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A n alisi critica delle prospettive teoriche occidentali sul mutamento culturale

di Hassan N. Gardexi e Gurcharn S. Basran

La letteratura delle scienze sociali sul mutamento culturale e sullo sviluppo delle società, è invasa, in misura maggiore di qualsiasi altro campo di ricerca, dagli interessi emotivi, ideologici ed egoistici dei suoi esponenti. Nell’ambito delle discipline delle scienze sociali quali oggi noi le conosciamo non esiste una tradizione di ricerca e di spiegazione del mutamento che sia « libera da valori » o « puramente scientifica ». A parte alcuni studi microsociologici sulla dinamica di gruppo, gran parte delle teorie e delle ricerche in questo campo non si limitano ad una semplice rilevazione e predizione di avvenimenti osser­ vabili nel tempo, aH’interno di parametri sistematici e temporali ben definiti. Dato che in questa sede ci interessa soprattutto un esame del mutamento cultu­ rale in un più ampio quadro di realizzazioni istituzionali, normative e tecno­ logiche, non ci sembra necessario entrare nel merito delle spiegazioni micro­ sociologiche del mutamento. Per una breve rassegna dei lavori di alcuni teorici del cambiamento al micro-livello, come per esempio Inkeles, Lewin e Hare, si rimanda al lavoro di Amitai ed Eva Etzioni.1

Nostro obiettivo fondamentale in questo articolo è di analizzare le compo­ nenti emotive e di valore nelle teorie del mutamento culturale e di usare questa analisi per determinare l’importanza interpretativa ed applicata dei lavori eseguiti in questo campo, in modo particolare dei lavori di sociologi occiden­ tali e nord-americani. Utilizziamo l’esempio dello sviluppo delle società, o per usare un termine più restrittivo, dello « sviluppo economico », per illustrare le attuali inadeguatezze della teoria del mutamento culturale.

Per cominciare, rifiutiamo l’idea che il nostro patrimonio di conoscenze tratte dalle scienze sociali e relative al mutamento culturale sia libero dai pregiudizi di valore degli autori e dalle condizioni socio-politiche del loro tempo. Questo punto di vista è confortato dall’esame, che faremo qui di seguito, delle principali tradizioni teoriche che fino ad oggi hanno regolato lo studio Il

Il presente articolo è stato originalmente pubblicato in International Review

of Sociology, voi. I, n. 1, 1971, con il titolo: “ A Critical Analysis of Western Theore­

del mutamento culturale. Inoltre, non crediamo che il contenuto di valore ed emotivo delle teorie del mutamento culturale renda necessariamente queste teorie non-valide o « non-scientifiche ». Molto più importante è il compito di determinare i modi in cui questi particolari pregiudizi emotivi e di valore hanno influito sulla nostra abilità di sollevare questioni pertinenti, di perse­ guire determinate linee di ricerca e di ampliare la nostra comprensione del processo del mutamento culturale.

L’utilizzazione di premesse di valore e emotive nelle teorie del mutamento culturale è apparsa negli scritti dei teorici del diciottesimo e del dicianno­ vesimo secolo. I padri fondatori della moderna antropologia e sociologia (Au­ guste Comte, E. B. Tylor, L. H. Morgan, Herbert Spencer) non hanno esitato a delineare gli stadi dell’evoluzione culturale che rappresentavano gradi infe­ riori o superiori di «progresso». L’interesse umanitario è parte integrante dei primi contributi socialisti allo studio del mutamento (Karl Marx, Frederick Engels, Frederic Le Play e Saint-Simon). Un classico come II Capitale non sarebbe stato possibile senza il profondo interesse emotivo che Marx aveva per il benessere della classe operaia. Le teorie cicliche del mutamento avan­ zate da storici sociali come Toynbee e Spengler,2 le cui implicazioni sociolo­ giche furono poi più pienamente sviluppate da Sorokin,3 spiegano i declini ricorrenti delle culture in termini di deviazioni da determinati valori e elementi di fede desiderabili. Gli esponenti dell’orientamento struttural-funzionalista che hanno dominato la scena della ricerca sociologica in Gran Bretagna e in Ame­ rica del Nord, sono stati i più restii ad affrontare i loro pregiudizi; essi hanno seriamente limitato la gamma dei problemi inerenti allo studio del mutamento culturale. Questo approccio ha avuto una grande influenza sulla sociologia moderna e perciò lo utilizzeremo come punto di partenza nella nostra valutazione delle attuali teorie del mutamento culturale.4

Il nostro discorso è organizzato attorno a cinque quesiti fondamentali cui si deve rispondere nel quadro di una struttura teoretica ideata allo scopo di spiegare e effettuare mutamenti. Questi quesiti riguardano l’unità di muta­ mento, il tasso di mutamento, il processo del mutamento e le resistenze ad esso collegate, il ruolo degli individui e dei gruppi e la direzione e i prodotti del mutamento.

L ’unità di mutamento

Molte ambiguità nelle teorie del mutamento culturale nascono dalla mancanza di specificità riguardo alle unità sociali nelle quali esso si osserva. I sociologi di orientamento struttural-funzionalista parlano di sistemi, sottosistemi e

sotto-sottosistemi nei loro modelli astratti, elaborati allo scopo di rendere conto della stabilità e del mutamento sociale.5 Nella misura in cui questi sistemi vengono concepiti come unità in equilibrio, stabili nel tempo e che assolvono a determinate funzioni sistemiche,6 la normalità e l’ubiquità del mutamento diventa una proposizione problematica. Inoltre, tranne che per un assunto generale circa l’integrazione organica fra sistemi più o meno comprensivi e vari aspetti dello stesso sistema sociale, questa teoria non getta che poca luce su quelli che sono gli effetti dei mutamenti nelle unità di piccole dimensioni sulle unità di dimensioni più grandi, e viceversa. Gli studiosi di indirizzo struttural-funzionalista si trovano a loro agio soprattutto quando si tratta di spiegare mutamenti nelle sfere rigidamente delimitate come le organizzazioni for­ mali, le strutture di parentela o le piccole comunità. I risultati delle loro ricerche a questo livello raramente sono collegati ai processi di mutamento che operano al livello delle società totali. Il volume di Parsons del 19667 costituisce una singolare eccezione in quanto vi si trova un ritorno al modello evolutivo organico, compresi gli stadi dell’evoluzione e la convinzione della superiore adattabilità delle democrazie occidentali. Questa impalcatura evoluzionistica, così come le sue versioni anteriori, non ci è di grande utilità per la compren­ sione della dinamica del mutamento nelle società contemporanee, che hanno sperimentato una vasta gamma di condizioni storiche e culturali caratterizzate dalla loro unicità. Quando la teoria giunge a questo livello di generalizzazione sfugge ogni riferimento alle situazioni specifiche delle società, se non attra­ verso un recupero altamente selettivo e post-facto di informazioni relative a società storiche e preistoriche. Queste informazioni vengono utilizzate per graduare le società a seconda del loro progresso verso determinate condizioni strutturali e normative, che si avvicinano molto alla realtà sociologica delle società occidentali e nord-americane contemporanee. Parsons individua quattro di queste condizioni normative e strutturali che egli chiama « universali evo­ lutivi»: organizzazione burocratica, complesso monetario e mercantile, norme universalistiche generalizzate, e associazione democratica.8 I risultati dell’ap­ plicazione dell’approccio struttural-funzionale ai problemi dello sviluppo econo­ mico sono stati, come era prevedibile, deludenti. O le strategie del mutamento vengono elaborate e messe in opera su scala molto ridotta, limitandosi, cioè, all’approccio dello sviluppo della comunità, con l’assunzione implicita che un giorno gli innumerevoli cambiamenti su piccola scala introdotti in sfere limitate determineranno importanti mutamenti culturali al livello della società; oppure, si progettano sistemi modello al macro-livello che coinvolgono l’intero sistema, qualche volta con l’aiuto di dati elaborati da cervelli elettronici; questi modelli fanno bella figura sui manuali dell’AID, ma hanno poco a che vedere con le realtà umane e sociali delle società che si vuole trasformare.9

Il tasso di mutamento

La posizione di predominio occupata dagli orientamenti evoluzionistici e struttural-funzionàlistici nella sociologia occidentale e nord-americana ha impe­ dito che venissero trattate in modo adeguato le questioni riguardanti la drastica trasformazione delle società in intervalli di tempo relativamente brevi. Le varie congetture riguardanti la struttura e il funzionamento delle unità sociali, sia che vengano viste come insiemi organici strettamente integrati, simili agli esemplari biologici, sia che si tratti di sistemi più flessibili di recenti para­ digmi sociologici, ammettono solo mutamenti lenti, graduali e cumulativi che avvengono mediante una serie di adattamenti minori a delle tendenze emer­ genti lungo archi di tempo molto estesi. Le rivoluzioni sono delle aberrazioni accidentali dei sistemi sociali che sfuggono all’analisi e alla comprensione quando si utilizzano i concetti evolutivi e struttural-funzionali.

I pregiudizi conservatori delle teorie contemporanee hanno avuto effetti controproducenti soprattutto nel campo della politica e della pianificazione del mutamento. Dovunque nel mondo la moda di queste teorie del mutamento gradualistico ha portato all’adozione di innumerevoli programmi di mutamento indotto, diretti ad alterare limitati modelli di comportamento all’interno di segmenti strettamente delimitati delle sfere istituzionali. Presumibilmente, questi programmi di mutamento hanno l’obiettivo di « trasformare » intere nazioni, stati e società in modo tale che il livello delle loro prestazioni economiche e tecnologiche si avvicini a quello delle società « moderne ». Tuttavia, dopo decenni di sforzi dedicati a questi programmi da parte di enti nazionali e internazionali, gli obiettivi originali sono ben lungi dall’essere stati raggiunti, se mai erano stati chiaramente fissati.10 Che i cambiamenti su scala ridotta nelle parti di un sistema producano « sostanziali effetti aggregativi », questo è un’assioma dell’approccio strutturale funzionale.11 Ma è anche possibile cam­ biare gli aggregati e lasciare che le parti se la cavino da sole? Sollevare tale problema non è opportuno da un punto di vista politico, perché introduce la prospettiva di una morte violenta dei « sistemi sociali » nei quali lo studioso di scienze sociali e i suoi committenti forse hanno interessi da difendere.

Né è possibile sollevare una simile questione all’interno di un’impalcatura teorica nella quale le istituzioni e i sistemi più grandi vengono considerati come fissi e dati.12 Gli studiosi di sociologia ormai dovrebbero essere del tutto convinti che ogni sistema ha dei pre-requisiti che assicurano la sua salute e la sua sopravvivenza. Che il funzionamento normale dei sistemi possa anche generare delle condizioni per lo sfruttamento e l’avvilimento della vita umana è una questione che dovrebbe essere esaminata con maggiore attenzione da parte degli studiosi di scienze sociali.

Tanto la persistenza quanto il mutamento sono parte integrante della capacità dell’uomo di organizzarsi socialmente. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, nelle nostre teorizzazioni e nelle nostre ricerche nel campo delle scienze sociali viene sollevata la seguente questione generale: come si mantiene e come si può mantenere l’ordine nella vita sociale? La nostra conoscenza dei mecca­ nismi di controllo sociale è diventata alquanto più precisa ed ha cominciato ad avere frequente utilizzazione nella pratica.

Alcuni dei primi teorici consideravano lo studio del mutamento come un’area d’indagine a sé stante. L’approccio conflittuale, che ha le sue origini nei lavori di scrittori come Karl Marx e George Simmel, è stato trascurato dagli studiosi di scienze sociali dei circoli accademici, in modo particolare in America del Nord. Ma riparleremo di questo orientamento più avanti. L’altra tradizione prin­ cipale è quella dell’approccio evoluzionistico, che continua ancora ad attirare le migliori intelligenze dei sociologi europei e nord-americani.13 L’utilità scien­ tifica e pratica delle teorie evoluzionistiche del mutamento culturale rimane, tuttavia, estremamente limitata. Le ampie generalizzazioni degli evoluzionisti fanno poco per mettere in chiaro i processi specifici del mutamento se non con delle analogie all’evoluzione organica. Il mutamento è considerato essenzial­ mente come qualcosa di interno ai sistemi sociali in evoluzione e si pensa che il processo fondamentale che guida differenti società sulla via dell’evoluzione sia la differenziazione. Le opinioni non sono concordi quanto alla natura della differenziazione. I primi evoluzionisti facevano intervenire la « mano della natura » che distribuisce inegualmente fra i gruppi umani la capacità di dar vita a strutture normative e istituzionali praticabili (gli europei in generale e alcuni gruppi fra loro trovandosi ad essere straordinariamente privilegiati). Fra gli evoluzionisti più recenti, Leslie White attribuisce gli incrementi della differenziazione a improvvisi progressi nel controllo dell’energia e nel miglio­ ramento degli utensili.14 Talcott Parsons avanza l’ipotesi che il fenomeno fonda- mentale che determina la progressiva differenziazione della società sia la disgregazione di un sistema collaterale (una trama invisibile di relazioni inter­ personali) di gruppi di consanguineità, e l’emergenza di un sistema di stratifi­ cazione organizzato sulla base della differenziazione della ricchezza e del prestigio.15

Prima che la teoria evoluzionistica del mutamento di Parsons venisse formu­ lata, almeno un eminente sociologo, Don Martindale,16 aveva presagito che « il carattere stesso della teoria funzionalista sembra spingerla a forza in una posizione in cui è costretta a rendere conto del mutamento sociale e culturale

nello stesso modo in cui ciò era stato originariamente tentato dagli organicisti positivistici ».17 I paradigmi struttural-funzionali, fondati sull’assunto che i sistemi sociali rappresentano degli stati di equilibrio, affrontano la questione del mutamento in maniera enigmatica. E’ stata ideata una serie di concetti per modificare alcuni degli assunti relativi alla struttura e alla funzione dei sistemi sociali in modo da poler adattare questo approccio allo studio del mutamento. Se i sistemi dotati di integrazione morale, mantenimento dei con­

fini, pre-requisiti per la sopravvivenza, potere legittimato appaiono eccessiva­

mente statici, la possibilità del mutamento non è completamente esclusa. Pos­ sono apparire delle tensioni in vari punti e in parti differenti di un sistema passibili di esercitare pressioni in direzione del mutamento. L’integrazione e l’equilibrio non sono sempre completi. Le parti di un sistema possono essere

disfunzionali e anche sostituibili. Grazie a queste modificazioni concettuali, gli

struttural-funzionalisti riescono ad adattare le loro analisi allo scopo di spiegare alcuni tipi di mutamento. Rimane il fatto che questo è un modo indiretto di affrontare lo studio del mutamento, il quale lascia l’impressione che qualche volta le società vengono sottoposte a modificazioni e riordinamenti, ma che non vi possono essere transizioni brusche dalle loro forme socio-culturali esi­ stenti. Il mutamento è dunque visto come il dispiegarsi di sequenze ordinate e durevoli. Si è allora portati a considerare le rivoluzioni storiche come sem­ plici accidenti e a bollare di futilità le attuali invocazioni di radicali cam­ biamenti.

Gruppi e individui coinvolti nel processo di mutamento

Tanto l’indirizzo evoluzionistico quanto quello struttural-funzionale ignorano o minimizzano il ruolo che determinati gruppi e individui, posti nella società in determinate posizioni di potere o di mancanza di esso, giocano in termini di richieste ed effettuazioni di mutamenti, o di resistenze ad esso. Nell’ap­ proccio evoluzionistico si è avuta la tendenza a reificare la cultura ed i feno­ meni ad essa collegati, al punto che sarebbe la cultura ad acquisire le sue proprie leggi e una dinamica indipendente dagli individui e dai gruppi, il cui comportamento essa racchiude in sé. La definizione di Spencer della cultura come un tutto superorganico costituisce uno di questi tentativi. Nelle teorie più recenti si riscontra una tendenza a considerare le istituzioni e i sistemi sociali più grandi come strutture autonome, soggette a processi indipendenti dalle persone coinvolte. Come è stato rilevato da Gouldner, « Vi è una ten­ denza inerente all’ideologia occupazionale di molti sociologi moderni non solo

di mettere l’accento sulla potenza e sull’autonomia delle strutture sociali — e di conseguenza sulla dipendenza della persona — ma anche di accettare questo stato di cose come normale e dato... »,18 Vi è, naturalmente, un tipo generale di ruolo di élite cui si attribuisce una notevole importanza per il mutamento, particolarmente nelle teorie dello sviluppo economico e tecnologico. Nella letteratura sull’argomento, questo tipo di ruolo è sempre chiamato con il ter­ mine di imprenditore, di agente del mutamento, di innovatore o di uomo moderno.19 Il potenziale di questo tipo di persona, le sue probabilità di dar inizio a mutamenti economici e tecnologici appaiono relativamente plausibili, soprattutto nel contesto delle esperienze storiche di alcune società occidentali. Raramente siamo informati dei mutamenti istituzionali e strutturali che possono permettere o bloccare la realizzazione di questo potenziale. Inoltre, fatta ecce­ zione per il ruolo positivo della élite modernizzante, raramente si trovano rife­

rimenti ad altri individui e gruppi che possono influenzare la grandezza e l’anda­ mento del mutamento in una data società. Sebbene in anni recenti vi sia stata una impressionante espansione dei conflitti militanti fra gli individui e fra i gruppi, con gravi conseguenze per il mutamento e la stabilità sociale, siamo o riluttanti oppure privi di strumenti concettuali per poter analizzare in modo significativo questi sviluppi.20

L a direzione e il prodotto del mutamento

Ogni mutamento nella società comporta delle conseguenze per il sistema esi­ stente di distribuzione e assegnazione dei valori materiali e non-materiali. In questo contesto, e nella misura in cui l’impatto del mutamento è effettivamente sentito e valutato da gruppi differenti in una società, la gente avrà una reazione favorevole o di altro tipo di fronte alla prospettiva del mutamento. Allo stesso modo, una teoria del mutamento sarà incompleta se non riuscirà ad esplicare la direzionalità del mutamento in termini di un dato sistema di valori culturali e della loro allocazione.

I primi teorici erano ben consapevoli del carattere prognostico delle loro teorie del mutamento e non esitavano ad articolare i corollari ideologici e valutativi delle loro proposizioni di base concernenti la dinamica della società. In realtà, alcuni di questi autori si misero in condizioni di promuo­ vere attivamente quei tipi di mutamento che secondo le loro formulazioni promettevano il « miglioramento » di determinati strati delle società. I recenti studiosi di scienze sociali che si sono addossati il compito di separare le parti

« obiettive » e « scientifiche » delle opere di Marx o di Summer da quelle « emotive » o « ideologiche », non si rendono conto che tali distinzioni pos­ sono essere estremamente inibitorie per la crescita delle discipline anche a livelli puramente accademici. Esiste una relazione integrale fra le preferenze ideologiche di uno studioso di scienze sociali e il tipo di questioni che solleva e cui cerca di rispondere. E’ dubbio che Marx e Summer avrebbero potuto sollevare le questioni che hanno sollevato e cimentarsi in analisi del muta­ mento sociale, che rimangono pur sempre formidabili, se si fossero limitati alla « scienza pura ».

Oggi, si preferisce non riconoscere apertamente la selettività dei nostri inte­ ressi per certi tipi di mutamento finalizzato verso determinati obiettivi. Eppure, non siamo ancora riusciti a elaborare delle ricostruzioni dei processi di mutamento completamente obiettive che possano essere considerate neutrali nel senso che non contribuiscano a rafforzare determinati tipi di sistemi sociali, caratterizzati da precisi impegni nei confronti di determinati valori e dalla loro collocazione in segmenti differenti della società. Per esempio, nella sua recentissima critica della sociologia occidentale, Gouldner fa abilmente rilevare come vi sia una corrispondenza fra i modelli di società degli studiosi struttural- funzionalisti e il mondo reale dell’establishment capitalistico del ventesimo secolo.21

I paradigmi evoluzionistici modificati, come quelli di Parsons, non solo man­ tengono una concezione più o meno tradizionale della direzione in cui si muove il mutamento (ascesa verso l’alto invece di progresso), ma insistono anche sul fatto che la via dell’evoluzione si percorre mediante la riproduzione di determinati momenti di sviluppo culturale, sociale e economico caratteristici delle società europee e nord-americane. Ciò equivale ad affermare che la storia occidentale si ripeterà nelle società, enormemente diverse, dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina. Altre e più limitate teorie della modernizzazione, del l’industrializzazione, ecc., adottano simili concezioni dello sviluppo.22

L’assunto fondamentale è sintetizzato da Wilbert Moore:

La modernizzazione comporta una trasformazione « totale » di una società tradizionale o pre-moderna fino al conseguimento di tipi di tecnologia e di vita associata caratteristici delle nazioni « avanzate », economicamente prospere e politicamente abbastanza stabili, del mondo occidentale. Siccome sono così numerosi gli aspetti dell’ordine sociale delle zone sottosviluppate del mondo che non sono in conformità con i modelli praticati nei paesi avanzati, sono possibili miglioramenti praticamente in tutte le direzioni in cui si volga lo sguardo (il corsivo è nostro).23

Questa delimitazione estremamente angusta della vasta area del mutamento finalizzato verso determinati obiettivi non può avere che effetti negativi sullo