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Il movimento antifascista, il GUI e l’Amministrazione britannica 1941 –

LA POLITICA TRA GLI ITALIANI D’ERITREA

2.1 Il movimento antifascista, il GUI e l’Amministrazione britannica 1941 –

Accanto alla politica ricordata nelle pagine precedenti, i britannici seguirono la linea della fermezza relativamente allo smantellamento dell‟apparato fascista, internando gli elementi più pericolosi, i fascisti irriducibili, e sciogliendo il partito mussoliniano. L‟avvento del governo d‟occupazione e la conseguente fine “formale” del sistema di potere fascista favorirono la formazione di un movimento antifascista150. A quanto ci è dato sapere dalle fonti documentarie, molto scarse soprattutto per il primo periodo di occupazione, nell‟ottobre 1941 era attiva in Asmara una sezione di Italia Libera, sotto la presidenza dall‟avvocato Domenico Isgrò. Nata con il preciso scopo di svolgere “propaganda antifascista per una pace separata”151, raggruppava circa 600 connazionali suddivisi in due battaglioni, uno dei quali intitolato a Giacomo Matteotti, e si valeva del “Corriere d‟Italia” stampato al Cairo come

giornale di riferimento. Il gruppo riceveva un qualche appoggio, occulto,

dall‟Amministrazione britannica tanto che un ufficiale inglese aveva partecipato alla riunione fondativa152.

Su impulso di alcuni avvocati asmarini, tra cui Giuseppe Latilla (che avrebbe pagato con la vita la sua posizione di primo piano nel panorama antifascista asmarino), Giorgio Taranto, Alberto Cottino e lo stesso Isgrò, nell‟aprile 1942153 venne poi costituita l‟Unione Nazionale Antifascista (UNA), quasi un duplicato della precedente associazione, probabilmente una sua evoluzione, che aveva l‟esplicito proposito “di svolgere azione di propaganda e di demolizione contro il Regime Fascista italiano, in tutte le sue manifestazioni specialmente

150

Questo si verificò anche in Etiopia e Somalia, cfr. A. DEL BOCA, Gli italiani in Africa Orientale. La caduta

dell‟impero, Roma – Bari, Laterza, 1982, pp. 547 – 548. 151

ASMAI, ASG, b. 269, f. 242, Esteri a Comando supremo, telespresso n. 23756, 28 ottobre 1941, p. 20 della relazione allegata, e F. GUAZZINI, De – fascistizzare l‟Eritrea e il vissuto dei vinti. 1941 – 1945, in B. M. Carcangiu, Tekeste Negash (a cura di), L‟Africa Orientale Italiana nel dibattito storico contemporaneo, Roma, Carocci, 2007, pp. 69 – 70.

152

L‟interesse britannico circa la costituzione di un Free Italy Movement in Eritrea trova conferma in un documento del marzo 1941, ove si indicava, tra le condizioni favorevoli per l‟impianto di una colonia di “Liberi Italiani”, il fatto che il territorio eritreo fosse al riparo dalle azioni dei bombardieri tedeschi, cfr. TNA, Cabinet 120/591, The Formation of a Free Italian Movement in the Italian Colonies, 3 marzo 1941.

153

Cfr. ASMAI, DGAP, Elenco III, cart. 65, f. 97, s.f. Situazione in Eritrea 1944 – 1945, Stralcio da “L‟Italia del popolo” del 25 maggio 1944.

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locali”154. Aperta a tutti gli italiani (e stranieri) che professassero principi antifascisti, l‟UNA richiedeva il pagamento di 100 lire come quota di iscrizione e di 24 lire come contributo mensile. Fulcro dell‟Unione era l‟assemblea ordinaria dei soci riunita almeno una volta al mese cui partecipavano tutti gli iscritti in regola con le contribuzioni, affiancata da un comitato direttivo di nove membri, diviso in tre sottocomitati destinati alla cura della propaganda, all‟amministrazione ed agli affari generali. Altri organi dell‟UNA erano il consiglio dei probiviri ed il collegio dei revisori.

È molto problematico valutare la sincerità di siffatte impostazioni antifasciste, non solo in ragione della già citata scarsezza di fonti, ma anche per la memoria davvero negativa che di quelle stesse esperienze è rimasta. Nelle parole dell‟Associazione fascista clandestina Figli d‟Italia, attiva dal settembre 1941, veniva denunciato il crollo morale registratosi tra la popolazione italiana subito dopo l‟avvento dell‟occupazione nemica:

“Nei giorni che seguono l‟occupazione vediamo uomini che, per tema del campo di concentramento, si fanno umili servitori del nemico; donne che si prostituiscono con raccapricciante sfrontatezza, commercianti ed industriali che, anziché venire incontro a quella parte di Italiani colpiti finanziariamente, praticano prezzi assolutamente iperbolici, oppure corrispondono paghe minime al di sotto di gran lungo del necessario per vivere […].Vi sono ancora elementi più abbietti, e precisamente coloro che si sono auto-nominati: Italiani Liberi cioè: antifascisti denigratori del Governo Italiano. Miserabili esseri viventi che per palesare le proprie idee hanno avuto bisogno del paravento nemico, poiché in circostanze pacifiche nessuno mai di questi pusillanimi ha avuto il coraggio di esporre le proprie idee”155.

Sulla stessa linea si pone Giuseppe Puglisi, attento osservatore degli eventi eritrei, là dove nota che

“la propaganda britannica e lo sbandamento morale avevano fatto uscire dall‟ombra italiani che minavano la compattezza collettiva; tra essi c‟era la schiuma dei relitti umani, individui che vendevano i fratelli per 20 sterline al mese, girella che si erano serviti fino allora del fascismo e ora si rifacevano una verginità, avanzi delle prigioni, in una parola tornacontisti […]. Da quell‟accozzaglia, che la massa popolare biasimava, sorse la cosiddetta „UNA‟”156

.

154

ASMAI, Ministero, pos. 180/46, f.166, Unione Nazionale Antifascista. Statuto.

155

Ivi, Come nacque l‟Associazione “Figli d‟Italia”, dattiloscritto senza data.

156

G. PUGLISI, L‟Impero clandestino. Per quattro anni la legge italiana tenne in iscacco gli inglesi, “Candido”, 19 agosto 1956.

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Non propriamente positivo è poi il giudizio espresso sull‟antifascismo “africano” da Teobaldo Filesi, già funzionario coloniale in Etiopia, il quale indica nell‟“assistenza” agli occupanti e nella “purga antifascista” le funzioni fondamentali esplicate in terra d‟Africa dalla “Libera Italia” e dalle organizzazioni affini, precisando come queste stesse attività crearono “fratture e situazioni incresciose in seno alla vasta massa degli Italiani che finì per trovarsi divisa anche nell‟avvilimento e nel dolore dei campi di prigionia”157

. Tale “frattura” viene ricordata anche dal citato Lord Rennell of Rodd che sottolinea come l‟adesione ai valori dell‟antifascismo nel momento in cui l‟Italia stava ancora combattendo in altri teatri di guerra fosse considerata un‟azione “non patriottica”158

. La valutazione probabilmente più calzante la dobbiamo ad Angelo Del Boca che, rispetto all‟antifascismo “coloniale”, scrive: “Anche se favorito dagli inglesi, la sua crescita è però lenta, stentata, e non coinvolge che una trascurabile minoranza, poiché le condizioni in cui vive la comunità italiana, la sua composizione sociale, la sua stessa tradizione, non favoriscono certo una libera scelta e tantomeno un sereno dibattito politico”159

.

Tutti questi giudizi a nostro avviso, al di là della distorsione operata su taluni dalla contrapposta ideologia, mettono in evidenza una serie di limiti del fenomeno antifascista “eritreo” nel suo complesso. È un movimento che nasce all‟indomani di una conquista bellica, che si sviluppa in un ambiente, la società coloniale, tutt‟altro che democratico. Tale ambiente appariva di contro rigidamente diviso al suo interno, elitario, tendenzialmente razzista, immune, nei decenni precedenti, dall‟influenza del fuoriuscitismo160, e viceversa intriso di principi di conquista, dominio, e in definitiva anche di un certo grado di opportunismo, una qualità essenziale per sfruttare le relativamente poche occasioni offerte dai poveri possedimenti oltremare italiani.

Ciò detto, è parimenti documentato che una qualche forma di “dissidenza”, pur in assenza di uno studio completo sull‟antifascismo in Eritrea tra anni Venti e Trenta, fosse stata registrata

157

T. FILESI, Comunismo e Nazionalismo in Africa, Roma, Istituto Italiano per l‟Africa, 1958, p. 171.

158

LORD RENNELL OF RODD, op. cit., p. 142.

159

A. DEL BOCA, Gli italiani in Africa Orientale. La caduta…, cit., p. 547.

160

L. GOGLIA, Introduzione, in ID., F. GRASSI, Il colonialismo italiano da Adua all‟Impero, Roma – Bari, Laterza, 1993, pp. 223 – 224. Goglia ricorda i problemi di strategia e di organizzazione politica che dovette affrontare il movimento antifascista “nazionale”, segnalando come fosse per il movimento impossibile “agire nei territori coloniali”. Richiamando il fatto che tra le fila dell‟antifascismo la questione coloniale fosse alquanto minoritaria e pressoché sconosciuta, l‟autore ricorda tuttavia che in taluni frangenti il fronte antifascista riservò una certa attenzione al tema, come ad esempio in occasione della morte di Omar el Mukthar, allorché sull‟“Avanti” di Parigi comparve un articolo sulla vicenda. Al contempo Goglia rammenta l‟azione di propaganda svolta dai comunisti italiani tra la comunità di connazionali in Egitto e la missione in Etiopia di Ilio Barontini, “l‟azione più concreta mai tentata dagli anticolonialisti italiani”, per prendere contatto con la resistenza abissina.

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anche durante gli anni precedenti la venuta dei britannici, successivamente alla conquista dell‟Etiopia. Come evidenziato dal citato Teobaldo Filesi, infatti,

“è evidente che in mezzo a centinaia di migliaia di Italiani presenti fra il 1936 e il 1941 in quella parte dell‟Africa non dovessero essere rari i dissidenti o addirittura i simpatizzanti o i militanti comunisti. Per quanto durante e dopo la conquista fossero state emanate precise norme ed adottate rigide misure per impedire il trasferimento in Colonia di persone sospette o schedate dalla Polizia, è da ritenere che più d‟un sovversivo riuscì a passare tra le maglie, a raggiungere l‟Africa orientale e spesso a stabilirvisi”161

.

Filesi continua precisando che molto probabilmente si trattò di una dissidenza celata e circospetta, lontana da atti eclatanti, consona, per così dire, al contesto in cui si inseriva, controllato dagli apparati del regime, e pronta a manifestarsi apertamente nel caso di una positiva evoluzione della situazione, come avvenuto con la vittoria britannica in Africa Orientale. A sostegno della sua tesi, egli riporta, a titolo di possibile modello, uno stralcio di un rapporto del Governo dell‟Eritrea che descrive il caso di un connazionale che “non prende mai parte a manifestazioni di carattere patriottico e di simpatia verso il Fascismo. Dimostrasi ora disinteressato in politica, per quanto debba ritenersi che tale atteggiamento sia da attribuire a motivi di opportunità e che, presentandosi occasione favorevole, egli non esiterebbe ad operare pel trionfo del socialismo”162

. Due nominativi in particolare paiono corrispondere al profilo di “antifascisti silenziosi” delineato da Filesi: Camillo Belli e Umberto Redi.

Camillo Belli, bresciano, radiato dall‟esercito perché militante del Partito comunista ed acceso propagandista, dopo essere stato trovato in possesso di materiale a stampa a carattere antifascista, era stato “ammonito” nel 1926163. Non senza difficoltà164, in ragione del suo passato di oppositore al regime, aveva ottenuto il nulla osta per recarsi in Africa Orientale nel 1937, per coronare l‟attività di collaborazione con vari istituti deputati allo studio della coltivazione del baco da seta. Presente in AOI nel 1939165, nell‟estate del 1940, risultava prestare servizio presso l‟ufficio agrario del Governo dello Scioa quale esperto dell‟Ente

161

T. FILESI, op. cit., p. 170. Tra il 1935 e il 1941 transitarono in Africa Orientale complessivamente 500.000 italiani, cfr. G. C. STELLA, Dizionario biografico degli italiani d‟Africa (Eritrea – Etiopia – Libia – Somalia –

Sudan). 1271 – 1990. Parte I a: civili, Fusignano, Biblioteca – Archivio “Africana”, 1998, p. 10, n. 17. 162

T. FILESI, op. cit., p. 170. Il documento in questione, datato 1 settembre 1928, è conservato in ASMAI,

Africa Orientale Italiana, pos. 181/56, f. 264, e si riferisce a Pietro Moreno, muratore, in Eritrea dal 1922. 163

Cfr. ACS, Casellario politico centrale (d‟ora in poi CPC), b. 452, f. 75880, Belli Camillo, Solmi, Prefetto di Brescia, a Ministero dell‟Interno, 5 aprile 1932.

164

Cfr. Ivi, le lettere inviate da Camillo Belli e da suo padre, Adriano, a Mussolini, rispettivamente il 15 e 19 gennaio 1937.

165

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nazionale serico, segnalandosi, al contempo, per non aver “dato luogo a rilievi con la sua condotta politica e morale”166

. Sotto occupazione britannica troviamo Belli, questa volta socialista, esponente di spicco del movimento antifascista asmarino e redattore responsabile del settimanale di riferimento dell‟UNA, “Il Carroccio”. Nell‟ottobre 1944 egli ebbe modo di tenere una conferenza nella quale manifestò la sua più ferma opposizione al fascismo dando anche conto, in certa misura, della sua opera di tecnico di regime. Dal puntuale riassunto dell‟avvenimento a cura del foglio del governo d‟occupazione, apprendiamo che Belli esordì contestando la prassi tipicamente fascista di costringere i tecnici “a conclusioni in contrasto con i risultati delle loro esperienze o con le nozioni già acquisite dalla tecnica”167. Nel caso delle fibre tessili, campo a lui più congeniale, il regime, contro il parere dei tecnici, aveva in particolare autorizzato “delle vere e proprie frodi in commercio pur di aiutare l‟industria delle fibre tessili artificiali che più delle altre ha approfittato dell‟incompetenza e della disonestà dei gerarchi del fascismo”168

. Questa politica, unita ad altre scellerate azioni, aveva minato nel profondo l‟economia italiana, costretta a perdere “milioni e milioni” prima di subire un colpo mortale ad opera della guerra mondiale che proprio il regime aveva voluto. Per riprendersi dalle ferite della guerra, Belli indicava negli stessi tecnici la risorsa fondamentale per modificare in positivo la realtà, augurandosi che potessero assumere una fattiva ed indipendente funzione tra gli uomini: “I tecnici dovranno essere […] i creatori e il sostegno del mondo democratico di domani: i tecnici di tutto il mondo, fra loro cooperanti, sapranno impostare la ricostruzione in modo che l‟umanità di domani sia di gran lunga migliore e consenta a quanti lavorano, il giusto compenso delle loro fatiche”169

.

Sostanzialmente simile al suo caso fu quello di Redi. Fiorentino, diffidato nel 1926 perché professante idee repubblicane170, era giunto in Eritrea nel 1937; impiegato ad Asmara della Società T.A.M.171, essendosi dimostrato “di sentimenti favorevoli al Regime”172, alla fine del 1940 era stato radiato dal novero dei sovversivi173. Sotto occupazione britannica, come vedremo meglio in seguito, egli assunse la guida del locale gruppo Repubblicano (di cui fu

166

Ivi, Maraffa a Ministero dell‟Interno, 26 agosto 1940.

167

Un tecnico e il fascismo, “Il Quotidiano eritreo”, 5 ottobre 1944.

168

Ibidem.

169

Ibidem.

170

ACS, CPC, b. 4262, f. 17874, Redi Umberto, Dino Perrone Compagni, Prefetto di Reggio Emilia, a Ministero dell‟Interno, 20 luglio 1928. Redi risiedeva all‟epoca nella città emiliana.

171

Ivi, cfr. Prefettura di Reggio Emilia a Ministero dell‟Interno, 8 novembre 1940.

172

Ibidem.

173

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anche direttore del periodico di riferimento) e del Comitato di Liberazione Nazionale “eritreo”.

Se Belli e Redi avevano assunto una qualche “organicità” al regime, Carlo Spinelli, in Eritrea dall‟estate 1937 come procuratore della ditta SANCAI (Società Anonima Nazionale Carboni Africa Italiana), si era distinto al contrario per non aver smesso di manifestare “sentimenti socialisti”174

, senza però aver dato luogo a particolari “rimarchi in linea politica”175. Domiciliato nella zona di Ghezzabanda, affiliato a Italia Libera, leader dell‟UNA dalla fine del 1942176 al principio del 1944, era padre di otto figli, tra cui spiccavano Veniero, fuoruscito in Francia, Cerilo, schedato perché comunista, e il ben più famoso Altiero, relegato a Ponza177. Un altro socialista, Carlo Ignesti, impresario, in colonia dal 1914, si era invece messo in evidenza per una qualche “opposizione” all‟amministrazione coloniale italiana convivendo, “illegalmente”, “con una meticcia riconosciuta”178

.

Di certo la venuta inglese rappresentò per molti antifascisti inoperosi il momento in cui uscire dall‟ombra e rivelare un‟opposizione a lungo repressa. Il caso più eclatante in tal senso fu probabilmente quello che vide per protagonista certo Florindo Boero di Torino, il quale, dinnanzi a truppe d‟occupazione, “dopo aver gettato a terra il ritratto del Duce”, lo calpestò “proferendo insulti”179

. Proprio per insulti contro Mussolini era stato in precedenza arrestato Rosario Dato, detto “il gobbo”, per il quale l‟arrivo delle truppe britanniche significò al contrario l‟uscita dal carcere180.

L‟analisi di un elenco181

(sia pure parziale e stilato dal regime) di aderenti al movimento antifascista Italia Libera/UNA rivela – a fine 1942 – la presenza di militanti appartenenti perlopiù a classi sociali medio alte: farmacisti, industriali, ingegneri, affaristi, commendatori, esercenti. Colpisce al contempo la presenza di personalità stabilmente inserite negli apparati del regime che non esitarono a passare dalla parte del “nemico”: certo Valle, seniore della Milizia, fu dirigente fondatore di Italia Libera, al pari del ragionier Fusco, “funzionario della Migrazione e Colonizzazione”, poi trasformatosi in inventore del “saluto col pugno a braccio

174

Cfr. ACS, CPC, b. 4914, f. 26752, Spinelli Carlo, Largajolli a Interno, 12 ottobre 1939.

175

Ivi, Largajolli a Interno, 15 ottobre 1940.

176

Cfr. Ivi, Comando Supremo S.I.M. a Interno, 18 febbraio 1943.

177

Cfr. Ivi, la lettera inviata da Spinelli al figlio Altiero il 27 marzo 1938.

178

Cfr. ACS, CPC, b. 2627, f. 57297, Ignesti Carlo, Governo dell‟Eritrea a Interno, 9 marzo 1934.

179

ASMAI, Ministero, pos. 180/46, f. 163, Elenco di italiani esponenti e aderenti all‟Unione Nazionale Antifascista.

180

Cfr. ASMAI, Africa IV, Fondo Francesco Saverio Caroselli (d‟ora in poi FC), p. 82, Nave Duilio (II viaggio).

Relazione del R. Commissario al Capo Missione sul II viaggio effettuato dal 21/10/1942 al 16.1.1943 (Genova – Trieste), p. 73.

181

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teso”182

; seguivano l‟ex vice federale di Reggio Calabria, Sulfaro, “acerrimo nemico del Regime e del Duce” e “auspicante vittoria inglese”183, l‟avv. Imbellone ed il ragionier Mario Rota, rispettivamente gerarca e squadrista; quindi Angelo Barbieri, “vicesegretario di Asmara” fino all‟ottobre 1940 e fondatore di Italia Libera (dato il luogo di nascita, Spoleto, egli parrebbe l‟omonimo componente della redazione del quotidiano del governo d‟occupazione)184

. Antifascisti erano anche il maresciallo del Genio Leone, che “al forte Baldissera faceva mettere nel pozzo i prigionieri italiani che salutavano male”185

, il generale della riserva Guglielmo Cossio, topografo186, tra i fondatori di Italia Libera187, ed il ragioniere Emanuele Visicale, impiegato di governo188. Sia pure non legati direttamente al movimento antifascista, ma in precedenza ugualmente inquadrati nel regime e nelle forze armate, ed ora viceversa “collaboratori” degli inglesi, erano altresì l‟avv. Ungaro, già federale amministrativo, che svolgeva insieme alla consorte le funzioni di interprete per i britannici, e l‟ex maggiore dei bersaglieri Comina, già comandante di battaglione coloniale, additato come una “spia” al soldo del nemico189.

Visti tali personaggi, non stupisce che il generale Stephen Longrigg riflettendo in particolare sull‟UNA, si lasciasse andare a considerazioni a dir poco sfavorevoli:

“The anti Fascist Union, containing a few fanatics with some wise and some extreme political theorists, contains also a fair proportion of self – seekers eager for the picking of a fallen regime, and an appreciable number of extreme Fascists who can be most dangerous from the anti – Fascist platform”190.

Delusione per il fascismo, timore delle retate191 e del campo di concentramento, e volontà di difendere la propria posizione possono essere alcune delle motivazioni plausibili per spiegare l‟adesione all‟antifascismo di taluni elementi. La difesa dei propri interessi, in particolare, appare evidente nel caso di alcuni soggetti che si distinsero per un fattiva collaborazione con

182 Ivi, p. 71. 183 Ibidem. 184 Ivi, p. 72. 185 Ivi, p. 77. 186

G. PUGLISI, Chi è…, cit., pp. 92 – 93.

187

ASMAI, Africa IV, FC, p. 82, Nave Duilio (II viaggio). Relazione del R. Commissario al Capo Missione sul

II viaggio effettuato dal 21/10/1942 al 16.1.1943 (Genova – Trieste), p. 72. 188

Ivi, p. 71.

189

I due casi sono ricordati in ASMAI, ASG, b. 269, f. 242, Esteri a Comando Supremo, telespresso n. 23756, 28 ottobre 1941, p. 13 della relazione allegata.

190

TNA, WO 32/10235, Half – Yearly Report by the Military Administrator on the Occupied Enemy Territory of

Eritrea. Report IV. For Period 1 July to 31 December, 1942, p. 5. 191

Una descrizione della prassi seguita dai britannici per le retate è reperibile in G. BARONI, Asmara 1942: le

retate, “Il Reduce d‟Africa”, n. 2, febbraio – marzo 1986, ove l‟autore, per sottolineare l‟arbitrarietà dell‟agire

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il nemico, tale da meritarsi, da parte fascista, l‟attributo di “antitaliani” o “antinazionali”. Si segnalarono in tal senso: le imprese Varnero e Ziino impiegate per lavori di costruzioni belliche, la ditta Prometal per la fornitura di manufatti in cemento armato, la ditta Alfredo ed Attilio Salvati per trasporti di merci varie, Agostino Galazzi, che avrebbe fornito agli inglesi finimenti, bardature ed altro materiale per 11 milioni di lire, l‟ingegner Carlo Tabacchi per l‟appalto ai lavori dell‟aeroporto di Gura, ed Alfredo Ghisleri fornitore di pezzi di ricambio e trasporti di carburante192. Una menzione particolare, in fatto di trasporti per il nemico, merita Pietro Malerbi. I britannici, per disporre facilmente di tutti gli automezzi dell‟Eritrea, costituirono tre gruppi di autotrasporti con sede a Massaua, Asmara e Decameré. A Malerbi spettò la responsabilità del gruppo della capitale, il più numeroso, che, composto di circa 50 camion e con dipendenti iscritti ad Italia Libera e professanti sentimenti antifascisti, utilizzò per carichi di materiale bellico destinato ai fronti di Amba Alagi e Gondar193. Colpisce che anche a Decameré, cittadina che doveva il suo sviluppo all‟avventura fascista in Etiopia, si annoverassero varie ditte di trasporto che collaborarono con i britannici194. A fronte della particolare collocazione geografica dell‟Eritrea, strategica e al tempo stesso al riparo dalle operazioni belliche, il territorio accolse anche tutta una serie di installazioni militari americane, tra cui spiccarono un deposito di munizioni a Ghinda, un arsenale ad Asmara ed un aeroporto militare a Gura195, ove lavorarono mumerosi italiani196.

Al di là della questione concernente la carenza di risorse e le limitate potenzialità economiche dell‟Eritrea, ed il fatto che per molti i sopracitati impieghi non poterono che essere dettati