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Nelle pagine che seguono si analizzerà come è cambiato il Mecenatismo – oggi definito Neomecenatismo e svolto principalmente dalle imprese - e come risponde il pubblico di oggi all’opera di diffusione dell’arte da parte dei nuovi mecenati.

Per rispondere a questa domanda sono stati analizzati tre casi di donatori privati (un istituto di credito, una fondazione bancaria ed un collezionista privato) che hanno messo a disposizione del pubblico la propria collezione d’arte ed i relativi fruitori.

Le collezioni oggetto della presente ricerca sono state:

1. la collezione del gruppo bancario UniCredit, un’ imponente collezione, tra le più importanti d’Europa;

2. la collezione della Fondazione Carime;

3. la collezione privata dei fratelli Bilotti, oggi donata alla città di Cosenza e che ha permesso la realizzazione del museo MAB (Museo arte contemporanea Bilotti).

Sono state poi analizzati i fruitori delle collezioni ed in particolare i dipendenti di UniCredit (l’istituto di credito organizza molti eventi per la diffusione dell’arte e della cultura tra i propri dipendenti) e i fruitori del museo MAB - la cui particolarità è di essere all’aperto - cioè passanti e commercianti.

Il capitolo che segue rappresenta la parte più originale della presente ricerca in quanto in esso sono raccolte le interviste effettuate ai collezionisti ed ai fruitori.

Nella prima parte vengono illustrate le interviste effettuate a testimoni privilegiati – i due manager e un collezionista di successo – contenute nel

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paragrafo intitolato “Storie di Donatori” in cui sono illustrati, attraverso i racconti degli intervistati, tre diversi approcci al collezionismo in arte.

Nella seconda parte, intitolata “Storie di Fruitori”, sono illustrati i dati risultanti dai questionari somministrati ai dipendenti della banca UniCredit e le interviste effettuate ai passanti durante le giornate di osservazione lungo il Mab di Cosenza.

Nel corso del capitolo verranno dunque sviscerati due diversi punti di vista: da una parte i collezionisti, sia privati che corporate, che scelgono di mettere a disposizione del pubblico la propria collezione d’arte; dall’altra verrà analizzato il punto di vista di coloro i quali beneficiano di tali donazioni e del valore che attribuiscono all’arte.

6.1.1. Il disegno della ricerca

La mia ricerca nasce come studio parallelo di due realtà, quello dei donatori e dei fruitori dell’arte. Per l’analisi sul campo di questi due mondi dell’arte (Becker, 1988) sono state utilizzate diverse tecniche metodologiche ricorrendo sia a quella qualitativa che quantitativa. I sostenitori più agguerriti di una o dell’altra tecnica ritengono che esse non possa coesistere in una unica ricerca, anzi che sono perfino incompatibili. Corbetta (1999) individua tre diverse posizioni in merito:

• La prima afferma che i due approcci sono incompatibili tra di loro, e quindi i rispettivi sostenitori dei due paradigmi dicono che il proprio è corretto mentre l’altro è sbagliato.

• La seconda si ritrova nei neopositivisti, che affermano l’utilità dell’approccio qualitativo, ma solo in una prospettiva preliminare di stimolazione intellettuale (ruolo ancillare).

• La terza posizione infine sostiene la pari dignità dei due metodi, e auspica lo sviluppo di una scienza sociale che, a seconda delle circostanze e delle opportunità, scelga per l’uno o per l’altro approccio.

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La mia ricerca appartiene al terzo approccio in quanto mi sono avvalsa del metodo di analisi qualitativo, di quello quantitativo e dell’indagine osservante. Molti metodi dunque, anziché uno solo: una scelta costosa sia in termini di tempo che di energie investite, tanto nella fase di raccolta quanto nella fase di analisi.

Per le interviste ai donatori ho optato per un approccio di tipo qualitativo in quanto questo metodo valorizza l’aspetto narrativo dell’intervista; le narrazioni “riportano le parole degli intervistati e quindi si pongono come una fotografia dei loro pensieri” (Corbetta, 1999).

Il questionario quantitativo non avrebbe potuto far emergere stati d’animo e sentimenti. Le interviste (specie le ultime due) si sono trasformate in una sorta di “racconto confessionale”, per usare un termine di Van Maanen. Gli intervistati rispondevano alle domande ma si dilungavano nei loro racconti, inserendo piccoli aneddoti della loro vita e della loro esperienza. Seppur con diversa intensità, le tre interviste ai donatori sono state molto coinvolgenti dal punto di vita emotivo.

Per i fruitori invece ho adottato due metodologie diverse.

Ai bankers ho sottoposto un questionario analizzato poi con il metodo quantitativo. Il questionario mi ha permesso di poter avere un campione molto più vasto di intervistati e “misurare” il grado di partecipazione dei dipendenti alle attività culturali ed artistiche promosse dalla propria azienda. Nel caso dei bankers, la domanda che ha guidato la ricerca è stata “Chi sono e quanti sono i bancari che partecipano a questo tipo di attività?”.

L’aver frequentato, nell’agosto 2010 la Scuola estiva sul Metodo e la Ricerca Sociale tenuta dal Prof. Alberto Marradi, mi ha fornito le basi necessarie per stilare correttamente il questionario strutturato e leggere correttamente i dati risultanti.

“Misurare” i fruitori dei Museo all’Aperto di Cosenza è stato molto più difficile proprio per la caratteristica di questo museo che si trova in un luogo

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pubblico, all’aperto. Chiunque si trovi a passare dal corso principale di Cosenza - Corso Mazzini – diventa un fruitore, sia esso attivo o passivo. Questa impossibilità di quantificare il numero dei passanti e soprattutto l’impossibilità di catalogarli (cittadini, stranieri, turisti..) mi ha spinto ad optare per un’altra scelta.

Anzi due.

Inizialmente la mia indagine è stata di carattere osservativo coperto, una scelta resa possibile dal tipo di luogo (pubblico e condiviso) oggetto dell’osservazione.

Ho osservato il corso in diverse ore della giornata e in diversi giorni della settimana. Ho osservato coloro che passavano e come si relazionavano con le sculture, se cioè, vi passavano accanto indifferenti o se mostravano stupore. La fase dell’indagine osservante è stata poi seguita da un approccio con i flaneurs attraverso una breve intervista semi-strutturata. Effettuavo cinque domande e lasciavo che i passanti (scelti tra coloro che mostravano un qualche interesse verso le sculture) raccontassero le loro emozioni.

Questa stessa intervista semi-strutturata è stata rivolta ai commercianti i cui negozi affacciano su Corso Mazzini. La loro è una vera e propria convivenza con il museo. Essi hanno assistito alle varie fasi della realizzazione del museo, dalla chiusura al traffico del corso per trasformarlo ad isola pedonale all’installazione delle sculture. Le sculture si specchiano nelle loro vetrine, sono ormai diventate di casa per i commercianti del luogo. Mi piaceva dunque conoscere le sensazioni dei “coinquilini” delle sculture. Il mio obiettivo è stato quello di verificare se c’è stata integrazione o se, invece, il museo rappresenta per loro una presenza ingombrante. Solo attraverso i loro racconti sarebbero potuti emergere i loro sentimenti.

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