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Ventilazione nell’ARDS

3.2.1 “Baby Lung”

3.2.2 Ventilazione nell’ARDS

Storicamente, l’ARDS fu descritta per la prima volta nel 1967 [7]. In questo studio furono selezionati dodici pazienti, dei quali cinque furono sottoposti a ventilazione con PEEP (Positive End Espiratory Pressure, per prevenire il collasso alveolare a fine espirazione) e sette furono trattati con zero di pressione positiva a fine espirazione; il maggior tasso di sopravvivenza si riscontrò nei pazienti ventilati con una PEEP. Il riscontro autoptico evidenziò polmoni pesanti (peso medio 2110 g) e l’esame microscopico la presenza di aree atelettasiche, di emorragie, di edema interstiziale e alveolare, con capillari dilatati e congesti.

A partire da questo studio, si misero in atto delle strategie terapeutiche finalizzate a mantenere normali livelli di PaO2 e PaCO2. Quest’ultimo

obiettivo poteva essere raggiunto facilmente, visto che allora si era soliti utilizzare ventilazioni ad alti volumi e pressioni; infatti, si raccomandavano volumi di 12-15 ml/Kg [46].

La strategia principale per aumentare la PaO2, a seguito dello studio del 1967 [7], era quella di incrementare i valori della PEEP. Per studiare il meccanismo con la quale funzionava, Falke e coll. [47] provarono l’effetto dell’aumento della PEEP da 0 a 15 cm H2O in dieci pazienti con ARDS. La PEEP migliorava la PaO2 in maniera lineare e il meccanismo principale era la prevenzione del collasso alveolare tele-espiratorio e/o della chiusura delle vie aeree. Quello studio dimostrò una riduzione della compliance polmonare in presenza di PEEP elevate e risposte emodinamiche variabili, poiché la gittata cardiaca in alcuni pazienti aumentava e in altri diminuiva. A quei tempi, la preoccupazione principale rispetto all’uso della PEEP riguardava il risentimento emodinamico causato dall’aumento della pressione intratoracica. Nel 1975 Suter e coll. [48] pubblicarono il loro studio sulla “PEEP ottimale”, in cui si valutò in maniera approfondita, per la prima volta, la relazione tra dinamica respiratoria ed emodinamica. Si definiva “PEEP ottimale”, non quella necessaria ad ottenere una PaO2 migliore, ma quella associata al miglior trasporto di ossigeno (dato dalla gittata cardiaca per il contenuto di ossigeno). Gli autori si accorsero che questa correlava con una compliance migliore del sistema respiratorio.

In definitiva, per molti anni, a partire dagli anni’70, i polmoni con ARDS erano visti come pesanti e rigidi. Per ottenere una normale PaCO2 bisognava ventilare con volumi e pressioni elevate, mentre per assicurare un’adeguata ossigenazione erano necessari alti livelli di FiO2 e di PEEP, anche se non erano definiti i criteri per impostare la PEEP. Come detto precedentemente, spesso questi approcci provocavano effetti collaterali, dovuti al trauma ventilatorio a cui erano sottoposti i polmoni.

Grazie agli studi di Gattinoni e coll. ed all’introduzione delle tecniche di circolazione extracorporea, si è cominciato ad avere un approccio completamente diverso nel trattamento dell’ARDS. Sicuramente, uno studio particolarmente emblematico in tal senso, fu quello pubblicato da Parsons e coll. [49], nel quale fu chiaramente dimostrato che la ventilazione a bassi volumi determinava un maggior tasso di sopravvivenza nei pazienti con ARDS. Gli autori randomizzarono, tramite un trial multicentrico, 861 pazienti in due gruppi. Nel primo si trovavano coloro che erano ventilati con un VT di 12 ml/Kg IBW e con una pressione di picco (Pplat) ≤ 50 cm H2O; nel secondo si collocavano i pazienti ventilati con un VT di 6 ml/Kg IBW e con una Pplat ≤ 30 cm H2O. Nel protocollo, la frequenza respiratoria poteva variare tra 6-35 atti al minuto per mantenere un pH tra 7.3 e 7.45. La PEEP e la FiO2 erano regolate in modo da ottenere una PaO2 tra 55-80 mmHg ed una SatO2 tra 88- 95%. Le differenza tra i due gruppi sono state significative sulla mortalità, che è risultata essere del 39,8% nel primo gruppo (con modalità ventilatoria tradizionale) e del 31% nel secondo. Oltre a ciò, si è anche osservata la minor incidenza di insufficienza multi-organo nel gruppo sottoposto a ventilazione protettiva, con la riduzione dell’IL-6.

Questo studio, quindi, ha confermato quello che in parte si era già capito in seguito all’introduzione del concetto di “baby lung”: l’ARDS è una condizione patologica che necessita di una ventilazione a bassi volumi, cioè “gentile”. Già negli anni Novanta, Hickling e coll. introdussero il concetto di ventilazione a bassi VT, parlando di “ipercapnia permissiva” [50]; anche oggi, si utilizzano questi principi per trattare i pazienti tramite la ventilazione meccanica.

L’American-European Consenus Conference del 1994 ha posto degli obiettivi minimi di trattamento per l’ARDS. In particolare, si afferma la necessità di assicurare un’appropriata disponibilità di O2 agli organi vitali ed una

rimozione adeguata della CO2 per mantenere l’omeostasi, di ridurre il lavoro respiratorio, di prevenire l’ulteriore danno al parenchima polmonare e di prevenire la sofferenza tissutale. Inoltre, si raccomanda di ridurre al minimo la tossicità derivante dall’ossigeno e il reclutamento alveolare, effettuato aumentando la PEEP, oppure estendendo il tempo inspiratorio. Si dovrebbe applicare la più bassa pressione media delle vie aeree (mPaw) possibile, in modo da ottenere un’ossigenazione ottimale, a concentrazioni di ossigeno inspirate non tossiche. La pressione trans-alveolare non deve eccedere i 25-30 cm H2O; questo generalmente corrisponde a 30-40 cmH2O di pressione di plateau di fine inspirazione, in funzione della compliance del polmone e della parete toracica. Altro punto raccomandato è la prevenzione delle atelectasie attraverso l’uso periodico di un volume maggiore, una pressione più alta e una durata della inspirazione maggiore. E’ raccomandato inoltre un uso razionale della sedazione e della paralisi muscolare: occorre effettuare frequenti rivalutazioni della profondità della sedazione, mentre i curari dovrebbero essere somministrati solo per brevi periodi [51].

Gli elementi da considerare per impostare la ventilazione sono:

• Volume tidalico: si è già accennato sull’importanza di mantenere VT bassi, per ridurre il danno al parenchima polmonare. Questo concetto ha raggiunto la sua massima importanza con l’ARDS Network Study [49].

Nel 2005 è stata pubblicata una meta-analisi che ha valutato cinque studi clinici, rilevando come un VT < 7.7 ml/Kg IBW abbia un ruolo protettivo, a differenza di un VT > 11.2 ml/Kg IBW per il danno che esso provoca [52].

Bisogna considerare anche che le aree interessate dal processo patologico dell’ARDS creano un minor volume disponibile per

l’insufflazione. Ciò viene superato utilizzando la PEEP; se si impiega un VT elevato, si crea un danno polmonare (“volotrauma”), perché le

aree polmonari ridotte tendono ad andare in sovradistensione. Inoltre, anche con la manovre di reclutamento, che portano ad una continua apertura e chiusura degli alveoli, si determina un trauma alveolare, definito “atelectrauma”.

I dati su modelli animali supportano entrambi i precedenti meccanismi come causa della VILI, poiché producono un’infiammazione alveolare ed un’elevata concentrazione di citochine (“biotrauma”) [53], mentre gli studi clinici evidenziano solo il danno da sovradistensione.

La strategia a bassi volumi tidalici produce un inevitabile incremento della PaCO2, a meno che non si aumenti la frequenza respiratoria (ventilazione/minuto). L’ARDS Network Study raggiungeva l’obiettivo della normocapnia, utilizzando una frequenza respiratoria di 35 atti/minuto: così, si riduceva al minimo l’insorgenza di un’acidosi respiratoria [49]. Così facendo, però, si sottopone il polmone a ripetute sovradistensioni, producendo un’iperinflazione a causa della riduzione del tempo di espirazione [54]. Tuttavia, non si deve considerare sempre dannoso un aumento della PaCO2, poiché, se l’acidosi si produce lentamente, la riduzione del pH intracellulare è compensata metabolicamente e l’aumento del tono simpatico conduce ad un aumento della gittata cardiaca e della pressione arteriosa: questa considerazione costituisce la base del concetto di “ipercapnia permissiva”. La valutazione dei suo benefici clinici deve essere ancora ben approfondita, considerando anche che in alcuni pazienti può essere dannosa. Infatti, l’ipercapnia dovrebbe essere evitata nei pazienti a rischio di aumento della pressione intracranica e nei cardiopatici, visto che l’acidosi respiratoria aumenta il rischio di aritmie cardiache e conduce ad un’ipertensione polmonare per una vasocostrizione del circolo polmonare. Oltre a questo, si deve considerare che valori di saturazione arteriosa < 90% si sono associati a comparsa di deficit

cognitivi, come alterazione della memoria o della concentrazione, in maniera proporzionale alla durata ed alla gravità della desaturazione [55].

• PEEP: è una componente essenziale nella ventilazione del paziente con ARDS ed è utilizzata per migliorare gli scambi gassosi, tramite l’aumento della pressione e dei volumi a fine espirazione. Il suo valore dipende dalla pressione idrostatiche poste nelle diverse aree del parenchima polmonare.

Il danno alveolare può essere peggiorato dall’alternarsi tra collasso polmonare e riapertura con elevata probabilità di sovradistensione. Quindi, la strategia sarebbe quella di utilizzare bassi volumi tidalici ed una PEEP elevata, in modo da mantenere una pressione di fine espirazione con il fine di contrastare il collasso alveolare. Lo stress a carico del parenchima con questa ventilazione non è accentuato, come dimostrato da Amato e coll. [56]; in questo studio, si è osservato che, nonostante l’utilizzo di PEEP elevate (superiori a 24 cm H2O) ed alte pressioni medie delle vie aeree, c’è stata un’incidenza più bassa di barotrauma nel gruppo ventilato con modalità protettiva, oltre che un’ossigenazione migliore. Successivamente, è stato condotto uno studio con la finalità di capire se la differenza in termini di mortalità e danno alveolare fosse determinata dalla modalità di ventilazione protettiva, o unicamente dall’utilizzo della PEEP alta. Si sono divisi i pazienti in due gruppi, entrambi sottoposti a ventilazioni con bassi VT e basse pressioni delle vie aeree. I risultati affermano che nel gruppo ventilato con PEEP elevata, il rapporto PaO2/FiO2 è migliore, la compliance del sistema respiratorio è più elevata nei primi due giorni, il VT è più basso, così come la pressione di plateau. Inoltre, si è sottolineata la mancanza di una significativa differenza in termini di

mortalità, insufficienza multi-organo e di insorgenza di barotrauma [57].

La PEEP non deve essere considerata una terapia dell’ARDS, ma un mezzo attraverso il quale si riduce il danno al parenchima polmonare, poiché permette l’utilizzo di una ventilazione con VT più bassi ed una FiO2 a livelli meno tossici.

Pressione media delle vie aeree: costituisce un parametro misurabile derivato della pressione alveolare media. Utilizzando pressioni statiche delle vie aeree superiori a 30 cm H2O, si possono indurre danni al polmone con ARDS, tramite un meccanismo di sovradistensione. Per questo motivo, è stato raccomandato l’utilizzo di una pressione di distensione alveolare massima, la quale si deriva dalla pressione di plateau (Pplat), che non superi i 30-35 cm H2O.

Uno studio interessante, condotto da Bellani e coll., ha valutato l’intensità dell’infiammazione polmonare durante la ventilazione meccanica, utilizzando la tomografia ad emissione di positroni (PET) con [18F]Fluoro-2-desossiglucosio. È stato dimostrato che la Pplat correla in modo significativo con l’attività metabolica (quindi con l’infiammazione polmonare) e questa relazione diviene importante a partire da valori al di sopra di 27 cm H2O; per cui, valori di Pplat inferiori a 25 cm H2O sarebbero meno dannosi [58].

Ci sono delle situazioni nelle quali la reale pressione transpolmonare sarà differente rispetto al valore derivato dalla Pplat. Per esempio, potrà essere inferiore all’atteso in pazienti con bassa compliance toracica (come negli obesi), mentre, in altre situazioni potremo avere un’iperinflazione per valori di Pplat bassi (18-26 cm H2O) [59].

La pressione transpolmonare può essere misurata con un palloncino esofageo, il quale deve essere posizionato correttamente (in un paziente

semiseduto) con un’adeguata pressione di occlusione; anche la TC quantitativa del torace può essere utilizzata per valutare l’entità dell’iperinflazione. Queste metodiche sono poco pratiche, per cui, al fine di limitare la sovradistensione, si consiglia semplicemente di ridurre il VT.

• Manovre di reclutamento: una manovra spesso utilizzata prevede l’applicazione di un alto livello di PEEP (30-40 cm H2O) per 30-40 secondi in un paziente in apnea, seguita da un ritorno ad un valore di PEEP più basso. Questo metodo sembra produrre un miglioramento dell’ossigenazione, sebbene ciò non sia costante; infatti, i risultati di piccoli studi non sono stati confermati da lavori più importanti [60]. Inoltre, c’è anche il rischio di una riduzione del ritorno venoso, se il paziente non ha un adeguato carico di liquidi.

Il reclutamento alveolare costituisce uno stimolo al rilascio di surfactante da parte degli pneumociti di tipo II, producendo un aumento dell’elastanza polmonare e un miglioramento della PaO2 nel polmone isolato e perfuso [61], spiegando quei miglioramenti registrati in alcuni studi. Questo si rileva anche nei modelli di ALI, in aggiunta ad una riduzione dei livelli di IL-8 [62].

FiO2: la FiO2 è utilizzata per produrre un’adeguata SaO2; bisogna considerare che la FiO2 alta può causare un danno tissutale, il quale sarà comunque inferiore a quello che deriverebbe dall’utilizzo di un’elevata pressione delle vie aeree [63]. Di solito, si inizia con una FiO2 alta, che viene titolata sulla base della PEEP, portandola ad una valore ≤ 60%. In caso di grave ipossiemia, è possibile utilizzare manovre particolari, come l’utilizzo dell’ossido nitrico per via inalatoria o la pronazione. Il trattamento con elevate FiO2 in maschera

viene solitamente evitato, tanto che spesso si utilizzano comportamenti aggressivi per ridurre una FiO2 eccessiva (come l’aumento della pressione media delle vie aeree).

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