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Modello di regressione tobit sul tempo (minuti) dedicato agli spostamenti dalla popolazione femminile di 3 anni e più

Nel documento I confini del tempo di lavoro. (pagine 79-89)

Anni 2002-2003, 1988-1989

FEMMINE

2002-2003 1988-1989

Coeff. Signif. E P Coeff. Signif. E P

CLASSE DI ETÀ (55-64 omessa)

3-14 0.63 ** -14.01 -0.07 0.38 0.21 0.00 15-24 26.11 ** 11.93 0.04 28.46 ** 16.92 0.09 25-34 23.23 ** 8.29 0.03 23.92 ** 14.08 0.08 35-44 18.58 ** 5.33 0.02 14.78 ** 8.53 0.05 45-54 9.40 * 3.24 0.01 10.98 ** 6.30 0.04 65-74 -15.20 ** -7.70 -0.03 -4.08 -2.26 -0.01 75 e più -51.83 ** -28.00 -0.16 -35.83 ** -18.13 -0.14

TITOLO DI STUDIO (Senza titolo o solo licenza elementare omesso)

Laurea 11.79 ** 7.15 0.03 11.04 ** 6.38 0.04

Diploma superiore 12.26 ** 9.49 0.04 9.05 ** 5.17 0.03

Licenza media 7.45 ** 6.53 0.03 6.88 ** 3.88 0.02

CONDIZIONE LAVORATIVA (Non occupato omesso)

Occupato 13.23 ** 8.02 0.03 26.31 ** 14.67 0.09

RIPARTIZIONE GEOGRAFICA (Nord omesso)

Centro -1.23 ** 3.86 0.01 3.49 ** 1.97 0.01

Sud e Isole -0.95 ** 5.09 0.02 -1.88 ** -1.05 -0.01

TIPO DI COMUNE (Centro area metropolitana omesso)

Periferia area metropolitana -1.40 1.57 0.01 -5.77 * -3.19 -0.02

Comuni <2.000 abitanti -6.67 -0.42 0.00 -7.17 ** -4.04 -0.02

Comuni >2.000 abitanti -5.61 -1.44 -0.01 -9.74 ** -5.35 -0.03

RUOLO FAMILIARE (Coniuge senza figli omesso)

Single o membro isolato 15.01 ** 11.53 0.04 10.14 ** 5.85 0.03

Coniuge con figli -6.24 * -2.40 -0.01 -4.53 * -2.53 -0.02

Figlio 16.89 ** 9.75 0.04 10.27 ** 5.80 0.04

Genitore non in coppia -1.60 * 5.49 0.02 -3.45 -1.91 -0.01

GIORNO DELLA SETTIMANA (Lunedì-venerdì omesso)

Sabato 10.09 ** 9.86 0.04 -0.34 -0.19 0.00

Domenica 3.12 ** 5.02 0.02 3.15 * 1.77 0.01

* p value < 0,05; ** p value < 0.01.

E = Effetto marginale sul valore Atteso Condizionato; P = Effetto marginale sulla probabilità di partecipazione.

Bibliografia

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2.1 - Desincronizzazione e permeabilità del tempo di lavoro?

Forse ancora più del cronometro, l’orologio marcatempo è stato il simbolo dell’era industriale e burocratica. L’atto di “timbrare il cartellino” all’inizio e alla fine del lavoro marcava la netta distinzione tra la parte della giornata dedicata al lavoro retribuito e quella dedicata alle attività riproduttive (cibarsi, curarsi o curare altre persone, riposarsi, divertirsi, vivere relazioni sociali, eccetera). Inoltre, questo atto era quasi contemporaneo per la grandissima maggioranza dei lavoratori dipendenti e scandiva i ritmi di vita e la mobilità delle persone nelle grandi città così come nei piccoli paesi inclusi nelle aree metropolitane. Alle “ore di punta” che precedevano la “timbratura” all’inizio del lavoro e seguivano quella alla fine, si alternavano le “ore di morbida” in cui quasi tutti gli occupati erano “chiusi” nei luoghi di lavoro o svolgevano attività riproduttive nelle proprie case o in luoghi dedicati (dai negozi ai cinema, dai bar ai circoli). Alla netta distinzione dei tempi (oltre che dei luoghi) di lavoro e non lavoro si accompagnava una loro elevata sincronizzazione nel corso della giornata lavorativa.

Il presente capitolo è stato curato da: Paolo Barbieri, Giovanna Fullin, Emilio Reyneri e Giovanna Viviani, Dipartimento di sociologia e ricerca sociale - Università degli studi di Milano Bicocca.

Tale organizzazione dei tempi ha raggiunto la sua acme nella stagione della grande impresa taylorista e fordista per la produzione di merci e dei grandi apparati burocratici per la regolazione e la riproduzione della società, che richiedevano la contemporanea presenza al lavoro di grandi masse di operai e impiegati.

Con l’avvento della società terziaria profondi mutamenti hanno interessato modi, luoghi e contenuti del lavoro. Dalla lavorazione di beni materiali si è passati alla fornitura di servizi alle persone e all’elaborazione di informazioni e simboli, dalla produzione standard per il magazzino a quella “personalizzata” e just in time, dalle grandi organizzazioni alle piccole unità, dalla gerarchia chiusa alle reti aperte. La variabilità e l’incertezza, che i nuovi modi di produrre beni e servizi implicano, richiedono flessibilità nelle tecnologie impiegate e nell’uso della forza lavoro. Se la prima richiesta è stata fortunatamente soddisfatta dalla diffusione dell’informatica, la seconda ha provocato la crescita di nuove forme di occupazione e di nuovi regimi di tempo di lavoro, nonché di rischi di nuove forme di marginalità nella distribuzione degli orari di lavoro (Chiesi, 1989). Tra le nuove forme di occupazione vi sono sia i rapporti di lavoro a termine, sia le collaborazioni che combinano l’inserimento nell’organizzazione di impresa con l’estrema flessibilità di un rapporto giuridicamente indipendente. Tra i nuovi regimi di orario vi sono le varie forme di lavoro a tempo parziale, i lavori su turni o in orari non consueti, le diverse clausole di flessibilità in entrata e in uscita, il monte ore su base annua e non più settimanale, il lavoro a chiamata, eccetera. Ma al lavoratore, soprattutto se addetto a compiti ad alta qualificazione professionale, si chiede spesso anche un coinvolgimento totale, che può giungere ad investire almeno in parte la sua vita privata (Accornero, 2002; Reyneri, 2005).

Desincronizzazione dell’impegno lavorativo degli occupati nel corso della giornata e permeabilità tra tempo di lavoro e di non lavoro sono, dunque, due aspetti che dovrebbero caratterizzare l’odierno modo di lavorare. Tuttavia, almeno in Italia finora gli studi empirici non sono andati oltre l’analisi della diffusione dei regimi particolari di orario, dal part time al lavoro a turni, notturno o festivo, senza porsi il problema se siamo davvero di fronte ad una destrutturazione della giornata lavorativa standard per una gran quantità di lavoratori. Oltre ad affrontare questo interrogativo, l’indagine sull’uso del tempo ha consentito di vedere in quale misura le attività lavorative “invadono” il tempo di non lavoro,

anche in modi che possono sfuggire alle consuete rilevazioni dei time budget.

Infine, le due ipotesi sono state discusse considerando non soltanto alcune tradizionali caratteristiche dei lavoratori1 (genere, istruzione, livello professionale, eccetera), ma anche la loro posizione occupazionale, definita in modo da distinguere le forme di lavoro instabili da quelle stabili, sia dipendenti sia indipendenti. Così, tra i dipendenti si sono distinti quelli a tempo indeterminato da quelli a termine e tra gli indipendenti si sono distinti quelli tradizionali, cioè i professionisti, gli artigiani e i negozianti con una vasta clientela, che assicura loro un’elevata stabilità, dai nuovi indipendenti su commessa, cioè dai collaboratori, che corrono il serissimo rischio di cadere nella disoccupazione se il committente, quasi sempre unico, non rinnova la commessa2. Ciò consente di vedere se alla flessibilità dello status occupazionale si accompagna quella dell’impegno lavorativo durante la giornata. Nel campione dell’indagine sull’uso del tempo i lavoratori instabili sono leggermente sottostimati rispetto a quanto risulta dall’indagine sulle forze di lavoro (7,5 per cento contro 8,6 per cento per i dipendenti a termine e 1,6 per cento contro 2,2 per cento per gli indipendenti su commessa)3, ma l’analisi comparativa non ne soffre.

Nel secondo paragrafo, ci proponiamo di illustrare come la distribuzione dei tempi di lavoro effettivo nell’arco della giornata media lavorativa (dal lunedì al venerdì), cioè delle 24 ore monitorate, vari per coloro che si dichiarano occupati (e hanno lavorato per almeno un episodio di 10’) in accordo con le caratteristiche strutturali e socio- demografiche degli individui. Questo ci consentirà di affrontare la questione della de-sincronizzazione dei tempi di lavoro. Vedremo come, rispetto ad altre fonti (in particolare risposte a survey, come le rilevazioni delle forze lavoro) i nostri dati di time budget diano un’immagine molto meno favorevole ad ipotesi di de-sincronizzazione e de-standardizzazione (Gershuny, 2000; Bauman, 1996; Crespi, 2005).

1Dato lo scarso numero di casi sono stati esclusi gli ultrasessantacinqenni.

2Per costruire la tipologia sono state incrociate le informazioni relative al carattere subordinato o

autonomo della prestazione con quelle relative alla presenza o meno di un termine (che poteva essere legato vuoi alla consegna di un prodotto vuoi ad una semplice scadenza temporale).

3Il termine di confronto è tratto dall’indagine sulle forze di lavoro del 2004, la prima ove sono stati

rilevati collaboratori e prestatori d’opera occasionali, che si possono equiparare a chi nell’indagine sull’uso del tempo si è dichiarato indipendente, ma con un lavoro a scadenza prefissata o destinato a terminare con la fornitura di un prodotto.

Il terzo paragrafo utilizza i dati del questionario individuale e si concentra sulla questione dei confini tra tempo di lavoro e di non lavoro. Metteremo in luce, in particolare, chi sono i soggetti che più frequentemente dichiarano di lavorare fuori orario e nei giorni non lavorativi, che tipo di attività extra-orario svolgono e quali sono i motivi che li spingono a portarsi il lavoro a casa, a lavorare nei giorni festivi e a prolungare l’orario di lavoro.

Il successivo paragrafo 2.4, si occuperà invece di analizzare il fenomeno della permeabilità fra tempi di vita e di lavoro, utilizzando di nuovo i dati dei time budget. Procederemo esponendo i risultati per caratteristiche socio-demografiche e occupazionali, quindi cercheremo, attraverso un modello di regressione logistica binomiale, di identificare le caratteristiche di coloro che hanno più elevate probabilità di avere un percorso lavorativo “accidentato” e frammentato, identificato da un numero elevato di transizioni fra “stati”, cioè fra modalità diverse di allocazione del tempo in attività differenti.

2.2 - Modelli di distribuzione dei tempi di lavoro nella giornata lavorativa4

La quantità di tempo annualmente dedicato al lavoro, nel nostro paese, è andata gradualmente declinando nel corso dell’ultimo trentennio, periodo per il quale le fonti internazionali hanno dati relativamente attendibili. In effetti, sull’entità di tale riduzione, le stesse fonti internazionali appaiono un poco confuse (Evans et al., 2001; Oecd, 2006), indipendentemente dal fatto che ad essere presi in considerazione siano i soli occupati dipendenti o il totale degli occupati. Ad ogni modo, ciò che sembra emergere dal confronto internazionale, è una più marcata riduzione delle ore lavorate, in Italia, per il ventennio 1970-1990, mentre dai primi anni Novanta tale riduzione sembra essersi ridotta. Le stesse fonti Oecd, comunque, non sono concordi, e la confusione aumenta allorché si considerino i dati sulle ore medie settimanali

4In questo paragrafo e nel paragrafo 2.4 faremo riferimento ai dati dei diari giornalieri compilati

nei giorni feriali dal lunedì al venerdì dagli occupati (15-65 anni) che nella settimana in questione avevano effettivamente lavorato, cioè avevano svolto almeno uno slot temporale (10’ minimo) di attività lavorativa retribuita. Per questo motivo, i dati riportati potranno differire parzialmente anche da altre fonti che abbiano utilizzato i medesimi time-budget. Nel nostro campione, infatti, non sono inclusi gli occupati in ferie o in malattia o coloro i quali, pur risultando occupati, non abbiano effettivamente investito parte del loro tempo giornaliero in un’attività lavorativa.

lavorate (Eurostat, Lfs, citato in Istat, 2006). Al 2004, i dati Oecd ci mostrano che l’Italia è un paese in cui, complessivamente, le ore annue lavorate per occupato sono comunque fra le più elevate fra i paesi dell’Europa occidentale (1585): a lavorare di più sembrerebbero essere i paesi anglosassoni e i paesi mediterranei ad economie labour intensive. Una fotografia ancora parzialmente differente emerge allorché si considerano, come fa ad esempio Istat nel rapporto 2006, i dati di fonte Eurostat - Rilevazione sulla struttura del costo del lavoro. In questo caso, l’Italia “guadagna” ore lavorate (dai dipendenti delle imprese con più di dieci dipendenti nel settore privato extra agricolo) anche se complessivamente viene confermato quanto detto, cioè che siamo un paese in cui l’orario di lavoro (annuo o settimanale) non è affatto leggero.

Il rapporto Istat (2006) riporta un’interessante differenziazione dei regimi occupazionali, per cui a fronte di paesi/modelli lavorativi che sembrerebbero tendere ad una certa ripartizione dei carichi lavorativi (orari) su un numero maggiore di soggetti in età lavorativa, si contrapporrebbe un modello “mediterraneo-orientale” in cui i pochi che lavorano lo fanno molto più intensamente, cioè con orari più lunghi5. Come che sia, si possono senza dubbio sottoscrivere le osservazioni del rapporto (Istat, 2006), laddove si sottolinea che:

“Le differenze nelle ore lavorate sono il risultato di diverse combinazioni di caratteristiche strutturali degli occupati. I lavoratori a tempo pieno hanno orari medi settimanali quasi doppi rispetto a quelli a tempo parziale e gli autonomi lavorano più ore dei dipendenti. Gli occupati maschi lavorano in media circa un quarto più delle lavoratrici. (…)” e così via per caratteristiche strutturali, socio-demografiche e professionali degli individui.

2.2.1 - La distribuzione del tempo lavorativo in accordo alle

caratteristiche socio-demografiche dei soggetti Il genere

La figura 2.1 illustra la distribuzione cumulata dell’attività lavorativa, misurata in slot di dieci minuti ciascuno, nelle 24 ore, per donne e uomini. Le attività svolte sono state riaggregate in quattro tipi:

5 Il Rapporto annuale (Istat, 2006) identifica anche un terzo modello, in cui “molti lavorano molto”,

lavoro; spostamenti per lavoro; cura di sé/degli altri; altro uso del tempo. Sull’asse delle ascisse sono riportate le 24 ore della giornata lavorativa-tipo, suddivise in slot di dieci minuti ciascuno (a partire dalle 4:00 del mattino fino alle 3:50 del mattino successivo) e per ciascun slot sono riportate le percentuali cumulate di soggetti (indicati sull’asse delle ordinate) che in quel “punto” nel tempo svolgono le diverse attività. A titolo esemplificativo, la figura 2.1 illustra come alle 4:00 del mattino il 100 per cento delle donne occupate intervistate, si stia dedicando ad attività di cura verso sé stesse o verso gli altri (il sonno essendo stato collocato in questa categoria).

Osserviamo dunque come, rispetto all’attività lavorativa, l’allocazione maschile dei tempi fra le attività privilegi sostanzialmente il lavoro; in particolare, le differenze di genere nell’uso del tempo si concentrano al pomeriggio: le donne sono meno presenti al lavoro per via della maggiore incidenza dei rapporti d’impiego part-time e delle insegnanti. Per la stessa ragione, infatti, una quota più elevata di donne si dedica ad attività di cura nelle ore pomeridiane, rispetto a quanto non facciano i maschi.

La figura 2.1 ci fornisce un’ulteriore informazione estremamente interessante: il 50 per cento dei nostri individui inizia a lavorare verso le 8:00 del mattino e termina attorno alle 17:30 del pomeriggio. In particolare, il 50 per cento delle donne inizia a lavorare fra le 8:20 e le 8:30 e termina alle 17:00; per i maschi, l’inizio del lavoro è anticipato fra le 7:50 e le 8:00 e il termine della giornata lavorativa si situa fra le 17:50 e le 18:00.

Variazioni minime attorno a questi intervalli di tempo esauriscono sostanzialmente l’80-90 per cento dei soggetti. I dati time budget mostrano, dunque, una società che appare molto standardizzata e sincronizzata rispetto all’allocazione delle attività lavorative: le “code” della distribuzione dei tempi di lavoro oltre la “finestra temporale” ricordata sono molto esigue.

Per questo motivo, abbiamo scelto di semplificare la comunicazione riportando i dati delle distribuzioni dei tempi lavorati, restringendo la finestra di osservazione dalle 7:30 alle 19:30 (Figura 2.2).

Figura 2.1 - Distribuzione del tempo fra le varie attività nell’arco della giornata - Anni 2002-2003 Femmine Maschi 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 4: 00 5: 00 6: 00 7: 00 8: 00 9: 00 10 :0 0 11 :0 0 12 :0 0 13 :0 0 14 :0 0 15 :0 0 16 :0 0 17 :0 0 18 :0 0 19 :0 0 20 :0 0 21 :0 0 22 :0 0 23 :0 0 0: 00 1: 00 2: 00 3: 00

Cura di sè/altro/i Attività lavorativa Spostamenti per lavoro Altro uso del tempo 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 4:00 5:00 6:00 7:00 8:00 9:00 10:00 11:00 12:00 13:00 14:00 15:00 16:00 17:00 18:00 19:00 20:00 21:00 22:00 23:00 0:00 1:00 2:00 3:00

Figura 2.2 - Frequenza cumulata delle persone che lavorano per unità di tempo (dalle 7:30 alle 19:30) e sesso - Anni 2002-2003

Osserviamo quindi come risulti più chiaro che il maggior tempo lavorato dagli uomini rispetto alle donne va sostanzialmente riferito alla minor partecipazione lavorativa delle donne al pomeriggio.

Tavola 2.1 - Tempo medio giornaliero (feriale) dedicato alle varie attività,

Nel documento I confini del tempo di lavoro. (pagine 79-89)