• Non ci sono risultati.

I miti e le immagini del fascismo

Proprio come teorizzato da Le Bon, Mussolini mostrava di aver imparato un altro dei fondamentali insegnamenti del filosofo, ovvero il ricorso a miti ed immagini per influenzare comportamenti e convinzioni della folla. Le partecipazioni delle masse alla vita politica erano parte dello spettacolo fascista e allo stesso tempo fungevano da pubblico. Inoltre, egli esaltò anche la propria figura come leader “eccezionale”.

Giornalisti, scrittori, intellettuali e politici lodavano il giovane Mussolini come

“il più giovane primo ministro della storia italiana”.93 Nei due o tre anni che precedettero la svolta dittatoriale la sua fama crebbe a dismisura ed arrivò ad essere considerato un “individuo eccezionale da un pubblico sempre più vasto.”94

Contribuivano a questa esaltazione della sua figura anche le numerose copertine dedicatogli dai giornali, in particolare il settimanale Illustrazione Italiana, testimonia questa tendenza, infatti, Mussolini fu il soggetto principale in tutti i tre mesi successivi la nomina di primo ministro e dal 1923 al 1924 almeno due volte al mese. In questi servizi venivano presentate sia foto private ed inedite, sia testimonianze del ruolo di icona che Mussolini aveva assunto anche all’estero.

92 Lederer, Lo Stato delle masse, op.cit. pp.41-42

93 Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, op. cit., p. 85

94 Ibidem

52

L’ammirazione che suscitava non diminuì neanche dopo la svolta dittatoriale attuata nel 1925, anzi se possibile aumentò l’ammirazione per un leader popolare.

“I capi più dotati dei movimenti totalitari del nostro tempo furono creature della plebe.”95

Persino dopo la fine del regime, il mito del duce sopravvisse. Questa monumentale operazione non fu dovuta solamente alla personalità e al carisma, che indubbiamente Mussolini possedeva, ma anche alla costruzione di una macchina propagandistica intorno alla sua persona.

Inoltre, l’assenza di competizione contribuì alla stabilità della leadership mussoliniana.

Gli italiani amavano il duce più del regime, e accettavano quest’ultimo solo perché

rappresentato da Mussolini.

Il fascismo, si propose come una vera e propria fede religiosa ed anche qui ritroviamo il pensiero mussoliniano perfettamente aderente a quello di Le Bon:

“ Creare la fede- si tratti di fede religiosa, politica o sociale- ecco soprattutto il compito dei grandi capi”96.

Quest’idea portò Mussolini ad impostare il fascismo come concezione religiosa e in base a ciò l’educazione delle masse venne attuata anche tramite preghiere e dichiarazioni di fedeltà:

95 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Op. cit., p.439

96 Le Bon, Psicologia delle folle, op. cit., p.155 Figura 3 Benito Mussolini

53

“Io credo nel sommo duce- creatore delle camicie nere- E in Gesù Cristo suo unico protettore- il nostro Salvatore fu concepito- da buona maestra e laborioso fabbro- Fu prode soldato, ebbe dei nemici- Discese a Roma; il terzo giorno- ristabilì lo Stato. Salì all’alto ufficio- Siede alla destra del nostro sovrano- da là a da venire a giudicare il bolscevismo- Credo nelle savie leggi- La comunione dei cittadini- La remissione delle pene- La resurrezione dell’Italia, la forza eterna e così sia.”97

Questo giuramento era pronunciato dagli alunni delle scuole italiane in Tunisia.

Molto attentamente veniva rispettata la natura suprema del Cristo, che in un paese così profondamente cattolico come l’Italia non poteva essere messa in discussione. Le interpretazioni divine del Duce lo raffiguravano come eletto dal Signore, e in ciò contribuì anche la Chiesa, dopo la stipulazione dei Patti Lateranensi. Numerosi i sacerdoti che paragonavano la sua figura a quella di un santo, allo stesso tempo anche il Vaticano riconosceva la protezione divina di cui Mussolini godeva.

Contribuirono alla sua “deificazione”: le numerose immagini che lo raffiguravano in grado di esercitare molti sport, dallo scii all’equitazione, le abilità lavorative, che secondo quanto descritto dalla stampa erano infinite e venivano esercitate in ogni campo del regime, le numerose foto con animali selvaggi e con moderni mezzi meccanici.

In particolare si ritiene che i dittatori furono estremamente acuti nell’apprezzare il progresso tecnologico, nella misura in cui era possibile imprigionarlo dentro miti fascisti.

“Sia Hitler che Mussolini ebbero una passione per la velocità: l’aeroplano e

97 Preghiera pubblicata nella Tribuna del 15 luglio 1927, citata in Simonetta Falasca Zamponi, Lo Spettacolo del fascismo, op. cit., p. 109

54

possenti automobili offrirono uno sfogo al loro attivismo.”98

Soprattutto l’aeroplano contribuì ad accrescere il mito mussoliniano, infatti, erano i tempi in cui l’aviazione colpiva l’immaginazione della gente, il fascismo si appropriò di questo mito e lo rese “proprio”, insieme a tutte le virtù, come dinamismo, energia e coraggio, che esso incarnava ed il movimento rivendicava.

Il mito di Mussolini veniva accentuato anche dalla presenza in ogni istituto pubblico della sua figura, in ogni oggetto di uso comune che portava l’effige del Duce.

Dal 1925, vennero sfruttati anche i mezzi di comunicazione di massa come la radio, che trasmetteva i suoi discorsi ed il cinema, dove all’inizio di ogni film veniva proiettato un cinegiornale e documentari che rappresentavano le varie attività che Mussolini compiva. I suoi discorsi, inoltre, avevano uno stile politico nuovo, con parole plebee, frasi brevi ed essenziali, sintassi semplice e ciò contribuiva ad avvicinarlo alla massa. “Le parole adoperate con arte, possiedono un potere misterioso, provocano nell’animo delle moltitudini le più formidabili tempeste.”99

I suoi discorsi erano pronunciati nelle piazze, ad un pubblico variegato, sfruttando tutta l’abilità oratoria che possedeva: dalla pause ad effetto, alle ripetizione, all’atteggiamento mimico del viso. Molto usati nel ventennio aforismi, frasi lapidarie, slogans inneggianti al fascismo che costituivano una presenza continua, martellante.

“In essi e con essi si ottemperava insieme alla tecnica dell’affermazione e a quella della ripetizione suggerite da Le Bon.”100

Sempre consapevole di dover fornire illusioni alla folla, Mussolini attinse a piene mani al mito di Roma (ricorso al mito che era stato ancora una volta

auspicato da Le Bon, in quanto ritenuto capace di catturare l’emotività delle

98 George L. Mosse, L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Bari, ed.Laterza, 1999, p. 177 (Tit. originale, Masses and Man. Nationalist and fascist perceptions of reality, New York, Howard Ferting Inc., 1980)

99 Le Bon, Psicologia delle folle, Op. cit., p.135

100 Augusto Simonini, Il linguaggio di Mussolini, Milano, ed. Bompiani, 2004, p.38

55

folle e sottrarsi ad una verifica razionale ).

L’identificazione con il mito di Roma poggiava soprattutto sui suoi trionfi e sulla Roma imperialista e portatrice di cristianità101, utilizzando come simbolo iconografico del fascismo il fascio littorio, dichiarato “dal Decreto reale del 12 dicembre 1926, emblema dello stato.”102

Il voler cambiare la mentalità dei cittadini, passava secondo Mussolini dal controllo di ogni aspetto della vita anche privata, di quest’ultimi. Per questo curò con particolare attenzione tutti gli aspetti stilistici che li riguardavano.

Innanzitutto, con l’introduzione di “vestiti” fascisti, come le famose camicie nere, indossate da uomini, donne e bambini; per poi passare all’introduzione di nuove regole grammaticali che abolivano il lei, considerato segno di cultura borghese. Allo stesso modo, venne abolita la classica stretta di mano, per sostituirla con il saluto romano ritenuto rispetto a quella molto più rapido, più igienico e più estetico, quindi più “fascista”.

Per ottenere il consenso utilizzò ogni mezzo, anche trasversale, come il Dopolavoro, le colonie estive, l’Opera nazionale maternità ed infanzia, affinché la massa credesse e obbedisse al capo, introducendo “quella che appare una libertà positiva sui generis, anche se manca l’elemento fondamentale: la spontaneità. La vita privata perde virtualmente la propria autonomia, ma la storia collettiva penetra effettivamente nell’esistenza di ognuno.”103

Lo stato fascista era quindi qualcosa di diverso da quanto era stato conosciuto fino ad allora dal mondo, non era abbastanza definirlo dispotico, in quanto ciò non spiegava come potesse affermare il suo potere su una popolazione ben istruita, che aveva rivendicato in passato, la propria libertà di pensiero. Questo dimostra come essa sia cambiata diventando massa e come tale “forza nuova, permanente e decisiva, che plasmano la natura della società, che la trasformano

101 Lo stesso nome fascismo dimostra il legame con la civiltà romana, il termine deriva da fascis un fascio di verghe di uguale dimensione che veniva portato dai funzionari romani meno importanti (lictores), che nelle processioni precedevano gli alti magistrati.

102 Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, op. cit., p.157

103 Remo Bodei, Destini personali, op.cit., p. 241

56

in un livello che sembrava impensabile in un mondo abituato ad affrontare i problemi, con lotte e compromessi su base tradizionale.”104

4 Le masse moderne: la Germania e gli insegnamenti di Le Bon

Hitler fu secondo le varie biografie un discepolo ancora più devoto di Le Bon.

E’ stato verificato che c’era una copia della traduzione tedesca della Psycologie des foules nella Hofbibliotiothek di Vienna che Hitler frequentava solitamente nel periodo in cui cercava di elaborare le sue idee politiche e leggeva con passione tutto ciò che era legato alla psicologia dei popoli, delle folle e del socialismo.

In un articolo dedicato alla relazione tra Hitler e Le Bon “Tentativo di ricostruzione di un plagio” Alfred Stein, uno storico tedesco, ha dimostrato che vaste parti del libro Mein Kampf di Hitler sono basate su paragrafi del libro di Le Bon ed ha identificato almeno 15 brani che vanno in parallelo tra di loro.105 Anche G. Mosse sottolinea l’influenza che Le Bon ebbe sul Fuhrer,”l’analisi di Le Bon fu determinante per Hitler” ,egli seguì infatti la massima contenuta nel volume Psycologie des foules, e cioè che il capo deve essere parte integrante di una fede posseduta in comune e che non poteva essere da lui sperimentata o rinnovata. La sperimentazione e l’innovazione introdotte da Hitler, aggiunge Mosse, consistettero solo nell’intensificare il significato di ciò che era già

largamente accettato, e nell’introdurre una visione manichea che trasformava le parole in fatti.106

Il nazionalsocialismo, ancora più del fascismo italiano è un regime che si fonda sulle masse, deciso a trasformare l’intero popolo in folla, cambiando l’intero

104 Lederer, Lo stato delle masse, Op. cit., p.47

105 A.Stein, Adolf Hitler und Gustave Le Bon, “Geschichte in wissenschaft und unterrich”, pp.362-368, cit. in., Ginneken Jaap Van, Folla Psicologia e politica, op.cit.

106 G.Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 285 e p.39, tit. orig. The nationalization of the masses, political symbolism and mass movements in Germany from Napoleonic wars through the third Reich, New York, Howard Ferting, 1974

57

ordine sociale. Nel nuovo regime si realizzava pienamente il “principio del capo”, che costituiva un punto cardine nella dottrina nazista. Il capo veniva considerato fonte suprema del diritto, e il rapporto che aveva con la massa doveva essere diretto, senza nessuna mediazione. L’unico tramite era il partito unico e tutti gli organismi ad esso collegati. L’attenzione ed il controllo delle masse era costante, infatti esse potevano essere attratte facilmente da altre passioni. Prima di andare al governo il partito aveva provveduto a formare organismi ad esso collegati che potevano sostituire i gruppi sociali: “la gioventù Hitleriana, il Bund der Madel (l’organizzazione delle ragazze), l’organizzazione dei professionisti, degli impiegati, degli operai, dei contadini, furono formate per essere parte della comunità e per difendere e rappresentare i loro interessi all’interno del partito omnicomprensivo.”107

Il cercare di controllare tutta la vita politica, pubblica e privata, dell’individuo aveva permesso ad Hitler la soppressione di tutto quello che riguardava il pensiero e le idee indipendenti. In questo possiamo trovare la natura del nazionalsocialismo: nella distruzione della società e nell’uso della propaganda.

La creazione di posti di lavoro, con relativa diminuzione della disoccupazione, una politica estera basata su guerra ed aggressività ha impedito il risvegliarsi delle coscienze. La politica nazista cerca di distruggere la fonte dalla quale potrebbe riemergere la società: “il pensiero individuale”.108 L’unico fenomeno sociale diventa la folla, e gli unici componenti gli uomini-massa, che si creano sia fra i giovani che vengono educati a non pensare alla propria individualità o al proprio destino privato , sia con un costante mantenimento della psicologia di folla tra la popolazione. Ciò impedisce che, come accadeva nelle vecchie rivoluzioni, si possa pensare di trovarsi in una condizione che non è la propria.

L’entusiasmo, l’eccitazione che lo stato di folla provoca, nelle moderne dittature deve rimanere una costante e ciò può essere ottenuto grazie all’azione del dittatore, lui stesso in primis uomo-massa.

107 Lederer, Lo stato delle masse,op. cit. p. 51

108 Ivi, p. 60

58

Documenti correlati