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8. al-ağzā’u llatī yanqasimu ilay-

hā (le parti in cui è diviso)

7. min ayyi l-ulūmi (in quale scienza [rientra]) 8. naḥw al-ta‘līm (modo d'insegnamento)

Benché il capitolo avicenniano sia intitolato allo scopo, in esso si discute di fatto anche dell'utilità, dello statuto rispetto alla filosofia e del modo d'insegnamento; le questioni di carattere testuale (l'autenticità, la divisione, l'ordine di lettura) sono dunque tralasciate. Nelle pagine seguenti esaminerò brevemente il rapporto di Avicenna con la tradizione esegetica greca e araba relativamente a ciascuno di questi punti.

1.2.1 Lo scopo.

I commentatori greci, a partire da Ammonio, distinguono normalmente tre posizioni contrastanti relativamente allo scopo delle Categorie: taluni ritengono che trattino delle espressioni significanti in quanto tali (φωναί σηµαίνουσαι/σηµαντικαί), altri che trattino delle cose (πράγµατα), altri ancora che trattino dei concetti (νοήµατα)185. La posizione adottata in genere dai commentatori consiste in un compromesso che mantiene tutti e tre gli aspetti: l'oggetto delle Categorie è rappresentato dalle “espressioni semplici in quanto significano cose per mezzo di concetti”. Questa è la posizione di Ammonio186, di Filopono187, di Simplicio188, di Olimpiodoro189, di David/Elias190, di Ibn Suwār191, e anche di Ibn al- Ṭayyib192. Benché Avicenna inizialmente parli dell'oggetto delle Categorie come di “espressioni” dotate di certi “stati”, dando a vedere di condividere un'interpretazione affine a quella tradizionale, nell'ultima parte del capitolo I 1 egli si distanzia nettamente dalla tradizione, propendendo invece per una soluzione ontologica. Verso la fine del capitolo infatti Avicenna prende le distanze da tutti i “logici convalidanti” (al-manṭiqiyyūna l-

185 Per un'analisi della trattazione dello scopo, o σκοπός, v. lo studio di P. Hoffmann su Simplicio e gli altri

commentatori tardo-antichi: Catégories et langage selon Simplicius - La question du "skopos" du traité aristotélicien des "Catégories", in I. Hadot (a cura di), Simplicius: sa vie, son oeuvre, sa survie, cit., pp. 61-90.

186

Amm. In Cat. 11,17 - 12,1 Busse.

187

Phil. In Cat. 9,12-15 Busse.

188

Simpl. In Cat. 11,30 Kalbfleisch e sgg.

189

Olymp. In Cat. 21,39 - 22,2 Busse.

190

David/Elias In Cat. Busse.

191Ibn Suwār, Note, 361,1 - 362,22 Georr.

192 V. Tafsīr 17,19-20 Ferrari: “Noi diciamo che il suo scopo in questo libro è la speculazione riguardo alle

espressioni che significano cose universali e le cose di cui vengono predicate le cose universali”. L'opinione in questione è attribuita dal commentatore arabo a Giamblico.

muḥassilūna)193 che sostengono posizioni erronee riguardo allo scopo delle Categorie. Le posizioni confutate da Avicenna sono sostanzialmente tre:

(1) La prima opinione errata (7,9 - 8,3) corrisponde all'incirca a quella canonica degli esegeti: ovvero al rifiuto di un'interpretazione puramente ontologica e l'affermazione che le Categorie si occupano delle espressioni in quanto significano le cose esistenti; o meglio, come dice Avicenna in questo luogo, degli esistenti in quanto sono significati dalle espressioni194. È chiaro per Avicenna che si tratta di un errore, perché i chiarimenti contenuti nelle Categorie hanno a che fare in primo luogo con gli esistenti nelle proprie modalità di esistenza, e soltanto in secondo luogo con il loro essere significati da espressioni semplici:

Le dimostrazioni che attestano il fatto che queste nove [categorie] siano accidenti non sono diverse dalle dimostrazioni che indicano gli stati della loro esistenza; non si trova una dimostrazione di ciò, a proposito di esse, in quanto esse sono indicate da espressioni semplici. Così è [anche] per quanto riguarda quelle altre discussioni195.

La posizione tradizionale dei commentatori mette insieme - indebitamente - due diversi punti di vista speculativi sulle realtà. Esse, infatti, possono essere considerate sia in quanto sono esistenti sia in quanto sono espresse, perché tutto ciò che ha un'esistenza (reale o mentale) ha un'espressione adeguata; nelle Categorie, tuttavia, viene prima di tutto la considerazione ontologica. Se le categorie dovessero essere intese da un altro punto di vista, ovvero in quanto espressioni dotate di proprietà che non hanno nessun tipo di declinazione esistenziale, si avrebbe il paradosso di un trattato che non ha significato in logica, per i motivi già indicati, ma che non rientra nemmeno nella filosofia naturale e nella metafisica; esse finirebbero dunque per essere una “cosa insignificante, un orpello superfluo, una sezione oscura” (amrun daqīqun wa-iḫrāğun laṭīfun wa-faṣlun ġāmidun).

(2) La seconda posizione confutata da Avicenna, “concettualistica”, è quella secondo cui le Categorie si occuperebbero di concetti o “nozioni” (ma‘ānī) in quanto sono riferiti a cose, ovvero, nelle sue parole:

193

Nell'Ilāhiyyāt dello Šifā’ “convalidanti” sono detti i filosofi e commentatori che hanno, appunto, “convalidato” il pensiero di Aristotele (fra questi Alessandro di Afrodisia e Temistio).

194Maqūlāt I 1, 7,10.

195 Maqūlāt I 1 7,11-13: Wa-laysati l-barāhīnu llatī tusaḥḥiḥu anna hādihi l-tis‘ata a‘rāḍun ġayra l-barāhīni

llatadullu ‘alā aḥwāli wuğūdi-hā; wa-lā yūğadu burhānun ‘alā dālika fī-hā min ḥaytu hiya madlūl ‘alay-hā bi-l- alfāẓi l-mufradati; wa-ka-dālika l-ḥālu fī tilka l-mabāḥiti l-uḫrā

[...] le realtà le cui nozioni nell'anima sono materie delle parti delle nozioni complesse composte, nell'anima, con la composizione mediante cui si giunge a comprendere le cose ignote, anche se qui non vi è assolutamente un'espressione196.

La confutazione è molto sintetica: se gli esegeti affermassero ciò, dice Avicenna, “essi non direbbero comunque nulla”197. Quel che probabilmente egli intende dire è che la posizione concettualistica non può essere formulata in questo modo, coinvolgendo direttamente lo scopo della logica (ovvero la composizione in vista della conoscenza di quel che è ignoto), senza mantenere un qualche riferimento alle espressioni. La logica si occupa infatti primariamente di espressioni, e benché ogni espressione sia associata a un concetto la composizione logica è in ultima analisi composizione di termini prima, e poi di enunciati. È fuori di dubbio, inoltre, che le Categorie si occupano in un certo senso di espressioni, anche se lo fanno soltanto in modo secondario. Non bisogna d'altra parte attaccarsi a questo dato per affermare che le Categorie siano un'opera puramente logica, come fanno coloro che Avicenna confuta per ultimi. Un'altra interpretazione possibile contempla una precisazione ironica da parte di Avicenna: se costoro, nell'interpretare le Categorie, rinunciassero del tutto alle espressioni non potrebbero parlare.

(3) L'ultima posizione, che Avicenna confuta alla fine del capitolo, subito dopo quella concettualistica, è proprio la seguente:

Quanto alla loro ostinazione sul fatto che questa sia un'indagine logica, e sul fatto che ciò dipenda dal fatto che [in essa] ci siano senz'altro delle espressioni, è un sofisma puro e semplice, e per questo si sono istupiditi e hanno sbagliato198.

Nel tradurre supplisco tra parentesi quadre “in essa”, per spiegare l'arabo alfāẓan (“ci sono delle espressioni”); non è certamente l'esistenza in assoluto di espressioni che giustificherebbe il carattere logico delle Categorie, quanto piuttosto il fatto che queste abbiano a che fare, a detta dello stesso Aristotele, con espressioni199.

In conclusione Avicenna attacca i fautori delle interpretazioni logica, logico-ontologica e concettualistica delle Categorie, per affermarne il carattere prevalentemente ontologico. Il

196

Maqūlāt I 1, 8,5-7: [...] al-umūru llatī ma‘ānī-hā fī l-nafsi hiya mawādu ağzā’i l-ma‘ānī l-murakkabati fī l- nafsi l-tarkība lladī yutawaṣṣilu bi-hī ilā idrāki l-mağhūlāti, wa-in lam yakun hunāka lafẓun al-battata [...]

197

Maqūlāt I 1, 8,7: la-kanū yaqūlūna ayḍan šay’an.

198

Maqūlāt 8,7-9: wa-ammā isrāru-hum ‘alā anna hādā baḥtun manṭiqiyyun, wa-anna hādā muta‘alliqun bi- anna alfāẓan lā maḥālata, fa-takallufun baḥtun, fa-li-dālika taballadū wa-taḥayyarū.

199

riferimento alle espressioni semplici non è eliminato del tutto, ma passa sicuramente in secondo piano a fronte della preponderanza dell'elemento ontologico.

1.2.2. L'utilità.

La risposta dei commentatori greci alla questione dell'utilità (τὸ χρήσιµον) consiste, solitamente, nel rilevare che le Categorie sono utili in quanto trattano delle espressioni semplici; come tali, esse costituiscono un punto di partenza irrinunciabile nello studio della logica, giacché mediante le espressioni si formano gli enunciati, e le concatenazioni di enunciati formano sillogismi e sillogismi dimostrativi200. Come tali, è legittimo che esse debbano essere lette prima del De interpretatione (teoria degli enunciati) e degli Analitici, primi e secondi (rispettivamente, sillogismi e dimostrazioni). La stessa idea si ritrova, in ambito arabo, nelle note di Ibn Suwār201 e nel commento di Ibn al-Ṭayyib202.

A rilievi come questi Avicenna risponde in modo indiretto, innanzitutto negando in modo esplicito che le Categorie, e le espressioni di cui in esse si tratta, siano utili rispetto alla logica; in secondo luogo affermando che lo studente di logica può passare direttamente dalla conoscenza dei predicabili a quella degli enunciati, senza apprendere le questioni discusse nel testo delle Categorie.

1.2.3. Lo statuto rispetto alla filosofia.

L'unico commentatore greco che ponga esplicitamente questa domanda è Simplicio, il quale afferma che le Categorie rientrano nella logica, ovvero nel µέρος ὀργανικόν (“parte strumentale”) della filosofia203; anche Ibn Suwār204 è di questa opinione, così come Ibn al- Ṭayyib205. Di questa opinione è anche Avicenna, il quale tuttavia ritiene che le categorie, a seconda di come sono considerate, possano rientrare nelle competenze di scienze diverse: in quanto espressioni nella grammatica o nella linguistica; in quanto concetti nella psicologia; in quanto realtà nella filosofia prima.

1.2.4 Il modo d'insegnamento.

200

Amm. In Cat. 13,3-11 Busse; Simpl. In Cat. 13,27 - 15,25 Kalbfleisch;

201

Ibn Suwār, Note, 362,23 - 363,4 Georr.

202

Ibn al-Ṭayyib, Tafsīr 26,11-21 Ferrari.

203Simpl. In Cat. 20,8-12 Kalbfleisch. 204

Ibn Suwār, Note, 364,7 Georr.

205

Il “modo d'insegnamento” è un κεφάλαιον che non appartiene alla tradizione greca a noi nota, ma che per contro compare nelle note di Ibn Suwār e nel commento di Ibn al-Ṭayyib. Il primo dei due identifica nelle Categorie tre modi di insegnamento, elencandoli molto sinteticamente: la definizione (al-maḥdūd, lett. “[il modo] riguardante l'oggetto di definizione”), la divisione (al-muqassim, lett. “il [modo] dividente”) e la dimostrazione (al- mubarhin, lett. “[il modo] dimostrante”)206. Ibn al-Ṭayyib, in modo più articolato, menziona

in tutto quattro modalità nella trattazione di Aristotele, nominando anche degli esempi per ciascuna di esse. La prima è quella della definizione ([al-naḥw] al-muḥaddid), la seconda quella della divisione ([al-naḥw] al-muqassim), la terza quella della dimostrazione ([al-naḥw] al-mubarhin), la quarta quella dell'analisi (ṭarīq al-taḥlīl).

Avicenna sembra rivolgersi contro questa dottrina dei commentatori arabi in modo radicale, negando totalmente che le Categorie abbiano a che fare con un ta‘līm (ovvero con un “insegnamento”). Delle varie modalità di trattazione prese in considerazione dagli esegeti, l'unica cui Avicenna fa riferimento è quella dimostrativa, senza la quale non si può dare una “scienza” propriamente detta e di cui nelle Categorie non c'è traccia.

1.3 Categorie in logica e in metafisica.

Data la radicalità con cui Avicenna, in Maqūlāt I 1, nega l'utilità delle categorie in ambito logico e la loro rilevanza teorica in ambito metafisico, occorre chiedersi perché ad esse sia consacrato un trattato tanto ampio, e che posizione questo trattato abbia nella struttura del Kitāb al-Šifā’. Se infatti, nelle opere avicenniane successive, la dottrina categoriale viene ricollocata entro la sezione logica delle summae (come nel Nağāt), completamente espunta da essa (nell'Išārāt) o integralmente trasferita in metafisica (nel Dānešnāme), nello Šifā’ essa è oggetto di ampia considerazione sia in logica sia in metafisica: quali sono, allora, i rapporti fra le due trattazioni? Se si guarda al terzo trattato della Metafisica (Ilāhiyyāt), dove Avicenna si propone di dimostrare l'accidentalità delle principali categorie accidentali, ovvero della quantità, della qualità e del relativo, un'affermazione di Avicenna permette di intendere la funzione che il secondo libro della logica svolge nel progetto complessivo dello Šifā’. Nell'introduzione al capitolo III 1 dell'Ilāhiyyāt, intitolato “Sull'indicazione di ciò che occorre indagare riguardo allo stato delle nove categorie e alla loro accidentalità” (Fī l-išārati ilā mā

206

yanbaġī an yubḥata ‘an-hū min ḥāli l-maqūlāti l-tis‘i wa-fī ‘araḍiyyati-hā), Avicenna presenta brevemente l'argomento del capitolo e del trattato:

Noi diciamo di aver già chiarito la quiddità della sostanza, e di aver chiarito [anche] che essa si predica di ciò che è separato, del corpo, della materia e della forma. [...] È opportuno, quindi, passare adesso ad accertare [l'essenza] degli accidenti e stabilire che essi [esistono]. Noi diciamo che, per quanto riguarda le dieci categorie, hai già appreso le loro quiddità in apertura della [parte] logica207.

In questo passo vi è dunque un chiaro riferimento al Maqūlāt, come alla sezione della logica in cui le categorie sono state considerate nella loro quiddità. Lo scopo dell'accertamento condotto da Avicenna nell'Ilāhiyyāt, benché non tralasci di considerare l'essenza delle categorie208, consiste eminentemente nello stabilire la loro accidentalità (‘araḍiyya): ovvero nel dimostrare che esse esistono al modo dell'accidente, come qualcosa che esiste in un soggetto senza potersene separare. Anche in successivi capitoli del Maqūlāt Avicenna afferma che la natura accidentale delle categorie diverse dalla sostanza deve essere accertata altrove, com'è ad esempio il caso della quantità:

La prima cosa che dobbiamo indagare riguardo allo stato della quantità, se è possibile [farlo] e se l'indagine lo ammette, è se essa sia una sostanza o un accidente [...]. Noi diciamo che l'accertamento di queste cose rientra in ciò di cui il logico non si fa carico, ma bisogna che il logico prenda ciò che diciamo come tale; la prova di ciò per lui sarà in un'altra disciplina209.

Allo stesso modo per il relativo:

207 Ilāhiyyāt III 1, 93,5-11: Fa-naqūlu inna bayyannā māhiyyata l-ğawhari, wa-bayyannā anna-hā maqūlatun

‘alā l-mufāriqi, wa-‘alā l-ğismi, wa-‘alā l-māddati, wa-‘alā l-ṣūrati. [...] Fa bi-l-ḥariyyi an nantaqila l-āna ilā taḥqīqi l-a‘rāḍi wa-itbāti-hā. Fa-naqūlu: ammā l-maqūlātu, fa-qad tafahhamta māhiyyata-hā fī ftitāḥi l-manṭiqi (Trad. italiana di A. Bertolacci: Le cose divine, cit., p. 276).

208

Ilāhiyyāt III 1, 95,13-15: “Noi, quindi, dobbiamo chiarire prima di tutto che le estensioni e i numeri sono accidenti, e poi, dopo di ciò, occuparci della soluzione delle difficoltà che costoro hanno sollevato. Ma prima di questo dobbiamo far conoscere l'essenza delle specie della quantità. La cosa più opportuna [a questo proposito] è far conoscere la natura dell'unità” (Fa-yağibu ‘alay-nā awwalan an nubayyina: anna l-maqādīra wa-l-a‘dādu a‘rāḍun, tumma naštaġilu ba‘da dālika bi-ḥalli l-šukūki llatī li-hā’ulā’i. Wa-qabla dālika yağibu an nu‘arrifa ḥaqīqata anwā‘i l-kammiyyati, wa-l-awlā bi-nā an nu‘arrifa ṭabī‘ata l-waḥdati [...]. Trad. italiana di A. Bertolacci: Le cose divine, cit., p. 279).

209

Maqūlāt III 4, 112,16 - 113,2: Wa awwalu mā yağibu an nabḥata ‘an-hū min ḥāli l-kammiyyati, in amkana wa-kāna l-baḥtu yaḥtamilu-hū, huwa anna-hā ğawharun aw ‘araḍun. [...] Fa-naqūlu inna taḥqīqa hādihi l- ašyā’i mim-mā lā yatakallafu l-manṭiqiyyu, bal yağibu an ya’ḫuda l-manṭiqiyyu mā naqūlu-hū aḫdan, wa- yakūnu bayānu-hū la-hū fī ṣinā‘atin uḫrā.

Non spetta al logico stabilire il relativo, e chiarire il suo stato rispetto all'esistenza e alla concettualizzazione; chi se ne occupa forzatamente si è occupato di ciò che non lo riguarda, e di ciò di cui egli non si fa carico in quanto è logico210.

La trattazione in logica delle categorie sembra dunque avere, in fin dei conti, un'utilità nella misura in cui ne determina le quiddità, in via preliminare rispetto alla discussione dello statuto della loro esistenza in Metafisica. Questo, d'altra parte, corrisponde alla concezione avicenniana della metafisica come scienza dell'esistente in quanto esistente e disciplina fondativa delle altre scienze, che si occupa di accertare i principi di queste in quanto essi sono esistenti211.

210

Maqūlāt IV 3, 143,15-16: Wa-laysa ‘alā l-manṭiqiyyi itbātu l-muḍāfi wa-bayānu ḥāli-hī fī l-wuğūdi wa-l- taṣawwuri; wa-man yatakallafu dālika fa-qad takallafa mā lā ya‘nī-hu wa-lā yaštaġilu bi-hī min ḥaytu huwa manṭiqiyyun.

211

V. A. Bertolacci, The Reception of Aristotle's Metaphysics, op. cit., pp. 265-302, in particolare pp. 267-284. Sulla lettura ontologizzante della logica da parte di Avicenna, v. anche A. Bertolacci, The “ontologization” of logic. Metaphysical themes in Avicenna’s reworking of the Organon, in Methods and Methodologies. Aristotelian Logic East and West 500-1500, ed. M. Cameron, J. Marenbon, Brill Leiden-Boston 2011, pp. 27-51

2. Omonimi, sinonimi, paronimi.

2.1. Cat., 1 nella tradizione esegetica greca e araba.

Col secondo capitolo del primo trattato Avicenna inizia la parafrasi vera e propria del testo di Aristotele, concentrandosi sul capitolo 1 (Cat. 1a1-15). Queste prime quindici righe delle Categorie contengono una classificazione delle realtà basata sulle relazioni fra i loro nomi e le loro definizioni:

Si dicono omonime le cose di cui solo il nome è comune, ma la definizione corrispondente al nome è diversa: ad esempio animale è detto l'uomo e il dipinto. Di questi infatti soltanto il nome è comune, ma la definizione corrispondente al nome è diversa. Ché, se si esplicasse che cos'è per ciascuno di essi l'essere animale, si darà una definizione propria di ciascuno. Si dicono sinonime le cose delle quali il nome è comune e la definizione corrispondente al nome è la medesima: ad esempio è detto animale l'uomo e il bue. Infatti ciascuno di questi è chiamato animale con un nome comune, e la definizione è la stessa. Ché, se si esplicasse la definizione di ciascuno, che cos'è per ciascuno di essi l'essere animale, si darà la medesima definizione. Si dicono paronime tutte quelle cose che, differendo per il caso, derivano da qualcosa la loro denominazione, corrispondente al nome [di quella cosa]: ad esempio, dalla grammatica il grammatico e dal coraggio il coraggioso.212

“Omonimia” indica, dunque, una forma di comunanza tra enti, consistente nella sola condivisione del nome, alla quale corrisponde sostanzialmente una differenza ontologica. "Uomo" e "[uomo/animale] dipinto" (γεγραµµένον) sono detti entrambi "animali", ma appartenendo a generi (prossimi e remoti) diversi non condividono determinazioni essenziali. Sono dunque detti «omonimi»: hanno il medesimo nome, e nient'altro. In secondo luogo «sinonimia» è la proprietà attribuibile a cose di cui si può predicare con verità un medesimo nome, perché hanno la stessa definizione - anche se sarebbe più preciso dire, alla luce dell'esempio qui usato da Aristotele: condividono almeno una determinazione essenziale. Infatti, per esempio, l'uomo e il bue appartengono allo stesso genere "animale", pertanto l'espressione analitica della loro essenza è identica fino al genere "animale" (senza includere

212

Cat. 1a 1-15; traduzione italiana di M. Zanatta (Ὁµώνυµα λέγεται ὧν ὄνοµα µόνον κοινόν, ὁ δὲ κατὰ τοὔνοµα λόγος τῆς οὐσίας ἕτερος, οἷον ζῷον ὅ τε ἄνθρωπος καὶ τὸ γεγραµµένον· τούτων γὰρ ὄνοµα µόνον κοινόν, ὁ δὲ κατὰ τοὔνοµα λόγος τῆς οὐσίας ἕτερος· ἐὰν γὰρ ἀποδιδῷ τις τί ἐστιν αὐτῶν ἑκατέρῳ τὸ ζῴῳ εἶναι ἴδιον ἑκατέρου λόγον ἀποδώσει. συνώνυµα δὲ λέγεται ὧν τό τε ὄνοµα κοινὸν καὶ ὁ κατὰ τοὔνοµα λόγος τῆς οὐσίας ὁ αὐτός, οἷον ζῷον ὅ τε ἄνθρωπος καῖ ὁ βοῦς· τούτων γὰρ ἑκάτερον κοινῷ ὀνόµατι προσαγορεύεται ζῷον, καὶ ὁ λόγος δὲ τῆς οὐσίας ὁ αὐτός· ἐὰν γὰρ ἀποδιδῷ τις τὸν ἑκατέρου λόγον τί ἐστιν αὐτῶν ἑκατέρῳ τὸ ζῳῳ εἶναι, τὸν αὐτὸν λόγον ἀποδώσει. παρώνυµα δὲ λέγεται ὅσα ἀπό τινος διαφέροντα τῇ πτώσει τὴν κατὰ τοὔνοµα προσηγορίαν ἔχει, οἷον ἀπὸ τῆς γραµµατικῆς ὁ γραµµατικὸς καὶ ἀπὸ τῆς ἀνδρείας ὁ ανδρεῖος).

la specie). Paronimia, infine, delle tre nozioni, è in apparenza la più difficile da applicare alle cose, perché direttamente ricalcata su derivazioni grammaticali (quelle cui Aristotele fa riferimento come πτώσεις); ma, dal punto di vista delle relazioni essenziali, pare adatta a descrivere rapporti intercorrenti non fra membri di medesime specie e generi, ma piuttosto rapporti, come ad esempio tra la specie e gli enti che vi appartengono (nella categoria di qualità, il "coraggioso" come accidente individuale rispetto al "coraggio" come specie).

Nel commentare questo primo capitolo delle Categorie Avicenna presenta, alla stregua di Aristotele, un catalogo degli enti, che appare tuttavia notevolmente ampliato rispetto alla classificazione originaria. In questo è molto evidente l'influenza della tradizione esegetica, innanzitutto greca, che cerca di completare la sommaria presentazione di Aristotele includendovi specie di omonimia lasciate da parte, oppure varietà menzionate in altre opere dello stesso filosofo. Caratteristica dei commenti tardo-antichi, infatti, è l'aggiunta dei casi non contemplati da Aristotele: quello dei “polionimi” (πολυώνυµα), ovvero le cose che hanno una stessa definizione e nomi diversi, e degli “eteronimi” (ἑτερώνυµα), ovvero le cose che non hanno in comune né il nome né la definizione213. Un altro elemento ricorrente nelle espansioni degli esegeti greci è rappresentato dalla relazione πρὸς ἕν (“in riferimento a una cosa sola”), esposta da Aristotele in Metafisica Γ 2 per spiegare il comportamento dell'ente:

L'essere si dice in molteplici modi, ma sempre in riferimento ad una unità e ad una realtà determinata [πρὸς ἓν καὶ µίαν τινὰ φύσιν]. L'essere, quindi, non si dice per mera omonimia, ma nello stesso modo in cui diciamo «sano» tutto ciò che si riferisce alla salute: o in quanto la conserva, o in quanto la produce, o in quanto ne è sintomo, o in quanto è in grado di riceverla; [...] Così, dunque, anche l'essere si dice in molti sensi, ma tutti in riferimento ad un unico principio: alcune cose sono dette esseri perché sono sostanza, altre perché vie che portano alla sostanza, oppure perché corruzioni, o privazioni, o qualità, o cause produttrici o generatrici sia della sostanza, sia di ciò che si riferisce alla sostanza, o perché negazioni di qualcuna di queste, ovvero della sostanza medesima.214

I commentatori greci, a partire da Porfirio215, includono la relazione πρὸς ἕν tra le varietà