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Il problema della sottodeterminazione

3. Fatti, metodologie e valori: il modello reticolare di Laudan

3.2 Il problema della sottodeterminazione

La critica più sostanziale a questo tipo di modello di razionalità scientifica fa riferimento alla sottodeterminazione della teorie rispetto ai dati empirici, ovvero alla possibilità, dato un numero finito di osservazioni, che queste supportino un numero infinito di teorie. Fondamentalmente, le teorie sottodeterminano i dati empirici perché questi ultimi non sono in grado di fornire la discriminante cognitiva per la costruzione di un’unica teoria che possa spiegarli e farne uso. Al contrario, più teorie, anche in contraddizione fra loro, possono rendere conto di una stessa serie di dati esperienziali.

Chi attacca il modello gerarchico trasla il principio di sottodeterminazione sia sul piano metodologico che sul piano assiologico. Seguendo la linea concettuale dell’argomento originale, i critici del modello sostengono che le regole metodologiche sottodeterminano le scelte fattuali e, analogamente, gli scopi cognitivi sottodeterminano l’insieme di norme da adottare per raggiungerli. Secondo il modello gerarchico, due scienziati che si trovano in disaccordo su quale sia la teoria da abbracciare, possono risolverlo salendo di un gradino nella

scala giustificativa. Viene dato per certo che, qualora ci sia un accordo su quale siano le regole metodologiche appropriate, queste possono indirizzare univocamente la preferenza teorica.

I seguaci del suddetto modello non prendono neanche in considerazione il caso che un insieme di regole metodologiche condivise possa rendere conto di una gamma di soluzioni teoriche:

[…] le regole metodologiche di solito sottodeterminano la scelta fra affermazioni fattuali, nel senso che, per quanto le regole con l’aggiunta dell’evidenza disponibile riescano ad escludere molte asserzioni o ipotesi fattuali, tutta una quantità di ipotesi possibili rimane metodologicamente ammissibile. Fra le ipotesi ammissibili ce ne possono essere alcune che, per quanto concerne l’evidenza, sono equivalenti, in quanto nessuna evidenza concepibile sarebbe capace di tracciare una discriminante fra di esse.34

Posta la questione in questi termini, risulta difficile spiegare come sia possibile che si formi il consenso a livello fattuale. Infatti se un insieme di norme metodologiche non può vincolare una scelta teorica, non si capisce in che modo gli scienziati riescano ad accordarsi sulla teoria a cui dare la loro fiducia.

Sembrerebbe che l’argomento della sottodeterminazione sia decisivo per l’affossamento del sistema gerarchico, ma Laudan ne limita la portata mostrando che la formazione del consenso è una questione comparativa.

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Dal punto di vista del filosofo è infatti fuorviante sostenere che il consenso fattuale non sia generalmente incanalato dagli standard metodologici adottati dagli scienziati perché, nonostante in astratto la sottodeterminazione delle norme impedisca una scelta univoca, da una prospettiva squisitamente pratica nella maggior parte dei casi gli scienziati riescono, utilizzando le regole in modo non ambiguo, ad accordarsi su quale sia la teoria che più delle altre soddisfa quegli standard:

In molti casi, infatti, le regole condivise e l’evidenza disponibile suddividono nettamente le teorie attualmente in considerazione in due insieme: quelle che secondo queste regole sono sostenute dall’evidenza, e quelle che non lo sono. Qualora succeda che entrambe le parti in causa nella controversia traggano le proprie teorie fra gli elementi del primo insieme, le regole metodologiche saranno allora chiaramente insufficienti per appoggiare una scelta preferenziale, ed ai contendenti non resterà che convenire di non convenire, a meno che non si raccolga un’evidenza ulteriore. Casi di sottodeterminazioni (temporanee) di questo tipo si presentano abbastanza spesso […]. Ma il richiamarsi a tali divisioni prolungate non dovrebbe farci sfuggire il fatto che plausibilmente esse costituiscono solo una minima percentuale di casi.35

L’errore dei sostenitori della rigida sottodeterminazione - sempre a detta di Laudan - consiste nell’aver appiattito il concetto di scelta preferenziale su quello di credenza.

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Non si può negare che le regole sottodeterminino una certa gamma di credenze ammissibili, nel senso che è possibile che più di una credenza goda dello stesso grado di sostegno empirico. Nondimeno si danno casi in cui una credenza possiede maggior forza empirica delle altre, dimodoché la scelta preferenziale degli scienziati è indirizzata in modo non ambiguo dalle norme metodologiche. Il punto focale della questione è che, da una parte, le regole metodologiche riescono a discriminare una quantità rilevante di credenze non ammissibili - aspetto che da solo è sufficiente per negare l’equazione fra sottodeterminazione ed “eguilitarismo cognitivo” - mentre dall’altra la scelta teorica non porta con sé l’intrinseca presunzione di essere esente dal confronto con future potenziali teorie parimenti o maggiormente ammissibili:

[…] una regola, anche quando in astratto sottodetermina la scelta, può nondimeno continuare ad imporre senza ambiguità una preferenza comparativa fra le alternative esistenti.36

Risulta chiaro allora come, facendo della valutazione delle teorie una questione comparativa, si tolga veleno all’argomento della sottodeterminazione. Se gli scienziati sono alla ricerca non della teoria migliore in assoluto, ma della teoria migliore che possono trovare, non ha senso insistere sull’impossibilità delle regole di trascegliere una scelta teorica, sia perché dal punto di vista logico è una generalizzazione incauta, sia perché dal punto di vista pragmatico gli standard

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metodologici riescono più spesso di quanto la sottodeterminazione imporrebbe a indirizzare gli scienziati verso una scelta condivisa.

Tuttavia non si deve credere che il modello gerarchico sia inattaccabile, perché se da una parte Laudan ha mostrato che in molti casi le norme, pur sottodeterminando le credenze, riescono a determinare una preferenza teorica in modo non ambiguo, dall’altra è consapevole che ci sono casi in cui l’evidenza catturata dalle regole metodologiche fornisce il medesimo sostegno empirico a teorie rivali. Oppure casi in cui gli scienziati hanno idee diverse su quali siano le modalità con cui applicare gli standard all’oggetto di studio.

Sostanzialmente quella di Laudan è una soluzione trasversale fra l’algoritmo di scelta e il sottodeterminazionismo, che rende conto sia dei casi in cui si forma il consenso fra gli scienziati sia dei casi in cui invece perdura il disaccordo:

Il fatto che questa versione del modello gerarchico ci spinga ad attenderci il consenso soltanto in alcuni casi non soddisferà né i sostenitori ultarazionalisti dell’ideale leibniziano (i quali richiedono, in linea di principio, una conclusione istantanea per ogni disaccordo fattuale), né coloro che si fanno promotori della sottodeterminazione radicale (e credono che in linea di principio qualsiasi disaccordo possa essere prolungato in modo indefinito). Ma la forza di questa versione del modello gerarchico è di poter specificare (diversamente dai sottodeterminazionisti) le circostanze in cui ci aspetteremmo che un disaccordo fattuale si dissolva nel consenso, e di potere specificare (diversamente dagli

idealisti leibniziani) un ampio ambito di circostanze in cui ci aspetteremmo che il dissenso perduri.37

Al di là dei critici e dei sostenitori del modello gerarchico, finora abbiamo dato per scontato che, quando si tratta di risolvere una disputa fattuale, gli scienziati condividano gli stessi standard metodologici.

In realtà talvolta i professionisti della scienza non riescono ad accordarsi neanche a livello metodologico; alcuni potrebbero essere inclini ad accettare teorie che siano in grado di fare predizioni sorprendenti, altri potrebbero preferire teorie che abbiano un’ampia portata e che quindi possano spiegare una vasta gamma di fenomeni, altri ancora potrebbero essere indirizzati verso teorie che abbiano un forte sostegno empirico, e così via.

Secondo il modello di cui abbiamo parlato sino ad ora, per risolvere un simile disaccordo, è sufficiente salire di un gradino la scala gerarchica, dove si trovano i fini cognitivi. Se infatti le regole vengono concepite come mezzi per raggiungere un fine e se gli scienziati condividono uno o più valori, allora è garantito che riescano a trovare un accordo su quale sia l’insieme di norme più opportuno per raggiungere gli scopi in questione.

Tuttavia anche questo salto giustificativo presenta delle difficoltà rilevanti, perché ciò che al massimo si può mostrare è che un certo insieme di regole è in grado di realizzare un determinato valore epistemico, ma non che tale insieme è il miglior mezzo o l’unico in grado di raggiungere quel fine.

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Anche stavolta gli ingranaggi del modello giustificativo vengono inceppati dal problema della sottodeterminazione, infatti “gli scopi cognitivi sottodeterminano le regole metodologiche proprio nel medesimo modo in cui le regole metodologiche sottodeterminano le scelte fattuali”.38

Nonostante ci siano casi in cui i valori riescono a mettere gli scienziati nella posizione di capire quale sia l’insieme di norme metodologiche più efficace per raggiungere i suddetti valori, ci sono altrettanti casi in cui più metodi di indagine sono parimenti in grado di perseguire quei valori, a causa dell’incapacità di questi di vincolare una preferenza metodologica univoca.

Medesima è anche la risoluzione del problema, perché Laudan da una parte mostra che gli scopi riescono a discriminare una quantità rilevante di norme metodologiche in quanto non in grado di realizzare tali scopi, mentre dall’altra fa nuovamente leva sui concetti di comparazione e di ammissibilità. Poco importa se non si può dimostrare che un insieme di regole sia il solo o il migliore per raggiungere i valori prefissati dagli scienziati, perché, affinché la giustificazione possa essere definita nei contorni della razionalità scientifica, è sufficiente che quegli standard metodologici siano effettivamente in grado di catturare i valori in questione - che siano cioè ammissibili - e che, in quel momento storico, siano i migliori a disposizione degli specialisti.

Come nel caso della formazione del consenso fattuale, anche sul piano metodologico la giustificabilità del livello inferiore sulla base di quello superiore non è minata in modo decisivo dall’argomento della sottodeterminazione.

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Tuttavia, in modo del tutto analogo alla scelta teorica, non si deve pensare che il modello gerarchico possa fornire la soluzione ad ogni disaccordo metodologico. Può darsi il caso “che entrambi i partecipanti alla controversia si facciano sostenitori di regole metodologiche che, per quello che ne possiamo sapere, sono mezzi egualmente efficaci per conseguire i valori cognitivi in questione”.39 Oppure può presentarsi il caso in cui gli specialisti condividano la stessa gamma di fini cognitivi, ma non siano d’accordo sul peso specifico di quei valori. E ancora, la difficoltà di un accordo metodologico potrebbe risiedere nel fatto che una norma tenda verso la realizzazione di uno scopo cognitivo, ma ne impedisca quella di un altro.

Insomma, se da una parte la sottodeterminazione non è decisiva per affossare il modello gerarchico, dall’altra contribuisce a mostrarne i limiti. E questo rappresenta l’opportunità di uscire dallo schema di pensiero gerarchico, per andare a comprendere le connessioni razionali che soggiacciono alle scelte degli scienziati. A questo proposito, Laudan scrive:

Quando le regole condivise non riescono a dettare una preferenza fattuale, quando gli obiettivi condivisi non riescono a specificare una preferenza metodologica, quando i valori sono condivisi ma non egualmente soppesati, e quando i valori non sono pienamente condivisi, sembrerebbe che dinanzi a noi ci sia un disaccordo irrisolvibile, irrisolvibile cioè se restiamo attaccati alle risorse limitate del classico modello gerarchico.40

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L. Laudan, La scienza e i valori, cit., p. 54.

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Come già accennato, al di là delle difficoltà intrinseche del modello verticale della razionalità, ciò che più mette in discussione lo stesso concetto di “modello di razionalità” è il fatto che, una volta giunti sul piano assiologico, le decisioni prese dagli scienziati potrebbero essere spiegate soltanto evadendo dal perimetro della razionalità. In tal senso gli specialisti con scopi cognitivi in conflitto, per far sì che il disaccordo sui valori si dissolva nel consenso - come generalmente avviene nella scienza - è necessario che ricorrano ad elementi soggettivi come il gusto o la preferenza personale, oppure - seguendo Kuhn - elementi che dipendono dalla biografia dello scienziato.

Il leitmotiv del pensiero epistemologico della prima metà del XX secolo, che passa dagli empiristi logici a Popper, è sempre lo stesso: sui valori non è possibile discutere in modo razionale. Quando tra gli scienziati vi è una divergenza di obiettivi cognitivi, il massimo sforzo razionale che si può compiere è quello di mostrare che l’insieme di scopi scientifici degli avversarsi è internamente incoerente.

Alla luce di quanto detto sino ad ora, risulta evidente come la non-trattabilità razionale dei valori, congiuntamente al meccanismo interparadigmatico proposto da Kuhn, secondo il quale nel passare da un paradigma all’altro vi è

necessariamente uno spostamento, fra le altre cose, degli obiettivi cognitivi,

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