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STILI DI APPRENDIMENTO

Il Personalized System Interaction esige molto dagli insegnanti, ma richiede an-che molto dagli studenti, e questo sistema meccanico an-che consente agli studenti di progredire al proprio ritmo, ma che comunque è fondamentalmente una modalità di istruzione di “misura uguale per tutti”, non può essere adatto a tutti gli studenti. Mi riferisco all’attenzione diffusa che la pedagogia moderna e la pratica danno alla no-zione di stili di apprendimento – cioè, gli studenti sono molto diversi per come im-parano e l’insegnamento più efficace è quello su misura delle esigenze di ogni sin-golo studente. In linea di principio, almeno, queste differenze individuali nello stile di apprendimento sono indipendenti dall’intelligenza generale. Essi rappresentano come una persona applica la sua intelligenza, non quanta intelligenza possiede.

Questa idea molto attraente è molto vecchia e ha le sue origini nella teoria dei tipi psicologici proposti da C.G. Jung – questo avvenne dopo la sua rottura con Freud.

Jung riteneva che le differenze individuali di personalità potevano essere interpretate all’interno di otto tipologie create incrociando due atteggiamenti con quattro fun-zioni. Gli atteggiamenti riguardano l’orientamento della persona verso il mondo og-gettivo esterno o il mondo sogog-gettivo interno. Le quattro funzioni sono il percepire vs l’intuire, e il pensare vs il sentire. C’è anche una distinzione tra percepire e giudi-care. Queste differenze sono misurate dal Type Indicator di Myers-Briggs, un que-stionario di personalità molto popolare sia nei circoli educativi sia nella gestione aziendale.

Un altro schema familiare, proposto da George Klein (1951), Riley Gardner (Gardner et al., 1959), e i loro colleghi, ha le sue origini nella psicologia psicoanali-tica “neo-freudiana” dell’Io che ha tentato di connettere la psicoanalisi con la psico-logia sperimentale dell’apprendimento, della percezione e della memoria. George S.

Klein ha introdotto il concetto di stile cognitivo per caratterizzare “forme preferite di regolazione cognitiva” del singolo o “mezzi tipici di risolvere le richieste adatta-tive poste da certi tipi di problemi cognitivi” (Holzman & Klein, 1954, p. 105).

● Klein si è focalizzata sull’appiattimento-precisione (a seconda che la persona en-fatizzi o de-enen-fatizzi le differenze).

● Il più famoso, Herman Witkin, uscendo dalla tradizione Gestaltica della perce-zione, ha proposto che ci fossero grandi differenze individuali in quello che lui chiamava articolazione del campo o di dipendenza/indipendenza dal campo, la mi-sura in cui la percezione di un oggetto è influenzata dal contesto circostante.

L’idea degli stili cognitivi è intuitivamente molto attraente, ma per la maggior parte l’evidenza empirica a favore di queste e altre proposte è stata carente (si vedano le analisi di Kozhevnikov, 2007; Miller, 1987; Riding & Cheema, 1991; Sternberg

& Grigorenko, 2001; Zhang, Sternberg, & Rayner, 2012). Ad esempio, in linea di principio, lo stile cognitivo dovrebbe essere indipendente dall’intelligenza, ma una

grossa mole di ricerche mostrano che l’indipendenza dal campo è sostanzialmente correlato con il QI.

Forse l’approccio più diffuso per gli stili di apprendimento viene dal lavoro di David Kolb (1984), sulla base di quello che ha definito il ciclo di apprendimento.

Dal punto di vista di Kolb, lo studente inizia con l’esperienza concreta immediata;

poi, sulla base dell’osservazione e della riflessione, sviluppa una teoria e fa inferenze deduttive da essa; queste inferenze vengono poi testate confrontandole con nuove esperienze concrete e il ciclo ricomincia.

Tutti passiamo attraverso tale ciclo, riteneva Kolb, ma siamo diversi in termini di quali aspetti preferiamo o nei quali siamo particolarmente bravi. I quattro aspetti del ciclo di apprendimento generano due dimensioni bipolari che, a loro volta, generano quattro tipi di studente. L’ “Accommodatore”, sottolinea l’esperienza concreta e la sperimentazione attiva, mentre l’ “Assimilatore”, sottolinea l’osservazione riflessiva e la concettualizzazione astratta. Il quadro di riferimento di Kolb è stato adattato da una società di consulenza, la Hay Group, con diverse etichette. Il loro “Decisore”, sottolinea la concettualizzazione astratta e la sperimentazione attiva, mentre il loro

“Creatore”, sottolinea l’osservazione riflessiva e l’esperienza concreta. Ma è la stessa idea e le loro valutazioni si basano sugli strumenti di Kolb.

Un altro esempio, forse il più elaborato del gruppo, è il programma “Building Excellence” di Rundle e Dunn che unisce stili percettivi e psicologici come visivo-verbale vs visivo-immagine e globale vs analitico insieme a variabili fisiologiche come l’ora preferita del giorno, le caratteristiche ambientali come la temperatura e l’illuminazione, le qualità emozionali come la conformità e le caratteristiche socio-logiche come la preferenza a lavorare da solo vs in grandi gruppi. Lo schema risul-tante è rappresentato in modo così suggestivo che – quando lo si guarda – è impos-sibile da realizzare in tre dimensioni. Ma essa coglie le caratteristiche essenziali di ciò che Harold Pashler e colleghi (2008) hanno definito l’ipotesi degli stili di ap-prendimento. È importante, tuttavia, ricordare solo ciò che afferma “l’ipotesi degli stili di apprendimento”. Non significa solo che gli individui hanno preferenze diverse nello studio. Non c’è dubbio che ci sono queste differenze individuali nelle renze – come chiunque abbia mai avuto un compagno di stanza lo sa. Ma le prefe-renze di studio affidabili non implicano necessariamente l’esistenza di diffeprefe-renze effettive di stile di apprendimento. L’ipotesi dello stile di apprendimento ha come conseguenza che individualizzare l’istruzione per abbinare lo stile di apprendimento individuale consentirà di ottimizzare i risultati di apprendimento. O, in altre parole, l’insegnamento dovrebbe “armonizzarsi” con lo stile di apprendimento dello stu-dente.

Per quanto possa essere interessante questa ipotesi, è molto sorprendente sapere che non è mai stata effettivamente testata con successo. Pashler et al. (2008) hanno esaminato la letteratura esistente sugli stili di apprendimento e non hanno trovato un

singolo studio che senza ambiguità abbia sostenuto l’ipotesi dello stile di apprendi-mento. In realtà, hanno trovato solo un singolo studio che persino ambiguamente ha sostenuto l’ipotesi dello stile di apprendimento. Forse tale evidenza esiste nelle ban-che dati di proprietà di alcune società di consulenza educativa.

È importante capire che tipo di prove sosterrebbe l’ipotesi degli stili di apprendi-mento. Essa si presenta sotto forma di cosiddetta interazione di trattamento dell’at-titudine di (ATI = Aptitude Treatment Interaction) in cui il ricercatore confronta l’ef-ficacia di due diversi metodi didattici (diciamo, verbale vs pittorico) con due tipi diversi di studenti (per es., quelli con stili di pensiero verbale e visivo), con conse-guente quattro condizioni sperimentali (2x2, o ciò che è noto in psicologia come la progettazione dell’ “Arca di Noè”). Tracciando i risultati medi di ciascuna delle quat-tro condizioni, l’ipotesi degli stili di apprendimento è supportata da ciò che è nota come un’interazione trasversale – tale che, per esempio, i risultati sono migliori quando studenti verbali ricevono un testo stampato rispetto a quando guardano un video, e quando gli studenti visivi guardano un video, invece di ricevere un testo stampato. Ci sono molte varietà di interazione di trattamento dell’attitudine (ATI), ma tutte devono avere questa funzionalità trasversale e, per farla breve, nessuna delle ricerche pubblicate produce questa interazione.

C’è una sola possibile eccezione alla regola, data da Robert Sternberg e suoi col-leghi (1999). Sternberg è un distinto psicologo cognitivista che ha dedicato tutta la sua carriera allo studio dell’intelligenza, allo sviluppo di nuovi e migliori test di in-telligenza poggiando la pratica educativa su una solida base probatoria. Come risul-tato della sua ricerca, egli ha individuato tre tipi di intelligenza molto diversi, che egli caratterizza come analitico, pratico e creativo. Ha preso un gruppo di studenti delle scuole superiori che seguivano un corso di introduzione alla psicologia durante l’estate, li ha misurati su questi tre tipi di intelligenza, e poi li ha assegnati in modo casuale a tre diverse versioni del corso – uno sottolineava l’analisi astratta, un altro sottolineava l’applicazione pratica, e un altro sottolineava il problem-solving crea-tivo. Poi ha somministrato loro una serie di test riferiti al loro pensiero analitico, pratico e creativo su quello che avevano imparato. A prima vista, i risultati sembra-vano sostenere che gli “studenti analitici istruiti analiticamente riuscisembra-vano meglio nelle domande analitiche, gli studenti pratici istruiti pragmaticamente erano migliori nelle domande pragmatiche e gli studenti creativi istruiti in modo creativo avevano appreso meglio nelle domande creative. Ma non avvenne ugualmente che gli studenti analitici istruiti analiticamente facessero meglio in tutto rispetto agli studenti anali-tici istruiti in modo creativo, e gli studenti creativi istruiti in modo creativo facessero meglio in tutto rispetto agli studenti creativi istruiti analiticamente. Inoltre, anche questi risultati richiesero un po’ di manipolazione dei dati e analisi selettive (di cui, devo dire, Sternberg ed i suoi colleghi sono stati abbastanza precursori).

E questo è tutto. Come ho detto, è possibile che le prove a sostegno dell’ipotesi di stili di apprendimento possa da qualche parte esistere, negli archivi di qualche

società di consulenza educativa. Ma la prova non si trova nella letteratura esaminata da studiosi di psicologia educativa.

Eppure, questo non ha impedito alle persone di promuovere una varietà di stili cognitivi, alcuni apparentemente basati su prove neuroscientifiche – che, natural-mente, li rende anche più intuitivamente attraenti. C’è qualcosa nelle neuroscienze che porta le persone ad impazzire.

Per fare un esempio evidente, la distinzione tra gli emisferi destro e sinistro ha preparato la strada alla cultura popolare – anche se ora capiamo che la distinzione destra-sinistra è incredibilmente semplificata.

Ma questo non è l’unico modo per ricavare stili cognitivi dalla scienza del cer-vello. Stephen Kosslyn, distinto neuro-scienziato cognitivo, ha evidenziato che una distinzione più importante è quella tra cervello “superiore” e “inferiore”, due metà separate dalla fessura laterale – conosciuta anche come la fessura Sylviana o la fes-sura di Silvio (Kosslyn & Miller, 2013). L’idea generale è che la parte superiore del cervello, compreso il lobo parietale e la porzione superiore del lobo frontale, è coin-volto nel generare aspettative, formulare piani e monitorare il progresso nel mo-mento in cui questi piani sono in attuazione. La parte “inferiore” del cervello, tra cui i lobi temporale e occipitale, e le rimanenti parti (inferiori) del lobo frontale, orga-nizzano i segnali sensoriali e interpretano e classificano le informazioni senso-per-cettive, in termini di informazioni archiviate nella memoria.

Naturalmente, come i due emisferi, queste due metà del cervello lavorano in-sieme: la metà inferiore ci dice cosa significa qualche evento, mentre la metà supe-riore ci indica che cosa fare al riguardo. Kosslyn e Miller sostengono ancora che ci sono grandi differenze individuali nell’equilibrio tra quella superiore e quella infe-riore, generando quattro “modi” cognitivi di base o stili:

● La modalità movimentatore riflette l’equilibrio ottimale tra superiore e inferiore.

Sono bravi a pianificare ed ad eseguire e sono anche bravi a monitorare le conse-guenze delle loro azioni.

● La modalità percipiente favorisce l’inferiore rispetto al superiore. I percettori sono bravi a dare un senso a ciò che sta succedendo, ma non sono così bravi nel fare progetti.

● La modalità stimolatore favorisce la parte superiore rispetto alla inferiore. Gli sti-molatori sono bravi nella pianificazione e nell’esecuzione, ma non modificano i loro piani quando non funzionano.

● La modalità adattatore non utilizza o il superiore o l’inferiore in modo ottimale.

Gli adattatori rispondono alle esigenze della situazione immediata, senza impe-gnarsi in molta riflessione o pianificazione.

Ora, naturalmente, resta da vedere se la distinzione superiore-inferiore possa spie-gare meglio la distinzione che è stata fatta di destra-sinistra. Il punto resta il fatto che la maggior parte delle attività mentali usano l’intero cervello che richiede l’attività

integrata di molti moduli diversi.

Kozhevnikov e i suoi colleghi (2014) hanno proposto un quadro generale per l’in-tegrazione della disparata letteratura sugli stili cognitivi. A suo parere, ci sono quat-tro “famiglie” ortogonali di stili cognitivi che influenzano la percezione, la forma-zione dei concetti, i processi cognitivi di ordine superiore e l’elaboraforma-zione metaco-gnitiva:

● Dipendenza-indipendenza dal campo: una variante del concetto di Witkin di arti-colazione del campo;

● Elaborazione basata su regola vs intuitiva: in sostanza, una preferenza per l’ela-borazione algoritmica vs euristica.

● Locus di elaborazione interno vs esterno: una variante della nozione di Rotter di locus di controllo interno vs esterno.

● Integrazione vs separazione in categorie: la preferenza per l’elaborazione delle informazioni olistiche vs sequenziale.

Una delle caratteristiche più interessanti del suo modello è che introduce la no-zione di flessibilità di stile – cioè la possibilità di abbinare quelli con certe strategie cognitive alla struttura e alle richieste dell’ambiente. Se alcune persone sono bloc-cate su un particolare solco stilistico-cognitivo, ma altri possono regolare il loro stile cognitivo flessibilmente per soddisfare le esigenze della situazione, si rende difficile dimostrare gli effetti dello stile cognitivo: l’ipotesi di una corrispondenza si appli-cherebbe solo a quelli che non sono flessibili (o che hanno una flessibilità limitata).

Ancora, la prova del budino è nel mangiarlo: una volta che abbiamo le misure psi-cometriche adeguate di questi diversi stili cognitivi (cosa che in realtà non abbiamo al momento) e la capacità di determinare quali studenti sono flessibili, come sono flessibili e quali sono bloccati in un solco stilistico-cognitivo, allora – e solo allora – saremo in grado di verificare l’ipotesi della corrispondenza.

L’ipotesi degli stili di apprendimento è molto attraente: Chi potrebbe essere con-tro un’educazione differenziata per massimizzare i risultati individuali? Ma anche se avessimo la prova, implementare l’ipotesi potrebbe diventare una proposta molto costosa. Dovremmo identificare gli stili di apprendimento, in via preliminare. Poi, dovremmo formare gli insegnanti ad insegnare in tutti i diversi stili di apprendi-mento. Ma mentre l’insegnante dedica il tempo con gli studenti visivi, che cosa si suppone facciano gli studenti verbali? Oppure, stiamo andando verso insegnanti di-versi specializzati nell’insegnamento in uno stile di apprendimento o in un altro, e verso l’assegnazione degli studenti a classi diverse secondo i test di ammissione?

Che cosa succede quando questi bambini arrivano al college, dove gli insegnanti sono appena formati ad insegnare a uno stile solo? Oppure sul posto di lavoro, dove c’è un solo capo-ufficio o supervisore e non sono stati preparati ad insegnare a tutti?

Forse questo può essere fatto, ma deve essere conveniente. Vale a dire, il costo di attuazione di tale programma dovrebbe essere molto migliore dei risultati che offre.

Se si scopre che tutti imparano bene da un testo e da una lezione, ma gli studenti verbali fanno un po’ meglio degli studenti visivi, ci sarebbe un passaggio di ATI, ma i guadagni potrebbero non essere adeguati da una prospettiva di politica sociale.

L’altra cosa che va detta è che, considerata acriticamente, l’idea di accogliere le differenze individuali nello stile di apprendimento può diventare rapidamente una prescrizione per la discriminazione. Sto pensando alle lamentele di alcuni psicologi che gli uomini e le donne pensano “in una forma diversa”, e ad altri argomenti es-senzialisti per il “femminismo della differenza” che potrebbe portare alla separa-zione dei ragazzi dalle ragazze e degli uomini dalle donne nelle scuole e nelle uni-versità. Sto anche pensando all’esperimento di Milwaukee con le “scuole di immer-sione”, nelle quali i ragazzi afro-americani sono separati da tutti gli altri, e istruiti per lo più, da insegnanti maschi afro-americani, secondo un approccio “Afro-cen-trico”. Forse “separati, ma uguali” è la politica educativa giusta, ma faremmo meglio ad esserne sicuri.

7. FATTORI COGNITIVI E NON COGNITIVI NEL SUCCESSO

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