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Luoghi di culto islamici in Veneto per provincia Anno 2009.

Capitolo 4 Il mondo dell’associazionismo marocchino nella provincia di Treviso e

nel “Quartier del Piave”.

4.1 Primi cenni sull’associazionismo marocchino nell’alta trevigiana. L’associazionismo marocchino nell’alta trevigiana, ovvero la zona che si estende idealmente da Vittorio Veneto a Conegliano, prende essenzialmente due forme, quella religiosa ed alternativamente quella laica, con una leggera preponderanza statistica della prima sulla seconda. Visto e considerato inoltre il forte radicamento territoriale dovuto tra le altre cose all’anzianità migratoria della comunità in esame, ormai insediatisi stabilmente nel trevigiano dai primi ’90, le realtà associative interpellate risultano particolarmente consolidate, dinamiche e propense al dialogo con le amministrazioni locali, senza contare che la maggior parte di esse è presente sul territorio dalla seconda metà degli anni 2000. Una rete associativa decisamente importante risulta essere la Federazione Islamica Veneta, che nata nel 2010, altro non è che la divisione regionale della Confederazione islamica italiana, organizzazione che ha lo scopo di coordinare ed orientare a livello prima nazionale e poi regionale spiritualmente i luoghi di culto espressione della comunità marocchina per mezzo della collaborazione tra i centri stessi e il Ministero degli Affari Islamici del Marocco. Per quanto riguarda la stragrande maggioranza delle realtà associative interpellate, laiche e non, la più frequente forma di sostentamento finanziario risulta essere l’autotassazione dei soci iscritti, mentre lo statuto giuridico più scelto quello di onlus o di associazioni di promozione sociale (Aps). Si tratta infatti nella stragrande maggioranza dei casi di associazioni non riconosciute, che ovvero risultano sì registrate presso gli albi o i gli appositi registri comunali, ma che non godono di autonomia patrimoniale né di riconoscimento istituzionale ufficiale. Pertanto venendo meno la possibilità da parte dell’ente stesso di beneficiare di donazioni o fondi dagli enti pubblici, ne

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consegue che la forma di sostentamento più frequentemente adottata sia l’autotassazione dei soci o il ricorso al microcredito. Non sono state rilevate nei casi in esame storie di mancata trasparenza legate all’origine dei finanziamenti, in quanto le associazioni, come ho potuto scoprire in occasione delle interviste effettuate, sono solite depositare il proprio bilancio alla fine dell’anno finanziario presso l’Agenzia delle Entrate. Sporadico sembra infatti essere il ricorso al finanziamento estero, modalità attuata solo in un’occasione dal centro culturale islamico “Attawasol” di Montebelluna e dal centro culturale islamico “Badr” di Follina. In merito ai centri interpellati, si è evidenziata la generale presenza di buoni e fitti rapporti di collaborazione con i corpi di polizia comunale ed in generale con le forze dell’ordine. Per ciò che concerne le associazioni religiose, le attività promosse che esulano dall’attività strettamente cultuale sono l’insegnamento coranico e l’insegnamento della lingua araba ai bambini e ragazzi di origine araba ma sovente nati in Italia, oltre alla promozione di attività di conoscenza tra i vari centri, come il lancio di giornate conviviali, sportive o gite. I centri nella totalità dei casi non hanno prodotto pubblicazioni o altro materiale scritto, ma si avvalgono semplicemente dei social media, primo su tutti Facebook, o in alternativa del passaparola all’interno della comunità stessa, per promuovere, pubblicizzare e fare il resoconto delle attività svolte. Sono inoltre state lanciate da un paio di anni a questa parte delle iniziative volte a favorire la conoscenza tra comunità musulmane ed il resto della cittadinanza, come nel caso dell’associazione “Ar-Rahma” di Vittorio Veneto il cui direttivo ha deciso di aprire la partecipazione all’Iftar di Ramadan ai membri della comunità vittoriese, oppure come nel caso della Federazione islamica veneta, che si è presa in carico l’organizzazione della visita ai principali luoghi di culto cristiani in Marocco e che ha visto la partecipazione del vescovo di Belluno Marangoni e di una quarantina di pellegrini, tra diocesani e cittadini musulmani ad aprile 2019. Per quanto concerne invece attività divulgative come seminari sulla religione o convegni finalizzati alla formazione degli imam le medesime risultano ancora numericamente sporadiche ed implementate solo dai centri aderenti alla Federazione islamica Veneta, che risultano molto attivi in tal senso potendosi avvalere di maggiori risorse economiche e quindi della presenza di relatori di livello accademico inviati direttamente dal governo marocchino e dal Ministero degli Affari Islamici in Italia, oltre che del rapporto di collaborazione intrattenuto dalla Confederazione con il Centro di Formazione degli Ulama’ di Rabat. Dei centri culturali islamici intervistati nessuno, c’è da sottolineare, ha aderito alla Federazione o risulta alternativamente essere a conoscenza della sua esistenza, pochi infine tra gli intervistati quelli che ne hanno sentito solo vagamente parlare. Poco note ancora sembrano essere reti associative molto più longeve e radicate a livello nazionale come l’Ucoii e la Coreis, solo per citarne due, con cui per l’appunto i centri intervistati non intrattengono alcun tipo di rapporti. Solo

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due realtà associative in effetti risultavano avere intrattenuto rapporti di tipo sporadico con l’Ucoii, ovvero la Federazione islamica regionale e l’associazione culturale “Attawasol” di Montebelluna. I centri stessi tra l’altro, poiché presenti in modeste realtà urbane, sono generalmente caratterizzati dalla presenza di pochi soci, in numero solitamente pari alla quarantina o cinquantina, proporzionalmente quindi ai numeri della comunità musulmana o marocchina di volta in volta presente. Per quanto riguarda le associazioni ad indirizzo laico invece le attività maggiormente promosse sono l’insegnamento della lingua araba rivolto sia ai membri della comunità marocchina, soprattutto bambini e ragazzi, che agli italiani, e l’organizzazione di feste multi-culturali aperte alla cittadinanza tutte e volte alla conoscenza reciproca. Ottimo inoltre sembra essere il rapporto di collaborazione e dialogo intessuto tra le associazioni intervistate, siano esse stampo di laico o religioso, e le amministrazioni sul territorio, nonché le istituzioni religiose come le diocesi e le parrocchie locali. Gli esempi di collaborazione e coordinazione più riuscite, proficue e durature tra associazionismo marocchino e amministrazioni locali, sono rappresentati dall’associazione laica “Noi Ci Siamo” che collabora attivamente con il comune di Pieve di Soligo per il progetto “Terra Mia” e l’associazione del festival italo-marocchino, ovvero l’associazione Club Marocaine 99, che di concerto con l’amministrazione della città di Treviso, implementa una volta l’anno l’omonimo evento culturale. Durante le interviste effettuate i responsabili, gli imam o i presidenti dei centri culturali islamici o delle associazioni di volta in volta interpellate mi hanno edotto e mi hanno offerto interessanti spunti di riflessione in merito a disparati argomenti di forte attualità, come a titolo d’esempio, la convivenza interreligiosa e le criticità insite nel processo di integrazione delle comunità marocchine e musulmane, le attività svolte e promosse dai centri, le modalità di finanziamento adottate dai medesimi, i rapporti con l’eventuale vicinato italiano, la libertà di culto ed i rapporti tra islam e stato italiano a livello istituzionale, solo per citarne alcuni. Interessante è notare come per tutti i centri intervistati si ravvisassero ed evidenziassero le medesime criticità, tra cui prime su tutte, la carenza in materia di formazione delle guide religiose, la paucità di risorse a disposizione sia a livello di capitale umano, che economico vero e proprio, ed infine l’annosa questione dei decessi e delle sepolture dei connazionali o dei correligionari, eventualità queste collegate quindi alla necessità molto sentita da parte delle suddette comunità di poter accedere alla possibilità di edificare cimiteri musulmani. Largamente condivisa è inoltre la convinzione che gli italiani non siano particolarmente edotti in materia di islam poiché spesso percepiti come portatori di una visione parziale o errata mutuata dalla narrazione tendenzialmente islamofobica e sensazionalistica veicolata dai media, cosa questa che sembra, secondo le persone di volta in volta

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Fonte: Elaborazione su dati Istat e Ismu.

I musulmani di cittadinanza straniera invece ammontano circa a 1.440.000 unità, ovvero il 57% sul totale dei musulmani residenti e di seguito si riporta per completezza il grafico che illustra le nazionalità numericamente più rappresentate all’interno di questo gruppo111.

Tab.46

Fonte: Elaborazione dati Istat e Ismu.

Tra queste, le cinque comunità più numerose rappresentano i due terzi circa della totalità dei musulmani stranieri residenti in territorio italiano. I dati sono aggiornati al 01/01/2017. Tre di queste nella fattispecie rappresentano le comunità di più antica immigrazione, ovvero quella albanese, tunisina e marocchina. Sempre facendo riferimento ai dati Istat di seguito sono illustrate le prime cinque comunità straniere per numero di residenti di religione islamica in Italia, con dati aggiornati sempre al 01/01/2017. Di seguito invece si riporta la distribuzione dei musulmani

111 Ciocca F., La presenza musulmana in Italia: criticità e potenzialità, Roma,2018, p.6.

Marocco Altri 41 paesi Albania Bangladesh Tunisia Pakistan Egitto Senegal

MUSULMANI STRANIERI PER NAZIONALITÀ AL

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