Piazza della Scala e la Milano dei banchieri
L’ascesa di Milano ai vertici dell’economia nazionale, fu un fenomeno evidente solo negli anni ottanta e novanta dell’Ottocento. A fronte di un relativo declino dei centri, fino ad allora, di maggior prestigio, la città sembrava invece garantire all’élite degli affari nuove occasioni d’investimento. A segnarne visibilmente il primato fu il numero e il pre- stigio degli istituti bancari che vi si insediarono, designandola come sede privilegiata del- lo scambio commerciale e finanziario. I nuovi palazzi degli affari diedero un decisivo contributo all’evidente salto di scala, che caratterizzò l’evoluzione della città a cavallo tra i due secoli, conferendole quell’immagine di centro produttivo e industrioso che ne è fino ad oggi il tratto caratteristico. Soltanto al volgere del secolo il capoluogo lombardo riuscì a conquistare quel ruolo di città-guida o, come si usava dire allora, di “capitale morale” del Paese, a cui ambiva già all’indomani dell’Unità1. Nell’arco di alcuni decenni, Milano
cominciò ad acquisire le dimensioni di grande centro metropolitano, lasciandosi alle spal- le un cospicuo gruppo di città, come Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Palermo, Catania e Roma, con cui prima condivideva un numero simile di abitanti.
La conquista del ruolo di maggiore piazza finanziaria sembra però contrastare con l’arretratezza che caratterizzò il sistema creditizio dell’intera regione, per tutta la prima metà del XIX secolo. Nonostante l’economia milanese potesse contare su un florido setto- re agrario e manifatturiero, su una borghesia con una consolidata vocazione agli affari ed in costante ascesa, lo scarso sviluppo nel settore bancario ostacolò fortemente l’incremento dei traffici e la formazione di una realtà di tipo industriale. Lo scarso nume- ro di istituti di credito, organizzati su base societaria e diffusi territorialmente, fu condi- zionato dal veto che il dominio austriaco aveva imposto sulla loro costituzione ma anche dalla resistenza, da parte degli operatori economici, a promuovere nuovi strumenti di fi- nanziamento.
L’abbondanza di capitali disponibili per capitalisti e imprenditori contrastava con le scarse possibilità d’impiego offerte da un’organizzazione creditizia, rimasta per lungo tempo imperniata sulla figura del banchiere/negoziante di seta2. In assenza di istituti di
credito, furono le stesse ditte dei negozianti che iniziarono ad occuparsi della gestione dei pagamenti, dell’attivazione del credito e dell’esercizio dei cambi negli scambi mercantili
1 G. Rosa, Il mito della capitale morale: letteratura e pubblicistica a Milano fra Otto e Novecento, Comunità,
Milano, 1982
2 Per la formazione, l’attività e il ruolo di questa particolare tipologia di banchiere si veda: G. Piluso,
L’arte dei banchieri, Moneta e credito a Milano da Napoleone all’Unità, F. Angeli, Milano, 1999; S. Levati, La nobiltà del lavoro. Negozianti e banchieri a Milano tra Ancien Régime e Restaurazione, F. Angeli, Milano, 1997
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nazionali ed internazionali. Il banchiere privato derivò quindi da questa figura di nego- ziante polivalente, in grado di intermediare risorse finanziarie e gestire un’ampia gamma di affari, merceologicamente e geograficamente differenziati. Intraprendenti uomini d’affari del periodo come il commerciante svizzero Nicola Vonwiller3 decisero di costitui-
re una propria banca, riuscendo così ad avvalersi di quei servizi, legati all’assicurazione e al credito, indispensabili per la propria attività4.
Fino alla metà dell’Ottocento, l’esercizio del credito fu dunque assicurato dall’azione di singoli banchieri, i quali, già verso la fine del secolo precedente, decisero di trasferire i propri uffici dai luoghi fisici dello scambio delle merci nelle aree centrali delle città. In questo modo trassero vantaggio dalla possibilità di operare in un’area circoscrit- ta, dalla rispettabilità e dalla distinzione connesse alla nuova localizzazione. La Milano degli antichi banchieri, si annidava all’interno di costruzioni preesistenti, entro la cerchia delle mura romane, avendo come perno piazza della Scala e diramandosi poi secondo due direttrici principali. La prima seguiva l’asse costituto da via Meravigli, proseguendo nella piazza del Teatro e lungo la Corsia del Giardino, con un particolare addensamento nelle contrade del Marino, del Teatro dei Filodrammatici ed in quella di San Paolo. La se- conda e minore direttrice si sviluppava invece tra la contrada del Pantano e la contrada di Porta Romana. Come nel caso londinese la specializzazione operativa dei banchieri priva- ti era rimarcata da una specifica localizzazione geografica, perciò l’area di maggior con- centrazione si trovava a nord della piazza del Duomo, in quella zona della città proiettata verso i distretti serici con cui i banchieri avevano i maggiori rapporti d’affari e di scam- bio5. Con la fine dell’età napoleonica, il centro milanese era già diventato motore delle at-
tività mercantili dell’intera regione, incentrate in particolar modo sulla raccolta e sull’esportazione delle sete gregge e filate. Con l’intenso sviluppo della gelsi-bachicoltura iniziò l’ascesa della piazza commerciale e finanziaria milanese. Il mercato serico in conti- nua espansione incentivò lo sviluppo del settore agricolo, costituendo per possidenti, mercanti e banchieri un considerevole giro d’affari.
Gli uffici dei banchieri erano collocati nell’antico centro, a ridosso della piazza del Duomo, privilegiando quindi quella zona che tradizionalmente ospitava i principali ele- menti di riferimento per la comunità milanese. A poca distanza vi erano il Duomo e l’Arcivescovado, ma anche le funzioni amministrative, di governo e d’intrattenimento e- rano lì densamente concentrate: il Tribunale, i Monti di Pietà, la Camera di Commercio e il Teatro della Scala. I negozianti-banchieri scelsero di localizzare l’offerta dei servizi di
3 I Vonwiller fanno parte di quel gruppo di commercianti d’oltralpe che già all’inizio dell’Ottocento
elessero Milano come sede della loro attività, oltre ai testi già citati sulla figura del banchiere si veda anche di C. Martignone, Imprenditori protestanti a Milano 1850-1900, F. Angeli, Milano, 2001
4 La storia della banca della famiglia Vonwiller è ricostruita nel volume di Vieri, Poggiali, Storia della
Banca Morgan Vonwiller, Giovanni De Vecchi Editore, Milano, 1969
5 La distribuzione geografica dei banchieri è tracciata da G. Piluso, L’arte dei banchieri, op. cit., pp. 111-
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credito in quest’area caratterizzata dalla presenza degli edifici più rappresentativi e dalle più importanti istituzioni civiche. Improntata su un’azione individuale, la loro attività di intermediazione richiedeva una forte concentrazione spaziale, necessaria a garantire con- tinuità e fluidità nelle operazioni.
Nel tentativo di costruire quella rete di relazioni fiduciarie indispensabili per la propria attività, i banchieri si insediarono in quel crocicchio di strade che le élites della borghesia e dei commerci avevano selezionato come sedi privilegiate d’incontro e di so- cializzazione. Nella piazza del Teatro alla Scala, aperta a metà degli anni cinquanta dell’Ottocento di fronte al grande teatro lirico, vi erano moltissimi locali di ritrovo6, bot-
teghe ed osterie7. L’élite dedita agli affari condivideva abitualmente gli stessi spazi; a ri-
dosso della piazza, nella contrada del Marino risiedevano agenti di cambio e banchieri come Carlo Besana ed i fratelli Pietro e Giovanni Battista Brambilla8. Quest’ultimi erano
proprietari di alcuni locali in via Santa Margherita, occupati da esercizi commerciali, e di un palazzo neocinquecentesco, progettato nel 1855 da Giuseppe Pestagalli, dove avevano il loro banco e il magazzino delle sete9.
Tra i più celebri ed amati luoghi di riunione vi era il Caffè Cova, il quale metteva a disposizione alcuni locali al piano superiore per le riunioni degli aderenti alla Società dell’Unione: una tra le più note associazioni cittadine10. Grandi proprietari terrieri, per lo
più aristocratici, commercianti di seta ed operatori economici, costituirono ristretti circoli, dando vita a spazi selezionati dove confrontare e condividere i propri interessi. L’appartenenza ad una di queste associazioni era una prerogativa altamente ricercata, perché permetteva loro non solo di rafforzare il proprio status, ma anche di avere l’opportunità di conoscere e valutare i potenziali clienti.
Una tra le più frequentate dall’élite finanziaria era la Società del Giardino, i cui lo- cali erano situati in via de’ Clerici, ovvero tra la contrada de’ Filodrammatici e il Broletto, tra la contrada San Dalmazio e la via de’ Bossi, in un’area in cui gli uffici dei banchieri e- rano maggiormente concentrati. La Società d’incoraggiamento per le Arti e Mestieri, dalle
6 In piazza della Scala al n.1149 era il Caffè Dujardin, al n.1144 era il Caffè dei virtuosi, poco lontano
sotto il coperto del Figini al n.4075 il famoso Caffè Mazza e sull'angolo della Corsia del Giardino (via Manzoni) e della contrada S. Giovanni alla Case Rotte al n.1157 vi era l'Ofelleria di Ambrogio De Marchi
7 ASBI-BCI, P, cart.1, Rimane memoria dei passaggi di proprietà degli immobili sul lato nord di piazza
della Scala, acquisiti successivamente dalla Banca Commerciale, dove vi era l'osteria detta della Scala, poi caffè Martini
8 Alcuni dati sulla professione degli abitanti della zona sono in B. Gutierrez, Piazza della Scala nella vita e
nella storia, Archetipografia di Milano, 1927, p.146
9 ASBI- BCI, IMM, P, cart.1, fasc.3, negli atti notarili si legge che Giovanni Battista Brambilla era pro-
prietario di due case in Santa Margherita al civico 1131 e nella contrada del Marino al civico 1134, dove era do- miciliato
10 Al di sopra del Caffè Cova si riuniva la Società dell'Unione, detta anche “Club dei Lions”, che origina-
riamente si chiamava "Il Casino della Nobile Società", fondata nel dicembre del 1815. Gli aderenti all’associazione si riunivano regolarmente presso una sala del Caffè, la cui ammissione era sottomessa al paga- mento di una quota fissa. Alcune notizie vi sono riportate nella Nuovissima Guida dei Viaggiatori in Italia e delle
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cui iniziative scaturirà la fondazione della famosa scuola politecnica, fu costituita negli anni quaranta proprio da un banchiere, Enrico Mylius e tra i suoi aderenti vi figuravano anche alcuni colleghi: Campiglio, Noseda, Pasteur e Uboldi11. L’introduzione nei circoli e
nei circuiti sociali era un aspetto tutt’altro che sottovalutato dai banchieri: una buona in- troduzione nell’alta società milanese poteva equivalere ad una riconosciuta capacità tec- nica. Tramite un gioco ripetuto di spostamenti e presenze tra gli uffici dei banchieri e i luoghi d’incontro, quali erano i teatri, i circoli ricreativi o i caffè, si creavano e si rinnova- vano quei meccanismi fiduciari, essenziali allo sviluppo delle attività commerciali.
L’aggregazione dei servizi di banca, all’interno di un ristretto perimetro, era parti- colarmente necessaria in un città, dove per lungo tempo gli uomini d’affari non riusciro- no ad accantonare le antiche consuetudini che tradizionalmente scandivano il loro modo di operare. Mancavano quelle istituzioni, come la borsa e la stanza di compensazione, che altrove erano deputate al coordinamento ed alla regolamentazione delle operazioni; ov- viare a questa assenza costituì il primo incentivo alla concentrazione degli uffici dei ban- chieri in modo tale che gli scambi avvenissero con una certa continuità.
L’istituzione della Borsa a Milano era stata autorizzata dal governo francese nel 1808, che aveva così assecondato la richiesta della Camera di Commercio12 locale; questa
aspirava alla costituzione di un unico luogo in cui le adunanze, con cadenza prefissata, potessero facilitare l’incontro dei commercianti e accelerare le trattative13. Prima ancora
che l’iniziativa della sua fondazione avesse preso forma, si concretizzò il progetto di co- struzione della sua sede. Nel 1801 la Borsa era stata prevista tra gli edifici dell’Antolini che dovevano coronare il Foro Bonaparte; l’insieme avrebbe formato il nuovo centro di- rezionale situato attorno al Palazzo del Governo, al posto dello smantellato Castello Sfor- zesco. Nel suo piano di radicale rinnovamento del centro milanese, dalla forte carica i- deologica, Gian Antonio Antolini aveva immaginato un nuovo nucleo politico e civile, in
11 Riguardo alle associazioni milanesi ed ai loro membri si veda: M. Meriggi, Milano borghese, circoli ed
elites nell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1992 e G. Fiocca, Borghesi ed imprenditori a Milano: dall’Unità alla prima guerra mondiale, Roma, Laterza, 1984
12 Fu istituita con l’emanazione della legge napoleonica nell’agosto del 1802, la quale ne definiva
l’organizzazione, le competenze e le funzioni
13 Nella missiva trasmessa dalla Camera di Commercio al governo francese si leggeva infatti: “La Capi-
tale non più di un piccolo stato ma di un vastissimo Regno, [<] non può che aspirare a pareggiarsi colle altre più popolate Capitali [<] Quindi è che tra i principali negozianti è nato il pensiero di ripristinare una Borsa come esisteva nei passati tempi. Un luogo di adunanza in cui ad alcune determinate ore venissero a concentrar- si tutti li negozianti faciliterebbe le loro operazioni e l’attuale abbattuto commercio sperar potrebbe qualche al- leviamento. Questa facile comunicazione portando anche le contrattazioni ad una stipulazione diversa tra parte a parte toglierebbe di mezzo l’inconveniente delle dispute circa alle condizioni annesse ai contratti ed inoltre darebbe luogo ad incontri fra negozianti che fossero mutuamente debitori e creditori [<]”; in P. Cafaro, La Borsa
di Milano: origini, vicende e sviluppi, in La Borsa di Milano, dalle origini a palazzo Mezzanotte, Milano, 1993, Camera
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antitesi all’antico polo religioso del Duomo14. Posto al termine della strada del Sempione,
il grandioso quartiere avrebbe rappresentato la nuova porta d’ingresso a Milano dalla Francia, dove lungo un cerchio del diametro di cinquecento metri, sarebbero dovuti sor- gere i nuovi centri della vita collettiva. Nel monumentale complesso, intorno alla mede- sima piazza, accanto al teatro, alle terme, alle sale per le assemblee, alle botteghe con rela- tive abitazioni, al museo, al Pantheon ed alla dogana era stata prevista la nuova Borsa, destinata ad ospitare: ”[<] coloro che procurano il commercio, [<] dove nei giorni e nel- le ore destinate convengano a trattare a negozi [<]”15. Le adunanze avrebbero avuto luo-
go in un ampio salone absidato e voltato, accessibile dal Foro da una scalea, preceduto da un atrio porticato ed accompagnato ai lati da gallerie e da una serie di sale per gli uffici dei notai. Al piano terreno erano stati disposti guardaroba e magazzini, mentre al piano superiore minori vani avrebbero ospitato gli archivi e la residenza del custode.
L’ambizioso piano dell’Antolini non fu realizzato e nonostante i successivi progres- si in ambito economico ed edilizio, la portata radicale del suo impianto urbano rimarrà ineguagliata. La città rimase a lungo priva di strutture adeguate alla sua importanza eco- nomica e per più di un secolo nemmeno la Borsa riuscì ad avere una propria sede, do- vendo accontentarsi di spazi concepiti per altro uso. Il suo utilizzo fu ostacolato dalla ne- cessità di trovare locali idonei allo scopo, ma ancor più contribuì la refrattarietà degli o- peratori a condurre le trattative secondo tempi e modi prestabiliti. Certamente le prime stanze allestite presso il Monte di Pietà non dovevano essere affatto confortevoli, se si di- ceva che il luogo era: “[<] excentrico [<] umido all’accesso, freddo e lontano dalle abita- zioni dei principali commercianti [<]”16. Una sede più confortevole avrebbe comunque
richiesto un ingente investimento, ma ancora impensabile per un’istituzione che stentava ad affermarsi.
Per incentivare l’afflusso degli agenti di cambio e dei banchieri le proposte succes- sive si orientarono tutte verso piazza della Scala, il luogo attorno al quale erano mag- giormente concentrati i loro uffici. Dalla sua prima sede, inaugurata nel febbraio del 1808, la Borsa fu trasferita, l’ottobre dell’anno successivo, nel palazzo dei Giureconsulti, nella vicina piazza dei Mercanti. Alle adunanze di borsa fu destinato il salone, usato preceden- temente dal Collegio dei Giurisperiti milanesi; tuttavia, nonostante la nuova strategica posizione, l’affluenza rimase sempre piuttosto scarsa. Secondo le testimonianze dell’epoca, nonostante l’esistenza di una Borsa valori, gran parte degli affari bancari e commerciali continuavano ad aver luogo negli studi dei banchieri e dei negozianti. Agen- ti di cambio e sensali in merci effettuavano le trattative senza rispettare l’apertura e la
14 Cfr. G. Antolini, Descrizione del Foro Bonaparte, presentato coi disegni al comitato di governo della Repubbli-
ca Cisalpina etc., Milano, 1802; G. Mezzanotte, L’architettura neoclassica in Lombardia, Esi, Napoli, 1966
15 La descrizione dell’edificio si trova in P. Giordani, Descrizione del Foro Bonaparte, in Opere di Pietro
Giordani, vol.I, Firenze, 1846, p.1 e sgg.
16 Lettera della Camera di Commercio al Ministro dell’interno, 7 marzo 1808, riportata da P. Cafaro, La
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chiusura delle contrattazioni, assecondando piuttosto il movimento delle operazioni presso i banchieri e i negozianti17.
La Borsa non si dimostrava quindi uno strumento molto popolare, eppure furono molte le proposte presentate per migliorarne gli spazi. Secondo il progetto di Giuseppe Barberi del 1807, i suoi uffici avrebbero dovuto collocarsi nella chiesa sconsacrata di Santa Maria del Giardino, accanto al Teatro della Scala, dove avrebbe preso forma una nuova “piazza di Commercio”18. Dieci anni più tardi, il medesimo convento, in parte adeguato e
in parte ricostruito, fu proposto nuovamente come luogo di riunione per i commercianti, secondo l’ipotesi di Federico Confalonieri e il progetto di Luigi Canonica, che lo situava- no all’interno di un più vasto programma di edifici pubblici19. Le proposte di modifica
riguardarono anche il palazzo della Ragione. Nel 1816, ripensando nuovamente alla for- mazione di un centro commerciale cittadino, l’Antolini propose di chiuderne il loggiato in modo che i commercianti avessero a disposizione un salone più ampio di quello allora disponibile nel vicino palazzo dei Giureconsulti.20
Con la fine del dominio napoleonico, l’istituzione andò in disuso, tanto che nel 1825 il Municipio propose alla Camera di Commercio di mettere a disposizione i locali in piazza dei Mercanti, già riservati alla Borsa, ad uso della scuola elementare. La situazione mutò dopo la metà degli anni venti quando il settore manifatturiero e il commercio della seta erano in fase di decollo. A fronte di una certa effervescenza in campo economico, il governo e la Camera di Commercio ripresero quindi ad interessarsi alla Borsa, cercando di incentivare le riunioni all’interno dei suoi spazi. Alcune fonti di allora testimoniano nuova fiducia verso l’istituzione: “[<] l’ora di borsa (si diceva) non passa inosservata al ceto bancario e mercantile, ma si vedono frequentatrici le principali ditte della nostra piazza [<]”, tuttavia si affermava anche che: “[<] l’attività della Borsa di Milano, presa in istretto senso, in quello, cioè di transazioni conchiuse in borsa, non presenta propor-
17 Il 29 marzo 183 sull’Eco della borsa, bisettimanale economico milanese, si leggeva: ”[<] nessun con-
tratto avviene presso la nostra Borsa, ma bensì nei privati studi dei banchieri con la mediazione degli agenti di cambio” e in una memoria della Camera di Commercio del maggio 1851 si confermava che: “[<] è consuetudi- ne inveterata e costante che gli affari bancari e commerciali si trattano e conchiudono nella più gran parte e quelli di mercanzia nella quasi totalità, nei rispettivi studi dei banchieri e dei negozianti. Gli agenti di cambio e i sensali in mercanzie si recano prima dell’apertura della Borsa proprio dai banchieri e dai negozianti e vi combi- nano le transazioni [<]”
18 I disegni di progetto per la nuova piazza di Commercio da aprire sul fianco della Scala sono
all’Archivio Storico Civico di Milano accompagnati da una descrizione dello stesso Barberi e nell’Archivio dell’Accademia di S. Luca a Roma, cart.428; A. S. Luca, n.2118 e 2119, Milano, località forensi e milanesi
19 Il progetto prevedeva un nuovo complesso pubblico composto da un bazar ed un ateneo con botteghe
e portici, un teatro diurno oltre ad un centro per commercianti. J. Soldini, Un progetto di Ateneo e bazar del conte
Federico Confalonieri e dell’architetto Luigi Canonica, in “La Martinella di Milano”, vol. XXXVII, fasc. I,II, genn.-
febbr.1983,p.4 sgg.; anche L’idea della Magnificenza Civile. Architettura a Milano, 1770-1848, catalogo della mostra, Milano, 1978, p.84
20 I disegni dell’Antolini per adattare a sede della Borsa la loggia del Palazzo della Ragione sono conser-
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zione alcuna coll’attività commerciale della piazza sia in carta di stato, sia in divisa, sia in mercanzia”21.
Nonostante il destino ancora incerto dell’istituzione, continuarono le ipotesi di ampliamento e di trasformazione della sua sede, a dimostrazione dell’inadeguatezza dei locali nel Palazzo dei Giureconsulti. Nel 1849 fu la stessa Camera di Commercio a ripro-