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Origine ed evoluzione della Controlled Foreign Companies Legislation in Italia

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Origine ed evoluzione della Controlled Foreign

Companies Legislation in Italia

Candidato:

Claudia Marongiu

Relatore:

Chiar.ma Prof.ssa Brunella Bellè

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Indice

Introduzione V

1 Le Controlled Foreign Companies Legislations: considerazioni

introduttive 1

1.1 Introduzione al tema . . . 1 1.1.1 I criteri di localizzazione del reddito . . . 2 1.2 L’emanazione della prima Controlled Foreign Companies

Legislation: il caso statunitense . . . 3 1.2.1 Contesto storico che determinò l’emanazione della

normativa . . . 5 1.2.2 Obiettivi di politica fiscale perseguiti dalla normativa . . 7 1.2.3 Normativa . . . 10 1.3 Caratteristiche delle CFC legislations . . . 19

1.3.1 La pianificazione fiscale aggressiva e il concetto di paradiso fiscale . . . 20 1.3.2 Definizione delle Controlled Foreign Companies . . . 22 1.3.3 Transactional approach e Jurisdictional approach . . . . 27 1.3.4 Capital Neutrality . . . 30

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1.3.5 Possibili funzioni della CFC Legislation . . . 37

2 Introduzione della prima CFC Legislation in Italia: L’art. 127-bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi 38 2.1 Ragioni alla base dell’introduzione della normativa . . . 38

2.1.1 Natura dell’art. 127- bis del TUIR . . . 42

2.2 Analisi dell’art. 127- bis del TUIR . . . 50

2.2.1 Soggetti richiamati dalla normativa . . . 51

2.2.2 Presupposto oggettivo: il requisito del controllo . . . 54

2.2.3 Stati o territori considerati a regime fiscale privilegiato . 59 2.2.4 Imputazione dei redditi dell’impresa partecipata estera al soggetto controllante residente . . . 61

2.2.5 Modalità di tassazione dei redditi dell’impresa partecipata 64 2.2.6 Cause esimenti . . . 66

2.2.7 Coordinamento tra l’art. 127- bis e le altre disposizioni interne a portata ultraterritoriale . . . 75

3 Normativa vigente in materia di Controlled Foreign Companies 82 3.1 Prime modifiche all’art. 127- bis: gli articoli 167 e 168 del TUIR 82 3.2 L’art. 167 del TUIR: evoluzione della normativa . . . 84

3.2.1 Soggetti richiamati dalla normativa e requisito del controllo 85 3.2.2 Stati o territori a regime fiscale privilegiato: dalle liste all’introduzione di un criterio generale . . . 85

(5)

3.2.3 Imputazione e modalità di tassazione dei redditi dell’impresa partecipata estera al soggetto controllante

residente . . . 96

3.2.4 Circostanze esimenti . . . 97

3.3 L’art. 168 del TUIR . . . 110

3.3.1 Ambito soggettivo . . . 110

3.3.2 Presupposto oggettivo: requisito del collegamento. . . 112

3.3.3 La determinazione del reddito imponibile e la sua imputazione . . . 113

3.3.4 Interferenze con la disciplina delle società estere controllate115 3.3.5 Abrogazione della norma . . . 116

3.4 L’art. 168- ter del TUIR: il regime opzionale della branch exemption . . . 117

3.4.1 Profilo soggettivo . . . 119

3.4.2 Esercizio e cessazione dell’opzione . . . 120

3.4.3 Il trattamento delle perdite fiscali pregresse, degli ammortamenti, delle svalutazioni e degli accantonamenti pregressi . . . 121

3.4.4 Determinazione del reddito della stabile organizzazione . 122 3.4.5 Rapporti tra branch exemption e regime CFC . . . 122

3.4.6 Profili di convenienza dell’esercizio dell’opzione . . . 124

3.5 Coordinamento tra l’art. 167 del TUIR e le altre disposizioni interne a portata ultraterritoriale . . . 125

(6)

3.5.2 Utili da partecipazione in società residente in un paese a regime fiscale privilegiato . . . 128 3.5.3 Plusvalenze realizzate su partecipazioni in società

localizzate in stati a regime fiscale privilegiato . . . 131 3.5.4 Art. 140 del TUIR: incompatibilità tra il regime CFC e

il consolidato mondiale . . . 132 3.6 Questioni irrisolte . . . 133 4 CFC Legislation, convenzioni contro le doppie imposizioni e

diritto dell’Unione Europea 135

4.1 Compatibilità tra la CFC rule domestica e il diritto dell’Unione Europea . . . 137 4.2 Compatibilità tra la CFC rule domestica e le convenzioni contro

le doppie imposizioni . . . 148 4.3 Panorama attuale . . . 154 5 La residenza fiscale delle società: aspetti problematici 158 5.1 Dalle economie nazionali all’economia globale . . . 158 5.2 Dalla politica fiscale nazionale alla necessaria collaborazione . . 160 5.3 Residenza e digital economy . . . 167 5.3.1 L’e-commerce: cenni . . . 171 5.4 E-commerce e regime CFC . . . 173

Conclusione 179

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Introduzione

La disciplina fiscale delle Controlled Foreign Companies, cosiddetta CFC legislation, contenuta nell’art. 167 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, dispone un regime di tassazione per trasparenza, in capo al socio residente in Italia, dei redditi realizzati dalle sue controllate estere che beneficiano di un regime fiscale privilegiato, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili, diretta o indiretta, e indipendentemente dalla effettiva percezione degli stessi.

Mediante l’imputazione per trasparenza dei redditi assoggettati ad un regime fiscale privilegiato, si persegue lo scopo primario di contrastare le pratiche elusive poste in essere da coloro che detengono il controllo di società aventi sedi in paesi a regime fiscale privilegiato. La normativa ha, inoltre, l’obiettivo di evitare un rinvio sine die della tassazione degli utili prodotti dalla società controllata che, secondo il regime ordinario, sarebbero sottoponibili ad imposizione soltanto al momento della loro effettiva distribuzione.

L’introduzione di simili regimi fu raccomandata dall’OCSE fin dal 1998, attraverso l’emanazione del rapporto "Harmful Tax Competition: An Emerging Global Issue". L’organizzazione esaminò le CFC rules già nel 1996,

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nel rapporto "Studies in taxation of foreign source income - Controlled Foreign Companies Legislation". Ivi si sottolinea che la quantità e la complessità degli scambi internazionali è cresciuta in maniera considerevole negli ultimi decenni del 1990. Uno dei motivi posti alla base di tale incremento è la particolare efficienza raggiunta dai mezzi di comunicazione, e, più in generale, dallo sviluppo tecnologico.

La prassi di costituire sinergie tra soggetti residenti in diversi stati allo scopo di potenziare la produzione, il marketing e l’efficienza tecnologica di ciascuna realtà imprenditoriale è divenuta un elemento che connota i modelli organizzativi delle grandi società e dei gruppi di impresa, e la rimozione delle barriere, che in precedenza impedivano la movimentazione dei capitali, ha permesso alle realtà multinazionali l’adozione di pratiche ritenute, da alcuni stati, lesive delle proprie prerogative fiscali.

L’elaborato si pone come obiettivo primario quello di esaminare la Controlled Foreign Companies Legislation italiana. A tal fine rilevanza primaria hanno rivestito lo studio dell’evoluzione storica della normativa domestica, delle linee guida elaborate dall’Unione Europea e dall’OCSE, e del contributo offerto dalla dottrina nazionale ed internazionale in tale materia.

Considerata l’importanza rivestita dall’introduzione, negli Stati Uniti, fin dal 1962, della prima CFC rule a livello globale, si è ritenuto necessario partire dall’analisi di siffatta normativa, con lo scopo di esporre i motivi, economici e giuridici, che spinsero il Governo americano alla sua emanazione, e le caratteristiche che essa assunse.

L’analisi di tale regime permette, inoltre, di valutare, in chiave comparatistica, quali sono gli elementi dai quali, in astratto, può essere

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caratterizzata tale particolare normativa, e gli scopi economici che essa può perseguire.

Conclusa tale premessa, si sottopone ad analisi l’art. 127- bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, così come originariamente introdotto dalla Legge 21 novembre 2000, n. 342. Dopo aver trattato la natura giuridica dell’istituto, si esaminano i requisiti richiesti per la sua applicazione, gli effetti da questa derivanti, e le cause esimenti in presenza delle quali il contribuente può richiederne la disapplicazione.

Si affrontano quindi le modifiche apportate al regime, a partire dalla sua trasposizione nell’articolo 167 del TUIR, disposta dal Decreto Legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, fino a giungere all’esame della normativa attualmente in vigore così come riformata, da ultimo, dal Decreto Legislativo del 14 settembre 2015, n. 147, Decreto Interazionalizzazione, e dalla Legge 28 dicembre 2015, n. 208, Legge di Stabilità 2016.

Tale analisi sottolinea le difficoltà connesse all’applicazione della CFC rule in ragione delle numerose, e talvolta repentine, riforme che hanno riguardato i criteri di individuazione dei paesi aventi un regime fiscale privilegiato, e che hanno comportato l’estensione della normativa ai cosiddetti paesi white list, ove soddisfatti i requisiti richiesti dal comma 8- bis dell’art. 167 del TUIR.

Oggetto di indagine rappresenta, inoltre, l’art. 168 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, introdotto dal Decreto Legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, che estese l’applicabilità della CFC legislation ai casi di partecipazione di collegamento in una società localizzata in un paese a fiscalità privilegiata. Si esaminano le ragioni che hanno comportato la sua abrogazione, avvenuta per opera del Decreto Legislativo n. 147/2015.

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Attenzione viene riservata all’analisi del regime opzionale della branch exemption, recentemente introdotto dall’articolo 14, comma 1, Decreto Legislativo n. 147/2015.

In ragione dell’importanza assunta dalle normative europee e internazionali in materia di lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale, si propone una riflessione in tema di compatibilità tra la CFC rule italiana, il Diritto dell’Unione Europea e le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni. A tale scopo si esamina quanto pronunciato dalla Suprema Corte di Cassazione nella Sentenza del 16 dicembre 2015, n. 25281.

In conclusione, si pongono in evidenza le difficoltà che lo sviluppo tecnologico e la crescita della digital economy hanno comportato in materia di residenza fiscale. I rapporti finali elaborati dall’OCSE in seno al Progetto BEPS sottolineano l’inadeguatezza delle soluzioni prospettate dagli ordinamenti interni in relazione alla lotta ai fenomeni dell’elusione e dell’evasione internazionale.

Tali criticità incidono anche sull’efficacia della Controlled Foreign Companies Legislation, rendendo complessa l’identificazione dei soggetti appartenenti al gruppo di società, la sussistenza del rapporto di controllo, e la localizzazione del medesimi soggetti.

Le soluzioni prospettate pongono l’accento sulla necessità di sviluppare una collaborazione tra gli stati, un adeguato scambio di informazioni e l’attenzione dei governi verso l’introduzione di normative antielusive armonizzate nei vari paesi, in modo da ridurre la concorrenza fiscale dannosa.

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Capitolo 1

Le Controlled Foreign Companies

Legislations: considerazioni

introduttive

1.1 Introduzione al tema

Lo sviluppo del commercio internazionale e la crescente mobilità dei fattori produttivi hanno reso la pianificazione fiscale uno dei temi di maggior rilievo nel panorama del diritto tributario internazionale.

Le imprese multinazionali, esercitando attività produttive di reddito per mezzo di unità localizzate all’estero, sono sempre più attente alle opzioni organizzative aventi rilevanza tributaria. Le scelte operate dalle società mirano all’abbattimento dei costi, e lo sfruttamento delle differenze esistenti tra i diversi ordinamenti fiscali è una delle modalità attraverso le quali tale

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obiettivo viene perseguito1.

1.1.1 I criteri di localizzazione del reddito

I redditi transnazionali vengono sottoposti ad imposizione sulla base di due principi, quello della territorialità e quello della tassazione del reddito mondiale2.

In base al principio della territorialità, i soggetti non residenti sono tassabili limitatamente ai redditi prodotti nello stato. Si considera, infatti, il rapporto tra reddito e territorio dello stato nel quale il reddito medesimo viene prodotto3.

In base al principio della tassazione del reddito mondiale, invece, i soggetti residenti sono sottoposti ad imposizione con riferimento a tutti i redditi, ovunque prodotti.

La nascita di società multinazionali, aventi sedi localizzate in diversi paesi, ha comportato il sorgere di problematiche connesse all’applicazione di tali principi. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla costituzione di una stabile organizzazione in uno stato estero.

La stabile organizzazione, non essendo un’autonoma società, e dunque una persona giuridica diversa rispetto alla società madre, non costituisce un soggetto passivo d’imposta indipendente. Per questo motivo, nel rispetto del principio della tassazione del reddito mondiale, i redditi prodotti dalla stabile

1Gaufri, S. (2007). Controlled Foreign Companies Legislation: Analisi comparata negli

stati comunitari. I quaderni della Scuola di Alta Formazione, 18, Commissione Fiscalità Internazionale 2005/2007.

2In materia Fantozzi, A., Paparella, F. (2014). Lezioni di diritto tributario dell’impresa.

CEDAM, Padova.

3Sul punto Fransoni, G. (2012). L’efficacia della legge tributaria nel tempo e nello spazio,

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organizzazione possono essere sottoposti ad imposizione nel paese di residenza della società costitutrice.

Mediante la formazione di nuove società, o mediante il controllo di società già esistenti, invece, è possibile sfruttare le pratiche di tax deferral, ossia il fenomeno della sospensione da imposizione a tempo indeterminato per mezzo del mancato rimpatrio dei dividendi, in quanto tali società sono soggetti passivi d’imposta diversi rispetto alla società controllante4. In questo modo la società

controllante sarà tassata per gli utili prodotti dalle controllate soltanto quando questi saranno distribuiti sotto forma di dividendi, e soltanto per la quota parte ad essa spettante.

1.2 L’emanazione

della

prima

Controlled

Foreign Companies Legislation:

il caso

statunitense

Gli Stati Uniti furono il primo paese, fin dal 1921, ad introdurre una normativa in tema di differimento d’imposta5.

4‘The postponement of domestic taxation is commonly referred to as "deferral". The only

tax currently levied on the foreign income of foreign corporations is the foreign corporate tax. Domestic tax is deferred until the resident shareholders receive distributions form the foreign corporation or dispose of their shares. Where the foreign corporate tax is non-existent or insignificant in comparison to the tax which would be charged if the foreign corporation were treated as a domestic corporation, they may be substantial monetary advantages in earning certain forms of income through such foreign corporations’. OCSE (1996). Studies in taxation of foreign source income-Controlled Foreign Companies Legislation. Parigi, Cap. I par. C.

5Per un’ampia trattazione sul differimento d’imposta si rinvia a Avi-Yonah, R. S., Sartori,

N. (2011). US Subpart F Legislative Proposals: A Comparative Perspective. University of Michigan Law & Economics Research Paper. 12:3.

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La prima norma in materia fu introdotta dall’Accumulated Earnings Tax, nel 1921. Fu disposto che gli utili irragionevolmente accumulati in capo alla società venissero tassati in capo agli individui piuttosto che in capo alla società stessa.

Trasferendo utili dagli individui alle società, infatti, si riduceva il carico fiscale, in quanto negli Stati Uniti la tassazione delle persone fisiche è sempre stata più elevata rispetto a quella che colpisce le società. Il principale problema applicativo era riscontrabile nell’onere della prova a carico dell’amministrazione finanziaria, che, per riportare gli utili a tassazione in capo alle persone fisiche, doveva provare l’irragionevolezza della loro allocazione in capo alle società.

Per questo motivo nel 1937 fu emanata la Foreign Personal Holding Companies Rule6. Tale normativa disponeva che gli utili prodotti dalle

foreign personal companies si ritenevano distribuiti ai soci statunitensi sotto forma di dividendi. Ai fini della normativa si ritenevano foreign personal companies quelle società straniere controllate da un massimo di cinque persone fisiche, che producevano più del 60% dei loro utili da passive income7.

6Cfr. Report of the Joint Committee on Tax Evasion and Avoidance, 75th United States

Congress, first Session, 1 (1937).

7‘I passive income sono redditi come quelli di capitale, dividendi, royalties, canoni di

locazione e così via. Si tratta di redditi non generati da una attività operativa’, voce Passive Income, in Le Parole Chiave, Il sole 24 ore, (consultato 21/06/2016). Disponibile da http: //argomenti.ilsole24ore.com/parolechiave/passive-income.html.

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1.2.1 Contesto storico che determinò l’emanazione della

normativa

Per una migliore comprensione dei motivi che portarono all’introduzione della prima normativa in tema di tassazione dei redditi prodotti dalle società controllate estere, appare utile esaminare il contesto storico all’interno del quale essa si affermò.

Il sistema tributario statunitense, nei primi decenni del 1900, era connotato da diversi elementi che rendevano possibile il raggiungimento di benefici fiscali mediante l’utilizzo strumentale di alcuni istituti giuridici.

La diversa imposizione alla quale erano sottoposte le società e le persone fisiche, e l’applicazione del principio della tassazione del reddito mondiale, contribuirono alla creazione di un tessuto normativo che favoriva l’esportazione di redditi in capo a società estere, al fine di differire o evitare l’imposizione. Inoltre, il differente regime applicabile in capo alle società statunitensi e alle società estere rendeva il possibile vantaggio fiscale ancora maggiore.

Tutto ciò veniva amplificato dalla facilità con la quale una persona fisica statunitense poteva costituire una società estera, semplicemente organizzandola sul territorio di un altro stato.

Il trattamento delle società statunitensi come soggetti passivi d’imposta differenti rispetto ai loro soci, trova fondamento nel concetto del corporation veil8, equivalente al principio della personalità giuridica e della conseguente

responsabilità limitata che caratterizzano il diritto delle società italiano.

8Tale principio fu statuito per la prima volta nel caso Salomon v Salomon and Co Ltd

1897 AC22 (HL); cfr. Cheng, T. K. (2011). The Corporate Veil Doctrine Revisited: A Comparative Study of the English and the US Corporate Veil Doctrines. Boston College International and Comparative Law Review. 34:1.

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In ragione di questo principio, fin dal Revenue Act del 1913, i redditi prodotti dalle società vennero tassati direttamente in capo ad esse e non in capo ai soci9.

L’applicazione del principio della tassazione del reddito mondiale, sancita dal medesimo atto legislativo, fece sì, inoltre, che tutti i redditi prodotti dai cittadini statunitensi venissero riportati a tassazione negli Stati Uniti. Ciò però, come anticipato, era possibile soltanto se la società aveva costituito nello stato estero una stabile organizzazione, non considerabile come soggetto passivo d’imposta differente rispetto alla società.

Mediante la costituzione di società controllate, invece, si realizzava la possibilità di differire la tassazione fino al momento dell’effettiva distribuzione dei dividendi. La società estera, infatti, è soggetto passivo d’imposta nel paese di residenza e, per questo, non sottoponibile a tassazione nello stato in cui risiede la controllante.

Il Revenue Act del 1918 specificò che, mentre ai fini della determinazione del reddito delle società residenti vengono considerate tutte le fonti di reddito, per quanto riguarda le società non residenti contribuiscono alla formazione del reddito soltanto gli utili prodotti dall’attività esercitata sul territorio statunitense.

L’atto definì come società non residenti quelle create, ovvero organizzate, fuori dagli Stati Uniti. In tal modo, accanto al principio della tassazione del reddito mondiale, venne sancita l’applicabilità del principio della territorialità. In un simile scenario si svilupparono pratiche volte all’elusione ed

9Si consultino i seguenti casi a conferma di ciò, Eisner v. Macomber, 252 U.S. 189,

213-214 (1920); New Colonial Ice Co. v. Helvering, 292 U.S. 435, 442 (1934); Moline Properties, Inc. v. Commissioner, 319 U.S. 436 (1943).

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all’evasione fiscale, difficilmente sanzionabili con gli strumenti presenti nell’ordinamento.

Accanto alla costituzione di società controllate in stati aventi una pressione fiscale inferiore, si sviluppò in modo considerevole il fenomeno della costituzione di società controllate in paradisi fiscali. Tali società, nella maggior parte dei casi, non svolgevano nessuna attività economica e venivano utilizzate al solo scopo di sottrarre gli utili prodotti da imposizione.

1.2.2 Obiettivi di politica fiscale perseguiti dalla

normativa

Consapevole di tale situazione, il Governo Kennedy nel 1962, primo al mondo, introdusse una Controlled Foreign Companies Legislation10, nota come

Subpart F11. Tale regime rappresenta, ancora oggi, la soluzione più efficace

adottata dall’ordinamento statunitense in tema di tax deferral. La politica fiscale attuata mediante l’emanazione di tali regole è volta al raggiungimento di precisi obiettivi12.

Capital neutrality

Primaria importanza è rivestita dal perseguimento della tax neutrality13,

in base alla quale tutti i redditi prodotti da società controllate da società

10Di seguito CFC.

11Dalla sezione 951 alla sezione 960 dell’Internal Revenue Code, di seguito I.R.C. 12Peroni, R. J., Fleming, J. C. Jr., Shay, S. E. (1999). Getting Serious About Curtailing

Deferral of US Tax on Foreign Source Income. Southern Methodist University Law Review. 52:455; Treasury, U. S. (2000). The Deferral of Income Earned Through US Controlled Foreign Corporations: A Policy Study, Office of Tax Policy.

13Cfr. Revenue Act of 1962, Hearings before the Committee on Finance on H.R. 10650,

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statunitensi, siano esse residenti o meno, devono essere sottoposti alla medesima tassazione.

Le aliquote d’imposta, sulla base delle quali sono tassati gli utili prodotti dalle società, mutano da ordinamento a ordinamento. Per questo motivo devono essere considerate due differenti tipologie di tax neutrality in relazione ai redditi prodotti all’estero dalle società statunitensi14.

In base al concetto di capital export neutrality i redditi prodotti all’estero vengono tassati secondo l’aliquota statunitense, e viene riconosciuto alla società un credito d’imposta per quanto eventualmente pagato all’estero.

In base al concetto di capital import neutrality, invece, il reddito prodotto all’estero dalla società statunitense viene sottoposto a tassazione applicando soltanto l’aliquota straniera, in modo che la pressione fiscale alla quale essa è sottoposta sia la medesima sopportata dalle sue concorrenti estere.

L’amministrazione Kennedy formulò il regime relativo alle società controllate estere basandosi sul concetto della capital export neutrality, in modo che i redditi prodotti all’estero dalle società controllate fossero sottoponibili ad imposizione in maniera analoga a quelli prodotti dalle società statunitensi15.

Lotta all’elusione fiscale

L’amministrazione Kennedy formulò la normativa in modo tale da non ledere la competitività delle società americane. Per questo motivo si decise di

14Il concetto di tax neutrality verrà analizzato in modo puntuale nel paragrafo 1.3.4. 15Per comprendere le ragioni economiche poste alla base di tale scelta Musgrave, P. B.

(1969). United States Taxation of Foreign Investment Income: Issues and Arguments. Law School of Harvard University; Richman, P. B. (1963). Taxation of foreign investment income: an economic analysis. Johns Hopkins Press.

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considerare soltanto i redditi prodotti da società estere controllate localizzate in paradisi fiscali. Questo aspetto pone in evidenza la seconda finalità perseguita dalla CFC Legislation, ossia quella antielusiva.

La normativa ha tra i suoi obiettivi quello di trattare in modo equo le imprese che operavano sul territorio statunitense e quelle localizzate all’estero. La costituzione di una società controllata all’estero può comportare un risparmio d’imposta secondo due differenti ordini di ragioni.

Possono esserci delle società che ottengono un risparmio d’imposta dovuto alla loro scelta di operare degli investimenti, finalizzati al perseguimento di un determinato disegno economico, in paesi aventi una minore pressione fiscale, oppure in paesi nei quali sono presenti delle esenzioni d’imposta, o delle agevolazioni. In questo caso la localizzazione all’estero sembra fondarsi su ragioni economiche, e non su una mera volontà di abbattere la base imponibile nel paese di residenza.

Differente appare, invece, la costituzione di una società controllata in un paradiso fiscale, avente come unico scopo quello del risparmio d’imposta. Ciò, come anticipato, risulta nel vantaggio, per l’azionista controllante statunitense, del differimento d’imposta. Il differimento si ottiene semplicemente mediante la mancata o posticipata distribuzione degli utili da parte della società controllata. Furono proprio tali atteggiamenti ad essere considerati come meritevoli di attenzione nella formulazione della CFC Legislation .

I paradisi fiscali, come ad esempio la Svizzera, venivano sfruttati mediante meccanismi quali accordi sui prezzi interanziendali, trasferimento di diritti su brevetti, trasferimento di spese di gestione, e spese diverse sostenute dalla

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società, in modo da ridurre, o in alcuni casi eliminare completamente, non solo le imposte statunitensi ma anche quelle straniere.

1.2.3 Normativa

Presupposto soggettivo: sussistenza di una società controllata estera La Subpart F definisce le Controlled Foreign Companies come società controllate nelle quali una società o delle persone fisiche statunitensi ( U.S. shareholders) detengono, in modo diretto o indiretto, una partecipazione al diritto di voto maggiore del 50%16.

Con l’espressione U.S. shareholders si indicano i soggetti che detengono, direttamente o indirettamente, non meno del 10% delle azioni aventi diritto di voto della controllata estera.

Tali requisiti devono coesistere ai fini dell’applicabilità della normativa. Dunque un soggetto statunitense deve possedere almeno il 50% delle azioni aventi diritto di voto, e ogni azionista deve possedere almeno il 10% delle azioni aventi diritto di voto. Il secondo requisito fa sì che la normativa sia applicabile soltanto nel caso in cui la società sia controllata da un gruppo di controllo formato da un numero ridotto di azionisti.

Tali requisiti si prestano a facili manipolazioni. Se undici azionisti detengono complessivamente il 100% delle azioni, ma ognuno di essi singolarmente detiene solo il 9%, la normativa non è applicabile. Inoltre se due società detengono rispettivamente il 50% delle azioni aventi diritto di voto la normativa non è ugualmente applicabile. Con una semplice scelta

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organizzativa, dunque, gli azionisti possono escludere l’applicabilità del regime.

Presupposto oggettivo: categorie di redditi considerate

La normativa distingue tre differenti categorie di redditi che, pur essendo prodotti dalla società controllata estera, sono riportabili a tassazione negli Stati Uniti. Si tratta dei redditi provenienti dalla copertura dei rischi (income from insuring U.S. risks), dei redditi prodotti dalla società controllata estera (foreign base company income) e dei redditi derivanti da investimenti in proprietà statunitensi.

Il fatto che la Subpart F consideri le categorie di reddito sottoponibili ad imposizione testimonia la scelta, operata dall’amministrazione Kennedy, in favore del transactional approach, contrapposto al jurisdictional approach. Tali approcci verranno analizzati in modo puntuale in seguito, ma appare utile esporre brevemente, in questa sede, la differenza principale che li connota17.

Il transactional approach permette la tassazione, nel paese in cui risiede la società controllante, soltanto di alcune categorie reddituali, espressamente indicate dalla CFC rule.

Il jurisdictional approach, invece, riporta a tassazione, nel paese in cui risiede la controllante, tutti i redditi prodotti dalla controllata localizzata in determinati stati. Solitamente lo stato che emana la CFC rule pubblica una lista, periodicamente aggiornata, chiamata black list, nella quale vengono elencati tali paesi.

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Nei paragrafi seguenti si analizzeranno le diverse categorie reddituali rilevanti ai fini dell’applicabilità della Subpart F.

a. Income from insuring US risks

Il Congresso decise di considerare i redditi provenienti dalla copertura dei rischi, in quanto essi spesso venivano trasferiti a società controllate estere in modo da evitare la tassazione negli Stati Uniti.

Si comprese, inoltre, che le società assicurative, mediante operazioni che comportavano la riassicurazione delle polizze, o il loro trasferimento, ponevano in atto dei meccanismi volti alla sottrazione dal pagamento delle imposte. Per questo motivo, nel 1959, fu emanato il Life Insurance Company Income Tax Act18, che introdusse la tassazione dell’underwriting income, ossia il reddito

formato dalle entrate generate dai premi sulle polizze assicurative offerte dalle compagnie assicurative, diminuite della liquidazione dei sinistri.

Per indirizzare il problema, il Congresso decise di includere all’interno della categoria anche i redditi prodotti dall’assicurazione o riassicurazione di rischi statunitensi, a condizione che i premi di rischio specifico eccedessero del 5% i premi totali19.

Vennero incluse anche alcune categorie di redditi prodotti da contratti assicurativi incrociati (cross-insurance agreement), in modo da evitare che i contribuenti li stipulassero al solo fine di evitare l’imposta.

Si inserì, inoltre, una definizione speciale di controlled foreign company, che prevedeva una percentuale minima di controllo del 25%, piuttosto che del 50%, al fine di evitare che le società assicurative tentassero di diminuire la quota

18Life Insurance Company Income Tax Act of 1959, Pub. L. No. 86-69, 73 Stat. 112. 19I.R.C. Sections 952(a)(1) and 953.

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di partecipazione nella società controllata, in modo da non soddisfare uno dei parametri applicativi richiesti dalla Subpart F20.

b. Foreign Base Company Income

La seconda tipologia di redditi considerati è quella dei redditi prodotti dalle società controllate estere. Le norme in questione sono finalizzate alla tassazione dei redditi prodotti dalle società estere, localizzate nei paradisi fiscali, create con il mero fine di sottrarsi all’imposizione statunitense.

Tale categoria reddituale può essere, a sua volta, suddivisa in tre sottocategorie: redditi delle foreign personal holding companies; redditi prodotti dalle vendite effettuate dalle società estere (foreign base company sales income); redditi prodotti dall’attività di prestazione di servizi operata dalle società estere (foreign base company services income)21.

Redditi delle foreign personal holding companies

Concorrono alla formazione dei redditi delle foreign personal holding companies i ricavi e le plusvalenze derivanti da dividendi, interessi, rendite, royalties, ricavi sulla vendita di beni destinati ad essere utilizzati in uno stato differente da quello estero nel quale è localizzata la società, e i redditi da investimenti passivi22.

Non si considerano rientranti nella categoria degli investimenti passivi le rendite e le royalties ricevute da un individuo indipendente, e derivate dall’effettivo svolgimento di attività economiche; i dividendi, gli interessi e certe entrate provenienti dall’espletamento di attività bancarie, o derivanti da

20I.R.C. Section 957(b). 21I.R.C. Section 954(a). 22I.R.C. Section 954(c).

(24)

investimenti operati da compagnie assicurative dei premi non acquisiti o delle riserve23.

Non si considerano come redditi della foreign personal holding company i ricavi derivanti da dividendi, rendite e royalties che la CFC riceve da un soggetto collegato, se tali ricavi non sono considerabili come tax haven income24.

La normativa prevede che sono, inoltre, esclusi dalla formazione del reddito della foreign personal holding company i ricavi derivanti da dividendi ed interessi ricevuti da una soggetto connesso, costituito nel rispetto della normativa dello stesso stato estero in cui è localizzata la CFC beneficiaria, se il soggetto connesso ha utilizzato una parte ingente delle proprie risorse in attività situate nel medesimo paese25. Questa eccezione è volta a riservare il

medesimo trattamento ai gruppi consolidati statunitensi e alle società estere organizzate nel medesimo stato.

Sono escluse dalla formazione del reddito anche le rendite e le royalties ricevute da un soggetto connesso come corrispettivo dell’uso di proprietà nel paese nel quale è stata costituita la CFC.

Non concorrono, infine, alla formazione del reddito i pagamenti di interessi operati tra due istituzioni finanziarie connesse, coinvolte in normali operazioni commerciali26.

23I.R.C. Section 954(c)(3).

24Sono considerati tax haven income i ricavi ottenuti avendo beneficiato di due o più

regimi fiscali favorevoli, in modo da abbassare artificiosamente la pressione fiscale.

25I.R.C. Section 954(c)(4)(A). 26I.R.C. Section 954(c)(4)(B).

(25)

Foreign base company sales income

Le previsioni in materia di foreign base company sales income sono state introdotte con la finalità di limitare l’utilizzo dei paradisi fiscali per trasferire utili ricavati dalle vendite operate da società connesse, in modo da ottenere una tassazione inferiore su di essi.

Il Congresso aveva come primo obiettivo quello di regolare la vendita, operata dalle società controllate, di beni prodotti o dalla società controllante statunitense, o da una società americana connessa. Per questo la normativa fa riferimento alle vendite che coinvolgono soggetti connessi, nel caso in cui la produzione e la vendita di beni siano operate da due società soggette a due giurisdizioni fiscali differenti.

Con l’espressione foreign base company sales income si fa riferimento a utili derivanti dall’acquisto di beni da un soggetto connesso e dalla loro successiva vendita ad un qualsiasi soggetto; a utili derivanti dalla vendita di beni a qualsiasi soggetto per mezzo di un soggetto connesso; a utili derivanti dall’acquisto di beni da qualsiasi soggetto e dalla loro successiva vendita a soggetti connessi, o a utili derivanti dall’acquisto di beni da qualsiasi soggetto per mezzo di un soggetto connesso, quando i beni sono prodotti in un paese diverso da quello in cui è stata costituita la CFC, a condizione che essi siano venduti per essere utilizzati all’esterno del paese medesimo27. La normativa

si ritiene applicabile anche nel caso in cui le medesime operazioni siano compiute da un ramo aziendale della CFC28.

La finalità perseguita dal regime dei foreign base company sales income è l’eliminazione del differimento d’imposta, in tutti i casi in cui una controllante,

27I.R.C. Section 954(d)(1). 28I.R.C. Section 954(d)(2).

(26)

localizzata in un paradiso fiscale, sia utilizzata per trasferire parte del reddito della società controllante, o di una società ad essa connessa, in un paese avente una pressione fiscale inferiore.

Foreign base company services income

Con l’espressione foreign base company services income si definiscono i redditi derivanti dalla prestazione di servizi tecnici, manageriali, ingegneristici, architettonici, scientifici, industriali, commerciali o simili, effettuati per, o per mezzo di, un soggetto connesso fuori dallo stato nel quale è stata costituita la CFC.

Il Congresso si preoccupò di tenere separate le attività di produzione e prestazione di servizi, e ciò comportò l’esclusione da tale categoria di redditi di quelli derivanti da servizi direttamente connessi a, e prestati prima della vendita di, beni che sono stati prodotti dalla CFC. Per la medesima ragione furono esclusi i redditi derivanti da servizi direttamente connessi ad un’offera, o all’impegno di vendere tali beni.

Sono sempre esclusi dalla formazione di tale categoria reddituale i dividendi, gli interessi e i profitti netti derivanti da investimenti qualificati in paesi meno sviluppati, nella misura in cui essi siano investi nuovamente in tali paesi29. Al

contrario, gli azionisti statunitensi devono includere nel proprio reddito lordo le quote proporzionali degli importi derivati dagli investimenti in paesi meno sviluppati30.

29I.R.C. Section 954(b)(1). 30I.R.C. Section 954(a)(1)(A)(ii).

(27)

Sono esclusi, inoltre gli importi derivanti dall’uso di qualsiasi aeromobile o nave nel commercio estero31.

Inoltre, la normativa prevede che se il foreign base company services income è inferiore del 30% del reddito lordo della CFC, esso non viene considerato come foreign base company services income.

Infine, se il foreign base company services income eccede del 70% il reddito lordo, tutto il reddito della CFC, al netto delle deduzioni, è considerato foreign base company services income32.

Tali regole non vengono applicate qualora le attività svolte dalla CFC non hanno comportato una sottrazione dall’imposta dello stato di residenza della società controllante.

c. Redditi derivanti da investimenti in proprietà statunitensi

La terza tipologia di redditi è quella derivante dagli investimenti in proprietà statunitensi33. Sono considerate proprietà statunitensi i beni

materiali localizzati negli Stati Uniti, le azioni di una società statunitense, le obbligazioni di un soggetto statunitense, e il diritto di utilizzare negli Stati Uniti un brevetto, un copyright, etc.

Il Congresso ritenne che il rientro di tali somme negli Stati Uniti, mediante il loro l’investimento, fosse sostanzialmente equivalente al pagamento dei dividendi ad azionisti americani.

31I.R.C. Section 954(b)(2). 32I.R.C. Section 954(b)(3).

(28)

Regime applicativo

La normativa richiede all’azionista di includere nel reddito lordo la sua quota proporzionale relativa a tre differenti importi: i redditi della società relativi all’esercizio fiscale; i redditi al netto degli investimenti nei paesi in via di sviluppo, relativi all’esercizio fiscale; l’aumento degli utili della controllata estera investiti in proprietà americane, relativi all’esercizio fiscale34.

Dunque le categorie di redditi sopra individuate, vengono tassate in capo al socio statunitense, come se ci fosse effettivamente stata una divisione degli utili.

Il reddito viene calcolato limitatamente ai ricavi e alle plusvalenze delle CFCs, sottraendo da essi le perdite accumulate sino al 1959, che non erano state diversamente compensate. Nel calcolo degli utili possono essere portate in detrazione anche le perdite appartenenti ad altre società facenti parte della stessa catena di controllo35.

Al fine di prevenire la doppia imposizione, le ripartizioni effettive degli utili non vengono considerate nella determinazione del reddito, a condizione che essi siano stati pagati con utili e profitti attribuibili ad importi che precedentemente erano stati inclusi nel reddito lordo dell’azionista statunitense36.

I redditi prodotti dalla CFC non sono tassabili in capo agli azionisti statunitensi, se la controllata distribuisce una somma minima di utili. Tale somma è calcolata sulla base dell’aliquota d’imposta estera, e tanto questa sarà maggiore quanto sarà minore l’importo degli utili che si richiede di

34I.R.C. Section 951(a)(1)(A) e (B). 35I.R.C. Section 952(d).

(29)

distribuire37.

Il regime disposto dalla Subpart F permette all’azionista americano di ottenere un credito d’imposta analogo al credito d’imposta di cui avrebbe goduto in caso di un’effettiva distribuzione di utili38. Il credito d’imposta

viene concesso agli azionisti che soddisfano determinati parametri legati alla percentuale di azioni possedute. Gli individui, comunque, possono ottenere, in applicazione di tale normativa, un credito d’imposta se decidono di essere tassati in base all’aliquota prevista per la tassazione delle società.

In conclusione, la Subpart F rappresenta un traguardo importante in tema di lotta all’evasione fiscale internazionale e alla pianificazione fiscale aggressiva. Le CFC rules, a partire dagli anni Settanta del 1900, proprio grazie alla loro adozione da parte degli Stati Uniti, possono essere considerate come uno degli strumenti più efficaci al fine del raggiungimento di tali obiettivi.

1.3 Caratteristiche delle CFC legislations

Seguendo il modello statunitense, la maggior parte dei paesi industrializzati decise di introdurre nel proprio ordinamento una CFC legislation. Di fondamentale importanza a tale fine fu il ruolo svolto dall’OCSE che, in un rapporto del 1996, analizzò in modo puntuale il fenomeno ed esortò gli stati all’adozione di una simile normativa39.

Di seguito verranno analizzati gli elementi che astrattamente possono caratterizzare le CFC legislations, in modo da poter meglio apprezzare, nel

37I.R.C. Section 963. 38I.R.C. Section 960.

39OCSE. (1996). Studies in taxation of foreign source income- Controlled Foreign

(30)

capitolo successivo, le scelte operate dal legislatore italiano40.

1.3.1 La pianificazione fiscale aggressiva e il concetto di

paradiso fiscale

Lo scopo perseguito mediante l’introduzione delle CFC rules è costituito dalla lotta della pianificazione fiscale aggressiva operata dalle aziende, così come evidenziato dal Rapporto dell’OCSE che si concentra su tale tema41.

Alcuni paesi, infatti, operano una concorrenza sleale a svantaggio di altri, mediante l’adozione di un regime fiscale particolarmente favorevole. In particolare, i meccanismi ai quali si vuole porre rimedio sono l’erosione della base imponibile nel paese di residenza della società controllante, e il tax deferral. L’OCSE individuò le CFC rules come uno tra gli strumenti più efficaci a tal fine.

Gli elementi che potenzialmente indicano l’esistenza di un paradiso fiscale sono molteplici. Si ha un paradiso fiscale quando la tassazione è nulla o puramente nominale, oppure quando il paese riscuote somme significative dall’imposizione fiscale sui redditi degli individui o delle società, ma il suo sistema fiscale ha delle caratteristiche tali da permettere ai redditi in questione di essere soggetti ad una bassa, o inesistente, pressione fiscale.

Si ha, inoltre, un paradiso fiscale quando il paese riscuote somme significative dall’imposizione fiscale sui redditi degli individui o delle società,

40European Federation of Accountants (2002). FEE Position Paper on Controlled

Foreign Company Legislations in the EU, Disponibile da http://www.fee.be/images/ publications/accounting/Enforcement%20Mechanisms%20in%20Europe153200520952. pdf.

41OCSE (1998). Harmful Tax Competition: an Emerging Global Issue, Parigi. Disponibile

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ma l’aliquota fiscale effettiva generalmente applicabile in tale stato è minore rispetto a quella applicata in un altro paese.

Appare importante sottolineare che attualmente non esiste una definizione condivisa di paradiso fiscale. Al fine di meglio comprendere il significato di tale espressione, può essere operata una distinzione tra due tipologie di paesi. Ci sono stati in grado di finanziare i propri servizi pubblici senza operare nessun prelievo fiscale, o imponendo un’imposta minima sui redditi. Tali stati si offrono come luoghi che permettono ai soggetti non residenti di sottrarsi alla tassazione nel loro stato di residenza.

Altri paesi, invece, pur ottenendo un gettito rilevante dalle imposte dirette, sono connotati da tratti distintivi che si realizzano in una concorrenza fiscale dannosa.

Il rapporto OCSE in materia di concorrenza fiscale dannosa, considera paradisi fiscali soltanto i paesi che appartengono alla prima categoria42. I

soggetti compresi nella seconda categoria, invece, sono considerati come soggetti aventi sistemi fiscali potenzialmente privilegiati.

L’elemento preminente nella classificazione di un paradiso fiscale è, quindi, l’assenza di imposizione, o la presenza di un’imposizione minima. Tale elemento si affianca al fatto che lo stato si proponga, o sia percepito, come un luogo che offre la possibilità di sottrarsi all’imposizione nello stato di residenza (reputation test).

Un altro elemento che indica la presenza di un paradiso fiscale è la difficoltà dei paesi esteri nell’ottenimento di informazioni fiscali, dovuta alla scarsa trasparenza dello stato in questione.

(32)

1.3.2 Definizione delle Controlled Foreign Companies

In generale, le CFC rules individuano come controlled foreign companies soggetti stranieri, quali società o trust, che non sarebbero tassabili secondo il regime fiscale nazionale. In alcuni paesi è prevista la possibilità di riportare a tassazione anche le stabili organizzazioni localizzate in paradisi fiscali. Tale precisazione è rilevante, in quanto, solitamente i redditi da esse prodotti sono considerati esenti dall’imposta sui redditi delle società.

I soggetti direttamente tassati in applicazione della normativa sono gli individui o le società che possiedono azioni in una società localizzata in un paese a regime fiscale privilegiato. Affinché tali soggetti possano essere tassati per i redditi prodotti dalla società estera, tra essi deve sussistere un rapporto di controllo.

Ci sono diversi elementi che rilevano ai fini dell’esistenza di un rapporto di controllo. Un singolo soggetto residente potrebbe, ad esempio, detenere una partecipazione di controllo o una partecipazione qualificata in una società estera. Questa ipotesi comprende anche il caso del controllo congiunto, caratterizzato dalla presenza di un gruppo di azionisti residenti, legato da accordi interni, legami familiari o da altre connessioni, che detiene una partecipazione qualificata o di controllo.

Un altro elemento rilevante può essere quello del controllo nazionale, in base al quale la CFC è controllata da azionisti residenti nello stato che attua la normativa, anche se tra essi non vi sono legami.

Le percentuali di controllo richieste ai fini dell’applicabilità della normativa variano a seconda del paese considerato. Diversi paesi europei adottano il cosiddetto de jure control test, in base al quale il contribuente

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residente è responsabile solo se possiede una partecipazione al diritto di voto e/o una partecipazione al capitale sociale della CFC del 50% minimo o di più del 50%43. In alcuni ordinamenti, tra cui Spagna, Finlandia e Svezia, il

requisito di controllo si ritiene sussistente anche nel caso in cui la CFC sia equamente partecipata da soggetti residenti e non residenti.

Altri paesi utilizzano il cosiddetto de facto control test, in modo autonomo o affiancato al de jure control test, in base al quale la società straniera è considerata come controllata da un contribuente residente nello stato, se vi è tra i due un rapporto di influenza notevole. Tale influenza può sussistere a causa di accordi contrattuali, o in ragione dell’influenza esercitata da un azionista, benché non possieda i requisiti richiesti per l’applicazione della normativa.

In alcuni ordinamenti, ai fini della tassabilità di ogni singolo azionista, è richiesto il possesso di una determinata percentuale del capitale sociale, o di una determinata percentuale di partecipazione al diritto di voto44.

Il controllo può sempre essere diretto o indiretto. Esso può sorgere in ogni momento durante il periodo d’imposta della società controllata estera, o al termine del periodo d’imposta della stessa45.

Deroghe

Tutti paesi prevedono delle circostanze esimenti, in presenza delle quali la normativa non trova attuazione. Si citano di seguito, a titolo esemplificativo,

43In Spagna, Svezia, Finlandia e Regno Unito viene richiesta una partecipazione al diritto

di voto e/o una partecipazione al capitale sociale della CFC del 50% minimo, mentre in Germania e in Italia si richiede una partecipazione superiore al 50%.

44Tale condizione è richiesta dalla normativa francese e, come esposto nel capitolo

precedente, da quella statunitense.

(34)

alcune delle circostanze esimenti ricorrenti nelle legislazioni degli stati europei46.

La prima eccezione trova fondamento sull’effettivo svolgimento, da parte della CFC, di un’attività economica. In ragione di ciò, non vengono sottoposte ad imposizione alcune categorie di redditi prodotti nel paese a regime fiscale agevolato.

Una seconda categoria di eccezioni è connessa alla politica di distribuzione dei dividendi applicata dalla CFC. Si fa riferimento, sotto questo profilo, all’acceptable distribution test. Se una determinata percentuale di dividendi è stata distribuita in un determinato lasso temporale, i redditi prodotti dalla CFC non sono considerati tassabili nello stato di residenza della controllante47.

Un terzo tipo di esimente è connesso alla de minimis rule. Si prevede che il passive income non sia tassabile quando è inferiore al 15% del reddito totale, o al 4% del reddito lordo complessivo del contribuente residente48.

Un altro criterio utilizzato è, inoltre, quello della non tassabilità delle società controllate estere quotate in borsa. Una società, infatti, deve rispettare una serie di requisiti per essere ammessa alla quotazione in borsa e, quando tali requisiti sussistono, sembra irrealistico pensare che la società sia stata costituita al solo fine di eludere l’imposizione.

Infine, alcuni paesi riconoscono un’eccezione in applicazione del motive test, per esempio quando il contribuente residente può dimostrare che la CFC è

46European Federation of Accountants (2002). op. cit., 9 ss.

47Per esempio, nel Regno Unito si stabilisce un’eccezione quando almeno il 90% degli utili

della CFC è stato distribuito agli azionisti in 18 mesi.

(35)

stata costituta in ragione di un preciso disegno economico, e non al solo fine di beneficiare del differimento d’imposta.

Attribuzione e tassazione del reddito prodotto dalle CFCs

Esistono diversi criteri in base ai quali il reddito prodotto dalle CFCs può essere attribuito agli azionisti. Il reddito può essere attribuito all’unico azionista di controllo o al gruppo di azionisti di controllo, agli azionisti qualificati o a tutti gli azionisti residenti.

Il deemed dividend approach si basa sulla presunzione secondo la quale gli utili prodotti dalla società controllata estera vengono considerati come distribuiti in capo ai soci, indipendentemente dalla loro effettiva distribuzione, in modo da contribuire alla formazione della base imponibile nel paese in cui il socio risiede49.

L’utilizzo di un simile approccio potrebbe comportare una doppia imposizione, risolvibile soltanto mediante l’utilizzo dell’istituto del credito d’imposta, o mediante l’esenzione relativa all’imposta già pagata dalla CFC all’estero50.

Il piercing the veil approach, differentemente, si basa sulla presunzione secondo la quale gli utili prodotti dalla società vengono direttamente considerati come prodotti dai soci. In questo caso si va ad incidere sul principio della personalità giuridica autonoma della società, che non viene più considerata come ente a sé stante, ma come una mera somma dei suoi soci.

49Per una critica a tale approccio Avi-Yonah, R. S. (2004). The Deemed Dividend

Problem. Journal of Taxation of Global Transactions. 4:33.

50Lang, M. (2004). CFC legislation, tax treaties and EC law. Kluwer Law International.

(36)

La particolarità consiste nel fatto che soltanto gli utili, e non anche le perdite, vengono imputati in capo ai soci. Le perdite vengono solitamente considerate riportabili, secondo varie regole, dalle società nei periodi di imposta successivi, e, quindi, incidono sulla quota di utili che verrà considerata come prodotta direttamente dai soci. In questo caso la tassazione va dunque ad incidere sui redditi prodotti dalla società controllata estera, e non sui dividendi. La base imponibile viene calcolata nel rispetto delle regole proprie del paese di residenza del socio. Tale metodo considera la CFC come se essa fosse trasparente.

L’increased ability to pay approach si basa, invece, sulla presunzione secondo la quale gli utili prodotti dalla società sono effettivamente a disposizione dei soci ed accrescono, quindi, la loro capacità contributiva.

Alcuni paesi, infine, applicano l’entity approach in base al quale se una società controllata estera è tassabile, e dunque non è ad essa applicabile nessuna circostanza esimente, tutti i suoi redditi sono attribuibili all’azionista residente.

Nell’analisi della determinazione del reddito appare rilevante una breve riflessione sulla ripartizione e sul consolidamento delle perdite.

Alcuni stati stabiliscono che le perdite pregresse, prodotte dalla società controllata estera, possono essere riportate in diminuzione dalla medesima società nei periodi d’imposta successivi.

Altri ordinamenti permettono, invece, che il reddito tassabile della CFC possa essere ridotto in considerazione delle perdite realizzate dal soggetto residente.

(37)

rispettivamente, dalla società residente e dalla CFC, possano essere compensati soltanto qualora le due società abbiano optato per il consolidato.

Nessun paese, comunque, permette la possibilità che le perdite di una CFC siano compensate con i ricavi di un’altra CFC.

Appare utile anche un riferimento alla deducibilità dei costi effettuati o addebitati dalla società controllata estera. Le normative nazionali solitamente non prevedono, per le CFCs residenti nei paradisi fiscali, limitazioni differenti riguardo la deducibilità dei costi.

Per quanto riguarda i costi addebitati dalle CFCs ai contribuenti residenti, alcuni ordinamenti non permettono la deduzione di spese, o altri costi connessi a transazioni tra imprese residenti e società localizzate in un paese a regime fiscale privilegiato51. La deduzione di tali costi è tuttavia

possibile, se il contribuente residente prova che essi sono stati addebitati dalla società in ragione dell’effettivo svolgimento di un’attività economica.

1.3.3 Transactional approach e Jurisdictional approach

Le normative in materia di controlled foreign companies introdotte nel panorama mondiale si basano su due principali approcci, il transactional

(38)

approach e il jurisdictional approach52.

Sulla base del transactional approach il reddito prodotto dalla società controllata estera, tassato in capo al contribuente residente, è determinato sulla base della natura del reddito prodotto.

In particolare, qualora la CFC abbia realizzato determinate tipologie di reddito, considerate in modo presuntivo ad alto rischio, e abbia subito, su tale base, una tassazione non ritenuta congrua dal paese di residenza del soggetto controllante, il contribuente residente sarà ivi assoggettato ad imposizione53. Ogni paese individua delle diverse categorie di reddito che

comportano l’applicabilità del regime.

Tale approccio vuole evitare che i soggetti possano sottrarre all’imposizione nel loro paese i redditi facilmente mobili.

L’applicazione di un approccio transactional puro avviene, invece, prescindendo dall’analisi dell’effettivo carico impositivo che grava sul reddito della controllata, ma è raro che sistemi di tale tipo trovino attuazione.

Sulla base del jurisdictional approach, invece, si definiscono una serie di criteri sulla base dei quali vengono individuati i paesi considerati privilegiati, in ragione dell’aliquota d’imposta da essi applicata, o alla luce di particolari

52Cfr. Dezzani, L., Gazzo, M. (2000). CFC Legislation: luci ed ombre della nuova proposta

legislativa. Prime riflessioni. Il Fisco. 38:1152, "Tale distinzione fra i due approcci sopra menzionati è previsto dal Rapporto OCSE del 1996 Controlled Foreign Company Legislation, Parigi, 1996, pagg. 20 e 47 e seguenti. In particolare, il Rapporto indica che ‘two general methods have been used in the design of such legislation: one concentrates on the nature of the income ( the transactional approach), and the other concentrates on the location of the subsidiary company ( the Jurisdictional approach). Both approaches tend to reach similar results, largely through the exemption of either certain locations with the transactional approach ( hence, the term shopping approach is sometimes used) or the exemption of certain forms of income where the Jurisdictional approach is utilised ( hence, the term exemption approach is sometimes used)’".

53Si pensi, a titolo esemplificativo, alla categoria reddituale del base company income

(39)

misure fiscali da essi previste. Una volta operata tale individuazione, i contribuenti saranno tassati sui redditi prodotti dalla società controllata estera, unicamente in considerazione del beneficio di una legislazione fiscale privilegiata. Si vuole impedire, dunque, che i contribuenti localizzino le loro attività in paesi aventi una pressione fiscale ridotta.

Anche a tale regime sono solitamente apportati dei correttivi. Per esempio, possono prevedersi particolari esenzioni se la CFC, pur essendo localizzata nel paese avente tale regime, svolge effettivamente attività commerciale nel paese di residenza, e la maggior parte del suo reddito non è qualificabile come passive income o come base company income.

Per realizzare l’applicazione di tale approccio possono essere seguiti due metodi differenti. Il primo prevede l’emanazione di una lista di paesi ai quali si applica (black list) o meno (white list) la disciplina. Il secondo metodo, prevede, invece, l’utilizzo di un approccio comparatistico, in base al quale la normativa si applica alle CFCs localizzate in tutti i paesi nei quali è prevista una tassazione inferiore ad uno specifico tasso, determinato in base all’aliquota nominale straniera, all’aliquota effettiva straniera, alle imposte effettivamente versate dalla CFC all’estero, o all’aliquota fiscale ipoteticamente imponibile alla CFC nello stato di residenza.

Negli ordinamenti fiscali più avanzati, sarebbe opportuno l’uso congiunto dei due approcci, in modo che le CFC rules permettano di riportare a tassazione i redditi prodotti delle società controllate localizzate in paradisi fiscali, ma soltanto limitatamente ad alcune categorie di essi espressamente

(40)

indicate54.

Qualunque sia l’approccio adottato, i regimi prevedono, comunque, delle circostanze esimenti. Si vuole evitare, infatti, l’applicazione delle CFC rules qualora la localizzazione non sia determinata dalla finalità di erodere la base imponibile, ma da ragioni economiche.

1.3.4 Capital Neutrality

L’utilizzo della neutralità per valutare le politiche fiscali internazionali è attribuito a Peggy Musgrave55, che si concentrò su due differenti tipologie di

neutralità: capital export neutrality, e capital import neutrality. Successivamente la dottrina introdusse nuovi concetti di neutralità, tra cui la national neutrality, la capital ownership neutrality, e la national ownership neutrality56. Tali approcci sono volti al raggiungimento dell’efficienza

economica, che può analizzarsi o sotto il profilo nazionale, o sotto quello mondiale.

54‘Attenta dottrina, infatti, ha avuto modo di precisare che "Even if a foreign corporation

is established in a designed tax haven, income that it derives from bona fide commercial activities are ordinarily exempt. Although, it is theoretically possible for a designated jurisdiction approach to be used by itself without any exemption for active business income, no country has adopted this approach, and it would be inappropriate for any country that recognizes consideration of capital import neutrality to do so", così Arnold, B. J. (1986). The Taxation of Controlled Foreign Corporations: an International Comparison. Canadian Tax Paper, Canadian Tax Foundation. Toronto, 78:298’, in Mazzetti Di Pietralata, M., Trabucchi, A. (2000). La proposta normativa italiana delle cosiddette controlled foreign companies:prime riflessioni. Fisco. 7:1963.

55Musgrave, P. B. (1969). United States Taxation of Foreign Investment Income: Issues

and Arguments. Law School of Harvard University.

56Richman, P. B. (1963). op. cit.; Stephens, C. N. (1998). Progressive Analysis of

the Efficiences of Capital Import Neutrality. Law and Policy in International Business. 30:159; Shaheen, F. (2007). International Tax Neutrality: Reconsiderations. Virginia Tax Review. 27:203; Weisbach, D. A. (2014). The Use of Neutralities in International Tax Policy. University of Chicago Coase-Sandor. Institute for Law & Economics. Research Paper n. 697.

(41)

Sotto il primo profilo l’efficienza economica viene raggiunta mediante la massimizzazione dei benefici economici e la minimizzazione dei costi.

In relazione al secondo profilo, invece, l’efficienza economica globale si raggiunge mediante la massimizzazione della ricchezza mondiale.

Capital export neutrality

Sulla base della capital export neutrality i residenti di ogni nazione devono essere sottoposti alla medesima pressione fiscale, senza considerare il paese nel quale essi decidono di investire. In questo modo gli investitori scelgono il paese nel quale operare gli investimenti sulla base della realizzazione del maggior reddito al lordo d’imposta57.

L’approccio della capital export neutrality è stato ideato per supportare sia i sistemi fondati sulla residenza del percettore del reddito (residence principle), sia quelli che si basano sulla tassazione alla fonte (source principle).

Lo scopo perseguito è quello di identificare le condizioni nelle quali gli investimenti sono allocati in maniera efficiente, senza considerare, però, i sistemi fiscali. È come se si immaginasse un sistema privo di tassazione. Gli economisti a sostegno di tale approccio ritengono che il tasso di rendimento ante imposta determini l’efficenza o meno dell’investimento58.

Tale impostazione sembra limitativa, in quanto gli investitori, per valutare la convenienza di una data operazione economica, considerano il peso rivestito dall’imposizione e si basano, dunque, sul tasso di rendimento degli investimenti

57Musgrave, P. B. (1969). op. cit.

58Frenkel, J. A., Razin, A., Yuen, C. W. (1996). Fiscal policies and growth in the world

(42)

al netto dell’imposizione59. In ragione di ciò, sarebbe preferibile utilizzare tale

parametro per valutare l’efficienza di un determinato investimento.

Sotto il profilo economico, merita attenzione un altro elemento. Le imposte, solitamente, sono utilizzate dagli stati per la realizzazione di infrastrutture e per la prestazione di servizi aventi pubblica utilità. In applicazione di ciò, l’unico paese che dovrebbe avere autorità fiscale, dovrebbe essere quello nel quale i redditi vengono prodotti.

La società o il singolo contribuente, per la produzione dei loro redditi, sfruttano le infrastrutture e i servizi da esso offerti. In applicazione della capital export neutrality, però, il paese nel quale risiede il soggetto che produce il reddito ha autorità fiscale, e, quindi, la possibilità di finanziare le proprie infrastrutture e i propri servizi mediante la tassazione dei redditi prodotti in uno stato estero. Se si optasse per l’applicazione della capital import neutrality ciò non accadrebbe, in quanto i redditi sarebbero tassabili soltanto nel paese nel quale essi sarebbero prodotti.

Capital ownership neutrality

La capital ownership neutrality si basa, come la capital export neutrality, sull’analisi di un sistema che non tiene in considerazione l’imposizione fiscale. L’efficienza economica si considera raggiunta quando la produttività del capitale dipende da, e varia con, l’identità dei suoi proprietari.

In base a questo approccio, se la produttività dipende da, e varia con, la proprietà del capitale, allora un sistema fiscale efficiente incoraggia il più

59Horst, T. (2007). A Note on the Optimal Taxation of International Investment Income.

(43)

produttivo assetto proprietario del capitale possibile60.

Affinché la national ownership neutrality sia rispettata è necessaria l’armonizzazione dei sistemi fiscali. Tutti i paesi dovrebbero optare in modo congiunto o per la tassazione dei redditi alla fonte, o per la tassazione basata sulla residenza del percettore.

National neutrality e national ownership neutrality

Le teorie della national neutrality e della national ownership neutrality, a differenza di quelle appena esaminate, sono volte alla realizzazione dell’efficienza economica nazionale.

La national neutrality considera la neutralità del sistema fiscale nazionale, al fine di evitare che esso condizioni l’allocazione delle attività economiche all’interno del territorio statale. In base a questa teoria, le imposte pagate all’estero sono considerate come regolari costi derivati dagli investimenti esteri. La national neutrality è soddisfatta quando i redditi prodotti all’estero dai residenti sono soggetti a tassazione anche nello stato di residenza, e viene concessa una deduzione per l’imposta già pagata all’estero.

La national ownership neutrality si basa sull’idea che gli investimenti provenienti dall’estero compensino e sostituiscano, in termini di gettito fiscale nazionale, quelli diretti all’estero61. Tale approccio può essere utilizzato

soltanto se il sistema tributario si basa sul residence principle.

60Desai, M. A., Hines Jr, J. R. (2003). Evaluating international tax reform. National Tax

Journal. 54:487-502.

(44)

Capital import neutrality

La capital import neutrality è un approccio applicabile nei sistemi fiscali fondati sul source principle. Solo il paese nel quale è generato il reddito ha autorità fiscale su tale reddito.

La logica posta alla base di tale approccio è semplice. Se tutti gli investitori in un certo paese sono tassati soltanto da quel paese, indipendentemente dalla loro residenza, la tassazione non avrà nessuna conseguenza sulla concorrenza e sulle opportunità di espansione. Sotto questo profilo, il concetto di neutralità qui considerato è differente rispetto a quello a cui si fa riferimento nelle teorie sopra analizzate, e si avvicina maggiormente al significato di equità fiscale tra investimenti nei diversi paesi.

In applicazione di tale approccio anche i risparmi allocati in un paese ricevono lo stesso rendimento al netto delle imposte, indipendentemente dalla residenza. Se tutti i paesi utilizzassero un sistema basato sul principio della tassazione alla fonte, i tassi di rendimento, al netto dell’imposta, sarebbero bilanciati a livello globale, risultando ciò nell’allocazione efficiente del risparmio mondiale62.

La capital import neutrality può essere esaminata come una teoria della neutralità che si basa sull’analisi di un mondo privo di tassazione. La neutralità deve realizzarsi in relazione all’allocazione degli investitori, assumendo che l’allocazione degli investimenti sia fissa.

62Razin, A., Sadka, E. (1991). International tax competition and gains from tax

harmonization. Economics Letters. 37(1):69-76; cfr. anche Avi-Yonah, R. S. (2000). Globalization, tax competition, and the fiscal crisis of the welfare state. Harvard law review. 113:1573-1676; Graetz, M. J. (2000). The David R. Tillinghast Lecture: Taxing International Income: Inadequate Principles, Outdated Concepts and Unsatisfactory Policies. Tax Law Review. 54:261.

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Dunque, un sistema osserva la capital import neutrality se, rispetto agli investimenti nella giurisdizione fiscale, l’allocazione degli investitori non è condizionata dall’imposizione fiscale.

Sotto questo aspetto la capital import neutrality rappresenta l’inverso della capital export neutrality. La capital export neutrality considera dove il capitale, dalla giurisdizione fiscale, dovrebbe essere esportato. La capital import neutrality, al contrario, considera dove il capitale, investito nella giurisdizione fiscale, dovrebbe essere importato.

Se tutti i paesi adottassero una tassazione che rispetta il principio di tassazione del reddito alla fonte, la capital import neutrality sarebbe soddisfatta, in quanto tutti gli investitori sarebbero sottoposti alla stessa imposizione soltanto nella giurisdizione fiscale, indipendentemente dalla loro residenza.

Considerazioni finali in tema di capital neutrality

Qualunque sia l’approccio utilizzato, si raggiungerebbe l’efficienza globale soltanto se i sistemi fiscali fossero armonizzati.

Michael J. Graetz enunciò tre principi che chiariscono questo punto63.

Secondo il primo principio, i contribuenti dovrebbero essere sottoposti alla medesima imposizione indipendentemente dal paese nel quale i redditi vengono prodotti.

Secondo il secondo principio, tutti gli investimenti dovrebbero subire la medesima pressione fiscale, indipendentemente dalla nazionalità dell’investitore.

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Secondo il terzo principio, gli stati dovrebbero essere liberi di stabilire le proprie aliquote fiscali e di variarle a seconda delle esigenze economiche interne. La difficoltà maggiore comportata dall’attuazione di tali principi è data dalla loro applicabilità simultanea soltanto in caso di tassazione alla medesima aliquota in tutti i paesi. Ancora una volta, dunque, si sottolinea l’importanza dell’armonizzazione dei sistemi tributari.

Quanto analizzato pone in evidenza la connessione tra il modello di neutralità prescelto e la formulazione di un regime di CFC rules.

Un approccio volto alla realizzazione della capital import neutrality, infatti, comporta il mancato interesse, da parte dello stato, alla tassazione dei redditi prodotti all’estero da soggetti residenti o da soggetti a loro connessi. In tali sistemi si opterà per l’adozione di regimi alternativi rispetto alle CFC legislations per contrastare il fenomeno del tax deferral.

Contrariamente, i paesi che perseguono la capital export neutrality optano per la tassazione di tutti i redditi prodotti dai soggetti residenti, senza considerare la localizzazione dei fattori di produzione. In tali sistemi, per evitare il fenomeno della doppia imposizione fiscale, vengono introdotti istituti quali il credito d’imposta o analoghi. Sotto questo profilo le CFC rules possono essere considerate come uno strumento volto al raggiungimento della neutralità, almeno in relazione ai redditi per i quali esse trovano applicazione.

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