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Vitruvio e Alberti: le regole

PARTE PRIMA

1. La fondazione dell’architettura: regole e modell

1.1 Vitruvio e Alberti: le regole

Le norme hanno costituito parte fondante dei discorsi architettonici e dell’archi- tettura fin dalla sua origine. Secondo Picon6, “There is no art without rules to

codify its practice [...] Architecture has never been without rules”. Il primo libro esplicitamente inteso a costituire una summa del pensiero architettonico, il De

Architectura, fu scritto da Marco Vitruvio Pollione attorno alla seconda decade del

primo secolo d.C. come una collezione di regole. La natura di queste regole è però estremamente eterogenea, e le regole connotate da delle spie deontiche, vale a dire delle particelle verbali che indicano obblighi o divieti (si deve, è obbligatorio, non si deve etc..) sono in realtà una parte piuttosto esigua. La parte più cospicua delle regole enunciate da Vitruvio non sono è infatti sintatticamente deontica, ma è costituita da enunciati che fanno parte dell’insieme delle regole ‘tecniche’ regole cioè che sono, pongono o presuppongono una condizione relativa ad un obbligo operante cioè a condizione che si stia perseguendo un determinato fine7: le norme 5 V. Liam Ross, Il quale riconosce una regola antitelica nella configurazione degli spazi anteriori alle abitazioni urbane della città di Lagos, anche se (i) non ne enuncia la antitelicità, pur riconoscendola (ii) non si concentra sulle dinamiche che generano l’impatto della norma sulla forma ma piuttosto sul significato che la forma risultante ha nelle dinamiche sociali lagosiane attraverso l’i- dea che il fallimento formale sia il risultato di una ‘convenienza’ politica, riprendendo le ipotesi Scott “Seeing like a state”. V. L.Ross (2015) e J.C.Scott (1998).

6 2004: 8.

7 Parte della topologia delle regole tecniche secondo Azzoni (1991) “le regole sono divise in due insiemi complementari: l’insieme delle regole che o sono, o pongono, o presuppongono una con-

di Vitruvio creano un campo di riferimenti necessari per comprendere la prati- ca della costruzione. Vi sono regole concernenti l’orientamento e la posizione di edifici, le caratteristiche architettoniche e dimensionali delle parti di fabbrica, e l’allocazione e la preparazione delle risorse per la costruzione.

L’estratto (i) è un esempio di questo tipo di regole:

L’architettura si compone di Ordinazione (che in greco si dice Taxis); disposizione (i greci la chiamano Diathesin) d’Euritmia; Simmetria; Decoro e Distribuzione (che i greci chiamano Economia)

Vitruvio (I, II)

Vitruvio, con questa formula, non stabilisce alcun obbligo, ma piuttosto l’esisten- za di criteri che informano la produzione architettonica. Questi sono contempora- neamente descrittivi, nel senso che possono essere utilizzati per descrivere le fasi costruttive di un edificio, e deontici, nel senso che possono essere utilizzati per guidare la costruzione di un edificio8. L’esistenza di questi criteri, che è apparen-

temente affidata a una descrizione, stabilisce degli enti che esistono in virtù della enunciazione che Vitruvio nel fa nel libro: egli ‘crea’ degli oggetti concettuali che definiscono la pratica del costruire: parlare di ‘Euritmia’ ad esempio, in relazione ad un edificio, ha un preciso senso nel discorso vitruviano. Esso intende infatti consistere nella elaborazione di un terreno linguistico comune a tutti gli architet- ti che recepiranno il suo trattato, vincolando il discorso architettonico al criterio espresso. La grande fortuna di cui il trattato ha goduto nei secoli successivi, e in particolare dal rinascimento in poi, lo rende perciò estremamente importante

dizione; e l’insieme delle regole che né sono, né pongono, né presuppongono una condizione.” (p.36) In particolare le regole tecniche sono regole che presuppongono che un comportamento sia condizione del conseguimento di un fine.

8 Su questo punto, il valore alternativamente descrittivo o deontico delle norme v. Azzoni (1991:85).

.—e indubbiamente vincolante, all’interno della ‘ortodossia Vitruviana’— per la disciplina.

Circa quattordici secoli dopo, con intenti e mezzi assai simili, l’architetto italiano Leon Battista Alberti scrive il De Re Aedificatoria. Nonostante il grande lasso di tempo che separa di due tesi, Alberti sceglie ancora una sequenza di regole ver- bali per comunicare la sua conoscenza e le sue idee. Secondo Françoise Choay (1987:17), l’obiettivo degli sforzi dell’Alberti era di stabilire l’autonomia dell’ar- chitettura e del progetto dell’ambiente costruito dalle questioni sociali economi- che e religiose che ne informavano la pratica, non dissimilmente da quello che Vitruvio ha fatto prima di lui. Il libro, attraverso le regole, tenta di indirizzare le azioni, gli scopi e gli strumenti degli architetti futuri. Ancora una volta, anche se una buona parte delle regole in esso presenti hanno una formulazione deontica, e comprendono quindi quelle che possiamo definire spie deontiche (come lex, lice-

re, ratione, providere, statuere, lumen, praecepta, norma, ius, mos, consuetudo and vicinus9), una parte importante di esse, e probabilmente la più cospicua, non è

espressa in maniera deontica.

“[...] tutta l’arte dell’edificare, consiste in sei cose, le quali sono queste, la re- gione, il sito, lo scompartimento, le mura, le coperture ed i vani. Deffiniremole dunque così[...]”

Alberti (I, II)

Nel libro di Alberti, come in quello di Vitruvio, le regole servono lo scopo di defi- nire un dominio, inteso come ‘corpus unitario di conoscenze’, che non era, fino a quel momento e nonostante il precedente testo vitruviano10, inteso come tale. I due

9 v. Saura 2009:7.

10 Su questo punto ritengo di poter aderire all’interpretazione di Choay dell’impatto del testo Vitruviano: “ Il De Architectura non è [...] un trattato instauratore, malgrado la volontà espressa da Vitruvio di rendere autonoma l’edificazione come disciplina unitaria. [...] è un tentativo premonitore ma prematuro, non giunto a segno ma destinato a non potervi giungere in un’epoca che non aveva

testi sono quindi omologhi, sul piano del rapporto con la normatività. È però nota la loro radicale differenza nell’organizzazione e nella strutturazione del testo in rapporto agli argomenti trattati. Il De Re Aedificatoria è infatti strutturato attorno a significati rivestiti dalle classificazioni che egli utilizza, dove il testo Vitruviano le riporta in maniera pressoché aneddotica (Choay 1986:157). Alberti costruisce, asseritamente, una struttura logica coerente a partire dai materiali “grezzi” del testo Vitruviano. La fondazione operata sulle regole verbali ha per Alberti un’im- portanza particolare11, stante la centralità del discorso scritto nella propagazione

del sapere in tutto il medioevo e la difficoltà nella trasmissione delle immagini: le architetture stesse non potevano, in assenza di una abitudine al mezzo immagine, costituire materiale normativo.

Questa caratteristica trova riscontro nelle modalità di svolgimento della prati- ca. Per i costruttori, fino al medioevo, l’imitazione era un atto prevalentemente aniconico (Carpo 1998:52): essa non si basava sulla riproduzione dell’immagine dell’oggetto imitato, piuttosto stabiliva delle relazioni simboliche con esse. Du- rante il medioevo il controllo esercitato dalle gilde sulla costruzione degli edifici condizionava, e in qualche maniera determinava, sia il modo in cui la costruzione era normata sia il modo in cui queste norme erano comunicate. Come nota Car- po (2001:25) il cosiddetto segreto dei maestri massoni (tali erano molti architet- ti anche successivamente alla pubblicazione e diffusione del testo albertiano, ad esempio Palladio) non è un semplice mito romantico. Esso esisteva e in molti casi era stabilito dai regolamenti delle gilde e delle logge. Queste regole, basate sulla pratica costruttiva sono però estremamente legate alla dimensione della pratica, e sono quindi molto distanti dalle regole deontiche di tipo statuale, soggette invece ad obbligo de jure, e non è raro che ragioni di pratica portino alla deviazione dalle

particolari motivazioni per affrontare lo spazio prospettico e lo spazio costruito con la sistematicità e il distacco che quindici secoli dopo consentirono l’emergere del trattato albertiano.” (p.34). 11 Nel senso che secondo Mario Carpo “By 1450, Alberti could easily have printed in Floren- ce a series of bases, capitals, and cornices. But as Alberti himself had occasion to repeat, his treatise had no need of the example of drawings, res ab instituto aliena.”.

regole stesse. In quel contesto tecnologico, la modesta diffusione di libri —o pre- cedentemente Rotuli o Volumenes— era affidata alla copiatura, e mentre le parole possono essere copiate con un rischio di distorsione o errore piuttosto limitato, la replicazione di immagini era soggetta a distorsioni critiche. Era quindi necessario per Vitruvio, e Alberti dopo di lui, convogliare le regole —nella maggior parte dei casi slegate dalla dimensione pratica del costruire ma maggiormente incentrate sui risvolti sociali dell’operare degli architetti— attraverso un estensivo uso della parola, che di contro non era soggetta a queste distorsioni.