• Non ci sono risultati.

Il punto e l'unità non sono principi della categoria di quantità tutta intera, ma soltanto rispettivamente di un solo tipo di quantità L'unità è, in effetti, principio della quantità

discreta, mentre il punto è principio delle misure, ovvero della quantità continua. Questa prima precisazione suggerisce che Avicenna si stia confrontando con una dottrina che attribuisce all'unità e al punto lo statuto di principi dell'intera categoria, il che dunque sembra smentire l'ipotesi secondo cui si stia riferendo a uno dei commenti citati sopra; in questi, infatti, l'unità è detta chiaramente essere principio del numero, e il punto principio degli intervalli.

B. Il punto e l'unità sono, peraltro, “principi” in modo diverso, come risulterà chiaro più avanti nel corso dell'“esame delle scienze” (fī istiqṣā’i[...] li-l-ma‘ārif), perché il punto non è causa della linea, ma soltanto un estremo (ṭaraf), mentre l'unità è estremo e causa dell'esistenza dei numeri. Del punto, effettivamente, nel capitolo II 5 della Fisica dello Šifā’ Avicenna afferma che “non è altro che il termine (fanā’) della linea”470; e nell'Ilāhiyyāt ne nega a chiare lettere la natura causale, dichiarandola, come nel Maqūlāt, frutto dell'immaginazione471. L'unità, per contro, è detta essere principio del numero anche come

468

Fra tutti i commentatori greci, l'unico a menzionare il punto nella trattazione della qualità è Filopono, il quale tuttavia lo fa per negare ad esso, in virtù del suo essere privo di parti (ἀµερές), qualsiasi specie di qualità: forma, affezione e figura (Phil. In Cat. 152,5-8).

469

V. il rimprovero a Maqūlāt II 4, 71,15-16: “Inoltre, alcune delle risposte comunemente date a questi [problemi] accettano che queste cose siano esterne alle dieci [categorie], senza darsi pensiero di trovare un'altra specie di risposta” (wa-ba‘da dālika, fa-inna l-ağwibata l-mašhūrata ‘an hādihi ba‘ḍu-hā yusallimu anna hādihi l-ašyā’a ḫāriğatun ‘ani l-‘ašarati, wa-lā yatakallifu naw‘an āḫara mina l-ğawābi). Tuttavia l'opinione di Avicenna riguardo allo statuto categoriale dell'unità può essere facilmente dedotta, come si vedrà sotto, dai capitoli “henologici” dell'Ilāhiyyāt (in particolare III 3).

470

[...] al-nuqṭatu laysat illā fanā’a l-ḫaṭṭi (Samā‘ ṭabi‘ī II 5, 159,12 McGinnis).

471

Ilāhiyyāt III 4, 115,5-6: “L'asserzione secondo cui il punto traccia la linea con il suo movimento, è una cosa che viene detta secondo l'immaginazione, ma che non può effettivamente darsi” (Wa-lladī yuqālu inna l-nuqṭata

causa: essa ne costituisce al tempo stesso la causa materiale e la causa formale, secondo quanto Avicenna afferma a proposito dell'essenza del numero in Ilāhiyyāt III 5472.

Il fulcro della critica avicenniana, piuttosto densa e oscura, è il seguente: non ha un peso significativo, nello stabilire se questi due enti appartengano o meno alla categoria di quantità, il fatto che essi siano principi, giacché lo sono soltanto di alcune specie di essa e non di tutta la categoria. Tutto ciò che occorre fare è, semplicemente, stabilire se la descrizione (rasm) della quantità rientri o no nella loro definizione. Le alternative a questo punto sono due: se vi rientra, allora la quantità funge da genere per essi, e dunque il punto e l'unità appartengono alla categoria corrispondente; se non vi rientra, al contrario, sono estranei ad essa. Se vi rientra ed essi sono principi, essi, come già stabilito, non sono principi della quantità, ma delle specie successive; in questo modo il paradosso dei “principi di se medesimi” cade, e l'aporia è risolta. La risposta di Avicenna alla questione, ad ogni modo, consiste proprio nel rilevare che la descrizione della quantità non rientra nella definizione dell'unità e del punto473. Giacché la

trattazione sistematica della quantità deve ancora essere svolta474, per la determinazione

precisa della sua descrizione Avicenna rimanda ad essa, limitandosi a suggerire al lettore di considerare quel che è stato detto come se essa fosse stata già data. Rimangono, a questo punto, due problemi: <1> qual è questa descrizione della quantità? <2> Qual è esattamente per Avicenna lo statuto categoriale dell'unità e del punto?

<1> La definizione della quantità fornita da Avicenna nell'Ilāhiyyāt è la seguente: “Ciò in cui può trovarsi una cosa capace di essere una e di numerare [l'intero], essendo siffatta per essenza, tanto se tale capacità è effettiva, quanto se è ipotetica”475. È chiaro che questa descrizione, per un verso, non può far parte della definizione dell'unità, giacché l'unità stessa è parte di essa, e una definizione il cui definiens contenesse il defininiendum sarebbe una

tarsumu bi-ḥarakati-hā l-ḫaṭṭa fa-inna-hū amrun yuqālu li-l-taḫayyuli, wa-lā imkāna wuğūdin la-hū), trad. A.Bertolacci, Le cose divine, cit., p. 305).

472

L'unità è causa materiale del numero nella misura in cui ogni numero è formato da una molteplicità di unità, ma causa formale nella misura in cui questa molteplicità è una “somma”, ovvero, a sua volta, un'unità: ogni numero, in quanto costituisce una specie in sé unitaria, possiede una certa unità sostanziale. V. Ilāhiyyāt III 5, 119-120: “Ciascun numero è una specie a sé. Esso è uno di per sé in quanto è quella data specie, e, in quanto è quella data specie, possiede alcune proprietà. [...] Ciascun numero, perciò, ha un'essenza che gli è propria, e una forma secondo la quale viene concettualizzato nell'anima. Quest'essenza è la sua unità, grazie alla quale esso è ciò che è. Il numero, infatti, non è una molteplicità che non si aggreghi in un'unità. Per questo motivo si dice che esso è una somma di [più] unità. In quanto è una somma, infatti, esso è uno ed è soggetto ad alcune proprietà che non appartengono a nessun'altra cosa” (trad. italiana di A. Bertolacci, Le cose divine, cit., pp. 311-312.

473Maqūlāt II 4, 73,15: “Se fai ciò, trovi che la descrizione della quantità non è detta dell'unità e del punto [...]”

(fa-idā fa‘alta hādā, fa-inna-ka tağidu rasma l-kammiyyati ġayra maqūlin ‘alā l-waḥdati wa-l-nuqṭati).

474

Nei capitoli III 4, IV 1 e IV 2 del Maqūlāt.

475

Ilāhiyyāt III 4, 118,14-15: Fa-l-kammiyyatu bi-l-ğumlati ḥaddu-hā hiya anna-hā llatī yumkinu an yūğada fī- hā šay’un min-hā yasiḥḥu an yakūna wāḥidan ‘āddan, wa-bi-kawni dālika li-dāti-hī sawā’a kānati l-ṣiḥḥatu wuğudiyyatan aw faraḍiyyatan. (trad. italiana di A. Bertolacci, leggermente modificata: Le cose divine, cit., pag, 310).

definizione circolare. Per altro verso, essa non può rientrare nella definizione del punto, perché l'esistenza di “cose” numerabili entro una quantità richiede che essa sia dotata di parti; e nel primo trattato della Geometria (Handasa) dello Šifā’ il punto è definito, molto semplicemente, come “una qualche cosa che non ha parte”476.

<2> Se non ci sono elementi utili a rispondere a quest'ultima domanda per quanto riguarda il punto, all'inizio della trattazione della quantità in Maqūlāt III 4 Avicenna accenna nuovamente al problema, dando un chiaro suggerimento sullo statuto predicativo dell'unità:

Sappi che si dubita, riguardo al numero, se esso sia o non sia un accidente; è necessario allora che tu sappia che l'unità, nelle cose dotate di unità, è un accidente esterno alla loro quiddità [...]477.

Questo accenno, però, ha per Avicenna lo statuto di una semplice “rammemorazione” del vero: la questione sarà affrontata più estesamente in un'altra disciplina (fī ṣinā‘atin uḫrā). Il riferimento sembra essere alla filosofia prima, ovvero alla metafisica; e in effetti, dalla discussione compiuta nel terzo trattato della Metafisica dello Šifā’, apprendiamo che l'uno e l'unità, per Avicenna, sono estranei alle categorie nello stesso modo in cui l'esistente è estraneo ad esse, ovvero secondo “ambiguità” (taškīk):

Noi diciamo che «uno» si dice secondo ambiguità di cose che convengono nel fatto che in esse non vi è alcuna divisione in atto, in tanto in quanto ciascuna di esse è ciò che è, sebbene questa nozione si trovi in esse secondo anteriorità e posteriorità478.

[...]

L'uno corrisponde all'esistente quanto al fatto che il primo si dice di ciascuna delle categorie al pari del secondo. Ma i loro concetti, come sai, sono diversi, sebbene coincidano nel fatto che nessuno di essi significa la sostanza di qualcosa479.

476

Handasa I, 16,9: Al-nuqṭatu šay’un mā lā ğuz’an la-hū. La definizione è, peraltro, identica a quella di Euclide: Σηµεῖόν ἐστιν, οὗ µέρος οὐθέν (Eucl. Elementa I, 1,1 Stamatis).

477

Maqūlāt III 4, 116,1-2: Wa-i‘lam anna-hū qad yušakkaku fī amri l-‘adadi anna-hū ‘araḍun aw laysa bi- ‘araḍin; fa-yağibu an ta‘lama anna l-waḥdata fī l-umūri dawāti l-waḥdati ‘araḍun ḫāriğun ‘an māhiyyāti-hā.

478

Ilāhiyyāt III 2, 97,1-2: Fa-naqūlu inna l-wāḥida yuqālu bi-l-taškīki ‘alā ma‘ānin tattafiqu fī anna-hā lā qismata fī-hā bi-l-fi‘li min ḥaytu kullu wāḥidin huwa huwa, lākinna hādā l-ma‘nā yūğadu fī-hā bi-taqaddumin wa-ta’aḫḫurin (Trad. italiana di A. Bertolacci, leggermente modificata: Le cose divine, cit., pag. 281).

479

Ilāhiyyāt III 2, 103,7-9: Wa-l-wāḥidu yuṭābiqu l-mawğūda fī anna l-wāḥida yuqālu ‘alā kulli wāḥidin mina l- maqūlāti ka-l-mawğūdi, lākinna mafhūma-humā - ‘alā mā ‘alimta - muḫtalifun, wa yattafiqāni fī anna-hū la yadullu wāḥidun min-humā ‘alā ğawhari bi-šay’in mina l-ašyā’i, wa-qad ‘alimta dālika. (Trad. italiana di A. Bertolacci: Le cose divine, cit., pag. 289).

L'unità, infatti, è una determinazione che non rientra nell'essenza di alcunché, ma piuttosto un “concomitante inseparabile” (lāzim), vale a dire un accidente che condivide le medesime proprietà dell'esistente.

4.4 Risposta dettagliata: la materia e la forma. Un'aporia sulla sostanzialità della materia e e della forma.

Il problema affrontato da Avicenna immediatamente dopo è quello dello statuto della materia e della forma rispetto alle categorie. Questo problema, presentato da Avicenna unitamente all'aporia dell'unità e del punto, è stato posto negli stessi termini: se la materia e la forma sono principi della sostanza, in virtù del paradosso già menzionato non potranno rientrare in essa. Se la risposta a questo genere di aporie, come già si è visto, consiste nello stabilire l'appartenenza o meno della descrizione della categoria alla definizione degli enti in questione, per rispondere basta provare che nella forma e nella materia rientra la descrizione della sostanza, indipendentemente dal fatto che esse ne siano i principi. Da questo punto di vista, la sostanzialità della materia e della forma non è in discussione, perché nella descrizione di entrambe rientra il fatto di “non esistere in un soggetto”480.

Riguardo allo statuto della materia e della forma c'è un'altra aporia da discutere, connessa al concetto di predicazione “secondo l'ambiguità” (bi-l-taškīk). Avicenna, infatti, immagina che qualcuno gli rivolga un'obiezione concernente lo statuto del genere “sostanza” rispetto alla materia, alla forma e al corpo, che ne sono specie. Secondo quest'obiezione, se Avicenna ha negato all'esistente lo statuto di genere, in virtù del fatto che esso non è predicato delle categorie in modo omonimo né sinonimo, bensì secondo anteriorità e posteriorità, lo stesso si dovrebbe dire a proposito della sostanza rispetto alla materia, alla forma e al corpo; perché le prime due sono gli elementi che costituiscono il corpo, e come tali sembrerebbero essere anteriori rispetto ad esso. Lo stesso problema si può porre per altri enti anteriori e posteriori che appartengono allo stesso genere: l'altro caso menzionato da Avicenna è quello del tre e del quattro rispetto alla specie “numero”. La risposta di Avicenna a questa difficoltà, molto lunga (74,15 - 76,18), è fondata sulla distinzione fra i diversi significati dell'anteriorità e della posteriorità (al-taqaddum wa-l-ta’aḫḫur), e può essere riassunta come segue.

480

In questo luogo Avicenna vi fa soltanto accenno; la dimostrazione completa e articolata della sostanzialità della materia prima, della forma e del composto è svolta invece in Ilāhiyyāt II 1, 59,1 - 60, e si basa proprio sul dimostrare che nessuno dei tre tipi di sostanza inerisce a un soggetto. La forma, infatti, inerisce a un ricettacolo (maḥall); la materia prima e il composto non ineriscono né a un ricettacolo né a un qualsivoglia soggetto.

Per rispondere alla questione in oggetto occorre considerare con più attenzione il caso di più enti particolari (come sono la “materia”, la “forma”, il “corpo”, o il “tre” e il “quattro”) che condividono un certo significato (quello di “sostanza” e di “numero”) e sono in un qualche rapporto di anteriorità e posteriorità. Si danno, a questo proposito, due possibilità: o (1) l'anteriorità e la posteriorità sono immanenti a quella nozione comune, e in tal caso quella nozione non può essere un genere; o (2) sono presenti in un altro significato, e nulla impedisce che la nozione in questione abbia rispetto a quegli enti lo statuto di un genere.

(1) Il primo caso è esemplificato da Avicenna mediante il classico esempio di taškīk: quello dell'“esistente” rispetto a due enti definiti, la sostanza e l'accidente. La sostanza, infatti, è anteriore all'accidente rispetto al significato dell'esistenza, perché è causa della sussistenza dell'accidente come esistente. In questo caso l'“esistente” non può essere un genere, perché l'anteriorità e la posteriorità differenziano di per sé il significato condiviso dai due enti.

(2) Il secondo caso è esemplificato, invece, dalla relazione che intercorre fra “padre” e “figlio”. Questi due enti particolari condividono il significato della specie “uomo”, di cui sono individui, e sono in un duplice rapporto di anteriorità e posteriorità: il padre, infatti, esiste prima del figlio (e dunque la sua è un'anteriorità temporale) ed è causa della sua esistenza, in quanto lo genera (e dunque la sua è un'anteriorità ontologica). Il fatto che fra essi vi sia questo rapporto, tuttavia, non impedisce che “uomo” sia ancora predicato sinonimamente di essi, a mo' di specie; perché l'anteriorità e la posteriorità non ricadono nel significato della nozione di “uomo”, bensì rispettivamente nel tempo e nell'esistenza. Gioca qui, ancora una volta, la distinzione fra essenza ed esistenza: il fatto che il padre di un certo uomo sia causa dell'esistenza di questo non significa che esso sia anche causa del suo essere “uomo”. Dunque, il significato di “uomo” non è differenziato di per sé in termini di anteriorità e posteriorità, ed esso può essere predicato come specie.

Il caso della materia, della forma e del corpo è identico a quello del padre e del figlio: la materia e la forma, pur essendo in un certo senso “cause” del corpo, lo sono dal punto di vista dell'esistenza e non da quello dell'essenza. L'anteriorità della materia e della forma risiede nell'esistenza, e non produce differenze entro il significato della sostanzialità; quest'ultimo, per converso, è sempre predicato del corpo allo stesso modo, indipendentemente dalla sua esistenza. Lo stesso vale per il tre e il quattro rispetto al numero, perché la loro relazione di anteriorità e posteriorità non si applica direttamente alla nozione di “numero”.

La discussione di quest'aporia in questo contesto sembra del tutto originale, giacché è connessa a una nozione introdotta dallo stesso Avicenna, e mira a stabilire con precisione una proprietà essenziale di questa nozione. Questo argomento è d'altra parte molto importante,

perché Avicenna se ne servirà nuovamente in Maqūlāt III 1 per risolvere la vexata quaestio dell'applicabilità della nozione di “sostanza” alle sostanze incorporee e corporee481.

4.5 L'aporia del corpo qualificato.

Dopo aver dedicato una breve discussione allo statuto categoriale delle privazioni e di altri enti “estranei” menzionati all'inizio482, Avicenna consacra quasi per intero le ultime quattro pagine del capitolo (78,6 - 81,10) alla risoluzione di una difficile aporia.

Il problema parte dalla constatazione che le due espressioni “corpo” (ğism) e “bianco” (abyaḍ) hanno due significati differenti, e perciò due essenze differenti. Il primo infatti, si può dire, significa “sostanza tridimensionale”; il secondo “sostanza tridimensionale qualificata dall'accidente della bianchezza”483. Dato che il corpo conserva l'unità della sua essenza anche

quando esso è parte o concomitante necessario del “bianco”, perché per il “bianco”, nonostante abbia anch'esso una vera essenza definita, non esiste una categoria a parte (ossia quella di “bianco” o di “corpo qualificato”)? I termini dell'aporia sono chiari: in discussione è la questione se l'esistenza di un'essenza determinata basti a postulare l'esistenza di una categoria, o anche solo di un genere, per essa. Avicenna presenta tre possibili soluzioni dell'aporia:

Prima risposta. Un presupposto dell'aporia è che la congiunzione di un significato con un altro sia sufficiente a produrre un significato diverso, suscettibile di essere posto come genere (o specie) separato dai due significati elementari. Questo non è vero, e lo si dimostra in due modi, entrambi strutturati come reductiones ad absurdum:

A. Se il presupposto dell'aporia fosse vero, si potrebbe isolare una specie appositamente per la congiunzione dei significati “uomo” e “bianchezza”. “Uomo”, tuttavia, può essere congiunto ad altri significati, come ad esempio “agricoltura” (filāḥa); infatti, come c'è l'uomo bianco c'è anche l'uomo agricoltore. Allora l'uomo agricoltore, essendo universale, dovrebbe costituire una specie ulteriore del genere “uomo”: il che è assurdo, perché “agricoltore” non è una differenza specifica ma un accidente484.

481Maqūlāt III 1, 91,7 e sgg. 482

Fra cui il “nord” e il “sud”; v. Maqūlāt II 4, 77,8-78,5.

483

Il termine “bianco”, infatti, non corrisponde all'accidente in sé, che è espresso mediante un termine astratto, ma esprime soltanto il “corpo dotato di bianchezza” o, più in generale, la “cosa dotata di bianchezza”.

484

B. Il secondo modo è espresso in maniera più articolata. Se la tesi di chi obietta fosse valida, giacché la sostanza è congiunta a più accidenti, essa produrrebbe una serie di categorie diverse per ogni sua congiunzione con un accidente, nessuna delle quali rientrerebbe nel genere accidentale originario. La natura della sostanza, tuttavia, e in generale di ogni essenza stabilita in atto, è tale da non permettere che un qualche concomitante non essenziale diventi a sua volta un'essenza mediante la semplice congiunzione ad essa. La tesi di chi obietta, dunque, è da considerarsi falsa.

Seconda risposta. Gli oppositori sostengono che il “dotato di bianco” costituisca una categoria a parte, perché è dotato di un'essenza definita. Il presupposto di ciò è che parte della sua essenza sia costituita dall'essenza del corpo, e parte dall'essenza della bianchezza, ovvero della corrispondente qualità. L'argomento di Avicenna è il seguente: giacché il “bianco”, in quanto “dotato di bianco” e “qualificato”, non rientra propriamente nella bianchezza e nella qualità in quanto accidenti, esso manca di un'essenza completamente definita, sicché esso non può in definitiva costituire una categoria a parte485.

Terza risposta. Anche se il “qualificato” avesse una sua essenza definita, non sarebbe impossibile la sua appartenenza alla categoria della sostanza. Nulla, infatti, impedisce che ciò che è costituito dalla congiunzione di una sostanza e di una qualità rientri nella categoria di sostanza; è risaputo che le parti delle sostanze sono sostanze, le parti delle quantità (ad esempio il cinque rispetto al dieci) sono quantità. Dato che però non sempre le cose stanno così, si può dire che il bianco sia sostanza in quanto la corporeità, caratteristica sostanziale, lo accompagna inseparabilmente, e ha per esso quasi lo statuto di un genere. Pertanto esso ne condivide la quiddità, e insieme alla quiddità la sostanzialità. Avicenna cita una possibile obiezione a questa terza risposta: se un attributo è concomitante non è in nessun modo costitutivo dell'essenza, e come tale non può in assoluto avere lo statuto di un genere.

In generale, non basta che un ente abbia un'essenza unitaria e definita perché si possa postulare per esso un genere, o una specie; esistono semplicemente essenze unitarie e definite di cui altre cose compartecipano “parzialmente”, condividendo una o soltanto alcune delle loro caratteristiche essenziali. Si può dubitare, peraltro, che il composto di sostanza e accidente, come il “bianco”, sia propriamente unitario: esso non può costituire nessun tipo di specie proprio perché non ha l'unità (“unione”, ittiḥād) propria del genere e delle sue differenze specifiche. Il tema non viene sviscerato per esteso in questo luogo: Avicenna rimanda, per la sua discussione completa, a una disciplina “più nobile” della logica, che è

485

La seconda soluzione è anche citata e tradotta in francese da H. Zghal, La relation chez Avicenne, in «Arabic Sciences and Philosophy» 16 (2006), a pag. 240 in nota.

evidentemente la metafisica. Il capitolo V 7 dell'Ilāhiyyāt pone esplicitamente il problema dell'unità del genere e della differenza, differenziandola da altri tipi di unità. Nel capitolo in questione viene proposta una quadripartizione dei tipi di unione (ittiḥād):

Il primo tipo [è quello in cui l'unione] è come l'unione tra la materia e la forma: la materia è qualcosa che non esiste in alcun modo singolarmente presa e diviene in atto solo grazie alla forma, in maniera tale che la forma è una cosa esterna alla materia, nessuna delle due è l'altra, e il composto non è nessuna delle due.

Il secondo tipo [è quello in cui] l'unione avviene tra cose ciascuna delle quali, di per sé, non ha bisogno dell'altra per sussistere e, tuttavia, sono unite, in modo tale che a partire da esse si realizza una cosa unica per composizione o per trasformazione o per mescolanza.