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Mutilazioni genitali femminili: il caso della Lombardia Giancarlo Fontana

Il problema delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) e le modalità con cui, a seguito dei flussi migratori passati e recenti, si è affrontato nei contesti sociali e culturali regionali, fanno riferimento ad una serie di documenti sviluppati a livello inter-nazionale e inter-nazionale che vedono come primo atto ufficiale la legge apparsa sulla Gazzetta Ufficiale N. 14 del 18 Gennaio 2006 del 9 gennaio 2006, n. 7 avente per oggetto “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutila-zione genitale femminile”. Il testo fissava alcuni principi e dava alle regioni compiti specifici per l’implementazione della stessa, in particolare, allo scopo di prevenire e contrastare le pratiche di cui all’articolo 583-bis del codice penale, il Ministro per le pari opportunità, d’intesa con i Ministri della salute, dell’istruzione, dell’università e della ricerca, del lavoro e delle politiche socia-li, degli affari esteri e dell’interno con la Conferenza permanen-te per i rapporti stato, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, predispone appositi programmi diretti a: predisporre campagne informative rivolte agli immigrati dai Paesi in cui sono effettuate le pratiche di cui all’articolo 583-bis del codice penale, al momento della concessione del visto presso i consola-ti italiani e del loro arrivo alle fronconsola-tiere italiane, dirette a diffon-dere la conoscenza dei diritti fondamentali della persona, in par-ticolare delle donne e delle bambine, e del divieto vigente in Italia delle pratiche di mutilazione genitale femminile; promuo-vere iniziative di sensibilizzazione, con la partecipazione delle organizzazioni di volontariato, delle organizzazioni no profit, delle strutture sanitarie, in particolare dei centri riconosciuti di eccellenza dall’Organizzazione mondiale della sanità, e con le comunità di immigrati provenienti dai Paesi dove sono praticate le mutilazioni genitali femminili per sviluppare l’integrazione socio-culturale nel rispetto dei diritti fondamentali della perso-na, in particolare delle donne e delle bambine; organizzare corsi di informazione per le donne infibulate in stato di gravidanza, finalizzati ad una corretta preparazione al parto; promuovere appositi programmi di aggiornamento per gli insegnanti delle scuole dell’obbligo, anche avvalendosi di figure di riconosciuta esperienza nel campo della mediazione culturale, per aiutarli a

172 Giancarlo Fontana prevenire le mutilazioni genitali femminili, con il coinvolgi-mento dei genitori delle bambine e dei bambini immigrati, e per diffondere in classe la conoscenza dei diritti delle donne e delle bambine; promuovere presso le strutture sanitarie e i servizi sociali il monitoraggio dei casi pregressi già noti e rilevati lo-calmente. A seguito della successiva emanazione delle linee guida per il personale operante presso le comunità interessate (Dec. Min. Sal. N. 70 del 17 dicembre 2007 – G.U. n. 71 del 25 marzo 2008) ed all’assegnazione dei fondi ministeriali dedicati si è provveduto ad attivare i percorsi regionali per l’implementazione della legge. La costituzione di un gruppo di lavoro (Decreto D.G.S. del 20/03/2008) con la partecipazione di esperti ha costituito la prima fase di lavoro da cui sono derivate una serie di iniziative prevalentemente in ambito formativo, così come previsto dal testo di legge. Gli obiettivi del gruppo consistevano nel predisporre un programma di sensibilizzazio-ne, informazione e formazione degli operatori sanitari e socio-sanitari e della comunità di immigrati e non, per prevenire e contrastare le pratiche di MGF e per sviluppare l'integrazione socio-culturale, da realizzare su tutto il territorio regionale, più dettagliatamente il programma doveva individuare: i contenuti di iniziative di informazione e sensibilizzazione rivolte agli immigrati per favorire l'integrazione socio-culturale, con la partecipazione delle Organizzazioni di volontariato, No profit, delle strutture sanitarie e sociosanitarie, le co-munità di immigrati dei Paesi in cui si praticano le MGF; i percorsi informativi rivolti alle donne infibulate in stato di gravidanza, finalizzati ad una corretta preparazione al par-to; i percorsi formativi rivolti agli operatori delle strutture sanitarie e sociosanitarie; i percorsi formativi rivolti agli insegnanti e agli operatori scolastici delle scuole dell’obbligo, per sensibilizzarli sul tema delle MGF e con-trastare il fenomeno; i percorsi di sensibilizzazione per i genitori delle bambine a rischio di mutilazione e dei bam-bini immigrati; il percorso metodo logico da adottare

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so le strutture sanitarie e i servizi sociali per il monitorag-gio del fenomeno.

Un primo risultato ottenuto dal gruppo di lavoro, validato dai dirigenti e referenti della Direzione Generale Sanità, è stato il corso di formazione di base previsto per il personale sanitario, sociosanitario e scolastico che si è tenuto nel corso del 2010 e 2011.

Complessivamente sono stati organizzati 45 corsi dedicati sepa-ratamente agli operatori sanitari e sociosanitari, operatori sociali dei comuni, volontariato, operatori scolastici, Medici di medici-na generale e Pediatri, con un totale di 83 giormedici-nate formative. In parallelo, ed in accordo con il gruppo di lavoro sono state pro-mosse ricerche specifiche volte a definire con precisione l’entità reale del fenomeno in ambito regionale e, successivamente, la corretta modalità di interfaccia con le comunità di migranti e i potenziali soggetti interessati al problema.

La ricerca “Indagine sulla presenza nel territorio lombardo di popolazione a rischio in relazione alla salute sessuale e ripro-duttiva e alle mutilazioni genitali femminili” condotta dalla Prof.ssa Farina, professore associato di demografia, Facoltà di Scienze statistiche, Università Milano Bicocca, si è conclusa con alcune interessanti considerazioni. La ricerca è strutturata in tre parti. La prima contestualizza i temi definendo la salute ses-suale e riproduttiva e le mutilazioni genitali femminili; la se-conda descrive questi fenomeni in alcuni paesi poveri e ad alta pratica mutilatoria; la terza infine stima l’intensità di questi sul territorio lombardo. Le prime due parti sono discusse ripren-dendo dati e ricerche dalla letteratura esistente; la terza ha im-plicato invece la progettazione e la realizzazione di un’indagine campionaria.

La stima prodotta per la regione Lombardia – ma c’è ragione di credere che per estensione questo valga sull’intero territorio italiano – evidenzia una significativa riduzione delle donne mutilate. Meno di una donna immigrata in età feconda ogni venti presenti sul territorio regionale è portatrice di MGF, più di una su cinque tra le africane con una contrazione del 19% nel complesso. Quasi 12mila, le egiziane rappresentano il 58%

delle 20mila immigrate della medesima fascia d’età con

174 Giancarlo Fontana mutilazioni genitali femminili in Lombardia. Secondo i dati raccolti nel corso dell’indagine dall’Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia (Irer 2010), il fenomeno ha tra le egiziane 15-49enni in Lombardia un’incidenza media del 71%, a fronte di una prevalenza addirittura del 96% nel paese di origine. Inoltre, solo il 13% delle egiziane minori di 15 anni risulta con MGF (600 unità), anche se il 25% di chi non ha MGF ne è comunque ancora a forte rischio (un migliaio circa).

L’intensità della pratica mutilatoria riguarda prevalentemente le forme meno invasive di modificazione, anche se quella più grave è elevata fra le donne somale, etiopi ed eritree, ma nonostante ciò per non poche immigrate la mutilazione è percepita dolorosamente soprattutto durante il travaglio e il parto in occasione dei rapporti sessuali. La prevalenza e le caratteristiche delle donne portatrici di mutilazioni restituiscono un’immagine attuale che non dipende dalla loro volontà l’intervento è generalmente fatto durante l’infanzia per volontà dei familiari. Risulta perciò molto più interessante la prospettiva futura che può essere colta attraverso l’orientamento delle donne nei confronti delle mutilazioni e le intenzioni mutilatorie sulle figlie. Anche da questo punto di vista l’indagine conferma che il passaggio in emigrazione riduce il favore nei confronti della pratica mutilatoria. Solo 11 donne ogni 100 hanno espresso opinione decisamente favorevole alla prosecuzione, ma solo una su tre si esprime senza porre condizioni. Le altre, invece, supportano la scelta aderendo alla filosofia della riduzione del danno. Molte, infatti,dichiarano che andrebbe fatta in sicurezza – in ambiente sterile e con personale competente – e dovrebbe essere meno invasiva, fino ad assumere le sembianze di rito simbolico.

Naturalmente, che ¾ del campione affermi che la pratica mutilatoria non deve continuare è il lato migliore della medaglia, ma non si può ignorare il 14% circa che non ha le idee chiare.

I risultati della ricerca, unitamente ai risultati preliminari di un’altra, “Modelli e modalità di interazione e comunicazione in una società multiculturale: l’informazione sanitaria alle

comuni-Mutilazioni genitali femminili: il caso della Lombardia 175 tà migranti” coordinata dal Prof. Vincenzo Russo, Università Iulm Istituto di Consumi, sono stati presentati durante il conve-gno tenutosi presso la Regione Lombardia il 31 marzo 2011. La successiva attività riguarda la definizione dei contenuti e la pro-grammazione del corso di secondo livello che ha come obietti-vi: approfondire le modalità nell’accesso e nell’utilizzo dei nostri servizi socio-sanitari da parte delle varie comunità;

approfondire il tema della genitorialità in terra di migra-zione e le dinamiche di integramigra-zione nelle seconde genera-zioni; stimolare alla riflessione e alla comprensione di un cambiamento culturale in atto per meglio gestire l’esperienza quotidiana, partendo dalla ricerca d’aula e dal confronto sulle esperienze dei partecipanti; migliorare le modalità di comunicazione sulle mutilazioni genitali fem-minili e sulla informazione sanitaria alle comunità migran-ti; sviluppare percorsi che definiscono ambiti di interventi istituzionali e ambiti di sussidiarietà per favorire la costru-zione di reti territoriali tra servizi sanitari, servizi sociali, privato sociale.

Tale programma è rivolto ad operatori sanitari, sociali e so-cio-sanitari che hanno già partecipato ad una delle edizioni del corso di primo livello. Unitamente alla programmazione del percorso formativo che prevede anche la produzione e distribu-zione di materiale regionale di riferimento, comprensivo di un kit multilingue di informazione, sono previsti un ulteriore even-to comunicativo e la seconda fase della ricerca sulle modalità di comunicazione che avrà come titolo “Applicazione dei modelli e modalità di integrazione e comunicazione in una società mul-ticulturale. La progettualità MGF”.