Se venga prima il marketing o le relazioni pubbliche, se sia più strategica la funzione della prima disciplina o della seconda, sono domande che spesso hanno coinvolto le due comunità professionali nonché il mondo accademico. Usando le parole di Giampietro Vecchiato (professore ordinario presso l’Università degli studi di Padova nonché owner della P. R. Consulting), possiamo affermare che il Marketing ha il compito di creare scambi soddisfacenti con consumatori e clienti come risultato di una efficace comunicazione integrata; le relazioni pubbliche hanno invece il compito di garantire l’esistenza stessa dell’impresa attraverso la costruzione ed il mantenimento di relazioni simmetriche e “a due vie” con i pubblici che possono aiutare e/o ostacolare l’impresa nel raggiungimento dei propri obbiettivi.
Ogni organizzazione può essere concepita come un sistema aperto che, per avere successo, deve integrarsi in maniera armonica con l’ambiente circostante (goodwill). Tale adattamento è il prodotto di un incessante scambio di informazioni tra interno ed esterno e tra i vari soggetti all’interno dell’organizzazione stessa; quando questo flusso comunicativo non funziona come dovrebbe, si genera uno squilibrio dell’intero sistema. Si tratta niente meno che di una comunità. Una community reale, quella dell’ambiente circostante locale; e una community virtuale, formata da tutti i pubblici e stakeholder che popolano il mondo web.
“Ogni organizzazione ha quindi una sua “anima” che, unita a quella delle altre organizzazioni, origina all’interno della comunità una specificità, un’anima collettiva il cui collante è la fiducia, ingrediente di base per costruire il capitale sociale.
Questo significa che si dovrebbero prendere in considerazione tutti i legami e le relazioni che caratterizzano il capitale sociale e relazionale di una organizzazione; nessun nodo relazionale dovrebbe essere completamente isolato o posto al centro delle strategie, al punto che tutti gli altri possano sembrare ininfluenti o scollegati.
Alla base del legame che intercorre tra tutti gli attori del sistema vi è il principio di interdipendenza, secondo il quale ogni attore è più o meno direttamente legato agli altri […]
Il principio di interdipendenza trova la sua concreta applicazione nei processi negoziali tra interessi diversi, nelle reciproche influenze, nell’attenzione per gli effetti delle proprie decisioni sugli altri attori e il tutto mediato dalla comunicazione” (Vecchiato G.). Una
comunicazione concepita non come strumento di trasmissione di messaggi unidirezionali e verticali dunque, ma come elemento fondamentale per ridurre la complessità, per costruire relazioni flessibili e bidirezionali, per costruire significati condivisi. Fare relazioni pubbliche significa governare le relazioni con tutti i pubblici di una organizzazione. Esse sono uno “strumento” necessario per costruire fiducia, ottenere ascolto, influenzare, orientare, rinsaldare ed eventualmente trasformare opinioni, comportamenti ed atteggiamenti dei pubblici influenti e degli stakeholder. Si può affermare che il ruolo delle relazioni pubbliche abbia raggiunto ulteriore rilevanza con l’avvento del web, la cui componente principale è proprio quella relazionale. Non c’è che dire, sembra ormai banale affermare che internet sia lo strumento più potente per costruire legami con i propri pubblici e per capire cosa questi pensino di un’impresa, come ne parlino ma anche più semplicemente se ne parlino. La relazione - intesa come dialogo interattivo - e la fase di ascolto sono sempre stati fondamentali per il relatore pubblico e il consolidamento del web esalta ulteriormente le caratteristiche delle PR. La rete è
diventata, ed è tuttora, uno strumento potentissimo di cui potersi avvalere, ci mette in contatto con chiunque dando un senso di prossimità “virtuale” dovuto all’annullamento delle distanze e alla possibilità di metterci in contatto con chiunque, in qualsiasi momento e in qualunque parte del mondo. La prossimità “virtuale” impone anche un ritmo del web veloce, immediato. Questa possibilità di contatto così rapida e disintermediata è di fatto potenziale. Sì perché non tutti sono disposti ad ascoltare, a dare credibilità e accesso. Proprio qui, nello spazio che divide atto da potenza, qui possono operare le relazioni pubbliche, entrando in gioco come strumento decisivo nella rete per tessere rapporti con gli influencer, figure che hanno il potere di facilitare od ostacolare un’organizzazione nel raggiungimento dei propri obbiettivi e di condizionare o modificare atteggiamenti e comportamenti di altre persone, o per fare diventare un’impresa stessa influencer. Il relatore pubblico si trova ad interfacciarsi e a tessere relazioni con nuovi e più ampi pubblici. A livello più generale: “La comunicazione diventa quindi un “ponte” che unisce
e mette in relazione tutti gli attori del sistema e l’insieme di questi “ponti” diventa la rete (network) che rappresenta e rende esplicito il numero e la qualità delle relazioni intrattenute dai soggetti che fanno parte del sistema.
La rete non è quindi una mappa stabile, schematica, immutabile nel tempo.
La rete è il capitale relazionale e sociale dell’intero sistema e si fonda sulla fiducia, sulla responsabilità, sulla trasparenza degli interessi rappresentati, sull’etica e sulla reciprocità (intesa come volontà a collaborare per un dialogo efficace ma anche come ricerca di vantaggio reciproco).
Il capitale sociale è l’insieme delle relazioni attive fra le persone, i valori condivisi ed i comportamenti che uniscono i membri di una comunità in una rete di relazioni e che rendono possibile la cooperazione. Gli indicatori e gli elementi che caratterizzano il capitale sociale sono un elevato livello di fiducia, solide relazioni interpersonali, forte senso di comunità, vision condivise e la determinazione a partecipare ad un progetto comune.” (Vecchiato G.)
Una visione dell’ambiente di riferimento di questo genere rende chiara l’importanza della relazione. I relatori pubblici e gli operatori del marketing operano nello stesso ambiente. Il confine dei due ruoli è quantomeno sottile e una professione contamina l’altra, e viceversa. Lontano dagli obbiettivi di questa tesi delineare la vicinanza reale o illusoria delle due discipline e figure professionali; la scelta di dividere la trattazione degli argomenti riguardanti le Relazioni Pubbliche da quelle del Marketing ha, paradossalmente, il fine di avvicinarle. Ciò su cui ci si è focalizzati è proprio il contesto e la comunità entro cui e verso cui le due discipline lavorano. La collaborazione è massima, fianco a fianco in un lavoro pressoché integrato.
II
“Load it, check it, quick – rewrite it,
Plug it, play it, burn it, rip it.
Technologic”
Daft Punk
2.1 Come cambia la comunicazione?
Parlare di come la comunicazione si sia evoluta è fondamentale. Prendendo spunto da un ragionamento che Peppino Ortoleva espone nella prefazione del suo libro, è tuttavia difficile fare una sorta di “ricostruzione storica” della stessa. C’è da dire che l’interesse per la comunicazione e la sua storia diventa qualcosa di necessario a partire dagli anni Ottanta. Sì perché, se a partire dagli anni Sessanta gli strumenti di comunicazione hanno assunto una indipendenza dal trasporto fisico tanto da apparire un’entità sociale “autonoma”, nel corso degli anni Ottanta il loro peso economico e sociale è cresciuto a tal punto da porli, al senso comune delle società industrializzate, come tema centrale di dibattito e di riflessione.
È accaduto un po’ quello che accadde all’economia lungo il corso dell’Ottocento. “Da
entità sconosciuta l’economia divenne, per effetto degli stessi processi sociali in corso, la chiave interpretativa della società, e il suo punto di vista venne proiettato all’indietro, a leggere l’intera storia umana sotto la sua luce. Analogamente, nell’epoca della “società dell’informazione”, l’idea di comunicazione, divenuta secondo alcuni il vero fondamento ideologico della società di fine millennio, si è proposta come chiave interpretativa non solo dell’oggi, ma anche del passato” (Ortoleva, 1995). Ortoleva
scriveva queste parole nel 1995, riconoscendo che questa tendenza potesse andare incontro a problemi e rischi di anacronismo, di attribuire cioè a epoche passate una consapevolezza concettuale della comunicazione che semplicemente non c’è mai stata, se non a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta.
Delineare una “storia della Comunicazione” non è prerogativa di questa tesi, ma ci si avvale sempre del principio secondo cui sia fondamentale avere consapevolezza di ciò che c’è stato finora, per comprendere meglio il presente e delineare una sorta di potenziale panorama futuro.
Sta di fatto che inquadrare un tema come quello della comunicazione è risultato - e risulta tuttora - un’operazione delicata. Un primo problema è rappresentato dalla natura stessa “plurale” dell’oggetto. Se è vero che anche solo intuitivamente ci si può rendere conto che fra i mezzi di comunicazione presenti e compresenti in una certa fase storica ci siano nessi profondi, è altrettanto vero che la “comunicazione” di per sé rimane un oggetto relativamente astratto. Concreti appaiono, semmai, i diversi media. Nebulosa si presenta inoltre anche la disciplina che studia gli stessi media. Il numero dei modelli interpretativi che coesistono è significativo: dalla semiologia alla sociologa, dai cultural studies alla psicologia cognitiva, dalla critica estetico-letteraria agli studi economico-organizzativi. Tutti modelli che fanno riferimento a scienze consolidate, “forti” (Ortoleva, 1995) e a pareri autorevoli che difficilmente si confrontano fra loro a fondo e altrettanto difficilmente cercano di trovare un linguaggio comune.
“Imparare” la comunicazione dunque può sembrare addirittura banale in un mondo come il nostro, in cui ognuno di noi vive immerso in un flusso costante di immagini e messaggi che lo colpiscono (a volte suo malgrado). Tale “competenza”, quella cioè di destreggiarsi tra le diverse forme di comunicazione, si impara fin da piccoli: impieghiamo la maggior parte del tempo a comunicare con qualcuno in conversazioni faccia a faccia o telefoniche, mandando mail, leggendo libri, ascoltando musica, scrivendo in chat, scorrendo la pagina Facebook. Utilizziamo dunque ogni giorno molti media nel migliore dei modi, senza per forza sapere il modo in cui lavorano, non solo dal punto di vista tecnico ma anche funzionale. La comunicazione mediata, quella che si avvale di dispositivi collegati tra
loro, “entra nelle nostre esistenze, un po’ modificandole e un po’ costruendole attraverso
esperienze molto concrete: piangere o arrabbiarsi per quel che dice l’ospite di un talk show; fare la corte a un ragazzo o a una ragazza in una chat; dare la propria solidarietà a una buona causa in un social network; eccitarsi in un sito porno ecc.” (Stella, 2012).
Insomma sembra molto difficile, in un mondo come quello contemporaneo, separare il concetto di comunicazione da quello di media. La loro natura è intimamente legata, e il processo di sviluppo di entrambe appare costellato da reciproche influenze.