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La musica a programma in Francia tra fi ne Ottocento e inizio Novecento

Nel primo capitolo abbiamo rilevato l’insoff erenza estetica manifestata da Debussy nei confronti delle forzature imposte dalle categorie della musica a programma. Ma in Francia come era recepito il problema dai compositori e dai teorici? Qual era la recezione del concetto di musica a programma presso i detentori della cultura musicale francese? Quali erano le forme e il linguaggio della musica a programma che si erano diff use dall’altra parte del Reno verso la fi ne dell’Ottocento?

Andando alla ricerca di risposte al problema, ci si imbatte subito nelle ri- fl essioni contenute nel celebre articolo De l’imitation musicale, pubblicato da Hector Berlioz nel 1837 sulla «Revue et Gazette Musicale de Paris». Lo spunto di quell’articolo è costituito dai pensieri espressi nel 1823 da Giuseppe Carpani nell’apparato critico alla prima pubblicazione in italiano delle lettere di Haydn 1.

Berlioz riprende il paragone proposto da Carpani tra musica e pittura, cercando di spiegare la decisa superiorità della prima in quanto arte capace di evocare anche ciò che non è riproducibile mimeticamente:

M. Carpani nous semble être sorti de son sujet, en empruntant à la peinture un terme de comparaison. Cet art en eff et ne peut et ne doit avoir d’autre objet que la reproduction ou l’imitation plus ou moins belle et fi dèle de la nature; tandis que

1 Giuseppe Carpani, Le Haydine ovvero lettere sulla vita e le opere del celebre maestro Giuseppe

la musique, dans un très grand nombre de cas, est un art sui generis, se suffi t à elle même et sait charmer sans avoir recours à aucune espèce d’imitation. La peinture ne saurait jamais empiéter sur le domaine de la musique; celle-ci au contraire peut évidemment agir sur l’imagination avec ses moyens propres, de manière à faire naître des impressions analogues à celles que produit l’art du dessin.2

[Il sig. Carpani ci sembra essere uscito fuori tema, prendendo a prestito dalla pittura un termine di paragone. Quest’arte in eff etti non può e non deve avere altro fi ne che la riproduzione o l’imitazione più o meno bella e fedele della natura; tant’è che la musica, in moltissimi casi, è un’arte sui generis, basta a se stessa e sa aff asci-

nare senza dover ricorrere ad alcun tipo di imitazione. La pittura non saprebbe mai sconfi nare nel territorio della musica; quest’ultima, al contrario, può evidentemente agire sull’immaginazione con i mezzi che le sono propri, in modo da far nascere impressioni analoghe a quelle che produce l’arte del disegno.]

Per Berlioz la pittura poteva solo riproporsi di imitare la natura, mentre la mu- sica poteva scegliere se limitarsi a descrivere o produrre sensazioni impossibili da rintracciare nel mondo naturale. Questo però non signifi ca che la musica non si possa prestare alle esigenze del descrittivismo; la sua natura complessa le consente di agire direttamente sull’immaginazione dell’ascoltatore, riuscendo a imporre sensazioni analoghe a quelle comunicate dalle arti fi gurative. Per Berlioz quattro condizioni giustifi cavano la presenza in musica di componenti imitative: l’imitazione non deve mai essere il fi ne, ma il mezzo della composi- zione; i soggetti extramusicali devono essere degni di comparire a contatto con un’arte elevata come la musica; l’imitazione naturale non deve mai sostituire l’imitazione sentimentale, vale a dire l’espressione dei sentimenti. Ma la con- dizione che meglio contribuisce a defi nire le caratteristiche della rifl essione sul pittoresco in Francia è la terza:

Le troisième serait que l’imitation, sans devenir une réalité par une exacte substitution de la nature de l’art, fut cependant assez fi dèle pour que l’intention du compositeur ne put être méconnue d’un auditoire attentif exercé.3

[La terza sarebbe che l’imitazione, senza diventare una realtà tramite un’esatta sosti- tuzione della natura dell’arte, fosse tuttavia abbastanza fedele, di modo che l’intenzione del compositore non possa essere fraintesa da un uditorio attento e preparato.]

La chiarezza del riferimento immaginativo era per Berlioz una conditio sine qua non della musica a programma. Il supporto extra-musicale aveva un senso solo se

2 Hector Berlioz , De L’imitation musicale, «Revue et Gazette Musicale de Paris», 4, 1837, p. 9.

era in grado di tracciare un percorso netto e inequivocabile per il fruitore. Ogni forma di analogia imprecisa doveva essere bandita dalle forme a programma. È forse per questo che Berlioz nella continuazione dell’articolo accetta con qualche riserva le forme più problematiche di imitazione musicale, vale a dire quelle che si propongono di riprodurre immagini visive nella mente dell’ascoltatore. Berlioz si chiede:

En eff et, y a-t-il pour nous une manière constante d’être aff ectés à l’aspect d’un bois, d’une prairie, ou de la lune sereine au ciel? Certainement non.4

[Eff ettivamente, esiste per noi una maniera costante di essere colpiti alla vista di un bosco, di una parteria, o della luna serena nel cielo? Certamente no.

Eppure la sua correttezza ideologica non gli permetteva di trascurare alcune eccezioni sorprendenti, opere destinate a evocare anche lo spessore concreto di un’immagine, come avviene ad esempio in alcune pagine strumentali del Guglielmo Tell di Rossini o del Freischütz di Weber :

On me répondra qu’il y a des exemples admirables de peintures musicales, dont il faut tenir compte, au moins comme exceptions. En les examinant nous allons voir que ces beautés poétiques ne sortent point du tout, au contraire, du vaste cercle où la nature de l’art les tient enfermées. C’est que ces imitations ne sont point présentées comme peintures d’objets visibles, mais seulement comme images ou comparaisons,

servant à faire renaître les sensations dont la musique possède incontestablement les analogues.

[Mi si risponderà che vi sono esempi ammirevoli di quadri musicali, di cui occor- re tener conto, almeno come eccezioni. Esaminandoli vedremo che queste bellezze poetiche non escono aff atto, invece, dal vasto cerchio in cui la natura dell’arte le tiene rinchiuse. È che queste imitazioni non sono aff atto presentate come rappresentazioni di oggetti visibili, ma soltanto come immagini o raff ronti, servendo a far rinascere le

sensazioni di cui la musica possiede indubbiamente gli equivalenti.]

Berlioz non riusciva a spiegarsi consapevolmente le motivazioni di questa straor- dinaria capacità evocativa. Per lui era una strada perfettamente percorribile, a patto che non fosse compromessa la chiarezza del riferimento extramusicale: una forte esigenza di sottomissione a una guida rassicurante; il programma in quelle condizioni era un elemento fondamentale, ineliminabile, un sostegno al quale aggrapparsi per evitare di navigare in una situazione ambigua e contraddittoria. L’imprecisione era esclusa da quel modo di concepire l’opera d’arte; il fruitore

esigeva riferimenti inequivocabili e il compositore aveva il dovere di adeguarsi a tale richiesta, cercando di trasmettere nella maniera più defi nita possibile le immagini e le emozioni che lo avevano ispirato.

Paul Dukas fu certamente un altro grande sostenitore della diff usione della musica a programma e del poema sinfonico in Francia. Le sue composizioni lo dimostrano, ma anche nei suoi scritti incontriamo numerose apologie di quei generi musicali. Egli nel 1892 dedicò un breve saggio5 alla defi nizione dei rap-

porti tra musica e letteratura. La sua ammirazione nei confronti del Faust di Liszt era incondizionata; Dukas si stupiva che quella sorprendente composizione non fosse apprezzata in Francia tanto quanto all’estero. Era però anche consapevole dell’esistenza di alcune diversità tra il genere lisztiano e quello francese inaugu- rato da Berlioz , che secondo lui andavano rintracciate soprattutto nell’atteggia- mento formale. In Francia generalmente le esigenze della musica a programma e del poema sinfonico non avevano prodotto una completa emancipazione dalle ragioni della forma. Quell’azione dissacrante svolta da Liszt nei confronti delle geometrie predefi nite, in Francia non aveva trovato lo stesso seguito:

Le genre du poème symphonique a pour véritable créateur Berlioz ; mais celui- ci à vrai dire, ne l’a pas poussé jusqu’à ses conséquences dernières, et n’en a guère tiré que des émotions dramatiques ou des réalisations descriptives. D’autre part, la forme musicale y est traitée suivant les lois du langage symphonique libre, mais ne s’aff ranchit pas sensiblement de la construction des périodes classiques. On les y retrouve par une étude un peu attentive.6

[Il genere del poema sinfonico ha come vero creatore Berlioz; ma egli, a dire il vero, non l’ha spinto fi no alle sue estreme conseguenze. D’altra parte, la forma mu- sicale è trattata secondo le leggi del linguaggio sinfonico libero, ma non si aff ranca sensibilmente dalla costruzione delle epoche classiche. La si ritrova attraverso uno studio un po’ attento.]

Dukas si rendeva conto che l’assoluta libertà formale lisztiana non era stata recepita in Francia come una categoria essenziale del poema sinfonico e della musica a programma. Anche lui però sottolineava la condizione già messa in evidenza da Berlioz :

L’inconvénient […] c’est la fâcheuse confusion que l’on peut faire des intentions de l’auteur dès qu’on ne saisit pas immédiatement la connexion de la musique avec telle pensée transitoire qu’elle a pour objet d’exprimer.

5 Paul Dukas , Les écrits de Paul Dukas sur la musique, Paris, Société d’éditions françaises et

internationales 1948, pp. 51-8.

[L’inconveniente […] è l’incresciosa confusione che si può fare delle intenzioni dell’autore se non si colgono le connessioni della musica con il pensiero transitorio che essa ha per obiettivo di esprimere.]

Dukas riteneva un pericolo per la musica dotata di riferimenti extramusicali ogni forma di ambiguità fruitiva. La chiarezza comunicativa sembrava anche a lui una caratteristica fondante della musica a programma. Non gli pareva accettabile un’imprecisione nella defi nizione dei rapporti tra l’ascolto e il conte- nuto extramusicale del brano. La sua produzione non contraddice certo questa aff ermazione, visto che L’apprenti sorcier è uno dei brani che si prestano meglio al reperimento di strutture narratologiche, come ha ampiamente dimostrato Carolyn Abbate 7.

Il caso di Camille Saint-Saëns ci aiuta a defi nire un’altra particolarità della recezione della musica a programma in ambito francese, dove la grande pole- mica tra difensori e detrattori non accese gli animi del dibattito culturale. In- dubbiamente c’era la consapevolezza di trovarsi di fronte a due modi diversi di concepire il linguaggio musicale, ma non c’era quel bipolarismo che si incontra così spesso negli scritti tedeschi di fi ne Ottocento. Tant’è vero che Saint-Saëns non si preoccupava di passare serenamente dalla musica assoluta alla musica a programma; e, pur avendo prodotto una notevole quantità di composizioni cameristiche e orchestrali prive di riferimenti extramusicali, trascrisse per piano- forte alcuni poemi sinfonici di Liszt , e non si trovò aff atto a disagio a contatto con il linguaggio decisamente evocativo di Phaéton, della Danse macabre o di La jeunesse d’Hercule.

Il suo ritratto di Liszt dipinge una fi gura dalla statura inarrivabile, un model- lo insuperato proprio per la sua capacità di concedere alla musica il dono della parola. Eppure la produzione di Saint-Saëns non disdegna aff atto l’impegno nell’ambito della musica assoluta, che produsse tra l’altro cinque Concerti per pianoforte e orchestra, 3 per violino, 3 Sinfonie, Preludi e fughe per organo, per pianoforte e decine di composizioni da camera. La venerazione di Liszt non comportava anche un rifi uto delle categorie estetiche della musica asso- luta. Tant’è vero che nelle sue memorie non emerge quel tono apologetico o accusatorio che si avverte invece in ogni pagina degli scritti di Hanslick o dello stesso Liszt.

Saint-Saëns non era certo avvezzo alle dissertazioni estetiche, ma c’è una sua lapidaria aff ermazione che contribuisce a consolidare quella caratteristica fon- dante della musica a programma francese inaugurata dall’articolo di Berlioz :

Il [Liszt ] déserte le culte de la musique pure pour celui de la musique dite “à program- me” qui prétend à la peinture de sentiments et de caractères nettement déterminés.8

[Egli [Liszt] diserta il culto della musica pura per quello della musica detta “a pro- gramma”, mirante alla pittura di sentimenti e caratteri nettamente determinati].

Saint-Saëns parla dei poemi sinfonici di Liszt , soff ermandosi sulle evocazioni concrete presenti all’interno di quel repertorio. E così, dopo aver discusso la felice rappresentazione della cavalcata in Mazeppa o la suggestiva descrizione dei movimenti del mare in Ce qu’on entend sur la montagne, delinea con un’af- fermazione estremamente sintetica una delle caratteristiche distintive della musica a programma: l’imposizione di riferimenti chiari all’immaginazione del- l’ascoltatore. La nettezza dell’allusione extramusicale era un aspetto necessario alla fruizione di quel repertorio anche in ambito tedesco; ma era solo una delle tante caratteristiche che distinguevano la musica a programma dalla musica assoluta. In Francia invece si rileva una maggiore insistenza su questo aspetto del problema: per Saint-Saëns era addirittura la caratteristica da privilegiare per riuscire a dare una defi nizione sintetica dell’intero genere musicale.

Una delle rifl essioni più approfondite sul tema si deve a Michel Dmitrij Calvocoressi . Si tratta di una voce enciclopedica contenuta nell’Encyclopédie de la musique curata da Albert Lavignac , uno dei didatti più illustri della cultura francese a cavallo tra Otto e Novecento, professore al Conservatorio di Parigi dal 1871 fi no alla morte (1916). La maggior parte dei compositori del tempo furono suoi allievi; anche Debussy assistette alle sue lezioni durante gli anni del Conservatorio. La sua enciclopedia, che comprende anche un Dictionnaire du Conservatoire, contiene il sapere storico ed estetico che circolava nella Parigi fi n de siècle. Benché sia un’opera ricca di imprecisioni, resta un documento fonda- mentale per risalire al clima culturale di quel vivace periodo.

Calvocoressi , come abbiamo già avuto modo di ricordare, era una delle fi rme più accreditate della stampa locale: un intellettuale completamente immerso nella vita artistica e musicale del suo tempo. La sua voce enciclopedica quindi è un documento essenziale per risalire alla lettura data dai francesi del concetto di musica a programma. L’apertura off re una defi nizione che non lascia spazio ad alcuna forma di contraddittorio:

La véritable musique à programme est celle qui, imitative ou descriptive ou représentative […] est infl uencée quant à sa structure, à l’ordre de succession de ses motifs, développements et couleurs, par des considérations non exclusivement musicales, mais se rapportant, en partie au moins, à l’ordre de succession des motifs,

développements et couleurs de la donnée poétique ou de la narration qui fut choisie comme programme.9

[La vera musica a programma è quella che, imitativa, descrittiva o rappresentativa […], è infl uenzata nella sua struttura, nell’ordine di successione dei suoi motivi, svi- luppi e colori, da considerazioni non esclusivamente musicali, ma che si rapporta, in parte o meno, all’ordine di successione dei motivi, sviluppi e colori delle suggestioni poetiche o della narrazione che è stato scelto come programma.]

Calvocoressi introduce il discorso con una aff ermazione incontestabile, che delinea solo l’orizzonte formale della musica a programma. Nella defi nizione è però già presente un accenno a tre grandi categorie: la musica imitativa, la musica descrittiva e la musica rappresentativa.

La musica imitativa è quella che riproduce sugli strumenti musicali i suoni della natura: i trilli e i versi degli animali ne Le quattro stagioni di Vivaldi , o nel Carnaval des animaux di Saint-Saëns .

La musica descrittiva è quella che trasferisce in musica fenomeni e sensazioni non necessariamente sonori: ad esempio i movimenti della luminosità o delle onde che si possono immaginare ascoltando una composizione. Tutto ciò che si propone di riprodurre un fenomeno concreto senza imitarne le sonorità.

E infi ne la musica rappresentativa, che non imita fenomeni sonori, né si avvale di analogie sensoriali, ma trae dal soggetto l’ispirazione per suggerire all’ascoltatore un particolare carattere espressivo, come avviene nella Sinfonia “Pastorale” di Beethoven , dove l’autore non cerca di dipingere una realtà natu- rale, ma piuttosto le emozioni provate a contatto con quella dimensione.

Categorie assolutamente condivisibili quelle proposte da Calvocoressi , che ci aiutano a individuare un grande contenitore abitato da linguaggi e forme espressive molto distanti. Anche in questo caso però non rileviamo lo stesso bipolarismo della cultura musicale tedesca. Calvocoressi non stabilisce nessun tipo di graduatoria tra le due diverse modalità di concepire la musica:

Il est mainte œuvre d’origine imitative ou descriptive qui mérite d’être écoutée exactement comme s’écoute une partita de Bach ou un quatuor de Mozart, et mainte œuvre dite pure qui est plus pauvre, plus artifi cielle et moins libre que ne l’est la musique à programme dans l’esprit de ses pires adversaires.10

[Ci sono numerose opere di origine imitativa o descrittiva che meritano di essere ascoltate esattamente come si ascolta una partita di Bach o un quartetto di Mozart,

9 Michel Dmitrij Calvocoressi , La musique à programme, in Encyclopédie de la Musique et

Dictionnaire du Conservatoire, a cura di A. Lavignac , Paris, Delagrave 1930, p. 3190 sgg.

e numerose opere dette pure che sono più povere, più artifi ciali e meno libere di quanto non lo sia la musica a programma nello spirito dei suoi peggiori avversari.]

Ogni caso gli appare particolare, e si rifi uta di accettare le teorie di Friedrich Niecks 11, che avevano eretto un baluardo insormontabile tra la musica regolata

da precise ragioni formali e quella dotata di un programma extramusicale. Cal- vocoressi coglie i rischi legati a questo modo manicheo di leggere un fenomeno complesso, frutto di stratifi cazioni estetiche diffi cilmente isolabili. Nelle sue aff er- mazioni si coglie un legame con la linea estetica proposta dal Cours de composition musicale di Vincent d’Indy . D’Indy non era certo un sostenitore dell’anarchia formale avanzata dal poema sinfonico; il radicamento nell’ordine imposto dalla tradizione era uno dei presupposti fondamentali della sua ispirazione. Eppure, nonostante questo, la sua produzione lascia spazio anche ad alcuni saggi non trascurabili nell’ambito della musica a programma: sfogliando il catalogo delle sue composizioni, oltre a Jour d’été à la montagne – di cui parleremo più appro- fonditamente tra poco –, incontriamo una Suite per pianoforte ricca di immagini abbaglianti, intitolata Tableaux de voyage, e alcuni interessanti lavori per orche- stra: un Poème des rivages, un Diptyque méditerranéen, una trilogia di ouverture ispirate a Schiller, intitolata Wallenstein. Quanto si legge a proposito di questo genere musicale nel suo Cours de composition musicale non delinea certo una linea di demarcazione invalicabile, né un disprezzo irrecuperabile:

Une intention représentative ou même descriptive vient modifi er cette construc- tion [symphonique], souvent au détriment de la Musique, toujours au bénéfi ce de la

Fantaisie poétique de l’auteur. Ainsi nous nous éloignons de la forme symphonique

déterminée, pour suivre un “texte”, un “programme” et parfois même un “titre”, plus ou moins représentatif ou symbolique. […] Ces genres ne sauraient se réclamer davantage de l’ordre dramatique, car ils ne sont point régis par les lois de la parole chantée, bien qu’ils en dépendent implicitement par l’infl uence d’un texte, d’un

argument ou d’un titre, poétique ou littéraire. Leur forme est souvent tout à fait indéterminée, mais leur valeur artistique suffi sait à les rendre dignes de n’être point omis. Beaucoup de ces pièces musicales inclassables méritent notre attention, sinon notre admiration, pour les beautés qu’elles renferment.12

[Una intenzione rappresentativa o descrittiva viene a modifi care questa costruzio- ne [sinfonica], spesso a detrimento della Musica, sempre a benefi cio della Fantasia

poetica dell’autore. Così noi ci allontaniamo dalla forma sinfonica determinata, per seguire un “testo”, un “programma” e talvolta addirittura un “titolo”, più o meno

11 Friedrich Niecks , Program Music in the Last Four Centuries, London, Novello 1906. 12 Vincent d’Indy , Cours de composition musicale, a cura di A. Sérieyx, Paris, Durand 1902,