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La gestione delle risorse genetiche vegetal

2.1 La nascita dei programmi di conservazione delle risorse genetiche

I governi hanno capito piuttosto tardivamente che la diversità genetica mondiale deve essere protetta: dai primi lavori di Vavilov negli anni Venti, e dalle modeste iniziative delle Nazioni Unite alla fine degli anni Quaranta, si è arrivati solo negli anni Ottanta alla proposta di costituire una Commissione sulla diversità genetica all’interno della FAO.

Le campagne per la conservazione sono state dominate dagli interessi, pubblici e privati, dei paesi industrializzati, poveri di biodiversità ma con maggiori conoscenze scientifiche e mezzi tecnologici, i quali necessitavano delle risorse genetiche presenti nei Paesi in via di sviluppo, in possesso di un grande patrimonio di biodiversità. Gli

stessi interessi hanno comportato un’insufficienza di finanziamenti per la conservazione a lungo termine e una serie di inconvenienti tecnici che a loro volta hanno portato ad assumere dimensioni preoccupanti.

Prima degli anni Sessanta, quando si affermò la Rivoluzione Verde, pochi governi avevano intrapreso una strategia di conservazione. Solitamente, il lavoro di conservazione era svolto da enti o università senza alcun sostegno finanziario da parte dello stato. Queste iniziative erano rivolte a una singola coltura o addirittura a un singolo problema e consistevano nel raccogliere semi che andavano a finire in banali frigoriferi allo scopo di mantenere nel tempo la vitalità dei semi.

In seguito ai continui allarmi sull’erosione genetica, lanciati dagli scienziati che si occupavano di conservazione del germoplasma (tra i quali bisogna ricordare oltre a N. Vavilov, Harry e Jack Harlan, Erna Bennet, Otto Frankel, M.S. Swaminathan e T.T. Chang), la FAO, insieme al Programma Biologico Internazionale (IBP), ospitò una serie di conferenze sulle risorse fitogenetiche, la prima nel 1961 e la seconda nel 1967, nella quale si formularono le risoluzioni finali e le strategie politiche che portarono l’anno successivo alla creazione all’interno della FAO della Crop Ecology Unit.

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta si scatenò una battaglia nella comunità internazionale per l’attribuzione della responsabilità, e quindi per il controllo sulla conservazione del germoplasma.

Tra i soggetti in lizza per il controllo c’era il CGIAR (Consultative Group on International Agricultural Research), gruppo di agenzie internazionali impegnate nella ricerca agricola, voluto dalle fondazioni Rockfeller e Ford, le quali reputavano fondamentale accompagnare il lavoro scientifico svolto all’interno della Rivoluzione Verde realizzando una nuova rete di istituti di ricerca che affiancassero le iniziative delle Nazioni Unite. Il CGIAR diveniva l’interlocutore principale nella raccolta di maggiori finanziamenti. Alcuni sostengono che questi fondi addizionali sarebbero stati altrimenti conferiti alla FAO. Altri affermano invece che quest’ultima non era interessata alla ricerca e non avrebbe mai concorso per ottenerli80.

Gli istituti di ricerca agricola finanziati dalle fondazioni private, come il CIMMYT e l’IRRI, entravano così nel circuito dei Centri Internazionali di Ricerca Agricola (IARC) affiliati al CGIAR. Essendo politicamente esposti nei confronti dei Paesi del Sud, questi centri speravano di trovare legittimità e godere di libertà operativa tramite l’appartenenza all’ONU. La sede del CGIAR fu aperta presso la Banca Mondiale a Washington, la quale lanciò i Progetti Nazionali del Seme con l’obiettivo di rendere l’industria del seme più attiva e orientata al risultato. Furono così stanziati investimenti per la realizzazione degli impianti necessari alla produzione, lo stoccaggio e il mantenimento delle sementi, e si cominciò a distribuire semi ad alta resa, con il conseguente passaggio da un sistema di coltivazione controllato dagli agricoltori, ad uno gestito inizialmente dai centri internazionali di ricerca nel campo agricolo, e attualmente dalle multinazionali del settore agro-chimico.

Il fatto di essere considerato un’affiliazione dell’ONU è stato fondamentale. Le fondazioni private avevano apparentemente trasferito gli IARC all’interno del sistema

ONU, quando invece era un’organizzazione governata dagli enti finanziatori, e quindi potevano svincolarsi dalle realtà politiche esistenti tra Nord e Sud; la soluzione ottimale a tutti i problemi.

Nel 1971 tuttavia le risorse genetiche non venivano ancora considerate incluse nel mandato del CGIAR. L’accento era sul rapido sviluppo di tecnologie adatte alla Rivoluzione Verde e la creazione di nuovi IARC in altre regioni per ampliare il numero di colture esaminate.

Durante una riunione operativa convocata a Beltsville nel 1972, Otto Frankel propose un piano pluriennale per istituire una rete decentrata di nove banche genetiche a livello regionale, il cui finanziamento iniziale era di circa tre milioni di dollari. Fu creato l’IBPGR – International Board on Plant Genetic Resources (poi chiamato IPGRI –

International Plant Genetic Resources Institute – e recentemente divenuto Bioversity International), quale ente di coordinamento delle banche del germoplasma. L’IBPGR

doveva svolgere la funzione di stimolare la raccolta e la conservazione delle risorse genetiche, da utilizzare come base delle nuove varietà della Rivoluzione Verde.

La selezione e l’ingegneria genetica hanno bisogno di geni così come di scienziati per elaborare il materiale genetico e catalogarne le caratteristiche. I centri internazionale di ricerca agricola, spesso inconsapevolmente, si sono ritrovati a servire interessi privati. Infatti, in molti casi il materiale sviluppato dagli IARC è stato acquistato e brevettato da imprese private.

La prima fase della Rivoluzione Verde ha insegnato ai suoi fautori che è meglio fornire germoplasma migliorato piuttosto che nuove varietà e sempre di più essi ritengono che il loro ruolo sia di sostenere i programmi nazionali di selezione. A tal fine identificano e fanno circolare materiale che potrebbe assumere un valore economico sul mercato. In questo modo gli IARC hanno corrisposto ai desideri di molti paesi del Sud e alle speranze di altri che la consegna di linee avanzate di selezione (e non di varietà già pronte) potesse contribuire ad aumentare la disponibilità di nuove varietà. Almeno avrebbe dovuto essere così, ma il rischio è quello di relegare gli IARC al ruolo di ricerca di base al servizio dell’industria privata. Le società possono impossessarsi del materiale degli IARC e sfruttarlo a scopo di lucro su scala mondiale, nonostante le critiche che gli scienziati degli IARC possono muovere.

L’appropriazione indebita del materiale genetico custodito dai Paesi del Sud portò questi ultimi ad invocare una convenzione internazionale sulle risorse fitogenetiche, che portò all’approvazione dell’International Undertaking on Plant Genetic Resources, e insieme alla creazione di una Commissione Internazionale sulle risorse genetiche vegetali.. L’International Undertaking ha posto, per la prima volta nella storia, le condizioni di un’equa ripartizione delle risorse genetiche e soprattutto ha messo i paesi industrializzati sull’avviso che la monopolizzazione dei geni a fini privati e il loro uso come moneta di scambio nelle negoziazioni internazionali non possono più essere accettati dalla comunità internazionale.