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Il modello reticolare della razionalità

3. Fatti, metodologie e valori: il modello reticolare di Laudan

3.3 Il modello reticolare della razionalità

Per sciogliere questo nodo concettuale, Laudan propone un modello della razionalità scientifica che, da una parte tenga conto dell’efficacia del modello gerarchico, mentre dall’altra ne costituisca il superamento, andando a intaccare quell’unidirezionalità che è stata, al tempo stesso, la sua forza e la sua debolezza - forza rispetto alla plausibilità epistemica, debolezza rispetto ad un approccio troppo poco olistico.

La novità più rilevante rispetto al vecchio modello è la valutabilità razionale dei valori. Gli obiettivi epistemici non sono più immuni al controllo razionale e i conflitti che si generano fra loro possono essere risolti senza dover ricorrere ad elementi soggettivi.

Il criterio di valutazione principale dei valori cognitivi è la loro realizzabilità. Si può argomentare a sfavore di uno scopo cognitivo mostrando che esso sia irrealizzabile. Di contro, uno scopo non è utopistico se, almeno in linea di principio, può essere attualizzato:

Quando dico che una meta o un valore è utopistico intendo affermare che non abbiamo alcun fondamento per credere che esso possa venire attualizzato o «operazionalizzato»; ossia, non abbiamo la più pallida idea di quale azione intraprendere, di quale strategia attuare, che sia capace di consentire la realizzazione della meta in questione.41

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È possibile mostrare che certi valori sono utopistici perché, data la comprensione che abbiamo delle leggi logiche e fisiche, non possono essere attuati (utopismo dimostrabile), come nel caso della conoscenza infallibile, un obiettivo che venne abbandonato in seguito alla presa di coscienza del problema dell’induzione. Oppure perché non c’è modo di darne una caratterizzazione cogente che ne catturi il significato in modo non ambiguo (utopismo semantico), come si mostra nella difficoltà di definire univocamente valori come semplicità e accuratezza. O infine perché non possediamo un apparato metodologico tale da permetterci di comprendere se l’obiettivo sia stato raggiunto o meno (utopismo epistemico), come nel caso della verità, il cui raggiungimento, anche nel caso sia effettivo, è offuscato dalla nostra mancata capacità di averne comprensione.

Ma la “strategia utopistica” non è l’unica chiave con cui è possibile mettere in discussione i valori, infatti quest’ultimi possono essere criticati anche mostrando il dislivello che può sussistere tra gli obiettivi espliciti e gli obiettivi impliciti degli scienziati, vale a dire la divergenza fra gli scopi che gli scienziati sostengono di perseguire e le scelte che compiono nella quotidianità della vita scientifica:

[…] spesso esistono tensioni fra gli obiettivi ammessi o espliciti di un agente e gli obiettivi che paiono informare le sue azioni. Poiché esistono, diventa possibile criticare gli obiettivi espliciti di un agente rilevando quanto essi siano contrari agli obiettivi che palesemente sottostanno alle sue azioni e ai suoi giudizi pratici.42

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In situazioni di questo tipo gli scienziati possono mantenere la propria struttura assiologica esplicita e forzare i valori che ne fanno parte a modellare i loro comportamenti, oppure possono fare in modo che le loro scelte teoriche e i loro giudizi pratici traducano esplicitamente quei valori che fino a quel momento risultavano sommersi. Può anche darsi il caso che il cambiamento si verifichi su entrambi i livelli, a patto che il nuovo ordine assiologico non sia analogo al “disordine” precedente.

A sostegno di questa tensione fra obiettivi espliciti e obiettivi impliciti, Laudan porta l’esempio dell’introduzione di entità inosservabili all’intero di teorie scientifiche che, fino a quel momento, si fondavano unicamente sulla loro capacità di poter essere provate empiricamente, in ogni loro elemento costitutivo. In poche parole, le entità di cui si parlava nelle teorie scientifiche dovevano essere visibili.

Il terzetto di scienziati chiamato in causa è composto da George Lesage - teoria chimica e teoria gravitazionale - David Hartley - teorie neurofisiologiche - e Ruggero Boscovich - teoria della materia.

Le teorie che questi scienziati stavano costruendo, all’interno delle quali si postulava l’esistenza di entità inosservabili, erano palesemente in conflitto con gli scopi ufficiali della scienza, quelli ricordati qui sopra. Dal momento che scelte e obiettivi non convergevano, le alternative erano “o abbandonare del tutto la produzione di microteorie […] oppure sviluppare un’assiologia alternativa

della scienza che fornisse una legittimazione concettuale per teorie prive di una diretta giustificazione osservativa”.43

Lo slittamento assiologico operato da questi scienziati fu quello di tendere sì verso la comprensione del mondo visibile, ma di farlo attraverso la postulazione di entità teoriche inosservabili il cui comportamento fosse causalmente responsabile della realtà osservata.

Per perseguire un tale obiettivo era necessario un cambiamento anche a livello metodologico; occorreva un metodo che ammettesse la legittimità di ipotesi su entità invisibili purché da queste fossero deducibili conseguenze empiricamente verificabili. Il “metodo dell’ipotesi” così sviluppatosi non è altro che il nostro metodo ipotetico-deduttivo, che costituisce, oggi come allora, il superamento e l’integrazione del modello induttivo, da solo insufficiente ad accompagnare il progresso scientifico.

Ma l’aspetto più rilevante per la nostra trattazione è che, all’interno della disputa sulla questione della liceità di un sistema di valori differente da quello ortodosso della scienza, Lesage non solo tentò di mostrare che la nuova metodologia, una volta definite le credenziali epistemiche, forniva modalità efficaci per giungere ad obiettivi scientifici legittimi, ma anche che i suoi stessi avversarsi, nella pratica scientifica, facevano uso di entità teoriche e di elementi congetturali. Sostanzialmente, Lesage riuscì, a distanza di solo mezzo secolo dalla sua morte, a far comprendere ai propri critici che nell’assiologia dominante - quella dell’empirismo - c’era uno squilibrio fra i valori perseguiti dagli scienziati e i valori impliciti che si “mostravano” nelle preferenze teoriche di quest’ultimi:

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Il precedente scopo esplicito, che prospettava una scienza libera da entità inosservabili, divenne una vittima dell’impressionante successo conseguito da quelle teorie che postulavano entità siffatte. Ma questo caso, per quanto più vivido di tanti altri, è rappresentativo di un meccanismo comune per decidere razionalmente fra obiettivi scientifici rivali.44

Tuttavia non si deve credere che tutte le dispute assiologiche siano sempre risolvibili utilizzando la strategia utopistica o comparando scopi espliciti ed impliciti. D’altronde non è certo una novità rispetto ai livelli inferiori, dal momento che anche il disaccordo fattuale e quello metodologico non sempre si dissolvono nel consenso - come invece vorrebbe il modello leibniziano. In modo analogo infatti, possono darsi casi in cui il disaccordo assiologico si riduca ad un disaccordo razionale su obiettivi differenti fra specialisti che operano razionalmente.

Ciò che occorre sottolineare è il fatto che la visione di Laudan rende obsoleto il vecchio modello gerarchico, il quale, in virtù della forma oltre che della sostanza, impediva discussioni razionali sui valori, poiché non c’era modo di andare oltre il disaccordo assiologico.

Inoltre c’era bisogno di un modello di razionalità che spiegasse il progresso scientifico e le scelte degli scienziati in modo non unidirezionale, bensì multidirezionale, in modo da comprendere le connessioni sinergiche fra tutti i

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livelli. In un certo senso, c’era bisogno di una visione del progresso scientifico tridimensionale.

Sostanzialmente quello proposto dal filosofo è un vero e proprio modello

reticolare della razionalità scientifica, dove i tre livelli sono mutuamente

interdipendenti, senza che nessuno sia di essi, a livello di giustificazione, sia prioritario rispetto agli altri.

Ad esempio, non solo le scelte teoriche possono essere giustificate dall’insieme di norme che uno scienziato adotta, ma anche “le nostre credenze fattuali hanno un ruolo radicale nel modellare le nostre concezioni su quali genere di metodi siano percorribili, e su quali genere di metodi favoriscano in effetti il raggiungimento di dati scopi”.45

Un caso che testimonia a favore di come gli atteggiamenti fattuali influenzino e modifichino i comportamenti metodologici è quello della scoperta dell’effetto placebo. Fino a quel momento gli scienziati credevano che, per capire se un farmaco funzionasse o meno, fosse sufficiente somministrarlo ad un unico campione omogeneo di pazienti, senza che alcun farmaco venisse somministrato ad un secondo campione. La differenza dei miglioramenti fra il primo e il secondo gruppo avrebbe determinato se quel farmaco fosse stato efficace oppure no.

Tuttavia, in seguito alla scoperta dell’effetto placebo, ovvero della possibilità che il miglioramento dei pazienti che avevano assunto il farmaco fosse indotto, quantomeno in parte, dalle loro aspettative positive, gli scienziati si resero conto che, oltre a somministrare il farmaco ad un campione di pazienti, sarebbe stato

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necessario che anche un secondo campione assumesse un farmaco, ma terapeuticamente inerte. Ai fini di controllare sperimentalmente l’effetto placebo, ovviamente nessuno dei soggetti avrebbe dovuto sapere se stesse assumendo il farmaco testato o quello inerte. Da qui il nome dei controlli di questo tipo, detti “singolo cieco”.

In seguito alla raccolta di ulteriori dati a livello teorico, gli scienziati dovettero render conto anche del fatto che gli stessi sperimentatori avrebbero potuto trasmettere, a livello inconscio o micro-comportamentale, le loro aspettative terapeutiche sui pazienti, condizionandoli. Divenne così necessario lo sviluppo della metodologia dei controlli “doppio cieco”, nei quali gli stessi sperimentatori non avrebbero dovuto sapere quale dei due farmaci stessero somministrando durante il test.

In entrambe le evoluzioni metodologiche, le credenze fattuali hanno svolto un ruolo fondamentale, dimostrando che gli atteggiamenti metodologici non sono modellati solo da gli scopi cognitivi, ma anche dall’esperienza pratica:

Per quanto si valutino le regole metodologiche chiedendosi se esse conducano o meno ai fini cognitivi (suggerendo un movimento ascendente lungo la gerarchia giustificativa), spesso i fattori che sistemano la questione sono raccolti ad un livello più basso della gerarchia, ed in particolare al livello dell’indagine fattuale.46

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Inoltre abbiamo già abbondantemente parlato di come talvolta sia necessario un riassestamento tra la struttura implicita - quella che emerge dalle scelte degli specialisti - e la struttura esplicita dei fini affinché si crei il consenso scientifico, un accordo possibile solo nell’ottica di un’interazione diretta e reciproca tra il livello fattuale e quello assiologico.

Ancora, l’approccio metodologico non solo è in grado di giustificare le credenze fattuali ma, come già rimarcato, può giudicare la legittimità di un obiettivo cognitivo, sia in termini di realizzabilità che in termini di coerenza:

Dove la raffigurazione reticolare differisce più radicalmente da quella gerarchica è nella sottolineatura del fatto che si verifica un complesso processo di mutuo accomodamento e di mutua giustificazione fra tutti e tre i livelli degli impegni scientifici. La giustificazione scorre tanto verso l’alto quanto verso il basso, collegando scopi, metodi e asserzioni fattuali.47

L’operazione concettuale di Laudan è stata quella di prendere lo schema gerarchico monodimensionale e di renderlo tridimensionale – epistemolo- gicamente parlando - di modo che il consenso scientifico possa essere letto come un continuo aggiustamento tra i livelli che compongono lo schema reticolare. La razionalità scientifica che va a configurarsi in tal modo è un tipo di razionalità dinamica, che riesce a spiegare sia i casi in cui si forma il consenso scientifico, sia quelli in cui il disaccordo perdura pur non uscendo dai limiti della ragionevolezza. È un modello di razionalità che non si fossilizza sui valori come

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termini ultimi di un ragionamento, ma che crea un percorso argomentativo dove la priorità - in termini causali - fra obiettivi, scopi e fatti è stabilita a posteriori, non a priori.

Una critica che è stata mossa a questo modello reticolare è quella secondo cui la propria dinamicità sarebbe anche il suo punto debole, poiché i vincoli interposti fra gli obiettivi e gli altri due piani sarebbero deboli a tal punto da permettere che differenti insiemi di valori cognitivi potrebbero soddisfarli.

È senz’altro vero che molti insieme di obiettivi potrebbero soddisfare tali vincoli, ma questo, lungi dall’essere un limite, costituisce piuttosto una chiave di lettura per comprendere come si formi il consenso attorno alle teorie, anche in situazioni inizialmente problematiche, e perché talvolta il dissenso non si dissolva. Infatti se esistesse un unico insieme di valori legittimo, allora non si potrebbe spiegare il fatto che molti scienziati hanno pareri discordanti sui valori senza far cadere la scienza nell’irrazionalità.

Infine è opportuno sottolineare che l’indagine scientifica non mira a perseguire un singolo insieme di obiettivi, perché non esistono scopi più “giusti” di altri, in assoluto. Esistono invece insiemi di valori che in un certo periodo storico, in una certa comunità scientifica e in certi settori della scienza sono più rilevanti di altri per il progresso. Ed è per questo “che le determinazioni concernenti il progresso scientifico devono essere relativizzate ad un certo insieme di fini, e che un unico insieme appropriato di tali fini non esiste”.48

Tutto ciò porta Laudan alla serena accettazione della diretta conseguenza:

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Ma oltre a richiedere che i nostri scopi cognitivi debbano riflettere le nostre credenze migliori su ciò che è o non è possibile, che i nostri metodi debbano stare in una certa relazione appropriata con i nostri obiettivi, e che i nostri valori impliciti ed espliciti debbano essere sincronizzati, c’è poco altro che la teoria della razionalità possa richiedere.49

Il contributo del filosofo nella dissipazione dell’alone di dogmatismo intorno alla questione fatti/valori non si esaurisce nell’aver mostrato come teorie e obiettivi possano influenzarsi reciprocamente e che sia possibile criticare i valori in modo razionale.

Nel porre in discussione la nozione kuhniana di paradigma, il filosofo suggerisce che si debba guardare al cambiamento di paradigma da un punto di vista più interno e meno olistico. Ciò che va compreso prioritariamente non è in che modo si verifichi il passaggio da un paradigma all’altro, ma piuttosto quali siano le modalità di interdipendenza fra i livelli e quale fra questi sia il tassello del cambiamento intorno al quale di volta in volta ruota la rivoluzione scientifica. Come già sottolineato, talvolta può accadere che uno scienziato non riesca a giustificare l’ontologia utilizzando i propri standard scientifici; oppure che la sua metodologia non riesca a mostrare se un insieme di obiettivi sia realizzabile o meno; o ancora, può darsi il caso in cui ci sia una disarmonia fra i valori perseguiti dagli specialisti e le scelte fattuali di questi. In tutti questi casi non è necessario che lo scienziato cambi completamente paradigma, ma è sufficiente

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che abbia “delle ragioni decisive per sostituire questo o quel componente della sua visione del mondo con un elemento che sia più efficace”.50

In tal senso, il cambiamento scientifico può infatti essere ri-letto come un processo graduale e stratificato, un processo nel quale, osservando intimamente, si possono scorgere le dinamiche temporali delle variazioni ontologiche, metodologiche e assiologiche che soggiacciono allo slittamento complessivo della visione del mondo da parte degli scienziati. Sotto questa nuova luce risulta chiaro come quello che era stato proposto da Kuhn come un cambiamento interparadigmatico è in realtà un cambiamento intraparadigmatico:

[…] il cambiamento scientifico è fondamentalmente più graduale di quanto il modello olistico [quello di Kuhn] non suggerirebbe. I cambiamenti di valori non accompagnano sempre, né sono sempre accompagnati da cambiamenti nel paradigma scientifico. Gli spostamenti nelle regole metodologiche possono, ma non devono per forza, essere associati a spostamenti nei valori o nelle ontologie. I tre livelli, per quanto indiscutibilmente interrelati, non si presentano come un pacco offerta indivisibile, del tipo prendere o lasciare.51

Tuttavia la questione chiave che ruota attorno al cambiamento intraparadigmatico è che questo diventa un processo completamente razionale. Modificando un livello e tenendo fermi gli altri due, è infatti possibile render conto delle complesse interconnessioni giustificatorie tra i vari livelli e far sì che il consenso che si forma intorno ad una nuova teoria, o ad un nuovo approccio metodologico,

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L. Laudan, La scienza e i valori, cit., p. 100.

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o ad un nuovo insieme di valori, sia un meccanismo trasparente all’analisi razionale.

Se esistono complesse e profonde interconnessioni fra l’universo dei fatti e quello dei valori, se la scelta dell’assiologia può essere valutata e criticata - al pari delle scelte teoriche - considerando i livelli giustificavi non “sotto esame” e se, durante una rivoluzione intraparadigmatica, il cambiamento degli obiettivi da parte degli scienziati è da considerarsi un processo definibile entro i confini della razionalità, allora la sostanzialità di una divisione così netta tra fatti e valori si fa ancora più sfumata.

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