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Motivazione intrinseca

7. FATTORI COGNITIVI E NON COGNITIVI NEL SUCCESSO SCOLA- SCOLA-STICO

7.4. Motivazione intrinseca

Il lavoro di Tolman e di Harlow, di Berlyne e di Kruglanski, e una miriade di altri

studiosi indicano che non abbiamo bisogno di motivazione estrinseca per appren-dere. Come organismi che si muovono, siamo programmati per conoscere in modo innato il mondo nel quale viviamo. Come esseri coscienti, senzienti (siamo homo sapiens, dopo tutto) abbiamo sia molto da imparare sia un apparato potente – inclu-dendo la capacità della lingua e la cultura che linguaggio e consapevolezza, operando insieme, creano – con il quale apprendiamo. Ma questo non significa che non ci sono anche motivi estrinseci pure per imparare. Impariamo non solo perché vogliamo im-parare e solo per il gusto e la soddisfazione di apprendere. Vogliamo anche imim-parare perché siamo ricompensati dall’apprendimento, e perché l’apprendimento ci con-sente di raggiungere tra le altre cose quello che vogliamo – a cominciare dal cibo, dal riparo e dalla sicurezza, ma anche dallo status e dall’autostima.

Gli psicologi sono giunti a distinguere due grandi fonti di motivazione. La moti-vazione estrinseca è il desiderio di una persona di impegnarsi in qualche attività spe-cifica, al fine di raggiungere un certo obiettivo o soddisfare alcune necessità – in breve, per ottenere una ricompensa. Alcune ricompense estrinseche sono primarie, in quanto soddisfano un bisogno biologico. Altre ricompense estrinseche sono se-condarie, in quanto sono più simboliche e derivate da ricompense primarie. Il denaro è un buon esempio: si può usarlo per comprare cibo. Le scimmie lavoreranno per l’uva, ma lavoreranno anche per gettoni di poker con i quali possono acquistare uva.

I voti scolastici sono anche buoni esempi perché stanno per qualcos’altro – anche se, come vedremo, proprio per ciò che rappresentano si rivelano importanti.

La motivazione intrinseca, al contrario, si riferisce al desiderio di una persona di impegnarsi in qualche attività specifica, senza alcuna promessa o prospettiva di ri-compensa. Nel contesto attuale, la motivazione intrinseca si riferisce agli interessi intrinseci di uno studente per la scuola e al desiderio intrinseco di raggiungere la competenza nei suoi studi.

Il risultato importante dello studio è stato che il gruppo al quale era stata promessa (e aveva ottenuto) la ricompensa, era meno interessato a continuare l’attività del corso in un periodo successivo “per libera scelta” rispetto al gruppo di controllo senza ricompensa. La spiegazione di Lepper di questi risultati era in linea con le teorie “cognitive costruttiviste” dell’emozione e della motivazione popolari nella psicologia sociale del momento. Per dirla in breve, i bambini ai quali era stato pro-messo il premio di “Good Player” attribuivano il proprio comportamento nel disegno alla promessa della ricompensa; cosicché quando la ricompensa non era offerta, non erano più interessati all’attività.

Questo è ciò che Lepper e Greene (1978) hanno chiamato “il costo nascosto”

della ricompensa, e questo argomento ha giocato un ruolo nei dibattiti, se, per esem-pio, gli studenti dovessero essere pagati per frequentare le lezioni, per completare i loro compiti in tempo, per ottenere buoni voti, per svolgere un servizio civile – e qualsiasi altra cosa.

Lo studio di Lepper è spesso citato come un argomento contro l’uso di ricom-pense come strumenti di politica sociale. Questo argomento è stato ripetuto da Alfie Kohn in Punished by Rewards: The trouble with Gold Stars, incentive plans, A’s, praise, and other bribes (1993). Tuttavia, un certo numero di distretti scolastici e gruppi di riforma educativi, così come alcuni servizi di tutoraggio privati, hanno proposto di dare soldi ai bambini o altri premi come ricompensa per la frequenza a scuola e per il fare bene. Quando, nel 2007, il Department of Education della città di New York ha proposto di ricompensare gli studenti per la frequenza scolastica e le prestazioni d’esame, nel tentativo di migliorare i risultati scolastici di minoranze e di altri studenti svantaggiati, Barry Schwartz, uno psicologo, ha citato la ricerca di Lepper in un pezzo del New York Times Op-Ed argomentando contro il piano.

Tuttavia, questi programmi sono sempre più popolari. Naturalmente, i bambini di tutto il mondo hanno la loro paghetta subordinata al taglio dell’erba o all’asciugare i piatti. Ma c’è di più: gli scolari sono ricompensati con denaro e premi per il conse-guimento di buoni voti, per la lettura di libri, anche solo per la frequenza alla lezione e per un comportamento corretto; i proprietari di abitazioni sono ricompensati per il riciclaggio; i fumatori sono ricompensati per la diminuzione o l’interruzione del fumo; i dipendenti sono ricompensati se evitano le patatine fritte alla mensa della fabbrica; le ragazze adolescenti sono ricompensate se non rimangono incinte; i pa-zienti sono premiati se assumono le loro medicine (es. da The age of incentives:

Paying big bucks for puny results” di Eric Felten, Wall Street Journal, 06/18/2010).

Tradizionalmente, gli economisti di mercato favoriscono spesso proposte come que-ste. Ma qui ci sono dibattiti legittimi circa l’etica di premiare il buon comportamento.

E, come indica Lepper, ci sono ragioni psicologiche a pensare che avrebbero potuto ritorcersi contro.

Ma, e questo sta diventando un argomento importante per me, le cose non sono così semplici. Tra le prime a notare questo è stata Judith Harackiewicz, della quale sono orgoglioso di dire che è stata anche la mia prima studentessa laureata ad Har-vard. Judy notò ciò che altri non erano riusciti a precisare, cioè che i bambini che ottenevano una ricompensa inaspettata, non dimostravano un declino della motiva-zione intrinseca – semmai, l’aumentavano. Quindi, non è esattamente la ricompensa che mina la motivazione intrinseca – è quello che la ricompensa significa.

Harackiewicz, insieme con i suoi studenti e colleghi, in seguito ha intrapreso un vasto programma di ricerca destinato a distinguere gli effetti complicati della ricom-pensa sulla motivazione intrinseca. Questi esperimenti, come quelli della Dweck, si sono mossi in modo fluido dal laboratorio a contesti reali, con attività che erano veramente intrinsecamente motivanti per i suoi soggetti.

In primo luogo, Harackiewicz e i suoi colleghi sostengono che dobbiamo pren-dere in considerazione la struttura della ricompensa. Alcune ricompense sono rela-tive al compito, in quanto dipendono solo da se la persona si impegna in qualche attività. Questo è stato il tipo di ricompensa utilizzata da Lepper et al. quando hanno

offerto ricompense “Good Player” solo per disegnare su carta. Altre ricompense sono relative alla prestazione in quanto richiedono che la persona realizzi alcuni specifici standard della prestazione.

C’è anche la questione della relazione con la valutazione: la persona si aspetta di ricevere la ricompensa sin dall’inizio, o la persona è sorpresa dalla ricompensa dopo aver completato l’operazione. Per loro stessa natura, le ricompense relative alla pre-stazione forniscono un feedback alla persona per la qualità della sua prepre-stazione.

Tuttavia, è possibile fornire un feedback senza alcuna ricompensa di accompagna-mento (gli allenatori fanno questo continuamente durante gli incontri di allena-mento).

E poi c’è la consegna della ricompensa. Le ricompense hanno un valore di solle-citazione simbolica perché rappresentano il fatto che un compito è stato completato o fatto bene. Ma sono anche qualcosa di tangibile, come un trofeo si può tenere in mano o una quantità di denaro che si può spendere.

Dobbiamo, inoltre, considerare il tipo di ricompensa. Alcune ricompense sono controllanti, in quanto sono incentivi destinati a ottenere che una persona si impegni completamente nel compito o a eseguire a un livello particolare, indipendentemente da quello che vuole veramente. Altre sono strettamente informative, in quanto co-municano alla persona (e ad altri) quanto bene lui o lei ha fatto qualcosa.

Si scopre che questi vari aspetti della ricompensa fanno una grande differenza sugli effetti del comportamento ricompensato. Questo è stato chiaramente dimostrato in uno studio con studenti universitari portati in laboratorio per fare qualcosa che fosse intrinsecamente motivante – giocare a flipper; come ricompensa, ricevevano un biglietto per un cinema se raggiungevano un livello significativo, ma lo standard di prestazione era chiaramente ragionevole (ottenendo risultati sopra il 50° o l’80°

percentile); e maneggiando la macchina per assicurarsi che ognuno degli studenti realizzasse questo standard. Alla fine dell’esperimento, tutti i soggetti hanno avuto la possibilità di continuare a giocare il gioco durante il tempo libero e gli sperimen-tatori misurarono per quanto tempo continuavano a giocare.

(Lasciatemi dire, come punto di privilegio personale, che tengo nella mia testa un elenco “faustiano” di esperimenti per i quali darei l’anima per averli fatti. Si tratta di un breve elenco e questo è in esso. È una cosa di reale bellezza).

Nel loro primo esperimento, una ricompensa promessa minava la motivazione intrinseca, rispetto ad un gruppo di controllo standard che otteneva il feedback di prestazione (ad es., vedevano il loro punteggio), ma nessuna valutazione e nessuna ricompensa. Ma un terzo gruppo sorpreso per la ricompensa dimostrò un migliora-mento della motivazione intrinseca. Questo riproduce essenzialmente l’esperimigliora-mento originale di Lepper, ma con studenti universitari, piuttosto che con alunni della scuola dell’infanzia. La ricompensa promessa poteva essere percepita come un com-portamento di controllo, e probabilmente lo era; e l’anticipazione dei soggetti della valutazione esterna probabilmente induceva un’ansia da prestazione. D’altra parte,

la ricompensa inaspettata era puramente informativa. Il risultato ha indicato che le ricompense che controllano minano la motivazione intrinseca, mentre le ricompense puramente informative sostengono e possono anche valorizzarla.

Nel loro secondo esperimento, alcuni soggetti ottenevano la valutazione – ad essi veniva detto che avevano realizzato lo standard – ma non ricevevano alcuna ricom-pensa. Ancora una volta, questa condizione era destinata ad aumentare l’apprensione per la valutazione e l’ansia da prestazione, senza l’elemento di controllo introdotto dall’offerta dei biglietti per il cinema (gli studenti ottenevano i biglietti per il cinema in ogni caso, dopo aver completato il loro periodo di “gioco libero”). E ancora, questa condizione minava la motivazione intrinseca, rispetto al gruppo di controllo stan-dard. Ma ancora una volta, la motivazione intrinseca è stata migliorata per quegli studenti sorpresi per la ricompensa inaspettata puramente informativa (perché non c’era alcuna indicazione di standard o di ricompensa promessa prima, si sperava che questi soggetti non avrebbero provato alcun timore della valutazione o ansia da pre-stazione).

In un terzo esperimento, di nuovo, alcuni soggetti ottenevano un feedback posi-tivo valutaposi-tivo ma nessuna offerta di ricompensa; e, ancora una volta, essi hanno mostrato una diminuzione della motivazione intrinseca rispetto al gruppo di standard di controllo. Nuovamente, questo illustra gli effetti deleteri della apprensione della valutazione e dell’ansia da prestazione. Ma in questo studio, il terzo gruppo di sog-getti riceveva informazioni sulla prestazione normativa – ad essi era detto che era l’80° percentile – ma non ricevevano alcuna promessa di ricompensa, né qualsiasi accenno di valutazione esterna (ricevevano la ricompensa, anche se, come una sor-presa). In questa condizione, hanno mantenuto o migliorato la motivazione intrin-seca. Quindi, se è possibile farlo senza sembrare un controllo, e senza generare ansia per la valutazione della prestazione, le informazioni sulle prestazioni aumentano la motivazione intrinseca e dare una ricompensa non la compromette.

Ci sono alcune complicazioni e sottigliezze nelle quali non ho tempo di entrare, ma la linea di fondo della ricompensa sembra essere questa: le ricompense che sono percepite come controllo del comportamento tendono a minare la motivazione in-trinseca. Le ricompense, invece, che sono informative circa il livello di competenza di una persona, senza essere percepite come controllanti, mantengono e persino mi-gliorano la motivazione intrinseca. In breve si può dire che: se abbiamo intenzione di offrire ricompense, queste dovrebbero essere offerte per la competenza.

Sulla base di tutta questa linea di ricerca, Harackiewicz e Sansone (1991, 2000) hanno esplorato un modello psicologico dettagliato che tiene conto dei fattori che minano, supportano e anche migliorano la motivazione intrinseca.

● Prima di tutto si deve tenere conto dei fattori di contesto e di personalità, ad esem-pio, se la ricompensa è relativa al compito o alla prestazione, al livello iniziale di interesse dell’individuo per il compito e al suo orientamento verso il successo in generale.

● Gli obiettivi percepiti della finalità stabiliscono il contesto motivazionale per l’at-tività – quello che la persona sta cercando di realizzare con il compito – per svilup-pare o dimostrare la competenza, per divertirsi, per rilassarsi, per socializzare?

● Mentre gli obiettivi di finalità riflettono la/le ragione/i per cui la persona è impe-gnata nell’attività, gli obiettivi percepiti degli scopi – riflettono esattamente quello che la persona cerca di realizzare – per esempio, segnare più di 20.000 punti.

● I vari processi motivazionali sono importanti: Quanto la persona apprezza il con-seguimento (o la dimostrazione) della competenza nel compito? È davvero coin-volto in quello che sta facendo o sta solo facendo dei movimenti? Si percepisce competente – non importa quale sia il fatto oggettivo della questione, è l’auto-per-cezione che conta maggiormente.

Tutti questi fattori si combinano e interagiscono per determinare il livello di una motivazione intrinseca di una persona ad impegnarsi in qualche attività.

La motivazione e la ricompensa non sono molto importanti per l’apprendimento, come abbiamo conosciuto fin dagli studi sugli animali di Tolman e di Harlow, ma sono ovviamente importanti per il comportamento. I motivi estrinseci, al contrario, non sono gli unici fattori determinanti di un comportamento. Anche le motivazioni intrinseche sono importanti e le motivazioni estrinseche non sempre minano le mo-tivazioni intrinseche. Gli effetti di una ricompensa sulla motivazione intrinseca di-pendono da quello che è il premio, come il premio viene percepito e se la persona si preoccupa della ricompensa.

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