11, 13b 36 - 14a 25.
III.
Maqūlāt, primo trattato: Antepraedicamenta I (Cat. 1-2, 1a 1 - 1b 9).
1. Lo scopo delle Categorie.
1.1 La dottrina avicenniana.
In linea con la tradizione esegetica greca e araba, che antepone alla discussione dei singoli scritti aristotelici dei prolegomena di vario argomento165, Avicenna dedica il primo capitolo del suo trattato sulle Categorie («Sullo scopo delle Categorie», Fī ġaraḍ al-maqūlāt) a considerazioni generali sull'oggetto dell'opera e sulla sua collocazione nelle scienze. Il titolo del capitolo, come tale, è ambiguo: l'arabo maqūlāt può riferirsi sia al nome del trattato, che tuttavia anche nel testo avicenniano è menzionato, poco sotto, con il titolo Qāṭīġūryās166, sia alla dottrina categoriale in sé. Si tratta più probabilmente di un riferimento all'opera di Aristotele, come mostra l'effettiva enunciazione dello scopo verso la fine del capitolo:
Bisogna che tu abbia chiaro che lo scopo in questo libro è che tu ti convinca, in modo supposto e accettato [senza prova], che ci sono dieci cose, che questi sono dei generi sommi che abbracciano gli enti, e che vengono designati da espressioni semplici; e bisogna che tu sappia che uno di essi è sostanza, e che i nove rimanenti sono accidenti, senza che ti venga dimostrato che i nove sono accidenti, ma è necessario che tu lo accolga in qualche modo.167
Lo scopo di questo trattato consiste dunque, secondo Avicenna, nel fornire un'esposizione informativa e non dimostrativa della dottrina dei sommi generi. Il capitolo I 1 presenta e
165Cfr. I. Hadot, Commentaire, cit., Fasc. I, pp. 21-47. 166
Maqūlāt I 1, 4,21: “[...] i generi sommi, che è invalso l'uso di denominare “categorie” (maqūlāt), e alle quali [è invalso l'uso di] dedicare un libro, in apertura della scienza della logica, che viene chiamato Qaṭīġūryās”.
167
Maqūlāt I 1, 6,17-20: fa-yağibu an tataḥaqqaqa anna l-ġaraḍa fī hādā l-kitābi huwa an ta‘taqida anna umūran ‘ašaratan hiya ağnāsun ‘āliyatun taḥwī l-mawğūdāti, wa-‘alay-hā taqi‘u l-alfāẓu l-mufradu ‘tiqādan mawḍū‘an musallaman, wa-an ta‘lima anna wāḥidan min-hā ğawharun wa anna l-tis‘ata l-bāqiya a‘rādun, min ġayri an yubarhana la-ka anna l-tis‘ata a‘rāḍun, bal yağibu an taqbala-hū qubūlan.
dimostra questo assunto a partire da una discussione dell'oggetto dell'opera, e della collocazione di questa nell'ambito della logica; discussione che, come si vedrà, non è esente da ambiguità.
L'argomentazione del capitolo è strutturata come segue: [1] le espressioni semplici, ovvero le parole, hanno certi “stati” che è fondamentale apprendere in funzione degli scopi della logica (3,8 - 4,14); [2] le espressioni di cui si parla nelle Categorie aristoteliche, per contro, hanno “stati” che sono privi di un'utilità vera e propria in logica, ma riguardano perlopiù altre scienze (4,15 - 5,17), seppur con qualche eccezione (5,17 - 6,8); [3] ma è proprio in virtù di queste eccezioni che si può dire che le Categorie rientrino nella logica (6,8- 9). [4] Una peculiarità di questo trattato aristotelico consiste nel fatto che esso non abbia un contenuto propriamente scientifico o dimostrativo; le principali questioni discusse dagli interpreti in relazione alle Categorie saranno trattate in modo sistematico solamente in altre discipline. [5] Il capitolo si chiude, dopo una breve sezione aporetica, con una dichiarazione di intenti da parte di Avicenna.
[1] Le prime righe del capitolo richiamano quanto già detto nel primo libro della logica, il Madḫal, ossia la rielaborazione avicenniana dell'Isagoge di Porfirio. In questo trattato si è parlato degli “stati” (aḥwāl) delle espressioni semplici (al-alfāẓ al-mufrada) che è necessario prendere in considerazione per studiare la logica: si tratta dei cinque predicabili (genere, specie, differenza, proprio, accidente), i quali rappresentano diversi gradi di “essenzialità e accidentalità” la cui distinzione è molto utile per il metodo della logica168. Questo metodo consiste [1] nella composizione di argomenti (cioè sillogismi, qiyāsāt) e dimostrazioni (barāhīn) a partire da espressioni isolate e [2] nelle pratiche della definizione (taḥdīd) e della divisione (qisma). L'utilità di questi stati diviene chiara se si considera brevemente quale sia, per Avicenna, lo statuto della scienza della logica. Nei capitoli secondo, terzo e quarto del primo trattato del Madḫal Avicenna esamina, nell'ordine, la posizione della logica rispetto alle altre scienze, la sua utilità e il suo oggetto. La logica, insieme parte e strumento della filosofia169, è scienza che permette all'uomo, desideroso di perfezionare la propria conoscenza e conseguire la felicità, di apprendere ciò che è ancora ignoto a partire dal già noto, mediante l'esercizio della “concettualizzazione” (taṣawwur) e dell'“asseverazione” (taṣdīq). Questi ultimi sono due fondamentali modi di conoscenza che consistono, rispettivamente,
168
Il genere, la specie e la differenza, infatti, sono attributi che esprimono l'essenza di ciò di cui vengono predicati, mentre l'accidente comune e il proprio costituiscono determinazioni logiche non essenziali o “accidentali”.
169
La questione se la logica debba essere o meno considerata parte o strumento della filosofia costituisce un τόπος nella tradizione esegetica dell'Isagoge di Porfirio. Avicenna si occupa della questione nel Madḫal,
nell'interiorizzazione a livello mentale delle nozioni o essenze delle cose e, per così dire, nell'attribuzione di un valore di verità alle relazioni fra le cose170. Per “concettualizzare” occorre definire, per “asseverare” o “assentire” occorre costruire proposizioni e dimostrazioni; da qui le due operazioni di cui si occupa lo studioso di logica. Il punto di partenza di entrambe le operazioni è la conoscenza delle espressioni semplici, ossia la conoscenza delle parole; queste, tuttavia, non vengono considerate dal logico in quanto parole, come fa ad esempio il grammatico, ma soltanto in quanto esse sono suscettibili di acquisire certi “stati”, vale a dire in quanto possono esprimere determinate nozioni. Nella Metafisica dello Šifā’ il soggetto della logica è identificato con le “intenzioni intelligibili seconde” (al-ma‘ānī l-ma‘qūla l-tāniya)171, ossia con nozioni astratte che fanno riferimento ad altre nozioni, considerate non in quanto hanno esistenza mentale o intelligibilità, bensì solo in quanto sono utili a formare discorsi.
[2] Fino a questo punto, non è chiaro quale debba essere lo “stato” delle espressioni semplici che è trattato nelle Categorie. Le categorie in quanto tali sono, infatti, dei generi, e come tali dovrebbero rientrare nella considerazione della logica; allo stesso modo le specie di quei generi, e le specie delle specie, e tutte le altre espressioni (compresi gli individui) che vengono classificate da Aristotele in questo trattato. Avicenna, tuttavia, ritiene che le Categorie si occupino delle espressioni semplici in quanto esse esprimono un modo di esistenza, sostanziale o accidentale. Come tali, queste espressioni non hanno particolare utilità in logica, perché il logico non è interessato alla modalità di esistenza degli enti; pertanto non si cura delle sostanze e degli accidenti, nemmeno laddove esse vengano considerate in quanto sono generi, specie o individui. Scrive infatti Avicenna in Maqūlāt I 1, dopo aver concluso l'iniziale sommario del Madḫal:
Le espressioni semplici hanno anche altri stati, e questi consistono nell'espressione delle realtà esistenti secondo una delle due esistenze che abbiamo chiarito allorché abbiamo indicato il soggetto della logica. Non è assolutamente necessario conoscere quegli [stati], intendo dire affinché apprendiamo la disciplina logica, e non è nemmeno simile al necessario, né (a) dal punto di vista del
170
Il contributo fondamentale sulla questione è senz'altro l'articolo di H.A. Wolfson, 'The Terms Tasawwur and Tasdiq in Arabic Philosophy and Their Greek, Latin and Hebrew Equivalents', in I. Twersky and G.H. Williams (eds) Studies in the History and Philosophy of Religion, Cambridge, MA: Harvard University Press, vol. 1, 1973, pp. 478-92.
171
Ilāhiyyāt I 2, 10,17-18. Le intenzioni seconde sono nozioni secondarie e astratte che si basano su nozioni prime, tratte direttamente dalle realtà esistenti. Sulla concezione avicenniana dell'oggetto della logica v. anche il classico articolo di ‘A. Sabra, Avicenna on the Subject Matter of Logic, «Journal of Philosophy» 77 (1980), pp. 757-64.
loro esprimere individui particolari; infatti questo è fra le cose che non sono assolutamente utili ad alcuna scienza, per non parlare della logica; né (b) è utile dal punto di vista del loro esprimere le specie; perché questa è una cosa da cui nessuno è aiutato nella disciplina logica, e la disciplina logica è completa a prescindere da ciò; né (c) è utile dal punto di vista del loro designare i generi sommi, che è invalso l'uso di denominare “categorie” [...]172.
La prima frase di questo passo rimanda a un luogo di Madḫal I 4 (Sul soggetto della logica), dove Avicenna confuta la tesi, sostenuta da alcuni, secondo cui la logica si occuperebbe di “espressioni significanti nozioni” (al-alfāẓ dālla l-ma‘ānī). Questa posizione è erronea, perché procede da una scorretta distinzione delle modalità di esistenza. L'esistenza, infatti, si può dare o nella realtà o nella mente; ma non tutto ciò che è esistente nella mente esiste anche nella realtà (come è presupposto da chi sostiene la posizione erronea), e la logica si occupa specificamente di nozioni che non hanno un corrispettivo nella realtà, giacché vengono concettualizzate ex novo173. In Madḫal I 4 si trova, pertanto, una duplice distinzione “fra due tipi di esistenza”: quella fra (i) esistenza mentale ed (ii) esistenza extramentale, e quella fra (a) esistenza mentale corrispondente a una realtà esterna e (b) esistenza mentale non corrispondente a una realtà esterna. Avicenna parla, nel Maqūlāt, dell’esistenza extramentale, come attesta anche il fatto che in seguito egli confuti espressamente un’interpretazione “concettualistica” delle Categorie. Gli stati delle espressioni semplici discussi nelle Categorie di Aristotele hanno dunque a che fare con l'espressione di realtà esistenti, e con le proprietà che appartengono all'esistenza di queste realtà.
172
Maqūlāt I 1, 4,15-21: Wa-li-l-alfāẓi l-mufradati aḥwālun uḫrā wa-hiya dallālatu-hā ‘alā l-umūri l- mawğūdati aḥada l-wuğūdayni lladīna bayyannā-humā ḥīna ‘arrafnā mawḍū‘a l-manṭiqi. Wa-lā ḍarūratan al- battata ilā ma‘rifati tilka, a‘nī fī an nata‘allama ṣinā‘ata l-manṭiqi, wa-lā šibha ḍarūratin, lā min ğihati ḥāli dallālati-hā ‘alā l-ašḫāṣi l-ğuz’iyyati; fa-inna dālika mim-mā lā yantafi‘u bi-hī fī šay’in mina l-ulūmi aṣlan, faḍlan ‘ani l-manṭiqi, wa-lā min ğihati ḥāli dallālati-hā ‘alā l-anwā‘i; li-anna hādā amrun lam ya‘in bi-hī aḥadun fī ṣinā‘ati l-manṭiqi, wa-tammat ṣin‘atu l-manṭiqi dūna dālika, wa-lā min ğihati hāli dallālati-hā ‘alā l- ağnāsi l-‘āliyati, llatī ğarrati l-‘ādatu bi-tasmiyati-hā maqūlāt [...].
173
“E riguardo a ciò alcuni si sono rivelati inetti e sono stati confusi soltanto a causa del fatto che essi non hanno desunto veramente il soggetto della logica e la classe degli enti che le sono propri; giacché hanno trovato [che] l'esistenza [può essere] in due modi: può essere, [infatti,] [(a)] l’esistenza delle cose esternamente o [(b)] la loro esistenza nella mente [...] e non distinsero in modo tale da sapere che le realtà che sono nella mente sono [(a)] realtà che sono state concettualizzate nella mente essendo state acquisite dalla [realtà] esterna oppure [(b)] realtà cui accade, in quanto sono nella mente, che non corrisponda loro una realtà esterna. La conoscenza di queste due realtà pertiene a una disciplina, poi una delle due realtà diviene soggetto della disciplina della logica rispetto a un accidente che le accade. Quanto a quale essa sia di queste due realtà, questa è [quella contemplata dal] secondo caso; quanto, invece, a quale accidente accada, esso è [l’accidente] che conduce al realizzarsi nell’anima di un’altra forma intelligibile che non vi era [in precedenza], oppure che è utile a [far giungere a] questo risultato, oppure che è ciò che impedisce [di giungere a] quel risultato” (Madḫal I 4, 23-24; traduzione italiana di S. Di Vincenzo).
[3] La conseguenza che Avicenna trae dall'inutilità di questi stati delle espressioni è la seguente: lo studente di logica non ha nessun particolare interesse ad apprendere le minuzie della dottrina categoriale, e tutti i problemi connessi. Egli può passare, nel suo apprendimento della disciplina, direttamente dalla conoscenza dei predicabili, appresa nell'Isagoge, a quella degli enunciati, appresa nel De interpretatione. Le espressioni considerate nelle Categorie sembrano rientrare piuttosto nelle competenze e nelle prerogative di altre scienze: in quanto indicano modalità di esistenza, esse sembrano rientrare piuttosto nella filosofia prima (ossia nella metafisica); se considerate in quanto concettualizzazioni, non devono rientrare nella logica, ma in una “zona liminare” (ḥadd) della scienza naturale che si avvicina alla filosofia prima (ossia nella psicologia); se considerate in quanto espressioni, semplicemente, devono rientrare nella grammatica.
Il ripensamento del rapporto delle Categorie con la scienza logica non è, tuttavia, radicale. Avicenna ammette che la dottrina delle categorie possa fornire al logico un qualche tipo di supporto: le descrizioni e le proprietà delle categorie, come indicate da Aristotele nel suo trattato, possono essere utilizzate per individuare, nel caso di definizioni incerte, il corretto genere di appartenenza di una nozione specifica. È per questo motivo che, nonostante la forte ambiguità del loro oggetto, Avicenna è indotto ad includere lo stesso le Categorie in logica:
Bisogna, dunque, che tu non trascuri questa capacità [scil. quella di definire correttamente sulla base delle descrizioni delle categorie] per la tua aspirazione a quest'arte [scil. la logica], e che tu sia certo che essa rientri nella disciplina della logica174.
[4] D'altro canto, quale che sia l'oggetto della loro trattazione, secondo Avicenna le Categorie sono state scritte da Aristotele non “secondo il modo dell'insegnamento” (‘alā sabīli l-ta‘līmi), ma “secondo il modo della convenzione e dell'assenso acritico” (‘alā sabīli l- waḍ‘i wa-l-taqlīdi). Questo riferimento al taqlīd175 può essere letto in due modi: o come
indicante un'adesione acritica di Aristotele, nel trattare delle categorie, a una tradizione consolidata176, o come indicante la necessità di un'accettazione passiva, da parte del lettore e
174
Maqūlāt I 1, 6,8-9: Fa-yağibu an lā tatağāwaza hādā l-qadra bi-ṭama‘i-ka fī hādā l-fanni, wa-an tatayaqqana anna-hū daḫīlun fī ṣinā‘ati l-manṭiqi.
175
Rendo questa espressione con la locuzione “assenso acritico”: v. la spiegazione di Lane (Arabic-English Lexicon, cit., vol. 7, p. 85: “al-taqlīd means a man's following another in that which he says or does, firmly believing him to be right therein, without regard or consideration of the proof or evidence”).
176 Questa affermazione, del resto, non sarebbe del tutto inspiegabile: Avicenna potrebbe avere in mente certe
fonti (come i commenti di Giamblico o di Simplicio) che identificano nel pitagorico Pseudo-Archita un antesignano di Aristotele. V. cap. I, par.
dello studente, delle dottrine contenute nel trattato. D'altro canto un'interpretazione non esclude l'altra: la conseguenza, in ambo i casi, è che le Categorie non hanno carattere dimostrativo, bensì soltanto “informativo”.
Avicenna menziona a questo punto i principali insegnamenti che è possibile trarre dall'opera aristotelica: la distinzione fra sostanza e accidenti, la natura accidentale di certe proprietà, il modo in cui certe proprietà si relazionano a certe espressioni (se come nomi “ambigui”, oppure sinonimamente come generi, oppure omonimamente)177. Tutti questi argomenti saranno effettivamente dimostrati da altre discipline: nello specifico, l'accidentalità della quantità, della qualità e della relazione sarà discussa da Avicenna in modo “scientifico” soltanto nel terzo trattato dell'Ilāhiyyāt178. Lo studente, apprendendo queste dottrine nelle Categorie, non può dunque fare altro che accettarle senza che esse vengano dimostrate.
[5] Alla fine del capitolo, senza annunciare né sintetizzare il contenuto dei capitoli successivi, Avicenna dichiara soltanto quanto segue:
Per quanto riguarda noi, diciamo ciò che abbiamo detto, poi seguiremo il metodo dei più la loro consuetudine, conformemente a loro o distanziandocene. Diciamo che questo libro, e il fatto che sia anticipato [in logica] nonostante il non essere di grande utilità, è talvolta anzitutto nocivo; sì che l'anima della maggior parte di coloro che ho osservato si è confusa a causa della lettura di questo libro [...].179.
Questo passo spiega “programmaticamente” quale sarà l'approccio di Avicenna al testo di Aristotele e alla tradizione di commento: seguire l'uso dei più, ovvero commentare le Categorie secondo certi schemi esegetici, avendo tuttavia l'intenzione di distaccarsi da questi ove necessario. La posizione del testo in logica, oltre all'ambiguità del suo oggetto, hanno infatti ingenerato errori irrimediabili che è necessario evitare. Fra questi Avicenna si riferisce senz'altro alla confusione fra “accidente” e “accidentale”, ovvero fra accidente in senso ontologico e accidente logico/predicabile, che sarà esaminata compiutamente nel successivo capitolo I 3180.
177
Sul significato della nozione di “nome ambiguo” (ism mušakkik) vedi infra, par. 2.2.
178
V. ad esempio, i capitoli III 7 sull'accidentalità della quantità e il capitolo III 10 sul relativo.
179
Maqūlāt I 1, 8,10-15: Wa-ammā naḥnu, fa-naqūlu mā qulnā-hu tumma natba‘u minhāğa l-qawmi wa-‘ādata- hum, ša’nan aw bayyinan, wa-naqūlu inna hādā l-kitāba wa-taqdīmu-hū, ma‘a anna-hū laysa bi-katīri l-naf‘i, fa-inna-hū rubbamā ḍarra fī bādi’i l-amri; fa-mā aktaru man šāhadtu-hū qad tašawwašat nafsu-hū bi-sababi qira’āti-hi hādā l-kitāba [...].
180
In conclusione, dunque, Avicenna include le Categorie nella logica, seppur con qualche riserva. Le riserve sono dettate (1) dal fatto che l'utilità del trattato di Aristotele in relazione allo scopo della logica sia poco significativa, e (2) dal fatto che in esse siano trattate, benché in modo non-dimostrativo e asistematico, questioni pertinenti ad altre discipline. Nel paragrafo successivo, indagando la breve sezione aporetica che chiude il capitolo in rapporto agli esegeti precedenti, mostrerò che Avicenna sembra propendere per un'interpretazione ontologica delle Categorie.
1.2 La tradizione esegetica.
La questione dello “scopo” (σκοπός) delle Categorie rientra nei sei argomenti (o κεφάλαια, “capitoli”) che nei commenti alessandrini vengono discussi in via preliminare rispetto all'esegesi vera e propria del trattato181. Tutti questi punti vengono esaminati anche in
alcuni dei commenti arabi a noi noti: le glosse di Ibn Suwār e il Tafsīr di Ibn al-Ṭayyib. Gli argomenti sono messi a confronto nella seguente tabella:
Ammonio, Filopono, Simplicio, Olimpiodoro, David/Elias182
Ibn Suwār183 Ibn al-Ṭayyib184
1. ὁ σκοπός (lo scopo); 2. τὸ χρήσιµον (l'utilità);
3. ἡ τῆς ἐπιγραφῆς αἰτία (la ragione del titolo);
4. ἡ τἀξις τῆς ἀναγνώσεως (l'ordine di lettura); 5. τὸ γνήσιον (l'autenticità); 6. ἡ εἰς τὰ κεφάλαια διαίρεσις (la divisione in capitoli); [7. ὑπὸ ποῖον µέρος αὐτοῦ τῆς φιλοσοφίας ἀνάγεται (a quale 1. ġaraḍ (scopo) 2. manfa‘a (utilità) 3. sima (titolo) 4. wāḍi‘u (autore) 5. martaba (ordine)
6. al-naḥwu lladī yasta‘milu-hū