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Modalità alternative di ventilazione meccanica

3.2.1 “Baby Lung”

3.5 Modalità alternative di ventilazione meccanica

3.5.1 HFOV

La ventilazione oscillatoria ad alte frequenze è una forma particolare di ventilazione che utilizza alte frequenze (generalmente tra 3 e 9 Hz nell’adulto) e bassi volumi tidalici (spesso 1-5 ml/Kg) [82]. Essa determina una pressione media nelle vie aeree superiore rispetto a quanto otteniamo con la ventilazione tradizionale, controllata tramite un flusso inspiratorio di gas freschi (30-60 ml/min) ed una valvola di resistenza posta nel circuito. Di conseguenza, grazie alle elevate frequenze, riusciamo a garantire adeguati scambi respiratori, mentre con i bassi volumi tidalici e la pressione elevata delle vie aeree si impedisce il collabimento ciclico alveolare. Più precisamente, l’ossigenazione è garantita dal mantenimento di una pressione media delle vie aeree appena superiore a quella di apertura critica degli alveoli, mentre l’eliminazione della CO2 è provocata dalle variazioni pressorie nelle vie aeree generate dal diaframma oscillante. Poiché si mantiene una mPaw (pressione media delle vie aeree) costante, vengono a mancare i livelli di picco dannosi, in modo da mantenere “aperto” il polmone

e ottimizzare il reclutamento alveolare con un volume polmonare di fine espirazione maggiore. Questo effetto combinato di elevata mPaw e piccole variazioni oscillatorie riduce il reclutamento-dereclutamento ciclico del polmone [83].

Ci sono delle differenze importanti tra la ventilazione convenzionale e quella oscillatoria ad alte frequenze. Quest’ultima, infatti, ha un funzionamento diverso per quanto riguarda l’espirazione e il trasporto dei gas. La prima è un’azione unica, in quanto è attiva; questo permette di evitare l’air trapping e ottimizza la ventilazione [84].

Il trasporto dei gas, invece, non avviene solamente per convezione come nella ventilazione convenzionale, cosa che provoca la necessità di utilizzare un VT maggiore dello spazio morto per permettere gli scambi alveolari. Nella HFOV il trasporto dei gas avviene in maniera complessa e coinvolge diversi meccanismi, come i profili di velocità asimmetrici (evidenti in particolare alle biforcazioni delle vie aeree), il pendelluft (movimento transitorio di gas fuori da alcuni alveoli e dentro altri, quando il flusso si è appena fermato alla fine della inspirazione o della espirazione), il mixing cardiogeno (il cuore, contraendosi ritmicamente, promuove i flussi nelle zone polmonari vicine), il flusso laminare, la dispersione turbolenta di Taylor (per la quale la diffusione di molecole aumenta anche in presenza di moti vorticosi), la diffusione molecolare e la ventilazione collaterale tra alveoli vicini [85]. Quindi, la convezione svolge un ruolo minore nel trasporto di gas.

Studi condotti sull’animale e sull’uomo [86], avrebbero dimostrato che l’efficacia della ventilazione oscillatoria dipende sostanzialmente da due parametri, rappresentati dalla frequenza e dal VT. Quest’ultimo svolge il ruolo maggiore, come è sottolineato da Spahn e coll., i quali hanno dimostrato che in modelli animali (cane) la riduzione del volume corrente induce un improvviso rialzo della PaCO2, suggerendo che l’eliminazione della CO2 dipende dal volume di oscillazione netto [87]. Il maggior contributo del

volume tidalico in questo tipo di ventilazione è causato dalla redistribuzione oscillatoria dei gas dalle regioni centrali a quelle distali, dove la diffusione alveolare svolge il ruolo più importante [88].

La meccanica del sistema respiratorio è altrettanto importante ai fini dello scambio gassoso, in quanto il moto convettivo dei gas è guidato dalle differenze di pressione legate al sistema toracico o al ventilatore [89]. Sotto questo aspetto, l’ impedenza risultante dalla combinazione tra sistema respiratorio, ventilatore, circuito e tubo tracheale è un’ importante determinante dell’ efficienza della ventilazione in corso di HFOV. L’ impedenza è un termine complessivo, che comprende le proprietà meccaniche dell’ elastanza (inverso della compliance), resistenza ed inertanza (misura dell’ attitudine di una struttura a mettersi in vibrazione a seguito dell’ applicazione di una forza). L’ inertanza, che nella respirazione con frequenze normali è trascurabile, assume un ruolo ben più grande a frequenze respiratorie più alte e pertanto non può essere ignorata nella HFOV. L’ impedenza rappresenta una barriera meccanica al flusso e, se essa aumenta, occorreranno oscillazioni pressorie maggiori per generare un flusso equivalente.

Durante HFOV, la resistenza determinata dal tubo endotracheale è flusso- dipendente ed è inversamente proporzionale a r4 (raggio), per cui anche piccole riduzioni del diametro interno del tubo (per esempio causate dalle secrezioni respiratorie) determinano una riduzione dell’ ampiezza dell’ onda di pressione, con riduzione di flusso e VT risultanti.

In ambito pediatrico e neonatologico, la ventilazione oscillatoria ad alte frequenze ha dimostrato di poter migliorare l’ossigenazione, senza aumentare il barotrauma, visto che in questi pazienti si utilizzano volumi tidalici e pressioni nelle vie aeree minori, rispetto all’adulto. In effetti, nei pazienti non pediatrici, con ARDS, la ventilazione oscillatoria ad alte frequenze ha avuto

successi alterni anche a causa del fatto che questa patologia non ha una distribuzione omogenea come nel caso della malattia a membrane ialine.

La logica di utilizzo della HFOV è quella di raggiungere un adeguato trasporto di gas con bassi VT, senza che si raggiungano pressioni che determinino una distensione o un collasso alveolare. L’utilizzo di volumi tidalici bassi è permesso dalla ventilazione ad alte frequenze, le quali riducono anche le oscillazioni pressorie a livello alveolare [90]. Si discute ancora su quale sia le frequenza ottimale da utilizzare; nei neonati si usano frequenze comprese tra 8 e 15 Hz, mentre negli adulti si impostano valori più bassi [91]. Visto che l’eliminazione della CO2 dipende dall’entità del volume tidalico, è necessario trovare una frequenza ottimale proprio per non ridurre il VT, così da non indurre un’insufficienza ventilatoria.

Anche per quanto riguarda la ventilazione oscillatoria ad alte frequenze si è osservata un’evoluzione di risultati sulla sua efficacia.

I primi studi si sono eseguiti su modelli animali; Imai e coll. hanno confrontato i markers biochimici e fisiopatologici di danno polmonare acuto nel coniglio con ARDS utilizzando diverse strategie ventilatorie. Vi era un gruppo trattato con ventilazione tradizionale a 10-12 ml/Kg e tre gruppi sottoposti ciascuno ad una differente strategia protettiva: 1) basso VT (5-6 ml/Kg) con valori di PEEP di 2-3 cm H2O più alti rispetto al punto di flesso inferiore della curva P-V durante ventilazione convenzionale; 2) basso VT con PEEP di 8-10 cm H2O; 3) HFOV. Il gruppo sottoposto ad HFOV aveva una minore infiltrazione di neutrofili, livelli più bassi di TNF e minori cambiamenti patologici negli spazi alveolari se confrontati con gli altri gruppi sottoposti a strategie di ventilazione protettiva [92]. A seguito di questi risultati iniziali promettenti e in seguito ai dati dell’ARDS Network Study (per i quali esisteva una percentuale di pazienti che, pur essendo ventilati in

maniera protettiva, non avevano miglioramenti dell’ossigenazione), si è cominciato a pensare ad introdurre la HFOV tra le opzioni terapeutiche dell’ARDS.

I primi studi presentarono casistiche con pochi pazienti, fino ad un massimo di 43, con ARDS (nella maggior parte dei casi conseguenti ad una sepsi o a polmonite), nei quali si era avuto un fallimento della ventilazione convenzionale. La HFOV utilizzata si basava su: mPaw pari a 5 cm H2O al di sopra dell’ultima mPaw misurata durante la ventilazione convenzionale, titolata poi con aumenti di 2-3 cm H2O fino a che la FiO2 non fosse ≤ 60% o la SaO2 ≥ 92%, la frequenza iniziale era di 4-5 Hz e il flusso di gas di 30-40 L/min. Tutti questi studi hanno mostrato un miglioramento dell’ossigenazione,cosa che è intuibile visto l’utilizzo di una pressione media delle vie aeree più alta. Nonostante ciò, si è osservato un tasso di mortalità piuttosto alto, in quanto poteva arrivare all’83.3%. Probabilmente questi dati sono dovuti al fatto che si trattava di pazienti nei quali la ventilazione convenzionale aveva fallito, suggerendo una gravità superiore del loro quadro clinico. Questo concetto può essere rafforzato dal fatto che alcuni di questi soggetti erano gravi ustionati e trapiantati di midollo, fattori che sono prognosticamente negativi [93-97].

Negli anni successivi, sono stati pubblicati dei trial più ampi con un numero di pazienti superiore. Uno è quello di Derdak e coll. [98], nel quale si è confrontata la sicurezza della HFOV rispetto alla ventilazione convenzionale; questo lavoro è criticabile visto che il gruppo dei controlli era ventilato con un VT di 10-12 ml/Kg,impedendo di effettuare considerazioni più approfondite. Un altro, pubblicato da Mehta e coll. [99] ha considerato 156 pazienti con ARDS, età media di 48 anni, con un quadro clinico severo; nonostante il miglioramento del rapporto PaO2/FiO2, il tasso di mortalità si attestava al 61%. Infine, uno degli studi più recenti [100], che ha coinvolto più centri, ha valutato l’utilizzo della HFOV in pazienti con una ARDS non grave

(PaO2/FiO2 ≤ 200), confrontando questo gruppo con un altro, nel quale si utilizzava una ventilazione protettiva a bassi volumi. Anche questo studio ha mostrato una mortalità maggiore proprio nei pazienti che erano trattati con HFOV, tanto da causarne l’interruzione. Non si conoscono le cause di questo fenomeno; probabilmente, le elevate pressioni nelle vie aeree e l’utilizzo di alte dosi di amine potrebbero causare alterazioni emodinamiche, riducendo il ritorno venoso o alterando direttamente la funzionalità del ventricolo destro.

Gli studi eseguiti nel corso degli anni hanno cercato l’eventuale esistenza di fattori di rischio, in modo che possano essere considerati degli indicatori di mortalità. Uno degli elementi ritrovati è il ritardo dell’inizio della HFOV [99]; per esempio, uno studio pilota condotto da Fort e coll. ha evidenziato che la durata media della ventilazione convenzionale nei non sopravvissuti era di 2.5 giorni, mentre nei sopravvissuti era di 7.2 giorni [101]. Probabilmente, una maggior esposizione a tecniche ventilatorie non protettive potrebbe indurre un danno polmonare maggiore e quindi anche una mortalità più elevata; infatti, nell’animale si è dimostrato che l’uso di eccessivi VT e di PEEP inadeguate alla prevenzione del ciclico collasso alveolare aggravano il danno polmonare [102].

Altri fattori importanti, dei quali si parla in letteratura, sono l’OI (se maggiore di 47 è correlato ad una mortalità maggiore con una sensibilità e specificità del 100%) [101], il pH, l’età e l’APACHE II score [98]; in generale, questi fattori non sono considerati per prendere decisioni sulla gestione dei pazienti.

Le complicanze legate all’uso della HFOV sono scarse e principalmente legate agli aspetti emodinamici ed al barotrauma. Mehta e coll. [99] hanno riscontrato l’aumento di incidenza di pneumotorace pari al 21.8%, un valore piuttosto alto anche rispetto ad altri studi riguardanti la ventilazione oscillatoria. Le ragioni di questo fenomeno non sono ben chiare;

probabilmente, le differenze nelle strategie ventilatorie e nella popolazione di pazienti provenienti dai diversi centri hanno contribuito ad un maggior barotrauma.

Per quanto riguarda le complicanze emodinamiche, in teoria l’uso di alti valori di mPaw potrebbe ridurre il ritorno venoso e condurre ad ipotensione. Questo tipo di fenomeno sembra essere piuttosto raro; analizzando quei pazienti con un catetere nell’arteria polmonare, l’uso della HFOV ha determinato un aumento della pressione venosa centrale e di quella di incuneamento dei capillari polmonari, con associata una lieve riduzione della gittata cardiaca [97-99]. Questi cambiamenti sono transitori; l’aumento della PVC e della PCWP è correlato all’incremento della mPaw, mentre il motivo della riduzione della gittata cardiaca è meno chiaro (non risultano riduzioni pressorie, né aumenti della frequenza). È comunque importante considerare che all’aumentare della pressione media nelle vie aeree, la gittata cardiaca potrebbe ridursi anche in maniera significativa.

Un'altra possibile complicanza è l’ispessimento del muco, che può causare ostruzione del tubo endotracheale ed ipercapnia refrattaria; questo fenomeno si verifica piuttosto raramente, visto che si ha un’incidenza del 5% [98], non riportata in tutti gli studi. Non è chiaro se la frequente aspirazione delle vie aeree, la fisioterapia polmonare o l’instillazione di liquidi migliori l’incidenza dell’occlusione del tubo endotracheale.

CAPITOLO IV

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