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Natura dell’art 127 bis del TUIR

Uno dei primi interrogativi sorti in relazione all’introducenda normativa, riguardava la sua natura, anti-evasiva o anti-elusiva. Appare utile soffermarsi brevemente sul significato dei due termini.

8Cordeiro Guerra, R. (2000). Riflessioni critiche e spunti sistematici sulla introducenda

disciplina delle controlled foreign companies (art. 127- bis Tuir). Rassegna Tributaria. 5:1399, 1406 ss.

Si ha evasione fiscale quando il contribuente mette in essere un comportamento contrario alla legge in modo da rendersi inadempiente rispetto all’obbligazione tributaria. La violazione delle norme tributarie può realizzarsi o mediante l’occultamento di elementi positivi del reddito, o mediante la dissimulazione di quelli passivi.

L’evasione si contrappone al fenomeno del legittimo risparmio d’imposta, che si realizza quando il contribuente opta per la scelta meno onerosa tra quelle offerte dal sistema tributario. Tale fenomeno è pienamente legittimo, in quanto non esiste nell’ordinamento nessuna norma volta al suo contrasto. La difficoltà maggiore affrontata dall’ordinamento consiste nel delineare dei limiti invalicabili, superati i quali si passa da un legittimo risparmio d’imposta ad un atteggiamento elusivo.

L’elusione, infatti, si pone al centro tra i due fenomeni sopra esposti. Essa consiste nell’utilizzo strumentale di lacune normative, al fine di evitare il sorgere dell’obbligazione tributaria.

È importante sottolineare che un comportamento elusivo prescinde dalla violazione di una norma tributaria, e si sostanzia nell’uso distorsivo degli istituti giuridici, o della mancata previsione di alcune misure, al solo fine di ottenere un risparmio d’imposta.

In dottrina è stato affermato che la costituzione di una società controllata in un paese a regime fiscale privilegiato potesse assumere rilevanza già prima dell’introduzione dell’art. 127- bis del TUIR. A tal fine si faceva riferimento agli articoli 37 comma 3, e all’art. 37- bis del Decreto del Presidente della

Repubblica 29 settembre 1973, n. 60010.

Tale dottrina riteneva che l’art. 37, comma 3, fosse applicabile in caso di costituzione di una società controllata interposta fittiziamente al reale possessore dei redditi, ossia la società italiana. Il testo della norma dispone che "In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne é l’effettivo possessore per interposta persona". Secondo tale approccio la norma avrebbe natura anti-evasiva.

L’art. 37 bis del medesimo testo legislativo, invece, così come in vigore fino al 31 dicembre 201511, avrebbe trovato applicazione qualora la

costituzione della società controllata estera fosse dipesa esclusivamente da motivi di risparmio fiscale.

La disposizione, rubricata come "Disposizioni antielusive", al comma 1 dispone che "Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario, e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti"12. Secondo tale approccio, invece, la norma

avrebbe natura anti-elusiva.

10Nuzzolo, A. (2003). La disciplina CFC tra attività di controllo dell’amministrazione

finanziaria e disapplicazione: alcuni spunti di riflessione anche alla luce del progetto di riforma della tassazione delle società. Il Fisco. 1:4995.

11Il Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128, ha disposto l’abrogazione dell’art. 37 bis

del D.P.R. n. 600/1973, e ha inserito nella Legge n. 212/2000 l’art. 10- bis in tema di elusione del diritto o abuso fiscale.

12Cfr. Lupi, R. (1998). Diritto tributario (parte generale). IPSOA. Milano. 49; Nussi, M.

(1998). Elusione tributaria ed equiparazioni al presupposto nelle imposte sui redditi: nuovi (e vecchi) problemi, Rivista di diritto tributario. I:503; Potito, E. (1999). Le "valide ragioni economiche" di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973: considerazioni di un economista di azienda. Rassegna Tributaria. I:59; Russo, P. (1999). Brevi note in tema di disposizioni antielusive. Rassegna Tributaria I:68.

Tuttavia sussiste una differenza essenziale tra gli istituti in esame e l’art. 127- bis. Gli articoli 37 e 37- bis sono contenuti nel D.P.R. n. 600/1973, in tema di disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, e attribuiscono all’amministrazione finanziaria particolari poteri esercitabili in fase di accertamento, rientrando, quindi, tra le norme di natura procedimentale. L’art. 127- bis, invece, è stato introdotto nel D.P.R. n. 917/1986, che disciplina le imposte dirette sui redditi, e, nello specifico nel Titolo IV, relativo alle disposizioni comuni, ed assume una chiara valenza sostanziale.

Dalla natura sostanziale dell’art. 127- bis, inoltre, discende una differenza fondamentale rispetto all’art. 37 del D.P.R. n. 600/1973. Mentre la seconda norma dispone che sia l’amministrazione finanziaria a dover fornire la prova dell’interposizione, "sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti", l’art. 127- bis prevede una presunzione relativa, sulla base della quale si presuppone l’interposizione a meno che il soggetto non provi la natura reale dell’attività svolta dalla controllata.

Nell’ordinamento italiano una società ha piena libertà organizzativa e può optare per la localizzazione di parte della sua attività, anche tramite la costituzione di una società controllata, in un paese caratterizzato da un regime fiscale privilegiato13.

Occorre allora chiedersi quale sia la ragione che ha spinto il legislatore ad introdurre una simile normativa.

La dottrina ha individuato due possibili ordini di ragioni14. 13Cordeiro Guerra, R. (2000). op. cit. par. 2.

La norma potrebbe astrattamente colpire i redditi solo apparentemente prodotti all’estero, ma in realtà generati attraverso attività che continuano ad avere la propria sede operativa e/o direttiva nel territorio dello stato. È possibile, infatti, che le società, ad esempio mediante artifizi contrattuali, localizzino all’estero flussi reddituali, anche se la loro fonte rimane nel territorio domestico.

La norma sarebbe allora finalizzata alla tassazione dei redditi prodotti da attività che continuano ad avere il proprio centro direttivo e/o operativo nel territorio dello stato, benché essi appaiano come prodotti all’estero, e siano, quindi, formalmente esterovestiti15.

In tali situazioni l’Amministrazione Finanziaria è in grado di provare che l’attività è ancora esercitata in Italia e che la società controllante sta ponendo in atto un’operazione volta all’erosione della base imponibile nello stato di residenza. Tale situazione consisterebbe certamente nella realizzazione di un’evasione fiscale, sussumibile nella fattispecie prevista dall’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973. Si avrebbe, infatti, un’interposizione fittizia.

È stato affermato che la lotta ad un fenomeno evasivo sarebbe l’unica giustificazione tale da permettere la deroga degli ordinari criteri di imputazione del reddito16.

Tuttavia un’attenta analisi dell’art. 127- bis, comma 1, sembra escludere che la norma si basi su tale ratio. La norma fa, infatti, riferimento a redditi che sono effettivamente prodotti all’estero da una società controllata da un soggetto residente in Italia.

15 Stevanato, D. (2000). Controlled Foreign Companies: concetto di controllo e

imputazione del reddito. Rivista di Diritto Tributario. 7-8:777, 784.

La norma parrebbe, quindi, essere volta a scongiurare pure deviazioni di proventi mediante comportamenti riconducibili all’interposizione reale, e dunque di imputazioni di ricchezza effettivamente volute, ma al solo fine del perseguimento di un vantaggio fiscale17.

Nell’interposizione reale l’interposto assume la veste di parte sostanziale del negozio. Egli assume in proprio gli effetti giuridici che, successivamente, è obbligato a trasmettere in capo all’interponente.

Le società potrebbero, ad esempio, stipulare un contratto avente ad oggetto lo sfruttamento di beni immateriali, al solo fine di ridurre il reddito sottoponibile ad imposizione nel paese ad alta fiscalità.

La norma avrebbe, quindi, natura anti-elusiva, e, come anticipato, sarebbe classificabile come norma antielusiva di carattere speciale rispetto alla fattispecie più ampia contemplata dall’art. 37- bis del D.P.R. n. 600/1973.

L’obiettivo principale perseguito mediante l’introduzione della CFC legislation sarebbe, dunque, quello della lotta al fenomeno della sottrazione di gettito attraverso lo sfruttamento della delocalizzazione del soggetto passivo e/o dell’attività prodotta all’estero.

Questa problematica è stata affrontata, in primis, in relazione alle persone fisiche, ex art. 2 del TUIR, mediante l’inversione dell’onere della prova in caso di abbandono della residenza in Italia in caso di trasferimento in paradisi fiscali18. Successivamente, sulla scia di tale norma, l’art. 127- bis del TUIR

17Cordeiro Guerra, R. (2000). op. cit. par. 2.

18Si fa riferimento al comma 2 bis dell’art. 2 del TUIR, introdotto dall’art. 10 della L. 23

persegue gli stessi fini in materia societaria19.

La seconda situazione che, astrattamente, potrebbe essere considerata dalla norma, è il puro e semplice differimento d’imposta attuato protraendo indefinitamente, in virtù del potere di controllo, la distribuzione alla controllata italiana degli utili conseguiti in paesi a bassa fiscalità.

Parte della dottrina ritiene, però, che se questa fosse la giustificazione adottata dal legislatore italiano, sarebbe difficile la classificazione delle CFC rules all’interno della categoria delle norme antielusive. Ci si limiterebbe, infatti, a contrastare il fenomeno del tax deferral, realizzato mediante la mancata o ritardata distribuzione degli utili20.

I sostenitori della natura antielusiva della norma sottolineano che, se si ritenesse che l’art. 127- bis fosse volto alla lotta al fenomeno del differimento d’imposta, si porrebbe una questione di legittimità costituzionale legata al principio della capacità contributiva. Gli utili prodotti dalla società controllata estera, infatti, sarebbero tassati in capo ai soci, benché questi non siano stati realmente distribuiti.

I sostenitori dell’approccio volto al contrasto del tax deferral asseriscono che la questione di incostituzionalità si debba ritenere infondata, in quanto, possedendo i soci in capo ai quali viene imputato il reddito prodotto dalla controllata una partecipazione di controllo, e avendo essi la possibilità di decidere se distribuire gli utili, la mancata distribuzione debba considerarsi

19Cordeiro Guerra, R. (2000). op. cit., 1399; Cfr. anche Maisto, G. (1999). La residenza

delle persone fisiche emigrate in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato. Rivista di diritto tributario. IV:55; Marino, G. (1999). La residenza nel diritto tributario. CEDAM, Padova, 249; Melis, G. (1999). Riflessioni intorno alla presunzione di residenza fiscale di cui all’art. 10 della L. 23 dicembre 1998, n. 448. Rassegna Tributaria. 4:1077; Pezzuto, G., Screpanati, S. (1999). Il nuovo regime della residenza fiscale delle persone fisiche. Rassegna Tributaria 2:424.

come un atto di disposizione del reddito già affluito nella sfera giuridica del socio. Ciò giustificherebbe l’equiparazione tra l’accantonamento di utile indiviso e l’effettiva distribuzione dello stesso21.

Un simile ragionamento appare, tuttavia, eccessivamente forzato. La mancata delibera di distribuzione degli utili dovrebbe essere qualificata come un atto di rinuncia del socio ad un diritto già acquisito. Nelle società di capitali, però, il diritto all’utile sorge soltanto nel momento in cui l’assemblea assume una delibera di distribuzione degli utili.

Dunque, pur essendo la lotta al differimento d’imposta una delle ragioni che ha condotto il legislatore all’adozione di tale disciplina, esso sembra essere di secondaria importanza.

In conclusione, a sostegno della natura anti-elusiva della norma, sostenuta, come anticipato, dalla dottrina maggioritaria, sembra giocare un ruolo decisivo la lettera dell’art. 127- bis.

Nello specifico, si fa riferimento al quinto comma dell’art. 127- bis, che disciplina le circostanze esimenti, e al sesto comma del medesimo articolo, in materia di modalità di tassazione dei redditi22.

Entrambe le disposizioni pongono in luce la volontà del legislatore di riportare a tassazione in Italia soltanto i redditi prodotti dalle società che vengono fittiziamente localizzate in uno stato estero, ma ivi non svolgono un’attività economica definibile come preminente.

21 Nanetti, F. (2001). The Italian CFC: Tax Measures, Law Against Tax Avoidance

or International Countermeasure? Reflections and Preliminary Interpretations. EC Tax Review.1:58.

22Marongiu, G. (2000). Prime riflessioni sulle circostanze escludenti l’applicazione delle

disposizioni di cui al comma 1 dell’istituendo art. 127-bis Tuir. In AA.VV. (2000). La nuova disciplina delle CFC ed i nuovi scenari della fiscalità internazionale, Atti del Convegno Paradigma, Milano, 12-13 ottobre 2000.

Il legislatore, invece, a dimostrazione della secondaria importanza assunta dalla lotta al fenomeno del tax deferral, non ritiene rilevante l’eventuale differimento degli utili generati dalla attività principale realmente svolta dalla società estera.

Tuttavia è importante puntualizzare che, qualsiasi sia l’approccio condiviso, le CFC rules sembrano voler garantire la parità di trattamento tra coloro che producono redditi all’estero e coloro che li producono all’interno del territorio dello stato, in modo da perseguire la capital export neutrality23. Per questo

motivo assume primaria importanza la localizzazione della società in uno stato che permette la fruizione di benefici fiscali, soprattuto nel caso in cui essa non sia giustificabile in ragione di specifiche esigenze economiche o organizzative.