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99 Modalità di allestimento all’interno dei musei teatral

Una volta soffermatisi sul censimento differenziato delle tipologie di spazi espositivi legati alle

performing arts e presenti sul territorio italiano, risulta più che mai chiara la difficoltà di una

gestione programmatica e generalizzata del patrimonio teatrale. Si è qui deciso di scegliere, tra i musei censiti, i quattro che maggiormente si avvicinano all’idea di uno spazio per la conservazione e l’esposizione del patrimonio dello spettacolo nel suo complesso: il Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” di Trieste, il Museo del Teatro alla Scala di Milano, il Museo Teatrale del Burcardo di Roma e il MeMu del Teatro San Carlo di Napoli. Attraverso questi esempi si cercherà di mettere in luce gli aspetti legati alla messa in pratica effettiva dei concetti fin qui elencati di conservazione, gestione ed esposizione.

La conservazione di un edificio storico, di un carteggio privato, di un costume di scena o di strumenti musicali antichi sono, come si è detto, quanto di più diverso vi possa essere e non possono di certo seguire una sola linea direttiva ma devono adeguarsi agli standard internazionali di conservazione per poter garantire la miglior tutela possibile del patrimonio posseduto.

«Il museo non può essere unico e uguale ovunque, secondo generali principi standardizzati, ma nel rispetto di regole tecniche riconosciute le migliori dallo studio scientifico dei problemi di conservazione degli oggetti, deve assumere di volta in volta il carattere che il suo patrimonio e la sua storia esigono»287

Sarà, così, di fondamentale importanza che ogni singolo museo dedicato allo spettacolo chiarisca le sue finalità, producendo un progetto chiaro e lineare per la gestione del patrimonio in suo possesso. Il progetto sarà il punto di partenza che guiderà ogni scelta successiva, stabilirà quali oggetti esporre ed in che modo farlo, al fine di garantirne l’efficacia all’interno del percorso espositivo288. L’identità del museo e gli scopi dello stesso, dovranno risultare da subito evidenti tanto da guidare senza indugi i visitatori alla scoperta del patrimonio. Questi possono sembrare dei concetti basilari e scontati all’interno di uno sviluppo museografico ma a contatto con la realtà delle esposizioni dello spettacolo italiane risulta invece molto spesso evidente la mancanza di un preciso progetto iniziale sul quale basare l’intera esperienza museale, tanto da ritrovarsi spesso a percorrere allestimenti deboli e poco incisivi come nel caso del Museo del Burcardo di Roma, che riflette le debolezze del suo allestimento provvisorio, in spazi precedentemente pensati per un diverso utilizzo.

287

A.Lugli, Museologia, Jaka Book, Torino, 1992, p. 36. 288

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Il progetto museografico non andrebbe invece mai sottovalutato, tanto meno in situazioni critiche come quella dell’esposizione dell’effimero teatrale: la conoscenza dei materiali, l’utilizzo delle diverse sale, delle altezze, dei contenitori in cui esporre il materiale e delle luci mediante le quali illuminarlo, assumono sempre valore preciso, non soltanto come atti di tutela ma come scelte critiche fondanti289.

Le quattro realtà italiane indagate sono molto diverse tra loro, ma mirano tutte alla conservazione ed esposizione di un patrimonio storico ampio ed eterogeneo, concorrendo nel dare un apporto significativo alla musealizzazione della cultura teatrale italiana. Per illustrare le modalità di gestione del patrimonio posseduto bisogna partire dal definire le motivazioni che hanno spinto alla creazione dei singoli musei presi in esame: lo Schmidl è infatti nato a inizio Novecento, per volontà di un singolo, sulle base di una collezione privata; il museo della Scala è nato immediatamente prima, per volontà di un gruppo sulla base di un’acquisizione corposa; il museo del Burcardo è una realtà in transito, piccola parte espositiva dell’immenso archivio SIAE; il MeMus, infine, è un museo giovane, nato dalla volontà di mostrare al pubblico l’archivio di un singolo ente teatrale. Proprio da queste differenze si possono iniziare ad esplorare le modalità di ordinamento ed allestimento previste e comprenderne le differenze.

In tutti i musei dello spettacolo studiati, nonostante le differenze sostanziali già citate, alcuni criteri espositivi si riscontrano come formalmente equiparabili: l’atto di tutela e conservazione è primario all’interno dell’istituzione museale e regolato dal 2001 dall’Atto di indirizzo sui criteri tecnico

scientifici e sugli standard di funzionamento e di sviluppo dei musei290, la gestione e la cura delle collezioni è quindi regolata in maniera uguale per tutti, mediante criteri di sicurezza e prevenzione del danno. Le collezioni eterogenee dello spettacolo, divise per genere, hanno quindi bisogno di trattamenti specifici, regolati dalla normativa in base ai materiali di cui sono composte: vetri e porcellane seguiranno standard di conservazione diversi dai tessuti e dai monili e così via291. Questa commistione di materiali diversi, esposti nell’ambito di una stessa collezione, fa si che oggetti vicini per rapporto storico o per logica d’ordinamento, vengano a trovarsi spesso in netto contrasto tra di

289

Ivi, p. 278. 290

Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e di sviluppo dei musei, in «Gazzetta Ufficiale della repubblica Italiana», n.244, 19 ottobre 2001, Ambito VI-Gestione e cura delle collezioni.

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loro nell’ambito della conservazione, risultando il più delle volte del tutto incompatibili292. Mediante l’Atto di indirizzo, i singoli manufatti vengono quindi schedati e per ognuno è predisposta la giusta collocazione in base a precisi parametri ambientali, che prevedono i valori di riferimento da seguire, al fine di realizzare le condizioni di conservazione idonee293. È dovere del curatore predisporre un allestimento che permetta la giusta fruizione del patrimonio facendo del museo un luogo armonico e comprensibile, pensato per il godimento da parte del pubblico ma senza mai tralasciare le preziose regole e leggi che permettono la conservazione dei manufatti posseduti294. In tutti i musei indagati, i manufatti di diverso tipo sono esposti seguendo un ordine misto, rare sono le suddivisioni per materiale (sono un’eccezione le collezioni di ceramiche del museo della Scala e del museo del Burcardo e il medagliere dello Schmidl), tutti gli oggetti sono poi sistemati all’interno di vetrinette climatizzate che ne consentono il mantenimento in condizioni termo igrometriche stabili, ad esclusione di alcuni materiali del museo romano, esposti in scaffalature inadeguate, un tempo adibite a libreria. Meno rigida sembra la norma seguita, invece, per l’esposizione del materiale iconografico, allestito spesso in maniera approssimativa per mancanza di fondi (utilizzo di pannelli in plastica che impediscono la corretta visione del materiale, supporti angolari spesso poco resistenti)295 e in gran parte conservato negli archivi per mancanza di spazio. L’esposizione dei costumi di scena e degli abiti appartenuti a personalità legate al mondo dello spettacolo, risulta la più complessa tra tutte, esigendo una rotazione costante dovuta ai materiali estremamente sensibili, che non sempre è resa possibile, per mancanza di personale adeguato e deboli risorse nell’ambito del restauro tessile296

. I tessuti, le pelli, le piume e tutti gli altri materiali organici in esposizione rischiano quindi costantemente di subire gravi alterazioni, non soltanto relativamente all’umidità e agli sbalzi climatici ma anche rispetto all’esposizione luminosa297

, questo potrebbe causare deterioramenti irreversibili al patrimonio che esige quindi cure specifiche e

292

Luca Stefanutti, Impianti di climatizzazione. Tipologie applicative, Tecniche nuove, Milano, 2001, pp.234-235.

293

Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e di sviluppo dei

musei…cit. p. 126.

294

M.C. Mazzi, In viaggio con le Muse…cit., p. 279. 295

Difficoltà espositive riscontrate indistintamente in tutti i musei citati e dovute a disponibilità economiche scarse.

296

Claude Fauque, Costumes de scene: a travers les collections du CNCS, Editions de La Martiniere, Parigi, 2011, pp. 14-23.

297

Luca Stefanutti, Impianti di climatizzazione. Tipologie applicative, Tecniche nuove, Milano, 2001, pp.239-241.

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collocazioni spesso impossibili, nei limitati spazi disponibili in piccoli musei settoriali come quelli indagati.

«Il quadro di raccomandazioni e norme conservative in materia di illuminazione di manufatti […] è, pertanto, un compromesso ragionevole tra l’azione di degrado inevitabilmente prodotta dall’esposizione alla luce dei manufatti stessi e le esigenze di fruizione, al fine di garantire condizioni di conservazione accettabili e spendibili nel tempo.»298

Cura e gestione delle collezioni entrano qui in rapporto con le finalità espositive: proteggere i manufatti dal deterioramento non basta a fare di uno spazio un museo. I reperti della cultura teatrale devono essere esposti in maniera da comunicare con il pubblico dei visitatori e creare quella narrazione di cui si è detto, in grado di innalzare gli oggetti al livello di documenti semantici. Un costume non sarà più un semplice reperto tessile montato su di un manichino ma, illuminato nella giusta maniera, e collocato adeguatamente diverrà sostituto di chi l’ha indossato e portatore semantico di memoria299.

Al museo del Burcardo di Roma la collocazione dei reperti tessili, pochi ma significativi, è forse quella maggiormente riuscita, in un ambiente museale decisamente scarno. La scelta d’allestimento proposta, ha giocato sulle altezze e sui movimenti, collocando i manichini su pedane rialzate, simili a piccoli palchi e ricreando in maniera semplice ma efficace la relazione tra spettatore e attore, modellando i manichini di legno in pose espressive. Un allestimento semplice ed efficace, che sembra però, in alcuni spazi, lasciato al caso, giustapponendo in spazi contigui materiali di provenienza diversa300 e mancando totalmente dell’azione luminotecnica. Una mancanza, quella dell’utilizzo semantico della luce, che si può notare anche al Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl e al Museo del Teatro alla Scala, dove la luce è diretta ai reperti con il solo fine di illuminarli ma senza alcuno scopo narrativo. Sulla luce è invece quasi totalmente fondato il museo più recente, il MeMus di Napoli, dove sono proprio le proiezioni e le immersioni luminose a ricreare lo spettacolo in uno sviluppo emotivo della memoria scenica, un museo che ben si riassume nella definizione di Giulio Paolini, pittore, scultore e scenografo:

298

Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e di sviluppo dei

musei…cit. p. 130.

299

Cfr. Donatella Gavrilovich, In mostra “Anime di stoffa”. Musei e mostre del costume, in Paola Bertolone, Maria Ida Biggi, Donatella Gavrilovich, Mostrare lo Spettacolo...cit.

300

«Nell’allestimento i costumi, disposti in coppia o isolati, sono esposti senza un apparente nesso, come nella grande vetrina, che ospita quattro manichini con costumi di scena realizzati per quattro differenti rappresentazioni […]» Ivi, p. 167.

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