• Non ci sono risultati.

Capitolo 3 La Cina nel panorama mediatico africano

3.4 Modello mediatico cinese

Quando si parla di un modello cinese di sviluppo dei media, è importante tenere a mente la complessità e la diversità del sistema mediatico in Cina.

A questo riguardo, la Rivoluzione Culturale è stata uno spartiacque nella storia della Repubblica Popolare Cinese; da questo momento in poi, la cultura cinese ha iniziato a diversificarsi e a riflettere una società varia e stratificata. Nell’industria mediatica, un pubblico più vario porta alla diversificazione dei programmi. In primo luogo, i generi e i formati dei programmi hanno iniziato a variare: non c’erano più soltanto notizie e

commentari, ma anche talk show, game show, reality TV, ecc.; in secondo luogo, il contenuto era diversificato: in passato il contenuto politico era predominante, da questo momento in poi si può trovare più intrattenimento nei programmi cinesi.27

Nel periodo post Guerra Fredda, in cui le teorie sul ruolo dei media erano quasi interamente ispirate ad un modello neo-liberale, la Cina ha scelto un percorso diverso. Nella RPC la proprietà dei media è rimasta nelle mani dello stato e alle singole testate è stata garantita una maggiore autonomia editoriale, garantendo un livello minimo di pluralismo informativo.

27

HU Zhengrong, “The Chinese Model and Paradigm of Media Studies”, in Global Media and

68 Questi cambiamenti hanno permesso ai giornalisti di allargare un po’ la sfera pubblica, aggiungendo nuove tematiche di cui è lecito raccontare, nonostante le decisioni finali rimangano in mano al potere centrale. Il sistema mediatico cinese contemporaneo oscilla, quindi, tra due dimensioni apparentemente contrastanti, ma che il Pcc è riuscito finora a gestire: queste due dimensioni sono lo Stato e il mercato. I media sono complessivamente rimasti di proprietà dello Stato e del Partito, anche se la visione che il governo ha dei media come degli apparati ideologici per il controllo politico è cambiata a seguito della crescente commercializzazione dei mezzi di comunicazione. Questa commercializzazione sta facendo sì che i media vengano sempre meno utilizzati dal partito a scopo ideologico, con il risultato di cercare un equilibrio tra la linea del partito e una maggiore libertà. I media cinesi

contemporanei sono caratterizzati da riforme errate, periodiche repressioni e contraddizioni tra controllo politico e cambiamenti del mercato.28

Il modello cinese, inoltre, si è ispirato ad un principio diverso rispetto quello della libertà d’espressione alla maniera occidentale; infatti, alla libertà d’espressione intesa come libertà negativa, libertà dalle interferenze di uno stato da contenere nel proprio potere, i cinesi hanno opposto il principio confuciano dell’armonia tra lo stato e l’individuo, affermando che il dovere del giornalista è quello di contribuire allo sviluppo della società, piuttosto che quello di scrivere ciò che ritiene importante. Un esempio lampante di questo principio è stato il “Libro Bianco sullo sviluppo di Internet in Cina”29, pubblicato nel giugno del 2010 dal governo cinese, il quale ha sottolineato come Internet, e più in generale i mezzi di

comunicazione, siano per prima cosa degli strumenti per raggiungere un livello di prosperità e di sviluppo più alto, e che ai cittadini, nel momento in cui esercitano la propria libertà d’espressione, non è permesso violare gli interessi sociali, collettivi e dello stato. Ed è appellandosi a questo principio confuciano che la Cina si è proposta ai paesi africani per stringere la collaborazione nel settore dei media. Durante la riunione del FOCAC del 2006, la Cina si è impegnata ad aiutare i media pubblici in Africa per renderli più autonomi nella competizione con i media privati, e per favorire un sistema mediatico che si concentri più sui risultati positivi raggiunti dai governi piuttosto che sulle loro mancanze. Questa idea di giornalismo “in positivo” è stata proclamata dalle autorità cinesi come un’alternativa al modello occidentale, per il quale “una cattiva notizia è una buona notizia”30, e che nel tempo

28 Teke NGOMBA, “Differing Paradigms of Media Systems… “, op.cit.

29Iginio GAGLIARDONE, “La Cina in Africa: Media e Telecomunicazioni”, in Inchiesta, 169, 30 settembre 2010, http://www.inchiestaonline.it/dossier/cina-politica-lavori-diritti/iginio-gagliardone-la-cina-in-africa- media-e-telecomunicazioni/, 15-03-2013

ha radicato nell’immaginario occidentale l’idea dell’Africa come un paese di guerre, carestie e dittatori.

Riassumendo, il sistema mediatico cinese ha tre caratteristiche principali:

- “proprietà singola, doppio sistema”: i media cinesi sono attualmente ancora di proprietà statale, ma nella pratica alcune aree dell’industria mediatica, come ad esempio la produzione e la pubblicità, sono aperte al capitale privato. Gli scopi di un mezzo di comunicazione tipico sono, da una parte, quelli di competere e di produrre profitto, e dall’altra, quello di adempiere al volere del partito, con guadagni finanziari dal mercato. Nonostante l’investimento privato sia permesso, il governo ha sempre la decisione finale.

- il ruolo contradditorio dei media nella società: in Cina, i media sono soprattutto macchine per la propaganda, a seguire sono competitori nel mercato mediatico e solo alla fine sono dei fornitori di un servizio pubblico. Attualmente, i mezzi di

comunicazione cinesi hanno ruoli che sarebbero separati nei sistemi mediatici statali, in quelli commerciali e in quelli privati.

- l’incertezza nella politica dei media e le istituzioni mediatiche: i mezzi di

comunicazione cinesi non sono né compagnie né corporazioni, ma organizzazioni del governo; il governo gestisce i media a nome del Patito Comunista. Con le riforme economiche, i media centrali e quelli nelle aree costiere stanno avendo più risorse, mentre gli altri media riescono a mala pena a sostentarsi, e il governo sta ancora attuando una politica centralizzata e monolitica nonostante il panorama mediatico nazionale sia molto diversificato. 31

Il sistema mediatico cinese rientra nel modello definito “Asian-Caribbean Command Model”.32 Questo modello rappresenta i paesi nei quali il governo possiede il controllo assoluto dei mezzi di comunicazione, esclusi quelli che vengono finanziati dal mercato. In questo modello rientra anche lo Zimbabwe, anche se i sistemi mediatici del resto del territorio africano rimangono Western-oriented; questo principalmente per due motivi: il primo è dovuto al passato coloniale dei paesi africani, durante il quale sono stati influenzati dalle società e dai modelli occidentali; il secondo motivo è dato dal fatto che molti giornalisti africani sono andati in Europa o in Nord America a studiare e quindi hanno recepito

maggiormente i modelli occidentali. Quindi si può affermare che, finché i media occidentali continueranno ad assistere l’Africa, e mentre i giornalisti africani continueranno a seguire lo

31

HU Zhengrong, “The Chinese Model and Paradigm…”, op.cit. 32 Teke NGOMBA, “Differing Paradigms of Media Systems… “, op.cit.

70 stile occidentale, l’orientamento verso occidente del sistema mediatico africano continuerà e, di conseguenza, l’alternativo modello cinese farà fatica a farsi strada. Politicamente parlando, l’Africa è troppo aperta per poter ospitare il tipo di sistema mediatico attualmente presente in Cina. Oltre alla mancanza di mezzi materiali e finanziari per sviluppare e controllare i media, come invece fa il Pcc in Cina, i governi africani devono rispondere ad una domanda interna di maggiore libertà, e ad una estera di democrazia liberale. Se l’Africa dovesse seguire la via cinese, questo sarebbe percepito come un passo indietro. Al momento pochi governi africani potrebbero assumersi il rischio di cambiare legislazione sui media e prendere il modello cinese. Al contrario, alcuni governi africani, si stanno muovendo verso una democrazia liberale, con un sistema mediatico possibilmente più libero. Infatti, è più probabile che nel contesto della globalizzazione i sistemi mediatici africani si evolvano in un modello liberale piuttosto che nel modello cinese, dato che, in questo particolare contesto in cui i paesi sono sostanzialmente integrati in un sistema economico globale, è più naturale seguire la strada della democrazia liberale. A questo riguardo, è possibile pensare che sia la Cina sia l’Africa possano dirigersi verso il modello liberale. I motivi per cui anche la Cina potrebbe sembrare rivolgersi verso un modello mediatico liberale possono essere:

- la Cina, nel corso degli anni, ha promosso un principio liberale della libertà del mercato lungo la commercializzazione del suo sistema dei media;

- anche la formazione e la pratica del giornalismo stanno cambiando in Cina, suggerendo orientamenti verso il modello liberale. I giornalisti cinesi sono ora disposti a sfruttare le piccole libertà che possiedono, grazie alla commercializzazione dei mezzi di comunicazione, di praticare un po’ di giornalismo impegnativo, in un modo che riflette un cambiamento radicale rispetto a prima della

commercializzazione del media.

- i programmi delle scuole cinesi di giornalismo sono stati recentemente aggiornati con valori nuovi pseudo occidentali.33

Nonostante questo, l’unicità del background storico e culturale della Cina ha fatto sì che i paradigmi occidentali stabili non possano essere pienamente applicabili alla realtà cinese e quindi un paradigma proprio cinese è necessario per i ricercatori per condurre gli studi sui media. L’intento di stabilire un paradigma cinese non è quello di abbandonare i concetti occidentali, poiché essi si applicano alle caratteristiche comuni della società umana, ma è quello di utilizzare i concetti e i metodi cinesi per comprendere e spiegare le realtà cinesi.