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PARTE SECONDA

3. Norme come strument

Mentre l’efficacia Y tiene conto della conformità alle prescrizioni della norma, l’efficacia X riguarda gli effetti più ampi di essa, visibili —nel caso dell’architet- tura e l’ambiente costruito— nella sua materializzazione formale. Come ha affer- mato Liam Ross39, quando le leggi sono concretamente materializzate nel tessuto

della città, acquisiscono qualità che i loro delegati verbali non esprimono, e di- ventano, in qualche maniera, autonome, portando a risultati che possono essere indifferenti o addirittura controproducenti.

Questi risultati, anche se imprevisti o indesiderati dai nomoteti, sono prevedibili all’interno di un processo progettuale, e in virtù della forma scritta e dei mecca- nismi di misurazione e controllo, possono essere sfruttati consapevolmente per eludere la ratio della norma.

I fenomeni nomotropici riguardano una grande varietà di differenti campi e nor- me, ma il nomotropismo architettonico può riguardare meccanismi formali che il progettista può implementare per sfruttare i parametri sui quali la norma si basa. L’azione del progettista può, in questo esempio, essere orientata dalla norma: ad esempio aumentando o riducendo le dimensioni del patio in base alla convenienza rispetto al progetto (efficacia Y) oppure utilizzando una forma che renda comples- so il calcolo di una distanza esplicita ed univoca. Sotto certe circostanze, il com- portamento del progettista può adattarsi alla formulazione della norma utilizzando una forma che potrebbe però risultare distante dal télos della norma stessa.

Nel terzo set, in comparazione con il secondo, la formulazione verbale è sposta- ta dall’oggetto normato —la parete e le sue caratteristiche— alla individuazione di isomorfismi più ampi. Questa operazione indirizza quindi l’azione progettuale

39 L.Ross 2015 “Law’s potential for transfiguration depends upon its becoming concretely materialised; it [...] accommodate[s] a wide range of competing governmental rationalities and every- day appropriations.” (p.257).

prima di tutto sulla scelta di uno degli isomorfismi concessi, e in secondo luogo sul controllo delle caratteristiche di questi. Questo atteggiamento, rispetto ai pre- cedenti, è maggiormente orientato alla definizione consapevole di oggetti determi- nati in base alle loro caratteristiche formali: in altre parole, l’atto costitutivo sog- giacente a queste tre definizioni è un atto progettuale. In questo senso, i rilievi di efficacia perdono parte della loro forza, identificando nella forma stessa risultante da questo set normativo il loro fine. I nomoteti che hanno elaborato queste norme, più che stabilire degli standard hanno attivamente progettato, attraverso l’utilizzo di soglie, gli spazi interni agli edifici del territorio che essi normano. Il fine delle norme non è qui quindi tanto il loro supposto télos, quanto invece è la creazione stessa di quegli spazi. La normazione qui è intesa dal nomoteta come praxis, ov- vero come attività il cui fine si identifica non l’attività stessa40. Il rilevo che qui si

può quindi muovere alle norme è legato non tanto al precedente rilievo di validità, efficacia e giustizia, proprio delle norme, ma più che altro alla rigidità intrinseca alla normazione, inadatta agli atti progettuali perché mancante della componente di controllo e verifica critica in virtù della sua rigidità.

Questo capitolo costituisce un tentativo nella costruzione di un quadro teorico di riferimento per lo studio dei fenomeni normativi sulla forma architettonica. Esso consta del tentativo di rispondere a due domande.

In primo luogo mostra come le norme possano impedire o promuovere certe forme senza normarle direttamente. In particolare è mostrato come queste regole pos- sano orientare l’azione dei progettisti nella ricerca della massima ‘convenienza’, suggerendo l’uso di forme particolari ed incoraggiando il loro utilizzo e la loro diffusione. Mentre questi meccanismi sono indubbiamente imprevisti ed inaspet- tati dai nomoteti, e i loro effetti possono essere ascritti alla categoria degli effetti inintenzionali delle norme, il lavoro sostiene che la loro influenza è tale che im-

40 Marzot, 2019 “Intendere il progetto come praxis significa, parafrasando la definizione da- tane da Aristotele nell’Etica Nicomachea, intendere l’architettura come attività il cui fine si identifica con l’attività stessa” (p.100).

pedisce lo sviluppo razionale del processo progettuale, e dovrebbe essere quindi ascritta alla categoria degli effetti perversi. Questa influenza, che potenzialmente produce forme come conseguenza diretta, può essere testata e verificata usando strumenti progettuali.

In secondo luogo l’articolo suggerisce che questa influenza occorre non nell’ese- cuzione della ratio della norma, ma piuttosto “alla luce” della sua formulazione, come sottoprodotto. Seguendo il contributo di Chiodelli e Moroni questi effetti sono stati identificati come ‘effetti nomotropici’ collegati alla ‘efficacia X’ della norma. A differenza dei fenomeni associati al nomotropismo descritti nel campo della pianificazione urbanistica da Chiodelli e Moroni, questi fenomeni compaio- no proprio in virtù del rispetto delle norme da parte del progettista.

Noi sosteniamo che questi effetti siano di importanza cruciale nella determinazio- ne dei prodotti formali nei contesti nei quali sono applicati, e che queste regole dovrebbero essere soggette a una più profonda attenzione, dato che la loro portata e la loro forza coercitiva li rendono estremamente importanti nella determinazione della qualità urbana. I regolatori dovrebbero considerare attentamente l’impatto di queste norme sull’ambiente urbano e limitare gli effetti perversi di queste sul processo progettuale.

Un possibile sviluppo di questo lavoro può essere incentrato nella ricerca da un lato di fenomeni nomotropici all’interno delle dinamiche innescate da altri ‘set norma- tivi’ dall’altro nell’investigazione ulteriore della relazione tra l’atto intenzionale del progetto e le norme in termini formali: ogni volta che una norma interviene nel determinare lo sviluppo del processo progettuale, essa impedisce un’impostazione critica nei confronti della forma che è condizione necessaria dello sviluppo del progetto. Essa è lecita, da un punto di vista progettuale, se rispecchia al proprio in- terno, nelle dinamiche con le quali essa è interpretata, quello stesso processo, e lo applica consapevolmente a degli ambiti progettuali. Quanto più questa operazione è pervasiva ed estesa sul territorio, tanto meno i suoi assunti sono validi: per la estrema diversità delle situazioni nelle quali i progettisti operano, per l’imprevedi-

bilità della propria azione sul contesto architettonico, economico e sociale.

L’impatto effettivo di questi fenomeni, si parli di nomotropismo o di generale ‘scollegamento’ tra télos e forma, è estremamente difficile da stimare sulla totalità dell’ambiente costruito interessato dalle norme: eppure accende degli interrogati- vi sulla loro formulazione rispetto agli obiettivi che esse si pongono. L’evidente influenza che queste possono operare sul progetto determinandone la deviazione appare totalmente ingiustificata soprattutto rispetto al loro télos. Questa consi- derazione appare valida anche al netto delle difficoltà a trovarne uno al di fuori di una impostazione in qualche maniera ideologica, orientata, come nel caso del tetto a falde, a favorire una forma rispetto ad un’altra senza dichiararlo. Dovrebbe essere in qualche maniera desiderabile, per il nomoteta, avere edifici costituiti da ‘fette orizzontali’, da logge aperte su due lati o da tetti a falde orditi sul lato lungo? Se ammettiamo che un progetto di architettura non dovrebbe essere dettato dalla convenienza rispetto a specifiche norme, dobbiamo però rilevare che gli architetti, e più in generale i progettisti, fanno parte di un più ampio contesto sociale di cui le norme stesse sono elementi costituenti, e pur avendo storicamente rinunciato41

al coinvolgimento nel ‘progetto delle norme’ come parte dell’azione intrapresa dall’uomo sull’ambiente costruito, queste agiscono comunque sulla pratica del progetto.

Vi è però, come espresso nella prima parte di questo lavoro, un livello nel quale il progetto stesso diventa elemento normativo, a volte ambiguamente, diventando strumento di orientamento per l’elaborazione delle regole, altre volte più diretta- mente, dando luogo a dei veri e propri modelli normativi.

La parte successiva di questo lavoro costituisce una esplorazione del tema basata su tre casi studio, lungo i quali si tenta di ricostruire tre vicende complementari, nelle quali normazione verbale e modello normativo si intersecano, suggerendo la possibilità di un dialogo proficuo che possa produrre da un lato una maggiore

41 Vedi Imrie, 2017 “[...] part of architects’ (historical) abrogation of engagement with regu- lation, to the point of disinterest in broader processes of who or what makes the regulations”.

consapevolezza sulle effettive potenzialità della normazione attraverso il disegno, dall’altro indirizzare l’attenzione su dei fenomeni normativi interessanti per la disciplina, in cui il progetto esprime le potenzialità che normalmente vengono attribuite alle norme.