• Non ci sono risultati.

UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PARMA. Analisi funzionale di domini della fosfolipasi A 2 di Tuber borchii

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PARMA. Analisi funzionale di domini della fosfolipasi A 2 di Tuber borchii"

Copied!
86
0
0

Testo completo

(1)

FACOLTÁ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE BIOLOGICHE

Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare

Analisi funzionale di domini della fosfolipasi A

2

di Tuber borchii

Relatore:

Prof. GIAN LUIGI ROSSI Correlatore:

Dott. ANGELO BOLCHI

Laureanda:

FRANCESCA MESCHI

Anno accademico 2004/05

(2)
(3)

INDICE

SOMMARIO………3

INTRODUZIONE 1. Le ectomicorrize………5

1.1 Fisiologia delle ectomicorrize………7

2. Il genere Tuber………...8

3. Le fosfolipasi………...10

3.1 Le fosfolipasi nelle cellule animali………..13

3.1.1 PLA

2

secretorie (sPLA

2

)………..13

3.1.2 PLA

2

citosoliche Ca

2+

-dipendenti (cPLA

2

)………..15

3.1.3 PLA

2

intracellulari Ca

2+

-indipendenti (iPLA

2

)………16

3.2 Le fosfolipasi nelle cellule vegetali……….17

4. La fosfolipasi A

2

di Tuber borchii, TbSP1: caratteristiche funzionali e strutturali………..21

5. Struttura delle PLA

2

del gruppo XIV………...27

SCOPO DELLA TESI………..30

MATERIALI E METODI………31

1. Terreni di crescita dei batteri………...31

2. Metodi per il clonaggio………32

3. Prova di espressione e di solubilità………..41

4. Espressione e purificazione dai corpi di inclusione……….45

5. Espressione e purificazione mediante cromatografia d’affinità...48

6. Rimozione dell’His-tag………50

(4)

7. Saggi di attività della fosfolipasi………..51

8. Metodi di cristallizzazione………...54

RISULTATI E DISCUSSIONE 1. Progettazione delle varianti mutate di TbSp1………...58

2. Clonaggio, espressione e purificazione delle varianti mutate di TbSp1, Del1 e Del2………...60

3. Saggio di attività di Del1 e Del2………...66

4. Rimozione del tag di istidine e ulteriori saggi di Del1…………..68

5. Cristallizzazione delle forme delete di TbSp1………..71

6. Progettazione del saggio di localizzazione………...73

7. Espressione e purificazione della GFP………..73

8. Clonaggio delle proteine di fusione………..76

CONCLUSIONI………78

BIBLIOGRAFIA………...80

(5)

SOMMARIO

Per poter far fronte alla carenza o alla limitazione nel terreno di nutrienti essenziali, come l’azoto, le piante hanno sviluppato varie strategie, una delle quali è l’instaurazione di una simbiosi micorrizica con i funghi del sottosuolo. Gli stati nutrizionali sia del fungo sia della pianta sono fondamentali perché tale simbiosi si venga a creare e, in particolare, una carenza di azoto nel terreno facilita la formazione della micorriza.

Nel fungo simbiotico Tuber borchii è stata isolata una fosfolipasi A2, denominata TbSP1 (Tuber borchii secreted protein 1); questa, quando le ife vengono cresciute in laboratorio come coltura axenica in carenza di azoto o carbonio, viene fortemente indotta e si accumula nel terreno di crescita. In miceli, corpi fruttiferi e micorrize, invece, si accumula nello strato interno della parete cellulare e nello spazio extracellulare.

TbSP1 fa parte di una nuova classe di fosfolipasi A2 secretorie presente solo in microrganismi filamentosi (batteri e funghi) e definita come gruppo XIV.

In precedenti studi è stato dimostrato che TbSP1 è dotata di un peptide segnale per la secrezione e un’ulteriore sequenza coinvolta nella maturazione e attivazione della proteina. Inoltre è stata individuata una proporzionalità inversa tra la lunghezza della regione N-terminale e l’attività fosfolipasica.

In questo lavoro di tesi sono state eseguite ulteriori analisi funzionali su putativi domini strutturali identificati nella proteina TbSP1.

In una prima parte del lavoro, si sono progettate due varianti mutate di TbSP1 in modo fossero delete porzioni di lunghezza diversa all’N-terminale della proteina. Entrambe le forme mutate sono state espresse in elevate quantità e sono state sottoposte a saggi d’attività per valutare gli effetti delle delezioni sulla capacità di TbSp1 di idrolizzare fosfolipidi. I dati ottenuti da questi saggi hanno dimostrato che la delezione del primo dominio N-terminale porta ad un aumento di attività rispetto alla forma wild type (il risultato è in linea con i saggi condotti in precedenti lavori), mentre una delezione maggiore provoca una perdita di attività. È possibile immaginare che questa seconda mutazione impedisca alla proteina di ripiegarsi correttamente e, quindi, di mantenere l’attività.

(6)

Sono stati effettuati, inoltre, tentativi di cristallizzazione atti a valutare le conseguenze strutturali delle due mutazioni; fino ad ora, però, si sono ottenuti solo cristalli la cui forma non è idonea all’analisi diffrattometrica.

In una seconda parte del lavoro è stato progettato un saggio di localizzazione. TbSP1, a differenza delle altre fosfolipasi del gruppo XIV, è dotata di un motivo RGD, che in funghi e piante media l’interazione tra proteine extracellulari e recettori di superficie integrina-simili. Il motivo è localizzato nella regione N-terminale aggiuntiva rispetto alle altre fosfolipasi e, per verificare se effettivamente questo dominio interviene nel legame della parete cellulare, è stata progettata la sua fusione con la proteina reporter GFP (Green Fluorescent Protein), della medusa Aequorea victoria.

Il saggio consiste nell’aggiunta della proteina di fusione alle ife di T. borchii e nell’analisi al microscopio a fluorescenza per valutare se la proteina si è legata alla parete cellulare; come controlli sono state scelte le proteine ricombinanti GFP (controllo negativo) e TbSP1 fusa alla GFP (controllo positivo). Fino ad ora è stata espressa e purificata la GFP, ed è stato fatto il clonaggio per le due proteine di fusione, mentre è in corso la loro espressione e purificazione.

(7)

INTRODUZIONE

1. LE ECTOMICORRIZE

Il suolo ed il sottosuolo rappresentano l’habitat di elezione dei funghi e, qui, si distingue un numero notevole di microhabitat specializzati. Tra questi, risultano in particolar modo importanti quelli strettamente collegati alle radici delle piante superiori e allo spazio loro circostante: molte specie fungine, infatti, sono in grado di instaurare un rapporto di simbiosi mutualistica con la pianta proprio attraverso le radici.

Per simbiosi si intende un’interazione diretta tra due o più organismi appartenenti a specie diverse, che intrattengono rapporti di coesistenza e scambio di nutrienti. A seconda del bilancio costi-benefici di questo contatto, si parla di parassitismo o di mutualismo: nelle simbiosi mutualistiche, il rapporto di scambi nutritizi è “a due vie”, cioè entrambi i simbionti ricevono nutrienti dalla controparte.

Le associazioni di simbiosi mutualistica che si vengono ad instaurare tra le radici di piante arboree o erbacee e i miceli di funghi nel terreno prendono il nome di micorrize.

La formazione di micorrize è un fenomeno molto diffuso ed interessa la quasi totalità delle specie vegetali; generalmente interessa le radici secondarie, deputate all’assorbimento delle sostanze nutritive.

Si possono distinguere due tipi di micorrize: le endomicorrize e le ectomicorrize.

Le endomicorrize vescicolo arbuscolari si instaurano tra Zigomiceti e piante erbacee, e sono caratterizzate da una penetrazione delle ife nel corpo della radice sia attraverso gli spazi intercellulari sia attraverso le cellule stesse. La penetrazione è limitata alla regione corticale (epidermide e corteccia), perciò i meristemi e i tessuti del cilindro centrale rimangono intatti. In profondità le ife si differenziano a formare strutture ramificate caratteristiche: gli arbuscoli, che costituiscono il sito di scambio delle sostanze nutritive, e le vescicole, in cui si accumulano granuli di grasso con funzione di riserva (figura 1).

Le radici non subiscono modificazioni anatomiche notevoli, ma si fanno più numerose e più corte.

Le ectomicorrize sono caratteristiche delle piante forestali e di funghi come i Basidiomiceti e gli Ascomiceti. Le radici vengono avvolte da uno spesso strato di ife

(8)

che prende il nome di micoclena o mantello, che ha una funzione di protezione e di accumulo di minerali, soprattutto fosfati.

A partire dal mantello si sviluppano delle ife che si insinuano tra le cellule della radice, a formare il reticolo di Hartig (figura 1): si genera, così, un’ampia superficie di contatto che consente lo scambio di sostanze nutritive tra i simbionti. Anche in questo caso, la penetrazione è limitata alla porzione corticale. Oltre alla formazione della micoclena, le radici subiscono anche altre modificazioni: l’apice assume una forma clavata, perde i peli e si ramifica, poiché il fungo stimola l’apice a produrre nuove radichette laterali, che vengono subito inglobate dal mantello.

Dal mantello si forma poi un micelio esterno che colonizza il terreno circostante e da cui si sviluppa il corpo fruttifero, cioè la struttura deputata alla riproduzione sessuale; il corpo fruttifero può essere esterno (funghi epigei) oppure sotterraneo (funghi ipogei,es.

i Tartufi).

ENDOMICORRIZE ECTOMICORRIZE

Figura 1: sezione di un apice radicale micorrizato.

(9)

1.1 FISIOLOGIA DELLE ECTOMICORRIZE

La formazione di micorrize produce notevoli modificazioni morfologiche ed anatomiche alla pianta ospite, ma questa invasione della radice da parte del fungo non provoca danni: anzi, lo stretto rapporto si risolve in termini di vantaggio fisiologico, ecologico e riproduttivo.

In primo luogo, c’è un maggiore vantaggio dal punto di vista nutritivo: i funghi micorrizici rappresentano un vero e proprio apparato assorbente ausiliario, poiché le ife si espandono nel terreno circostante per diversi metri e possono così estrarre dal suolo una maggiore quantità di nutrienti. Vengono assorbiti vari sali minerali e in particolare i composti azotati e fosfatici; inoltre, il fungo può solubilizzare composti insolubili presenti nel terreno, aumentando la disponibilità di elementi nutritivi. La pianta subisce il cosiddetto “effetto crescita”, per cui la resa fotosintetica aumenta, e il 20% del carbonio totale prodotto dalla pianta può essere ceduto al fungo: il C viene trasferito sotto forma di zuccheri quali saccarosio, glucosio e fruttosio, che il fungo converte in trealosio in modo che non possa più essere riassorbito dalla pianta. Come conseguenza il fungo ha la possibilità di completare il suo ciclo vitale con la produzione di corpi fruttiferi, mentre la pianta sopporta meglio, rispetto ad una pianta non micorrizata, le condizioni di stress dovute a scarsità di nutrienti.

Una condizione necessaria per l’instaurarsi della simbiosi è la scarsità di azoto nel terreno: se l’azoto è in eccesso, infatti, la pianta è in grado di assorbirne da sola una sufficiente quantità e sposta il metabolismo verso la sintesi proteica, non mettendo più zuccheri a disposizione del fungo (Buscot et al., 2000).

Un secondo vantaggio della micorriza è dato dal fatto che i funghi sono in grado di resistere a numerose sostanze tossiche, compresi i metalli pesanti; la pianta ospite sviluppa una maggiore tolleranza anche in questo senso.

È stato osservato, inoltre, che molti prodotti metabolici fungini senza un apparente ruolo o a funzione ignota agiscono in realtà come fattori ormonali per la pianta.

Infine, la simbiosi ha anche un ruolo nella difesa della pianta da parte di organismi patogeni, in quanto il fungo, oltre a proteggere fisicamente le radici, compete con altri organismi per i siti di infezione e produce polisaccaridi che fungono da fitoalessine, cioè

(10)

stimolatori della resistenza delle piante attaccate da patogeni: la pianta si trova così in uno stato d’allerta e può difendersi meglio da eventuali attacchi.

Dal punto di vista cellulare, alla base della formazione della micorriza sta il riconoscimento tra l’ospite ed il fungo, che avviene grazie a molecole diffusibili nella radice. Il riconoscimento porta all’interazione cellulare tra la radice e le ife, e questa è guidata da cambiamenti nell’espressione genica e proteica: l’instaurare di una simbiosi, perciò, comporta necessariamente una fase di riprogrammazione genica e una stretta comunicazione cellulare (Martin e Tagu, 2000).

2. IL GENERE Tuber

Il tartufo è un fungo ipogeo appartenente alla classe degli Ascomiceti che forma simbiosi mutualistiche con le radici di piante arboree ed arbustive come le querce, i pini, il nocciolo, il pioppo bianco, il carpino nero ed altri ancora.

Il ciclo biologico dei tartufi non è ancora del tutto noto: lo sviluppo sotterraneo, infatti, ne complica lo studio. È possibile, però, identificare tre fasi:

- Fase vegetativa: dopo la quiescenza invernale, le spore che si trovano in condizioni di clima e di terreno favorevole cominciano a germinare; la germinazione dà origine ad un’ifa che, accrescendosi e ramificandosi, produce il micelio primario (unincleato).

- Fase simbiotica: il micelio si accresce insinuandosi nel terreno e anastomizzando con il micelio primario proveniente da altre spore; in questa fase, il tartufo può instaurare una simbiosi micorrizica.

- Fase sporale: se le condizioni ecologiche sono favorevoli e la pianta ospite ha raggiunto la maturità fisiologica, la micorriza smette di crescere e si sviluppa il carpoforo.

Secondo alcuni studi, inoltre, ci sarebbe una quarta fase (saprofitica) durante la quale il tartufo si stacca dalla pianta e inizia a vivere in maniera autonoma, assorbendo i nutrienti attraverso ciuffi di ife (Giovannetti 1992, Barry et al. 1994-95).

La maturazione dell’ascocarpo avviene dall’interno verso l’esterno e, una volta

(11)

composti aromatici (solforati): questi avrebbero il compito di segnalare la presenza del tartufo agli animali micofagi, assicurando così la disseminazione passiva delle spore e la colonizzazione del territorio (figura 2).

Figura 2: schema del ciclo biologico del tartufo.

Tuber borchii è un tartufo bianco, da non confondere però con il più pregiato e conosciuto tartufo bianco d’Alba (T. magnatum). È chiamato volgarmente bianchetto o marzuolo per la crescita tardo invernale- primaverile; ha un profumo meno intenso del tartufo bianco pregiato ed ha un caratteristico odore agliaceo.Predilige i terreni calcarei- argillosi e le simbiosi con querce, faggi, pini e larici.

(12)

3. LE FOSFOLIPASI

Le fosfolipasi sono enzimi che catalizzano l’idrolisi dei legami estere dei glicerofosfolipidi di membrana e sono divise in quattro categorie a seconda del legame che viene scisso: A, B, C e D (figura 3).

Figura 3: siti d’azione delle fosfolipasi.

Le fosfolipasi B sono dotate anche di attività lisofosfolipasica: una volta idrolizzato il primo legame tra glicerolo e l’acido grasso, viene idrolizzato anche il secondo. Le fosfolipasi A, invece, sono ulteriormente suddivise in A1 e A2, che catalizzano l’idrolisi dei legami in posizione sn-1 ed sn-2 rispettivamente.

Le fosfolipasi A2 (PLA2) sono estremamente diffuse in natura: sono state identificate negli animali, nelle piante e nei batteri. Le PLA2 sono state suddivise in 14 gruppi (Tabelle 1 e 2, Balsinde et al. 2002) e per la classificazione sono stati utilizzati i seguenti criteri:

- specificità per la posizione sn-2 dei fosfolipidi;

- omologia di sequenza a fosfolipasi già classificate;

- localizzazione intra- od extracellulare.

In seguito alla reazione catalizzata dalle PLA2, si liberano un acido grasso e un lisofosfolipide, ed entrambe queste molecole assumono ruoli importanti in numerosi

(13)

Prima di tutto, gli acidi grassi rilasciati (generalmente acido arachidonico, acido linoleico e acido linolenico) fungono da deposito di energia: le catene aciliche, infatti, possono essere degradate mediante ossidazione enzimatica.

In secondo luogo, i fosfolipidi nelle membrane biologiche rappresentano una riserva di precursori di secondi messaggeri: i prodotti della lisi, infatti, intervengono nei processi di traduzione del segnale. Gli acidi grassi svolgono questo ruolo grazie alla conversione in ossilipine, mediata da specifici enzimi ossidativi. L’altro prodotto della lisi, ossia il lisofosfolipide, rappresenta un’ulteriore classe di mediatori lipidici ed interviene nei processi di traduzione del segnale sia in maniera diretta sia, indirettamente, mediante perturbazione della membrana. Alcuni studi, infine, hanno consentito di identificare varie proteine solubili e di membrana in grado di legare le sPLA2: ciò suggerisce che le sPLA2 stesse, e non solo i loro prodotti di reazione, possano fungere da segnali, legandosi ad alta affinità ad un recettore specifico (Valentin et al., 2000).

(14)

Tabella 1: gruppi di PLA2 con una istidina catalitica; il gruppo XIV include anche la PLA2 di T. borchii (TbSP1).

Tabella 2: gruppi di PLA2 con una serina catalitica.

(15)

3.1 LE FOSFOLIPASI NELLE CELLULE ANIMALI

I membri di questa famiglia di enzimi sono stati identificati inizialmente nel succo pancreatico di mammiferi e nel veleno di alcuni serpenti; nelle ultime quattro decadi, gli studi si sono concentrati sulle PLA2 estratte dal veleno di serpenti, vista la facilità di purificazione e le grandi quantità che si possono ottenere. Oggigiorno è evidente che le fosfolipasi, in realtà, appartengono ad una grande famiglia di proteine strutturalmente e funzionalmente diverse, presenti in vari tipi di veleni e negli organi di vari animali (oltre che in batteri filamentosi e funghi), e coinvolte in svariati processi biologici.

Oltre alla classificazione in 14 gruppi vista precedentemente, esiste un’ulteriore suddivisione basata su proprietà biologiche piuttosto che su informazioni di sequenza.

Si distinguono tre categorie:

- PLA2 secretorie (sPLA2);

- PLA2 citosoliche Ca2+-dipedenti (cPLA2);

- PLA2 intracellulari Ca2+-indipedenti (iPLA2).

Esiste inoltre una famiglia di PAF (platelet-activating factor) acetilidrolasi, costituita da quattro proteine, che mostra una non comune specificità di substrato verso PAF e/o fosfolipidi ossidati.

Non c’è una vera e propria corrispondenza tra i due sistemi di classificazione, ma questo secondo metodo è molto utile per studiare più gruppi di PLA2 o proteine di cui non sia nota l’identità precisa.

3.1.1 PLA2 SECRETORIE (sPLA2)

Il gruppo delle sPLA2 è costituito da 10 isozimi caratterizzati da un basso peso molecolare (14-19 kDa), un loop di legame del Ca2+ ed un sito catalitico molto conservati, una mancanza di specificità verso fosfolipidi contenenti acido arachidonico e una struttura terziara molto rigida conferita da 5-8 ponti disolfuro. Questi legami assicurano una resistenza sia alla denaturazione sia alla proteolisi, caratteristica indispensabile per il mantenimento dell’attività nell’ambiente extracellulare. Una volta secreto, l’enzima si associa alla membrana esterna, dove può legare i recettori di membrana specifici oppure liberare acido arachidonico.

(16)

Per svolgere la loro azione, le sPLA2 sfruttano un residuo conservato di istidina; l’His è assistita da un residuo di Asp nella polarizzazione di una molecola d’acqua, che poi attacca il gruppo carbonilico del substrato. Lo ione Ca2+, legato al loop del Ca2+, gioca un ruolo attivo nella catalisi stabilizzando l’intermedio tetraedrico che si forma durante la reazione (figura 4).

Figura 4: rappresentazione del meccanismo d’azione delle sPLA2.

Le sPLA2 svolgono varie funzioni, prima fra tutte la digestione dei lipidi assunti mediante la dieta. Gli enzimi vengono prodotti nel pancreas come zimogeni inattivi;

solo in seguito a secrezione, vengono attivati nel duodeno mediante rimozione di sette aminoacidi dall’N- terminale da parte della tripsina, e qui agiscono come enzimi digestivi.

Una seconda funzione svolta dalle sPLA2 è quella relativa alla comunicazione cellulare e alla trasduzione del segnale. In questo senso è particolarmente importante la produzione di acido arachidonico: è precursore, infatti, di una famiglia di composti chiamati eicosanoidi (dal greco eikosì, cioè venti, il numero di atomi di C dell’acido) che svolgono un ruolo di ormoni paracrini, ossia sostanze che agiscono soltanto su cellule vicine alla loro sede di sintesi. Tra gli eicosanoidi troviamo i trombossani, le prostaglandine (ottenute grazie all’azione della ciclossigenasi) e i leucotrieni (derivati da una reazione della lipossigenasi)(figura 5). Gli eicosanoidi sono noti mediare gli effetti di numerosi processi intra- ed extracellulari che regolano lo sviluppo, le funzioni vascolari, la fisiologia renale e, soprattutto, la risposta infiammatoria in seguito ad

(17)

modo paracrino per propagare la risposta all’infezione, mentre il lisofosfolipide liberato in seguito all’idrolisi può essere convertito nel precursore di PAF, un potente mediatore della risposta infiammatoria.

Figura 5: metabolismo dell’acido arachidonico in seguito a rilascio da parte di sPLA2 in cellule animali.

3.1.2 PLA2 CITOSOLICHE Ca2+-DIPENDENTI (cPLA2)

Al gruppo delle PLA2 citosoliche appartengono tre isoenzimi ad elevato peso molecolare (>60 kDa), che mostrano una netta preferenza per l’acido arachidonico in posizione sn-2 rispetto ad altri acidi grassi. Questi enzimi sono ubiquitari e costitutivamente espressi in molte cellule e tessuti (pancreas, cervello, cuore e fegato).

Sono formati da due domini catalitici, A e B, separati da sequenze specifiche per l’isoforma; in risposta all’aumento di Ca2+ intracellulare, la proteina viene traslocata a livello della membrana periplasmatica grazie ad un dominio di legame per lo ione (CaLB o C2). Il Ca2+ non ha alcun ruolo nella catalisi ma media l’interazione con la membrana per portare l’enzima a contatto con il substrato.

Sebbene non sia del tutto noto, il meccanismo catalitico delle cPLA2 è paragonabile a quello delle idrolasi a serina, con la formazione di un intermedio acil-enzima: la Ser

(18)

catalitica porta un attacco nucleofilo al legame estere in posizione sn-2 mentre un Asp contribuisce all’attivazione del centro catalitico.

L’attivazione delle cPLA2 richiede la fosforilazione su due residui di Ser da parte di proteine chinasi attivate da mitogeni (MAPKs) e di proteine chinasi attivate da MAPK;

la fosforilazione di per sé non è sufficiente all’attivazione, poiché è necessaria anche la presenza di Ca2+.

Le caratteristiche di cui sono dotate le cPLA2 (attivazione per fosforilazione, traslocazione sulla membrana, preferenza per l’acido arachidonico) fanno presupporre il coinvolgimento in cascate di segnale attivate dal recettore. In cellule che non esprimono le sPLA2, la liberazione della maggior parte di acido arachidonico è attribuibile alle cPLA2.

3.1.3 PLA2 INTRACELLULARI Ca2+-INDIPENDENTI (iPLA2)

Il terzo gruppo di PLA2 è di più recente scoperta e comprende due forme enzimaticamente attive; questi enzimi mostrano alcune caratteristiche comuni sia alle sPLA2 sia alle cPLA2. Come le forme secretorie, le iPLA2 non presentano specificità per fosfolipidi contenenti acido arachidonico in posizione sn-2 e non sono soggette a modificazioni post-traduzionali covalenti; con le cPLA2, invece, condividono la localizzazione intracellulare, il peso molecolare e il meccanismo catalitico dipendente da serina. Caratteristiche uniche delle iPLA2 sono l’indipendenza dal Ca2+ e la presenza di 8 motivi anchirina all’N- terminale: questi motivi ripetuti potrebbero servire all’oligomerizzazione dell’enzima.

Le iPLA2 sono espresse in modo ubiquitario in vari tessuti e hanno un ruolo nel rimodellamento dei fosfolipidi di membrana mediante deacilazione costitutiva: in questo modo influenzano la distribuzione dell’acido arachidonico e la quantità relativa dei vari acidi grassi nei vari compartimenti subcellulari. Oltre al mantenimento dell’omeostasi dei fosfolipidi, le iPLA2 sembrerebbero essere responsabili, in minima parte, anche del rilascio di acido arachidonico stimolo-dipendente.

(19)

3.2 LE FOSFOLIPASI NELLE CELLULE VEGETALI

Anche nelle piante i prodotti derivati dai fosfolipidi hanno un ruolo importante e intervengono come secondi messaggeri in vari processi biologici, come l’allungamento cellulare, il gravitropismo, la deiscenza delle antere, la biosintesi dell’acido jasmonico e la difesa dell’organismo. Queste molecole segnale vengono generate da fosfolipasi A, che sono state classificate in base a informazioni di sequenza e proprietà biologiche in:

- PLA1;

- PA-PLA1, che hanno una preferenza per l’acido fosfatidico;

- sPLA2;

- PAT-PLA2 (patatin-like).

Le sPLA2 sono proteine a basso peso molecolare (13-18 kDa) e ne sono state identificate varie isoforme in Arabidopsis, in riso e in garofano. Sono dotate di un peptide segnale N- terminale che viene rimosso in seguito alla secrezione, e presentano un dominio di legame del Ca2+ e un sito attivo con una diade Asp/Ser molto conservati.

Nella proteina matura sono presenti 12 residui di cisteina che formano sei ponti disolfuro. Queste fosfolipasi sono correlate alle sPLA2 animali.

Le PAT-PLA2 sono omologhe in sequenza alle PLA2 Ca2+-indipendenti delle cellule animali, con cui condividono anche il sito attivo, e si trovano nei tuberi di piante solanacee. Hanno localizzazione citoplasmatica e possono avere un’attività combinata di PLA1 e PLA2.

Le prime evidenze della presenza di fosfolipasi A2 in cellule vegetali sono arrivate da studi condotti su semi di olmo (Ulmus glabra). Questi studi hanno consentito di isolare una proteina di piccole dimensioni (14 kDa circa), con attività dipendente dallo ione Ca2+ e specifica per la posizione sn-2 dei fosfolipidi. È stata ottenuta inoltre la sequenza della regione N- terminale, utilizzata poi per una ricerca in banca dati di sequenze omologhe. In questo modo, si sono trovate quattro EST (expressed sequence tags) provenienti da riso (Oryza sativa), che successivamente sono state identificate come codificanti per due PLA2. Queste proteine mostravano le stesse caratteristiche biochimiche e catalitiche della PLA2 isolata dai semi di olmo, e tutte e tre risultavano correlate alle fosfolipasi A2 secretorie delle cellule animali. Dall’allineamento delle

(20)

sequenze di riso, di quella parziale di olmo e di quelle di sPLA2 animali è stato possibile osservare la conservazione del Ca2+ binding loop e del sito attivo (questo non era visibile nella sequenza di olmo, poiché il sito cade a valle rispetto alla porzione nota).

Solo 6 delle 12 Cys delle sequenze di riso erano allineate rispetto alle cisteine animali:

si è ipotizzato perciò che, nonostante la struttura delle aree catalitiche sia conservata tra animali e piante, la struttura generale ed il riarrangiamento dei ponti disolfuro al di fuori di queste aree siano abbastanza diversi.

Il ruolo che le fosfolipasi A2 svolgono nelle piante non è ancora del tutto chiaro ma è probabile che, come negli animali, partecipino a processi di trasduzione del segnale.

Questo intervento sarebbe mediato dai due prodotti principali liberati dell’azione della PLA2, che fungono da secondi messaggeri.

L’acido grasso liberato principalmente è il linolenico, un acido poli-insaturo di 18 atomi di carbonio; questo viene indirizzato verso la via metabolica che converte gli octadecanoidi in ossilipine, come l’acido jasmonico (figura 7), un potente induttore della trascrizione genica. La via è paragonabile a quella che, negli animali, porta alla produzione di eicosanoidi a partire dall’acido arachidonico.

Anche il secondo prodotto dell’attività fosfolipasica, il lisofosfolipide, svolge un ruolo nella risposta a stimoli esterni. In particolare , la fosfatidilcolina è in grado di attivare le proteine chinasi, che potrebbero a loro volta agire sulle pompe H+-ATPasi portando ad una acidificazione della parete cellulare.

Si pensa che il coinvolgimento delle PLA2 nei processi di traduzione del segnale sia associato soprattutto alla crescita cellulare, al gravitropismo e alla difesa da patogeni e da ferite.

Azione dell’auxina e crescita cellulare: l’auxina è un “ormone vegetale” coinvolto in molti processi, il più noto dei quali è l’allungamento della cellula; vari studi hanno evidenziato un ruolo delle PLA2 come intermedio nella crescita indotta da auxina. È stato proposto un modello per cui l’auxina stimola l’espressione della PLA2, che viene secreta nello spazio extracellulare; la PLA2, a questo punto, agirebbe sui fosfolipidi di membrana e i prodotti rilasciati andrebbero ad attivare le pompe protoniche (figura 6).

La conseguente acidificazione della parete cellulare è un fattore chiave nel processo di

(21)

Figura 6: modello proposto per la trasduzione del segnale mediata dalla PLA2

secretoria durante l’allungamento cellulare indotto da auxina.

Gravitropismo: è l’accrescimento della pianta in risposta alla gravità e pare che alla base di questo fenomeno ci sia l’accrescimento differenziale delle cellule indotto da auxina;

anche qui, perciò, le PLA2 e i loro prodotti svolgerebbero un ruolo importante.

Difesa della pianta: un ulteriore ruolo che le PLA2 hanno nelle piante è quello di attivare una risposta in seguito a ferite e ad attacchi da parte di insetti e patogeni. In primo luogo, l’acido jasmonico e i suoi derivati, ottenuti a partire dall’acido linolenico, intervengono nella regolazione di geni coinvolti nella deterrenza per gli erbivori, nella guarigione delle ferite e in altri processi legati alla difesa. In secondo luogo, l’attacco di molecole derivanti dal patogeno ad un recettore della membrana provoca una cascata di segnale che attiva le PLA2 e porta alla produzione di fosfatidilcolina; questa induce l’acidificazione intracellulare e, di conseguenza, innesca la biosintesi di fitoalessine, che inibiscono la crescita di microrganismi.

(22)

Figura 7: sintesi dell’acido jasmonico mediante ossidazione dell’acido linolenico nelle cellule vegetali.

(23)

4. LA FOSFOLIPASI A2 DI Tuber borchii, TbSP1: CARATTERISTICHE FUNZIONALI E STRUTTURALI

TbSP1 (Tuber borchii secreted protein 1) è una fosfolipasi che si accumula nello strato interno della parete cellulare e nello spazio extracellulare in miceli, corpi fruttiferi e micorrize del fungo simbiotico T. borhii (figura 8 a,b). Inoltre, quando le ife vengono cresciute come coltura axenica in laboratorio, si accumula nel terreno di crescita.

Ha una massa di 23 kDa circa, non ha localizzazione intracellulare, mostra attività specifica per la posizione sn-2 dei fosfolipidi ed è priva di attività lisofosfolipasica:

queste caratteristiche hanno consentito la sua classificazione come sPLA2.

Figura 8a: immunolocalizzazione di TbSP1 nel micelio. A) Ife di 30 giorni; B) micelio completamente differenziato.

Figura 8b: localizzazione di TbSP1 nella micorriza.

A) Sezione di una ectomicorriza matura.

B-C-D) Immunolocalizzazioni di TbSP1 su ectomicorria matura.

m=mantello, c=cellule corticali, cc=cilindro centrale, h=ifa, n=nucleo.

Le frecce indicano i granuli d’oro, le teste di freccia il reticolo di Hartig.

(24)

Da un’analisi degli estratti proteici di miceli cresciuti in vitro per diversi periodi di tempo, è stata identificata una proteina di circa 23 kDa molto rappresentata. È stato possibile isolare il cDna corrispondente mediante sequenziamento dell’N- terminale, sintesi di oligonucleotidi degenerati, amplificazione di una libreria di cDNA e ibridazione della sonda così ottenuta con una libreria di DNA genomico.

Il cDNA isolato codifica per una proteina di 211 aminoacidi e i primi 31 sono di natura altamente idrofobica. Poiché questa regione è assente nella proteina estratta dal terreno di coltura, è stata identificata inizialmente come peptide segnale secretorio, che viene clivato durante la maturazione della proteina. Studi successivi, però, hanno messo in evidenza una doppia natura della sequenza segnale: analisi bioinformatiche sulla sequenza dedotta dal cDNA, infatti, indicano un putativo peptide segnale più corto rispetto a quello determinato dall’analisi della sequenza della proteina matura (dati non pubblicati)(figura 9). I primi 19 aminoacidi sarebbero il vero segnale secretorio, mentre i restanti 12 servirebbero ad una regolazione della proteina: la rimozione di questi al momento della secrezione, infatti, convertirebbe l’enzima mantenuto inattivo all’interno della cellula nella corrispondente forma attiva.

Con un primo confronto in banca dati, sono state individuate sequenze omologhe a quella di TbSP1 in Streptomyces coelicolor e in Neurospora crassa; l’identificazione di un’ulteriore sequenza proveniente da Streptomyces violaceoruber, annotata come PLA2, ha indirizzato gli studi di TbSP1 verso la ricerca di un’attività fosfolipasica.

L’allineamento di TbSP1 con sPLA2 note animali e vegetali ha consentito, inoltre, di individuare la diade catalitica Asp-His e la regione di legame del calcio conservate (figura 10).

Figura 9: sequenza di TbSP1 dedotta dal cDNA; in rosso la predetta sequenza segnale per il reticolo endoplasmatico, in verde il peptide rimosso per ottenere la forma attiva; i siti di clivaggio sono indicati da una freccia.

MVKIAAIILLMGILANAAAIPVSEPAALNKRGNAEVIAEQTGDVPDFNTQITEPT GEGDRGDVADETNLSTDIVPETEAASFAASSVSAALSPVSDTDRLLYSTAMPAF LTAKRNKNPGNLDWSDDGCSKSPDRPAGFNFLDSCKRHDFGYRNYKKQHRFT EANRKRIDDNFKKDLYNECAKYSGLESWKGVACRKIANTYYDAVRTFGWL

(25)

Figura 10: allineamento del sito attivo di fosfolipasi A2.

Esperimenti mirati a verificare l’attività di TbSP1 sono stati condotti mediante l’uso di substrati radioattivi. In particolare, è stata utilizzata la fosfatidilcolina marcata con acido [14C]-palmitico in posizione sn-2 per valutare l’attività di PLA2, e lo stesso fosfolipide marcato in entrambe le posizioni per valutare l’assenza di attività lisofosfolipasica (figura 11 a,b). Inoltre è stata testata e confermata la dipendenza dallo ione Ca2+. Sulla base di questi saggi e delle caratteristiche di sequenza, TbSP1 è stata identificata come una nuova PLA2 secretoria di piccole dimensioni.

Attualmente, mediante ricerca in banca dati è possibile trovare numerose sequenze di putative proteine omologhe a TbSP1 provenienti da funghi o batteri filamentosi (dati non pubblicati)(figura 12).

Dall’allineamento di queste sequenze emergono alcune caratteristiche distintive del gruppo di fosfolipasi A2 fungine/batteriche, a cui è stato dato il nome di gruppo XIV.

- Nella sequenza consenso del sito catalitico CCXXHDXC la prima e l’ultima cisteina sono sostituite da residui di serina/alanina e glicina rispettivamente, mentre il residuo precedente l’istidina è una arginina.

- All’interno del loop di legame del calcio, mancano tre dei residui parzialmente conservati coinvolti nella coordinazione dello ione (il quarto è l’aspartato adiacente all’istidina catalitica); in particolare, nella sequenza X1CG1XG2

(conservata nelle altre PLA2) i due residui di glicina sono sostituiti da altri piccoli aminoacidi, come serina/treonina e serina/valina/alanina rispettivamente.

- Risultano essere conservati tre residui di aspartato nella regione di legame del calcio; poiché questo aminoacido è in grado di coordinare i metalli e ricorre in molti motivi di legame del calcio (es. EF-hands e domini EGF-like) , ci si aspetta che svolga lo stesso ruolo anche qui.

Ca2+ loop Sito attivo

(26)

- Le cisteine conservate sono solamente quattro, perciò si formano due soli ponti disolfuro, a differenza dei 5-8 ponti degli eucarioti superiori.

È interessante notare come la conservazione tra le varie sequenze sia limitata alla regione catalitica e di legame dello ione.

Una particolarità che distingue TbSP1 dalle altre fosfolipasi appartenenti al gruppo XIV è la presenza di un motivo dato dal tripeptide RGD, un motivo che media l’interazione fra proteine extracellulari e recettori di superficie integrina-simili sia nei funghi sia nelle piante. Tra le poche proteine fungine contenenti questo motivo, ci sono le SRAP (Symbiosis Related Acidic Polypeptides) di Pisolithus tinctorius, che si accumulano sulla superficie sia di ife vegetative sia di ife simbiotiche, e che potrebbero essere coinvolte nella formazione delle ectomicorrize.

Un’analisi dei livelli di mRNA di TbSP1 in varie condizioni ha evidenziato una regolazione in risposta alla disponibilità di nutrienti; in particolare, terreni carenti di carbonio o di azoto, ma non terreni deprivati di fosfati, inducono un significativo aumento nell’espressione di TbSP1. Inoltre, l’aumento di mRNA è accompagnato da un incremento dei livelli di proteina matura e da un accumulo di questa sulla parete delle ife.

Le motivazioni che vengono date a questa attivazione sono varie. In primo luogo, visto che tutti i microrganismi che esprimono una proteina omologa sono filamentosi, è possibile una relazione funzionale tra questo gruppo di fosfolipasi e la formazione di miceli; questo avverrebbe mediante rimodellamento della superficie ifale idrolizzando i fosfolipidi e/o inibendo gli enzimi coinvolti nella sintesi di polisaccaridi della parete cellulare. In secondo luogo, gli acidi grassi liberati dalle membrane potrebbero servire da fonte di carbonio, poiché possono essere convertiti in precursori del glucosio attraverso il ciclo del gliossilato; questo, però, non contribuisce ad alleviare la carenza di azoto. Infine, TbSP1 potrebbe essere coinvolta nel rimodellamento delle membrane e/o nella trasduzione del segnale durante le prime fasi della micorrizzazione grazie all’azione sia dell’acido grasso sia del lisofosfolipide biologicamente attivo che vengono liberati.

(27)

Figura 11a: specificità di TbSP1 per la posizione sn-2 dimostrata mediante un saggio di attività fosfolipasica con un substrato marcato radioattivamente in tale posizione.

Lyso-PC=lisofosfolipide, FA=acido grasso, PA=acido palmitico, 1-P-2-[14C]P-PC=1-palmitoil 2-[14C]palmitoil fosfatidilcolina.

.

Figura 11b: assenza di attività lisofosfolipasica in TbSP1 dimostrata mediante un saggio di attività fosfolipasica con un substrato marcato radioattivamente in entrambe le posizioni.

Lyso-PC=lisofosfolipide, FA=acido grasso, PA=acido palmitico, 1,2-di[14C]P-PC=1,2-[14C]dipalmitoil fosfatidilcolina.

(28)

TbSp1 : NcPL1 : NcPL2 : p15 : Magna1 : Magna2 : SpaA : SpaB : S_coe1 : S_coe2 : S_vio : S_aver : Gibb : Verticilli :

* 20 * 40 * 60 * 80 ---MVKIAAIILLMGILANAAAIPVSEPAALNKRGNAEVIAEQTGDVPDFNTQITEPTGEGDRGDVADET ---MK-FFSALALSSLLPTAAWAWTGSESDSTGAD-SLFRRAETIQQT--- ---MKPFFLISLLVTVFMSLMLATTAQPSLPLNNR-RELAEHPPVKGNPPNT---GYALDWC ---MKSFTFVVLALLP-FSSALPFGLFHRG----GIASRAT--IEETT--- --MAGDNVGFG---LMKFLALLAAAV-TVLASPLQMERR---QSDLVAI--- ---MNFLILLLATLVAATPMPKKLAKAEPKGAGLKASAADPKLIPV--- ---MKNIFVATLGLFAAVSSALPYTTPVNDNPISALQARATTCSAKAT--- ---MKANSFLIALLPTALAIPLPTPNEGATS---LSESQRLQSI--- ---MRTTTRTRTTLAAVGAALALGVAAAPAQAAPADKPQVLASFT--- ---MHRRLATGLSAAALAVTTVVATAAA-ADAAPADKAQVLASWT--- ---APADKPQVLASFT--- ---MRRRVAATLATTALALTAALVPVTS-ASAAPADKATVLSNWT--- ---MKFIATVLSVLPVVLALPTGEDAS---ISKRQSVNTV--- SPSPCXSSCFSPSSLWDFPLIMKFNAILLALVPAALALPTTDEAQTPK---LAARQSITAV---

: 67 : 43 : 55 : 38 : 40 : 43 : 45 : 38 : 42 : 41 : 13 : 41 : 34 : 58

TbSp1 : NcPL1 : NcPL2 : p15 : Magna1 : Magna2 : SpaA : SpaB : S_coe1 : S_coe2 : S_vio : S_aver : Gibb : Verticilli :

* 100 * 120 * 140 * 160 * NLSTDIVPETEAASFAASSVSAALSPVSDTDRLLYSTAMPAFLTAKRNKNPGNLDWSDDGCSKSPDRPAGFNFLDSCKRHDFGYR --TDRYLFRITLPQFTAYRNARS---PATLDWSSDSCSYSPDNPLGFPFSPACNRHDFGYR KYTAGMLFQWDLPTFIKHREANFSL---GRLTWDWSSDGCTHVPDNPVGFPFKPACQRHDFGYR ---DTLLFSTPIAQFEAARNAQN---PSTLDWSSDGCSSSPDDPFGFDFLSSCHRHDFGYR --TDKLLYSTSLPDFVARRNARD---PPSLDWTSDGCTSSPDNPLGFPFTPACNRHDFGYQ --TDELVFKVPLETFIARRNKLD---PAALDFSSDNCTKAPNNPLGFPFTPGCNRHDFGYQ ---DNLIFKVSMKTFQKARKAKN---PSKCNWSSDNCSKSPDKPDGYNFIPSCQRHDFGYR --TDELMFGLELPDFTARREAND---PPQLDWYSDGCTRAPSNPLGFPFQRACERHDFGYQ ---QTSASSQNAWLAANRNQ---SAWAAY---EFDWSTDLCTQAPDNPFGFPFNTACARHDFGYR ---QTSASSYQAWTAARANK---SAWSAY---GFDWTTDYCSSSPDNPFGFPFNTSCARHDFGYR ---QTSASSQNAWLAANRNQ---SAWAAY---EFDWSTDLCTQAPDNPFGFPFNTACARHDFGYR ---QTSAASYNAFFAARADQ---GAWSAY---GFDWSTDYCTTSPDNPFGFPFANSCVRHDFGYR --TDQLLFSVTLPQFTARRNARD---PPTVDWTSDGCTSSPDNPFGFPFVPACNRHDFGYH --TDSLSFSLTLPQFTTRRNNRN---PANLDWSSDGCTTSPDNPFGFPFVPACHRHDFGYH a a 15 D C3 P P G5pF C RHDFGY

: 152 : 99 : 116 : 93 : 96 : 99 : 100 : 94 : 98 : 97 : 69 : 97 : 90 : 114

TbSp1 : NcPL1 : NcPL2 : p15 : Magna1 : Magna2 : SpaA : SpaB : S_coe1 : S_coe2 : S_vio : S_aver : Gibb : Verticilli :

180 * 200 * 220 * 240 * NYKKQHRFTEANRKRIDDNFKKDLYNECAKYSGLESWKGVACRKIANTYYDAVRTFGWL--- NYKAQSRFTDNNKLKIDGNFKTDLYYQCD--THGYGST---CHALANVYYAAVREFGR--- NYQVQFHFTPRARWKIDENFLKDMKFQCI--GHNIFNA---CHFMAHVYHWGVRTFYKGHEQYRESEPSHKMMDTMVASESSDVF NYKKQNRFTAPNKARIDTNFKTDMYNQCNTES--NIFTRAACKAVADIYYEAVKTFGSKKRAAEALAAR--- NYRIQSRFTQSNKFNIDNNFLLDLNNQCNGLNIIARGT---CRALADVYYAAVRAFGGSDATPGKRNE--- NFQAQGRFTAENKKKIDDNFQQDLKHQCSSVKTAAKPA---CNGLADVYHAAVRKFGGRKELQAKRDD--- NTKKQKRFTKAMKKRIDDNFKKDLYKYCSQFSGWSSWKGVECRRLADVYYTAVRHFGKRDEALEFDPEV--- NYRIQGRFTKAAKAQIDLRFKEDLYYQCE--LGRAVGI---CKKLARLYYRASGRHGGKD--AAKRRE--- NYKAAGSF-DANKSRIDSAFYEDMKRVCTGYTGEK---NTACNSTAWTYYQAVKIFG--- NYKDAGTF-SANKSRLDSAFYEDLKRVCAGYGGAT---KTACNSTAWTYYQAVKVFG--- NYKAAGSF-DANKSRIDSAFYEDMKRVCTGYTGEK---NTACNSTAWTYYQAVKIFG--- NYTAAGSF-DANKSRLDSAFYADLKRVCTAYSGVK---KASCDATAWTYYQAVVNLG--- NYRAQNRFTVSGKARIDSNFKTDLYFQCQ--SSSVSGV---CRGLADVYYAAVRAFGGDDATPGKRDE--- NFRAQTRFTESNKLRIDNQFRTDLRFQCQ--SSSVRGV---CNALADVYYSAVRAFGGDDATPGKRDEH--- N F 4 6D F D6 C C A Yy av fg

: 211 : 152 : 196 : 160 : 161 : 164 : 169 : 155 : 151 : 150 : 122 : 150 : 153 : 178

TbSp1 : NcPL1 : NcPL2 : p15 : Magna1 : Magna2 : SpaA : SpaB : S_coe1 : S_coe2 : S_vio : S_aver : Gibb : Verticilli :

260 * 280 * 300 * 320 --- ---TKGELQEEYDLLLAHYNELVAEAIAKGEDPLYY--- DGMDADEARDALNPYLSEEKTKEYYDRALARYNKCVEEAMAQGIDLQKYWAAF--- ---QMEEN--VAKA--- ---DLEKEYNEKLAIYNVLLAEAKKGNYI--- ---SLEAEFQEKLAIYKVLEAEYMRMKARSAS--- ---EFEKRDEVADVQPDEFDNFDGSEVDPDIEGQVIPEVLEDDGVDVENLDDIENL ---LDELL--- --- --- --- --- ---DLVKEYEEKVEVYNKLVEEAQEKGDLPRLD--- ---SELVGIYDEKVGIYD---

: - : 185 : 249 : 169 : 187 : 193 : 222 : 160 : - : - : - : - : 183 : 193

Figura 12: allineamento multiplo di TbSP1 con putative fosfolipasi A2 fungine e batteriche provenienti dagli organismi: Neurospora crassa (Nc), Helicosporium (p15), Magnaporthe grisea (Magna), Aspergillus oryzae (Spa), Streptomyces coelicolor (S_coe), Streptomyces violaceoruber (S_vio), Streptomyces avermitilis (S_aver), Gibberella zeae (Gibb), Verticillium dahlie.

(29)

5. STRUTTURA DELLE PLA2 DEL GRUPPO XIV

Nonostante molto sia noto sulle strutture di fosfolipasi A2 secretorie animali, non si può dire lo stesso di quelle fungine e batteriche. Alcune informazioni sono però disponibili per la TbSP1 di Tuber Borchii e la PLA2 di Streptomyces violaceoruber.

Della prima sono stati effettuati dei tentativi di cristallizzazione che hanno portato alla formazione di cristalli idonei all’analisi mediante diffrazione dei raggi X (dati non pubblicati). Attualmente la struttura non è completamente risolta: parte della struttura è sovrapponibile a quella di S. violaceoruber ,che è stata usata come modello per il fitting in modo da definire più precisamente la distribuzione spaziale dei singoli atomi; ma una porzione aggiuntiva nella regione N-terminale, assente nelle altre sPLA2, non è ancora stata determinata perfettamente.

La struttura della PLA2 di S. violaceoruber, invece, è stata ottenuta sia in soluzione mediante studi di NMR (Sugiyama et al.) sia a partire da cristalli analizzati mediante diffrazione dei raggi X (Matoba et al.)(figura 13).

Dall’analisi della struttura così ottenuta è risultata subito evidente una notevole diversità rispetto alle strutture note di PLA2 di origine eucariotica: queste ultime, infatti, sono costituite sia da foglietti-β sia da α-eliche, mentre la PLA2 batterica è formata esclusivamente da α-eliche (numerate da 1 a 5).

Figura 13: struttura tridimensionale della fosfolipasi A2 di S. violaceoruber. In rosso lo ione calcio, in giallo i poni disolfuro, in azzurro la diade catalitica e in magenta il residuo Arg69.

(30)

La molecola è divisa in due porzioni: un dominio N-terminale, dato dalle eliche α1 e α2, ed uno C-terminale, che comprende le tre eliche restanti (α3, α4 e α5); un lungo loop composto dai residui da Glu37 a Phe57 connette tra loro i due domini. Le eliche del primo dominio sono tra loro antiparallele, così come nel secondo dominio l’elica α4 a orientamento antiparallelo rispetto alle altre due; l’elica α3, inoltre, è perpendicolare ad α2.

Un’ulteriore particolarità della PLA2 di S. violaceoruber è la presenza di 4 soli residui Cys che formano due ponti disolfuro, rispetto ai 6-8 ponti che si trovano nelle forme eucariotiche; la stessa caratteristica è presente anche in TbSP1. I due ponti disolfuro della PLA2 vengono rivelati dall’analisi mediante NMR e si formano tra i residui Cys45- Cys61 e tra i residui Cys96-Cys107; evidentemente due soli legami disolfuro sono sufficienti per la rigidità conformazionale necessaria allo svolgimento dell’attività enzimatica.

Sito catalitico

Nonostante la strutture differiscano notevolmente, la geometria del sito catalitico è conservata tra eucarioti e procarioti; inoltre, al pari delle altre PLA2 secretorie, anche la PLA2 di S. violaceoruber ha un’attività dipendente dallo ione Ca2+. È stato possibile identificare i residui che legano il Ca2+ e valutare le differenze conformazionali che questo legame comporta analizzando la struttura della PLA2 sia in presenza sia in assenza di Ca2+. Ne deriva che:

- il β-turn composto dai residui Cys45-Ala48 è più rigido nella forma legata al Ca2+

e passa da turn di tipo II ad uno di tipo I;

- nella forma priva dello ione, il gruppo carbossilico dell’Asp43 forma interazioni elettrostatiche con il gruppo guanidinico dell’Arg69, mentre in presenza di Ca2+

si rompono i ponti ad idrogeno tra questi due residui e lo ione viene legato simultaneamente da quattro donatori di ossigeno (due ossigeni carbossilici di Asp43, uno di Asp65 e un gruppo carbonilico di Leu44);

- al legame dello ione partecipano anche tre molecole di H2O:

- è probabile che il risultante gruppo guanidinico libero interagisca con la colina del substrato fosfatidilcolina.

(31)

Il residuo catalitico vero e proprio e l’His64 e molto probabilmente il residuo Asp85 gioca un ruolo importante nella neutralizzazione della carica positiva che si forma sull’His durante la rottura del legame estere del substrato (figura 14).

Tutti i residui sopra menzionati che intervengono nel legame dello ione e nella catalisi della reazione, fatta eccezione della Leu, sono estremamente conservati tra le varie PLA2.

Figura 14: variazioni geometriche nel sito di legame del calcio della PLA2 di S. violaceoruber.

Sito di legame del substrato

Nelle PLA2 di gruppo I/II, i gruppi laterali di residui invariati o altamente conservati formano un canale idrofobico in cui si posizionano le catene alifatiche del substrato.

Il canale può essere identificato con esattezza nella PLA2 di S. violaceoruber solo cristallizzando la proteina in presenza di un substrato; in attesa di queste informazioni, si è dedotta la posizione del canale a partire dalla struttura nota. È probabile che la tasca idrofobica sia costituta dai residui:

- Cys45 e Pro49 nel loop tra i due domini;

- Cys61 nell’elica α3;

- Phe88 e Met92 nell’elica α4;

- Tyr114, Ala117 e Val118 nell’elica α5; - e, infine, Ile120 e Phe121.

(32)

SCOPO DELLA TESI

Nel presente lavoro di tesi ci si è posti l’obiettivo di approfondire gli studi sul dominio catalitico e sul presunto dominio di legame alla parete cellulare della fosfolipasi A2 di Tuber borchii, TbSP1. Il lavoro è stato suddiviso in due parti:

1. In una prima fase, sono stati prodotti due mutanti per delezione nella regione N- terminale di TbSP1 e su di essi sono stati condotti saggi di attività enzimatica;

sono stati, inoltre, effettuati tentativi di cristallizzazione per ottenere informazioni sulle conseguenze strutturali delle due mutazioni.

2. In una fase successiva, è stata creata una proteina di fusione data dal dominio N- terminale di TbSP1 e dalla GFP; questa verrà utilizzata in futuro per saggi di localizzazione atti a verificare il coinvolgimento del dominio RGD nel legame alla parete cellulare delle ife.

(33)

MATERIALI E METODI

1. TERRENI DI CRESCITA DEI BATTERI

Terreno LB (Luria-Bertani) Per 1 litro di terreno:

NaCl 10 g

Bacto-tryptone 10 g Bacto-yeast extract 5 g

Si porta a volume con H2O distillata, si aggiunge NaOH fino ad ottenere un pH pari a 7.0 e si sterilizza in autoclave.

Terreno LB agar Per 1 litro di terreno:

NaCl 10 g

Bacto-tryptone 10 g Bacto-yeast extract 5 g

Agar 1,5 %

Si porta a volume con H2O distillata, si aggiunge NaOH fino ad ottenere un pH pari a 7.0 e si sterilizza in autoclave.

Terreno SOC Per 1 ml di terreno:

SOC 1 ml

Glucosio 2 M (100x) filtrato 10 µl Mg2+ 2 M (100x) filtrato 10 µl

Ceppi batterici utilizzati

Xl1 blue: vedi Sambrook et al. (2003) per le caratteristiche del ceppo.

Bl21 CodonPlus (DE3): vedi catalogo Invitrogen per le caratteristiche del ceppo.

(34)

2. METODI PER IL CLONAGGIO

Reazione di PCR per la creazione dei mutanti per delezione

Per ottenere i mutanti viene usata una coppia di primer (plus e minus) tale per cui l’amplificazione sia limitata ad una porzione della sequenza di TbSP1.

Reazione assemblata per la creazione di Del1:

DNA TbSP1 (10 ng/µl) 1.0 µl

Pfu buffer 10x 5.0 µl

Pfu DNA polimerasi (2 U/µl) 0,5 µl Primer TbSP1-Del1-plus (25 µM) 1.0 µl Primer CpO_TbSP1-minus (25 µM) 1.0 µl

dNTP (2.5 mM) 6.0 µl

H20 35.5 µl

Totale 50.0 µl

La reazione avviene nelle seguenti condizioni:

94 °C 94°C

3’ 45”

72 °C 72 °C 1’ 10’

55 °C

45”

4°C 25 cicli ∞

(35)

La stessa reazione viene assemblata anche per la creazione del mutante Del2, usando il corrispondente primer TbSP1-Del2-plus e il primer CpO_TbSP1-minus.

Reazione di PCR per la creazione dei domini di fusione con GFP I primer utilizzati in questa reazione sono:

- TbSP1-GNAE-plus e TbSP1(-STOP)-minus per ottenere la sequenza di TbSP1 priva del codone di stop;

- TbSP1-GNAE-plus e Del2-minus per amplificare la porzione di TbSP1 rimossa nel mutante per delezione Del2 (chiamata Del2N).

Le condizioni di reazione sono le stesse usate nella reazione precedente.

Elettroforesi su gel di agarosio ed eluizione delle bande

Le bande corrispondenti agli ampliconi sono separate mediante un’elettroforesi su gel di agarosio al 2%.

Preparazione del gel

- Sciogliere l’agarosio nel tampone TAE 1x (40 mM Tria-acetato, 1 mM EDTA);

- aggiungere bromuro di etidio 20x;

- versare la soluzione nel supporto, in cui è stato precedentemente inserito un pettine per formare i pozzetti;

- lasciar solidificare il gel.

Preparazione dei campioni

- Aggiungere una soluzione addensante e colorante, data da glicerolo 10%, blu di bromofenolo e xilene cianolo.

La corsa viene fatta avvenire nell’apposita vaschetta in presenza di tampone TAE 1x ed è effettuata a 50 mA.

Le bande corrispondenti agli ampliconi sono excise dal gel ed il DNA è eluito utilizzando il “QIAquick Gel Extraction Kit” (QIAGEN), seguendo il protocollo fornito dal produttore.

(36)

Clonaggio nel vettore pET28-pme e pET28bG-Tromb-GFP-His con il sistema

“Bolcloning”

I vettori pET28-pme (5401 bp) e pET28bG-Tromb-GFP-His (6190 bp) presentano nella loro sequenza: un gene lacI, che codifica per il repressore lac; un gene per la resistenza alla kanamicina; un sito di clonaggio multiplo posto sotto il controllo del promotore forte della RNA polimerasi T7.

La RNA Pol T7 è trascritta a partire da un gene cromosomale delle cellule trasformate ed è controllato dal promotore lacUV5: questo promotore è insensibile all’inibizione da galattosio, ma è inducibile da lattosio o analoghi come l’isopropyl-β-D- tiogalattopiranoside (IPTG). È possibile, quindi, indurre la sovraespressione della proteina clonata nel vettore mediante aggiunta di IPTG alla coltura batterica.

Sistema Bolcloning (dati non pubblicati)

Per il clonaggio è stata messa a punto una reazione unica di apertura del vettore e inserimento del frammento: nella soluzione, infatti, sono presenti contemporaneamente l’enzima di restrizione e la ligasi. Il sistema Bolcloning è più veloce dei protocolli precedentemente utilizzati e ha una buona percentuale di riuscita.

La reazione viene effettuata in modo che il rapporto vettore: inserto sia di 1:10.

La soluzione di reazione per il clonaggio di Del1 e Del2 è così composta:

Vettore pET28-pme (50 ng/µl) 1 µl

Inserto (50 ng/µl) 1.5 µl

SnaBI 0.2 µl

Buffer 4 10x 1 µl

T4 DNA Ligasi (5 U/µl) 0.5 µl

ATP (10 mM) 1 µl

BSA 10x 1 µl

H2O 3.8 µl

Totale 10.0 µl

(37)

La reazione è incubata a 37 °C per 1h; al termine dell’incubazione, per inattivare la T4 DNA ligasi, la reazione è posta a 65 °C per 10 minuti. Infine, si aggiungono 50 µl di H2O: questo passaggio serve per diluire il sale contenuto nella soluzione senza dover fare dei lavaggi prima della trasformazione per elettroporazione.

La stessa reazione è stata assemblata per l’introduzione di TbSP1(-STOP) e Del2N nel vettore pET28bG-Tromb-GFP-His; è stato usato utilizzato il sito di clonaggio PmeI.

Trasformazione mediante elettroporazione Preparazione delle cellule elettrocompetenti

- Mettere in Eppendorf in aliquote da 1.5 ml le cellule provenienti da una coltura fresca arrivata a 0.6 OD600;

- centrifugare per 1’ e risospendere il pellet in 1 ml di H2O sterile;

- centrifugare di nuovo e ripetere il lavaggio con H2O sterile altre due volte;

- risospendere il pellet nella goccia rimanente.

Le cellule, a questo punto, possono essere usate oppure congelate in azoto liquido e conservate a –80 °C (le aliquote sono da 20 µl circa). Al momento dell’utilizzo, le aliquote provenienti da –80 °C vanno scongelate in ghiaccio.

Elettroporazione

- Aggiungere 1-1.5 µl della reazione di ligazione alle cellule e mescolare pipettando delicatamente;

- trasferire la soluzione nella cuvetta da elettroporazione, conservata in ghiaccio;

- applicare una scarica elettrica;

- raccogliere le cellule in 1 ml di terreno SOC o LB;

- incubare le cellule a 37 °C per 1h;

- seminare le cellule su una piastra data da LB-agar e gli antibiotici necessari, e lasciar crescere le cellule a 37 °C o/n.

Lo strumento utilizzato per la trasformazione è il Micro Pulser (Bio Rad), impostato su EC1 (= E. Coli, cuvette con elettrodi ad una distanza di 1 mm).

(38)

Trasformazione chimica

Preparazione delle cellule chimico-competenti

- Preparare 1 litro di coltura batterica fresca e aspettare che le cellule crescano fino a 0.4 OD600;

- centrifugare per 10’ a 4000 rpm a 4 °C;

- eliminare il surnatante;

- risospedere il pellet in 600 ml di una soluzione 80 mM MgCl2 e 20 mM CaCl2; - centrifugare a 4000 rpm per 10’ a 4 °C;

- risospendere il pellet in 40 ml di CaCl2 0.1 M;

- aggiungere 1.5 ml di DMSO e lasciare 15’ in ghiaccio;

- ripetere questo passaggio;

- dividere le cellule in aliquote da 40 µl;

- congelare in azoto liquido e conservare a –80 °C.

Trasformazione

- Aggiungere 1-1.5 µl di reazione di ligazione alle cellule competenti;

- lasciare in ghiaccio per 30’;

- incubare a 42 °C per 45”;

- mettere in ghiaccio per altri 5’;

- aggiungere 500 µl di terreno SOC o LB;

- incubare a 37 °C per 1h;

- piastrare le cellule in presenza degli opportuni antibiotici e far crescere a 37 °C o/n.

(39)

Miniprep

La procedura di purificazione plasmidica mediante lisi alcalina prevede il seguente protocollo:

- inoculare una singola colonia in 3 ml di LB, a cui sono stati aggiunti gli antibiotici, e lasciar crescere a 37° o/n;

- trasferire in Eppendorf 1.5 ml di coltura, centrifugare e buttare il surnatante;

- ripetere l’operazione aggiungendo i restanti 1.5 ml;

- risospendere il pellet;

- aggiungere 300 µl di Sol I (GTE + Rnasi A 400 µg/ml) e vortexare;

- aggiungere 300 µl di Sol II e mescolare per inversione senza scuotere;

- aggiungere 300 µl di Sol III e mescolare per inversione → si forma un precipitato bianco; mettere in ghiaccio per 5 min e centrifugare a 4° per 10 min;

- prelevare 800 µl di surnatante e mettere in un’altra Eppendorf con 0.6 volumi di isopropanolo (480 µl); vortexare e centrifugare per 10 min a T ambiente;

- versare l’isopropanolo;

- aggiungere 1 ml di etanolo al 70% e centrifugare per 10 min; versare l’etanolo e lasciare ad essiccare;

- risospendere in 30 µl di H2O e vortexare per 1 min.

COMPOSIZIONE DELLE SOLUZIONI UTILIZZATE

- Soluzione I: Glucosio 50 mM

Tris-HCl 25 mM pH 8.0 EDTA 10 mM pH 8.0

- Soluzione II: NaOH 0.2 N SDS 1% (w/v)

- Soluzione III: Potassio acetato 3 M Acido acetico 5 M

Riferimenti

Documenti correlati

55 Airoldi G., Brunetti G.,Coca V. Pellegatta M., Il bilancio sociale. Stakeholder e responsabilità sociale d’impresa, Il sole 24 ore, Milano 2000.. Sono stakeholder secondari: la

Per esempio nel gelada (Theropithecus gelada), durante le interazioni di gioco, l’RFM è più altamente espressa tra i soggetti che condividono stretti legami sociali, cioè tra le

Questo studio clinico controllato, randomizzato, in doppio cieco non dimostra una maggiore efficacia da parte del citalopram, in aggiunta agli stabilizzatori del

Al risultato potevamo arrivare subito osservando che il dominio risulta simmetrico rispetto all’asse y e l’integranda antisimmetrica rispetto a tale

Ebbene per l’analisi di tali tipologie di rischio sarà indispensabile assumere tutte le informazioni possibili di tipo epidemiologico come prevalenza e incidenza, dati sui

1- Ennupla coordinata di un vettore rispetto ad una base. 2.1 Definizione; 2.2 Relazione fondamentale; 2.3 Applicazioni lineari fra spazi R n ... 3- Matrice di cambiamento di base.

BERGAMINI Paola Cat. B Area servizi gen.li e tecnici DE VITA Anna Cat. b) Responsabile del Servizio esami di stato, programmazione accessi agli stranieri e servizi agli

Analisi