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Modello di Bohr dell’atomo di idrogeno (1913)

Nel 1913 Bohr formulò un modello dell’atomo di idrogeno che era in grado di riprodurre quantitativamente le principali caratteristiche dell’atomo e, in particolare, lo spettro osservato delle righe di emissione e assorbimento.

Il modello si basa su tre ipotesi:

• L’elettrone ruota attorno al nucleo su orbite stabili senza emettere radiazione. • Le sole orbite consentite sono quelle per le quali il momento angolare risulta

un multiplo intero della costante di Planck ~:

L = mvr = n~ . (1.44)

• L’elettrone può effettuare transizioni discontinue tra due orbite consentite. Quando ciò accade viene emessa o assorbita radiazione di frequenza

~ω = E − E0 , (1.45)

dove E − E0 è la variazione di energia dell’elettrone tra le due orbite.

Studiamo allora in più dettaglio le conseguenze di queste tre ipotesi del modello. La stabilità di un’orbita è determinata dall’equilibrio tra la forza coulombiana e la forza centrifuga Fcoul = Fcentre 2 r2 = mv 2 r . (1.46)

Questa condizione, unita alla (1.44), fornisce ( mv2r = e2 mvr = n~ v = e2 n~ , r = n~ mv = n2~2 me2 . (1.47) Dunque r = n2 ~ 2 me2 ≡ n2a0 , v c = 1 n e2 ~ c ≡ α n , (1.48)

dove si sono introdotti il raggio di Bohr,

a0 = ~

2

e la costante di struttura fine2: α = e 2 ~ c ' 1 137 . (1.50)

I risultati (1.48) verranno poi riprodotti dalla meccanica quantistica in termini dei valori medi, h1/ri = 1/(n2a0)e hv2/c2i = α2/n2.

Noti il raggio e la velocità dell’orbita possiamo calcolare l’energia delle orbite elettroniche. L’energia cinetica e potenziale sono date da:

T = p 2 2m = mv2 2 = me4 2n2 ~2 = 1 2n2 mc2α2, V = −e 2 r = − me4 n2 ~2 = − 1 n2 mc2α2 , (1.51) da cui E = p 2 2m −e 2 r = − 1 2n2 mc2α2 . (1.52)

Questo risultato per i livelli di energia sarà riprodotto dalla meccanica quantistica. In particolare, i risultati ottenuti in (1.51) valgono anche meccanica quantistica rispettivamente per i valori medi di T e V .

L’espressione (1.52) per i livelli di energia dell’elettrone consente di calcolare, in accordo con l’ipotesi (1.45) del modello, le frequenze delle righe di emissione e assorbimento dell’atomo: ~ω = E − E0 = 1 2mc 2α2  1 n0 21 n2  . (1.53)

Questo risultato, in accordo con le misure sperimentali e non spiegato altrimenti in alcun modo sino a quel momento, decretò l’enorme successo del modello di Bohr.

Più tardi, nel 1923, l’ipotesi di quantizzazione del momentgo angolare (1.44), introdotta “ad hoc” nel modello di Bohr, troverà una sua giustificazione nella teoria ondulatoria dell’elettrone formulata da De Broglie. Introducendo infatti la relazione

2In questo corso utilizziamo il sistema di unità CGS Gaussiano, in cui la costante di Coulomb, che nel sistema internazionale vale k1= 1

4π0 (SI), e la costante che entra nella legge di Ampere, k2= µ0

(SI), valgono rispettivamente k1= 1 (GAUSS) e k2= 1

c2 (GAUSS) (in qualunque sistema si ha k1/k2= c2). Osserviamo che il raggio di Bohr a0e la costante di struttura fine α, definiti in eq. (1.49) e (1.50), sono espressi nel sistema SI da a0= 4π0~

2

me2 (SI) e α = e 2

di De Broglie tra impulso e lunghezza d’onda, p = mv = h/λ, nella condizione di Bohr (1.44), si ottiene L = mvr = p r = h λr = n ~ = n h, (1.54) ossia 2π r = n λ . (1.55)

Dunque, le orbite consentite nel modello di Bohr sono quelle a cui corrisponde un’on-da elettronica stazionaria, la cui circonferenza cioè contiene un numero intero di lunghezze d’onda.

La meccanica quantistica è la descrizione del comportamento della materia e della luce in tutti i suoi dettagli ed in particolare di ciò che avviene su scala atomica.

Gli oggetti su scala molto piccola non si comportano come nessuna cosa di cui si possa avere diretta esperienza. Sotto alcuni aspetti si comportano come onde, sotto altri come particelle, ma in effetti non si comportano come né l’una né l’altra cosa.

D’altra parte il comportamento quantistico degli oggetti atomici (elet-troni, protoni, neu(elet-troni, fotoni e così via) è lo stesso per tutti: sono tutti “onde-particelle”, o qualunque altro nome gli si voglia dare.

Una descrizione coerente del comportamento della materia su scala microscopica venne dato, negli anni 1925-1927, principalmente da Hei-senberg, Schrödinger, Dirac e Born.

Consideriamo qui le principali caratteristiche di tale descrizione, descrivendo un “esperimento ideale”, che mette a confronto, in una particolare situazione sperimentale, il comportamento quantistico degli elettroni con il comportamento di particelle classiche, quali pallottole, ed onde classiche, del tipo di quelle che si formano nell’acqua.

Un esperimento con pallottole

P1 = probabilità che il proiettile giunga in x passando per il foro 1; P2 = probabilità che il proiettile giunga in x passando per il foro 2; P12= probabilità che il proiettile giunga in x passando per il foro 1

o per il foro 2.

Risultato dell’esperimento:

• I proiettili arrivano sempre a blocchi identici e distinti.

• L’effetto con entrambi i fori aperti è la somma degli effetti che si hanno quando è aperto ciascuno dei due fori da solo. Le probabilità vanno sommate:

P12= P1+ P2 . (2.1)

Un esperimento con onde (prodotte in acqua)

I1 =intensità misurata lasciando aperto solo il foro 1; I2 =intensità misurata lasciando aperto solo il foro 2; I12 =intensità misurata lasciando aperti entrambi i fori. Risultato dell’esperimento:

• L’intensità può assumere qualsiasi valore; non possiede una struttura a blocchi. • L’intensità misurata quando entrambi i fori sono aperti non è la somma di

I1 e I2: si ha interferenza tra le due onde.

Matematica dell’interferenza (formalismo complesso)

• Re (h1eiωt) = altezza istantanea al rivelatore dell’onda proveniente dal foro 1;

• Re (h2eiωt) = altezza istantanea al rivelatore dell’onda proveniente dal foro 2;

• Re [(h1+ h2) eiωt] =altezza istantanea al rivelatore dell’onda che arriva quando entrambi i fori sono aperti.

L’intensità è proporzionale all’ampiezza quadratica media, cioè, con il formalismo complesso, al modulo quadro dell’ampiezza. Tralasciando la costante di proporzio-nalità:

I1 = |h1|2 , I2 = |h2|2 ,

dove δ è la differenza di fase tra h1 e h2 (funzione di x). Allora, in termini di intensità:

I12= I1 + I2+ 2pI1I2cos δ . (2.3) L’ultimo termine in questa espressione è il termine di interferenza.

Un esperimento con elettroni

P1 = probabilità che l’elettrone giunga in x passando per il foro 1 (con il foro 2 chiuso);

P2 = probabilità che l’elettrone giunga in x passando per il foro 2 (con il foro 1 chiuso);

P12= probabilità che l’elettrone giunga in x con entrambi i fori aperti.

Risultato dell’esperimento:

• Gli elettroni arrivano sempre in granuli, tutti identici tra loro (come i proiet-tili).

• La probabilità P12 ottenuta con entrambi i fori aperti non è la somma di P1 e P2:

Se fosse vero che ciascun elettrone o attraversa il foro 1 oppure attraversa il foro 2 allora la probabilità P12dovrebbe essere la somma di P1 e P2. Si potrebbe pensare che gli elettroni seguano percorsi complicati, passando magari più volte per ciascun foro. Ma nemmeno questo è possibile:

• Vi sono punti in cui arrivano meno elettroni quando sono aperti entrambi i fori, ossia la chiusura di un foro aumenta il numero di elettroni provenienti dall’altro.

• Al centro della curva, P12 è maggiore della somma P1 + P2; è come se la chiusura di un foro diminuisse il numero di elettroni che escono dall’altro.

Sebbene questi risultati siano incomprensibili, la loro descrizione matematica è estremamente semplice: la curva P12 è proprio una curva di interferenza come I12 e la matematica è dunque quella dell’interferenza.

I risultati dell’esperimento possono essere descritti introducendo due numeri complessi, funzioni di x: φ1 e φ2. Si ha poi:

P1 = |φ1|2 , P2 = |φ2|2 , P12= |φ1+ φ2|2 . (2.5) Su questa descrizione matematica torneremo più avanti. Discutiamo prima un altro risultato dell’esperimento.

Osservazione degli elettroni

Poiché il numero di elettroni che arriva in un particolare punto non è uguale al numero di elettroni che arrivano passando dal foro 1 più quelli che passano dal foro 2, dobbiamo concludere che non è vero che gli elettroni passano attraverso l’uno o l’altro dei fori 1 e 2. Verifichiamo questa conclusione con un esperimento. Aggiungiamo nell’apparato sperimentale una sorgente di luce, posta dietro allo schermo, a metà tra i due fori. Poiché le cariche elettriche diffondono la luce, quando un elettrone attraversa lo schermo con le due fenditure devierà verso il nostro occhio della luce e potremo vedere il cammino dell’elettrone stesso.

Risultato dell’esperimento:

• Gli elettroni che vengono osservati risultano essere passati o dal foro 1 o dal foro 2 ma non da tutti e due insieme.

• L’andamento di P0 1 e P0

2, costruiti lasciando entrambi i fori aperti ma osser-vando da quale foro sia passato l’elettrone è uguale all’andamento di P1 e P2

elettroni che vediamo arrivare attraverso il foro 1 sono distribuiti nello stesso modo, indipendentemente dalla situazione del foro 2. La probabilità totale risulta dunque essere la somma delle probabilità

P120 = P10+ P20 . (2.6)

Non c’è interferenza.

La distribuzione degli elettroni sullo schermo quando li osserviamo è differente da quella quando non li osserviamo.

Evidentemente la luce, nell’essere diffusa dagli elettroni, dà loro un colpo che ne fa mutare il movimento. Si può tentare allora di modificare l’esperimento in modo da osservare gli elettroni senza disturbarli troppo. Ma questo non risulta essere pos-sibile. È impossibile costruire un apparecchio per determinare da quale foro è passato l’elettrone che allo stesso tempo non perturbi l’elettrone sufficientemente da distruggere l’interferenza. Se un apparecchio è ca-pace di determinare da quale foro è passato l’elettrone non può essere così delicato da non alterarne in modo essenziale la distribuzione. Questo risultato è una conseguenza particolare del principio di indeterminazione.

2.1

Principi base della Meccanica quantistica: probabilità e

ampiezza di probabilità

Riassumiamo ora, in forma generale le principali conclusioni dell’esperimento sopra descritto:

1. La probabilità di un evento in un esperimento ideale è data dal quadrato del modulo di un numero complesso φ che viene detto ampiezza di probabilità:

P = probabilità

φ = ampiezza di probabilità P = |φ|2

. (2.7)

2. Quando un evento può avvenire secondo varie alternative, l’ampiezza di probabilità per l’evento è la somma delle ampiezze di probabili-tà per le varie alternative considerate separatamente. Si ha perciò interferenza:

φ = φ1+ φ2

P = |φ1+ φ2|2 . (2.8)

3. Se si effettua un’esperienza capace di determinare se una o l’al-tra delle possibili alternative è effettivamente realizzata, la proba-bilità dell’evento è la somma delle probaproba-bilità per ciascuna delle alternative. Non si ha più interferenza:

P = P1+ P2 . (2.9)

Sottolineiamo una differenza molto importante tra la meccanica classica e quella quantistica: nella meccanica quantistica è impossibile prevedere esatta-mente ciò che accadrà in una data situazione. La sola cosa che è possibile prevedere é la probabilità di eventi differenti.