.

Le variabili che influenzano la formazione di cristalli sono numerose e non è stato finora possibile individuare un nesso tra le caratteristiche chimico-fisiche delle proteine e le condizioni ottimali di cristallizzazione, così come non c’è modo di prevedere il comportamento delle proteine nelle varie condizioni. Per ovviare al problema esistono kit commerciali che offrono molte combinazioni di pH, sali e agenti precipitanti per uno screening iniziale delle condizioni di cristallizzazione.

Non esiste un limite al numero di tentativi che si possono fare e l’esito delle prove spesso è negativo: le soluzioni, per lo più, sono limpide o presentano un precipitato amorfo. Nei casi migliori si ottengono dei cristalli, ma non sempre questi sono idonei alle successive analisi diffrattometriche; in questa situazione, però, si hanno delle indicazioni su come proseguire ed è possibile ottimizzare le condizioni di cristallizzazione lavorando nell’intorno di quelle di partenza; si possono variare le soluzioni tampone, il pH, l’intensità della forza ionica o il tipo di sale, allo scopo di

RISULTATI E DISCUSSIONE

1. PROGETTAZIONE DELLE VARIANTI MUTATE DI TbSP1

In precedenti lavori di tesi sono stati effettuati con successo vari tentativi di cristallizzazione della fosfolipasi TbSP1; i cristalli così ottenuti sono risultati idonei all’analisi mediante diffrazione dei raggi X, ma tuttora le informazioni relative alla struttura tridimensionale di TbSP1 non sono complete. Attualmente parte della struttura è stata risolta ed è stata ottimizzata mediante confronto con quella della fosfolipasi A2 di Streptomyces violaceoruber, l’unica PLA2 del gruppo XIV di cui sia stata pubblicata la struttura. In TbSP1, però, è presente un dominio aggiuntivo rispetto alle altre fosfolipasi A2 di cui non è ancora stato possibile ottenere la struttura (O. Einsle, comunicazione personale).

È sembrato interessante che TbSP1 avesse questa regione aggiuntiva e ci si è chiesti se potesse in qualche modo influire sull’attività della proteina. La prima delle due forme mutate, perciò, è stata progettata sulla base di queste informazioni in modo che venisse a mancare proprio il dominio addizionale all’N-terminale. Questa proteina è stata nominata Del1 ed è costituita dalla porzione di TbSP1 sovrapponibile alla PLA2 di S.

violaceoruber (figura 16 e 17).

La seconda variante, denominata Del2, è stata progettata in modo tale che fosse deleta una regione più estesa all’N-terminale di TbSP1. Questa regione è stata scelta sulla base di un allineamento di sequenze rappresentative di fosfolipasi A2 del gruppo XIV. In particolare, dall’allineamento multiplo è risultato evidente che, mentre i siti catalitico e di legame del calcio sono perfettamente conservati sia nei batteri sia nei funghi, la porzione appena precedente è molto meno conservata e presenta pochi punti in comune tra le varie sequenze (figura 16). Prendendo a modello la struttura di S. violaceoruber, è possibile stabilire che la delezione va a cadere nel loop che collega i due domini di α-eliche, senza però eliminare le cisteine conservate o residui catalitici importanti (figura 17).

conservazione nella regione N-terminale è nettamente ridotta rispetto al sito catalitico. Gli organismi considerati sono: Neurospora crassa (Nc), Helicosporium (p15), Magnaporthe grisea (Magna), Streptomyces coelicolor (S_coe), Streptomyces violaceoruber (S_vio). La freccia azzurra indica il residuo

Figura 17: strutture ipotetiche di Del1, a sinistra, e Del2, a destra, dedotte da quella nota di S.

violaceoruber. In verde lo ione calcio, in giallo i residui di cisteina, in rosso la diade catalitica HD.

2. CLONAGGIO, ESPRESSIONE E PURIFICAZIONE DELLE VARIANTI

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