5.2.2 La deduzione avicenniana delle categorie.
La deduzione delle categorie compiuta da Avicenna in prima persona rielabora quella dell'anonimo commentatore arabo, correggendola e ampliandola notevolmente. Alla stregua di quella precedente, essa mantiene la relazionalità o meno delle proprietà accidentali come criterio principale per la loro differenziazione, anche se diversamente da quella cerca di approfondirne più dettagliatamente le caratteristiche. Viene anche abbandonata, sostanzialmente, la scansione in triadi, che come si è visto è ritenuta da Avicenna né più né meno di un orpello retorico.
La prima divisione dell'“accidente”, per Avicenna, consiste in una dicotomia fra l'accidente “la cui concettualizzazione necessita della concettualizzazione di una cosa esterna rispetto al suo soggetto” ([al-‘araḍu] yuḥwiğu taṣawwuru-hū ilā taṣawwuri šay’in ḫāriğin ‘ani l-mawḍū‘i la-hū), vale a dire l'accidente relazionale, e l'accidente “[la cui concettualizzazione] non necessita di ciò” ([al-‘araḍu] lā yuḥwiğu ilā dālika), vale a dire l'accidente non relazionale. Il primo genere di cui Avicenna si occupa estesamente è quello non-relazionale (83,7 - 84,8), genere che consta di tre “modi”.
5.2.2.1 L'accidente non-relazionale.
Entro il gruppo degli accidenti non-relazionali si danno due possibilità: o l'accidente non ha assolutamente bisogno di una relazione con qualcos'altro, oppure esso ha bisogno di una certa relazione, che pure non è intrattenuta con un ente esterno. Il secondo caso corrisponde a quello della categoria della posizione, che come nella “divisione nota” anonima è la prima ad essere enumerata. La posizione, infatti, richiede in un certo senso una relazionalità “interna”, nella misura in cui essa consiste nel rapporto che alcune parti di un soggetto (ad esempio, un corpo) intrattengono con altre parti di esso.
Si veda, a questo proposito, la definizione che Avicenna dà della posizione in Maqūlāt VI 6:
Quanto alla “posizione”, ti è già risultato chiaro che essa è un nome che è detto di più significati, e che quello che corrisponde alla categoria è [quello di] una disposizione che si realizza nella
completezza o nell'insieme, in virtù di una relazione che accade fra le sue parti e le direzioni delle sue parti [...].499
La quantità e la qualità invece, diversamente dalla posizione, possono essere concettualizzate senza che vi sia bisogno di concettualizzare, insieme ad esse, una relazione con qualche ente esterno: sono accidenti, si potrebbe dire, concettualizzati di per sé.
Prima di concludere la sezione relativa alla “prima divisione”, Avicenna esamina e precisa brevemente i rapporti che sussistono tra la quantità e la posizione. Ciò non stupisce: il problema delle connessioni fra le due categorie si pone, in effetti, specialmente in virtù del fatto che Aristotele faccia riferimento a una “posizione” o “disposizione” delle parti nel distinguere le specie della quantità. Egli, infatti, introduce due divisioni delle quantità: la prima in “quantità discreta” (ποσόν διωρισµένον) e “quantità continua” (ποσὸν συνεχές), la seconda in quantità “le cui parti hanno una posizione reciproca” e quantità le cui parti non hanno posizione reciproca500. Benché in greco l'ambiguità non sia forte, perché il termine utilizzato da Aristotele per indicare la categoria di posizione è κεῖσθαι501, mentre nella descrizione della quantità il termine che indica la “posizione” o “disposizione” è θέσις, la traduzione araba di Isḥāq utilizza per i due vocaboli parole derivanti dalla stessa radice (w-ḍ- ‘): mawḍū‘, “posto”/“dotato di posizione” per κεῖσθαι e waḍ‘, “posizione” per θέσις502. Waḍ‘ è, oltretutto, il termine con cui Avicenna indica normalmente la categoria503. Se dunque anche
un certo tipo di quantità richiede l'esistenza di parti che hanno una certa posizione e relazione reciproca, si pone evidentemente un problema: come mai non è catalogata anch'essa insieme alla posizione fra gli accidenti che necessitano di un certo tipo di relazionalità? La risposta di Avicenna è la seguente: la posizione e la quantità per un verso sono simili, per altro verso
499
Maqūlāt VI 6, 233,8-12: Wa-ammā l-waḍ‘u fa-qad tabayyana la-ka anna-hū smun yuqālu ‘alā ma‘ānin, wa- anna lladī huwa l-maqūlatu fa-hay’atun taḥsulu li-l-tamāmi aw al-ğumlati, li-ağli nisbatin taqi‘u bayna ağzā’i- hā wa-bayna ğihāti ağzā’i-hā.
500
Cat. 4b, 20-22: “Della quantità una [specie] è discreta, l'altra continua; ed una è costituita dalle parti esistenti in esse le quali hanno una posizione le une rispetto alle altre, l'altra non da parti che hanno una posizione” (Τοῦ δὲ ποσοῦ τὸ µέν ἐστι διωρισµένον, τὸ δὲ συνεχὲς καὶ τὸ µὲν ἐκ θέσιν ἐχόντων πρὸς ἄλληλα τῶν ἐν αὐτοῦ µορίων συνέστηκε, τὸ δὲ οὐκ ἐξ ἐχόντων θέσιν). Gli interpreti antichi sostengono che le due divisioni non siano perfettamente coincidenti; Simplicio, ad esempio, afferma che esse non corrispondono propriamente a specie, ma a differenze diverse: dunque, similmente alle divisioni di “animale” in “razionale” e “irrazionale” da un lato, “mortale” e “immortale” dall'altro, le due divisioni aristoteliche della quantità non impediscono sovrapposizioni degli attributi In effetti, se si può dire che tutte le quantità le cui parti sono dotate di posizione reciproca siano continue, non si può dire il contrario: il tempo, ad esempio, è una quantità continua le cui parti non sono dotate di posizione reciproca; viceversa, non tutto ciò che non ha parti dotate di posizione reciproca è discreto, e anche in questo caso vale l'esempio del tempo. (Simpl. In Cat. 122,30 - 123,38 Kalbfleisch).
501
Cat. 1b 27; anche in Top. 103b 23.
502 V. Badawī, Manṭiq Arisṭū (cit.), la traduzione di Cat. 4 a pag. 6,4; 6,9; la traduzione di Cat. 6 a pag. 15,11-
12: “[nel quanto] rientra anche ciò che è costituito da parti, in esso, che sono dotate di posizione l'una con l'altra, e ciò che è costituito da parti che non hanno posizione”.
503
differenti. Esse hanno infatti in comune, innegabilmente, la caratteristica di presupporre nei loro soggetti una divisibilità e una molteplicità di parti. Tuttavia, esse differiscono per il fatto che i soggetti dotati di posizione richiedono una relazionalità reciproca fra le loro parti, in potenza o in atto; le quantità invece richiedono l'esistenza di relazioni fra il tutto e le parti, soltanto in potenza504.
Sembra che questo problema, data l'assenza di ambiguità nel greco, non sia stato posto del tutto dai commentatori tardo-antichi noti, né nell'esegesi del capitolo sulla quantità né nella discussione della posizione. Tra i commentatori arabi, invece, al-Fārābī prende atto dell'identità dei due vocaboli, e sembra attribuire alla “posizione” menzionata nella sezione sulla quantità e alla “posizione”-categoria le stesse caratteristiche505. Avicenna affronta la questione più estesamente in Maqūlāt IV 1, capitolo dedicato appunto, fra le altre cose, alla seconda divisione aristotelica della quantità506. Il fatto che vi sia waḍ‘ anche in alcune
quantità richiede, infatti, una disamina più precisa dei significati del termine:
“Posizione” è un nome compartecipato che è detto di cose diverse: [1] posizione, infatti, è detto di tutto ciò di cui c'è una qualsivoglia indicazione; “indicazione” è la determinazione della direzione che caratterizza [la cosa] fra tutti le direzioni del mondo; in questo significato si dice una posizione del punto, e non si dice una posizione dell'unità. Posizione [2] si dice anche di un senso più specifico di questo, poiché la “posizione” si dice di alcune quantità; e il suo significato è quello che abbiamo detto. Posizione è [3] anche il significato abbracciato da una delle nove categorie [accidentali]; e questo è lo stato del corpo dal punto di vista della relazione reciproca delle sue parti nelle sue direzioni; questa posizione non si dice in modo vero e proprio se non delle sostanze, e non si dice della linea e della superficie. [...]
La posizione che è intesa nella sezione sulla quantità è la posizione nel senso intermedio; ed è come se fosse un nome trasferito dal terzo significato; dunque è come se, poiché la posizione del corpo che rientra nella categoria di sostanza è soltanto [tale] a causa dello stato delle sue parti l'una rispetto all'altra, fosse stato posto, un analogo di ciò, o qualcosa di connesso ad esso, se si è considerato [che vi sia] una posizione [anche] nel corpo che rientra nella quantità, anche se né per il
504
La natura potenziale della divisibilità di alcune quantità è confortata anche da quanto Avicenna dice in Maqūlāt III 4 («Sull'inizio della trattazione relativa alla quantità», Fī ibtidā’i qawli fī l-kami) sulle quantità continue. Laddove infatti egli stabilisce il significato corretto dell'espressione “continuo” (muttaṣil), quando essa è impiegata a proposito della quantità, afferma: “La condizione, [in questo significato del continuo], non è che in esso vi sia una frammentazione e una parte in atto; ma la condizione riguardo ad esso è che vi sia la possibilità di questa congettura, e di questo isolare [delle parti in esso]” (
505
Nella sua parafrasi delle Categorie, riguardo alla discussione della “posizione”, per descrivere le caratteristiche di due corpi dotati di posizione reciproca Fārābī richiama le stesse “quattro condizioni che sono state menzionate nel capitolo sulla quantità” (al-šarā’iṭu l-arba‘u llatī dukirat fī bābi l-kami). V. D.M. Dunlop (Al-Fārābī's paraphrase... cit., parte 2), p. 23,18 e sgg. (testo arabo), p. 39-40 (traduzione inglese).
506
Il capitolo infatti è intitolato: “Sul chiarimento dell'altra divisione della quantità, e il chiarimento della quantità per accidente” (Fī bayāni l-qismati l-uḫrā li-l-kami wa-bayāni l-kami bi-l-‘araḍi).
corpo che rientra nell'ambito della quantità né per la superficie né la linea sono necessari direzioni e luogo. Ma il corpo che rientra nella quantità ha delle parti in potenza, dotate di continuità e solidità, e per ciascuna di esse, se vengono supposte come esistenti, c'è l'indicazione di dove sono rispetto a ciò che è vicino ad esse, e così la linea e la superficie507.
La “posizione” che rientra nella quantità, dunque, è diversa dalla “posizione” in quanto categoria, anche se fra l'una e l'altra c'è una certa somiglianza analogica o metaforica.
5.2.2.2 L'accidente relazionale.
Per quanto riguarda gli accidenti relazionali, si danno secondo Avicenna tre casi: <1> o la loro essenza è predicata in rapporto alla cosa con cui esse intrattengono una relazione, indipendentemente dalla natura dell'altro ente; <2> oppure risultano da relazioni con sostanze; <3> oppure risultano da relazioni con altri accidenti.
<1> Nel primo gruppo rientra soltanto il relativo (muḍāf), la cui descrizione corrisponde esattamente a quella fornita da Avicenna per qualificare questo genere di accidenti relazionali508.
<2> Nel secondo gruppo non rientra alcun tipo di accidente; questo perché, dice Avicenna, l'essenza della sostanza non richiede che essa sia in relazione con alcunché, né che alcunché sia in relazione con essa. Pertanto non si dà alcun accidente che sia, essenzialmente, in relazione con essa.
<3> Per quanto riguarda, invece, la relazione con gli accidenti, data la prima dicotomia fra accidenti relazionali e non-relazionali si danno due casi possibili:
<3.1> Gli accidenti sono in relazione con relativi;
<3.2> Gli accidenti sono in relazione con accidenti diversi dai relativi.
507
Maqūlāt IV 1, 127,10 - 128,7: Wa-l-waḍ‘u smun muštarakun yuqālu ‘alā ma‘ānin šattā: fa-yuqālu waḍ‘un li-kulli mā ilay-hī išāratun kayfa kāna; wa-l-išāratu hiya ta‘yīnu l-ğihati llatī taḫuṣṣu-hū min ğihāti l-‘ālami; wa- bi-hādā l-ma‘nā yuqālu li-l-nuqṭati waḍ‘un, wa-laysa li-l-waḥdati waḍ‘un. Wa-yuqālu waḍ‘un li-ma‘nā aḫaṣṣa min hādā; id yuqālu li-ba‘ḍi l-kammiyyāti waḍ‘un; wa-ma‘nā-hū mā qulnā-hū. Wa-yuqālu waḍ‘un li-l-ma‘nā lladī taštamilu ‘alay-hī maqūlatun mina l-tis‘i; wa-huwa ḥālatu l-ğismi min ğihati nisbati ağzā’i-hī ba‘ḍi-hā ilā ba‘ḍin fī ğihāti-hī; wa-hādā l-waḍ‘u lā yuqālu qawlan ḥaqīqiyyan illā ‘alā l-ğawāhiri; wa-lā yuqālu ‘alā l-ḫaṭṭi wa-l-saṭḥi. [...] Wa-l-waḍ‘u lladī yuqṣadu fī bābi l-kammiyyati huwa l-waḍ‘u bi-l-ma‘nā l-awsaṭi; wa-ka-anna- hū smun manqūlun mina l-ma‘nā l-tāliti; fa-ka-anna-hū lammā kāna waḍ‘u l-ğismi lladī min maqūlati l-ğawhari inna-mā huwa bi-sababi ḥāli ağzā’i-hī ba‘ḍi-hā ‘inda ba‘ḍin, ğu‘ila naẓīru dālika aw muqārinu-hū, idā ‘tubira fī l-ğismi lladī min bābi l-kami waḍ‘an, wa-in lam yakunu l-ğismu lladī min bābi l-kami wa-lā l-saṭḥu wa-lā l-ḫaṭṭu yağibu la-hū bi-dāti-hi l-ğihātu wa-l-makānu. Lākinna l-ğisma lladī min bābi l-kami la-hū ağzā’un bi-l-quwwati la-hā ttiṣālun wa-tarṣīfun; wa-ilā kulli wāḥidin min-hā, idā furiḍa mawğūdan, išaratu anna-hū ayna huwa min ṣāḥibi-hī, wa-ka-dālika l-ḫaṭṭu wa-l-saṭḥu.
508
Riguardo al caso <3.1>, Avicenna esclude che un accidente possa essere in relazione con un altro relativo, perché questo implicherebbe un regressus ad infinitum509. Per evitare ciò bisogna che a un capo o all'altro della catena di relazioni vi sia un altro accidente che sia di per sé, ovvero non-relazionale. Vi sono dunque soltanto accidenti <3.2> che intrattengono relazioni con gli accidenti non-relazionali, ovvero con la posizione, la quantità e la qualità. Le relazioni con la posizione, tuttavia, non vengono prese in considerazione da Avicenna: tutte le rimanenti categorie vengono dedotte in quanto relazioni con quantità e con qualità.
Le relazioni con la quantità danno luogo a tre categorie: il “dove”, il “quando”, il possesso. Ogni relazione con la quantità va infatti intesa, in definitiva, come relazione di una sostanza con una sostanza quantificata, che funge da misura (o “estensione”, miqdār), e che misura, in alternativa, la prima sostanza di per sé o in suo stato. Se la misura misura lo stato, in quanto lo stato è instabile essa misura il movimento, e dunque l'estensione con cui la prima sostanza si relaziona è il tempo: questo identifica la categoria del “quando”. Se invece la relazione è intrattenuta con una misura definita, tale da contenere il corpo qualificato dall'accidente, ossia con una misura contenente (ḥāwin), si danno due alternative: il contenente si trasferisce insieme al contenuto, e allora si ha la categoria del possesso (o dell'“avere”); oppure il contenente non si sposta insieme al contenuto, e allora si ha la categoria del “dove”, che può essere riferita a un luogo primario o un luogo secondario510.
Nel descrivere la categoria dell'“avere” come relazione con un contenitore mosso insieme al contenuto, Avicenna attribuisce questa dottrina a “Uno/alcuni dei [filosofi] convalidanti” (ba‘ḍu l-muḥassilīna). Non è chiaro a chi Avicenna si riferisca esattamente; la definizione non compare nella sezione relativa all'“avere” del commento di Simplicio, né in quella di alcun altro commentatore greco; in ambito arabo, nemmeno Ibn al-Ṭayyib sembra aver presente questa descrizione511. La stessa dottrina è attestata, tuttavia, nella sezione relativa all'“avere” della parafrasi delle Categorie di Al-Fārābī. Benché nello scritto farabiano manchi il riferimento al “contenente”, e il “dove”, per altro verso, non sia caratterizzato come nella deduzione di Avicenna512, il concetto è precisamente il medesimo:
509
Maqūlāt II 5, 85,14-15.
510
Per la distinzione fra luogo primario e luogo secondario in riferimento alla categoria del “dove”, v. sopra, cap. IV.2.
511
Si vedano i luoghi del suo commento dedicati alla categoria dell'“avere”: Tafsīr, 351,9-11; 352,12-13; 395,10-24 Ferrari.
512
L'“avere” è la relazione del corpo con il corpo che è applicato ad esso o a una parte di esso, se ciò che è applicato si sposta con lo spostamento di ciò da cui è posseduto [...]513.
Ci sono, certamente, troppo pochi indizi per sostenere che al-Fārābī sia la fonte diretta di questa dottrina avicenniana (in questo testo o nel commento maior perduto); ma, se così fosse, si potrebbe pensare che la descrizione del “dove” come relazione con un contenitore inamovibile fosse introdotta proprio da Avicenna come contraltare di questa definizione farabiana.
L'ultimo tipo di relazioni con altri accidenti preso in considerazione da Avicenna è quello delle relazioni con le qualità, che danno luogo alle categorie dell'agire e del patire.
La deduzione avicenniana delle categorie (riassunta nello schema alla pagina seguente), a detta del suo stesso estensore, non è altro che un tentativo di avvicinarsi al vero che tuttavia manca l'obiettivo, non cogliendolo completamente. La questione della deduzione rimane dunque un problema aperto, anche se Avicenna ammette di aver rinunciato ad occuparsene più approfonditamente514. Ciò nonostante, la divisione fornita nel capitolo è ritenuta, da Avicenna, sufficiente rispetto allo scopo della trattazione.
513 Dunlop, Al-Fārābī's paraphrase... cit., parte 2, p. 24,7-8 (testo arabo), 40 (traduzione inglese): Wa-la-hū
huwa nisbatu l-ğismi ilā l-ğismi l-munṭabiqi ‘alay-hī aw ‘alā ğuz’in min-hū, idā kāna l-munṭabiqu yantaqilu bi- ntiqāli l-muḥāṭi bi-hī [...].
514