• Non ci sono risultati.

3.1 Introduzione

Il disegno di legge che origina l’esperienza INA Casa viene votato il 6 luglio del 1948. Il fine della proposta non è però la costruzione dei nuovi quartieri, ma bensì, come sottolinea l’eloquente titolo —provvedimenti per incrementare l’occupazio- ne operaia, agevolando la costruzione di case per i lavoratori— quello di creare occupazione per le fasce della popolazione con basso livello di istruzione e basso reddito. Pur essendo riportata da generalmente l’idea che il piano avesse questa duplice funzione60 il fine principale del piano è chiaro, così come chiaro è l’oriz-

zonte ideologico di matrice keynesiana. Il piano Fanfani è infatti lo strumento politico che la nuova classe dirigente del paese utilizza per accrescere il consenso, rilanciare l’economia, favorire, attraverso l’intervento dello stato, la costituzione di una classe media. Lontana quindi da un paradigma liberale, la classe politica ita- liana interviene con questo piano sul settore delle costruzioni, scelto, come affer- mato dallo stesso promotore del piano61 per la sua capacità di “fungere da volano

per l’intero sistema economico”.

Questo posizionamento ideologico è rimarcato da Sergio Poretti come apparte- nente ad un orizzonte ideologico di stampo Keynesiano, strettamente connesso ai

60 Nicoloso (2010) ricostruendo la genealogia ideologica del piano Fanfani nel dibattito post-bellico riporta l’idea che il piano abbia la costruzione di alloggi come sua funzione primaria “Rispetto al piano di Bottoni e Puggioni, quello di Fanfani ha un obiettivo in più: si inquadra in un intervento di lotta alla disoccupazione operaia” (p.45) “Promuovere l’occupazione operaia e costru- ire case per i lavoratori sono i due obiettivi dichiarati del piano Fanfani” (p77). Dolcetta (2010) si riferisce all’avvio del piano “in nome dei bisogni primari della popolazione e di un chiaro disegno strategico alle economie nazionali” (p.249) Poretti (2009) afferma che “l’originalità del piano consi- ste nella sua duplice finalità” (p.9) cioè la costruzione delle case e la riduzione della disoccupazione.

Fig. 43 - Schemi di distribuzione urbanistica dei quartie- ri INA-Casa, dal secondo ‘manualetto’.

principi corporativisti che avevano già caratterizzato le politiche economiche del regime fascista.62

È importante sottolineare che questo orientamento ideologico ha due tipi di con- seguenze fondamentali sulla manifestazione fisica del piano e quindi sulla sua architettura. Data l’importanza dell’operazione sull’economia del paese, queste conseguenze caratterizzeranno l’architettura italiana e la segneranno profonda- mente con delle conseguenze ben note in letteratura ma che è importante rimar- care ai fini della comprensione della cosiddetta “strategia normativa”63 costituita

dai manualetti.

La prima di queste conseguenze riguarda l’approccio tecnologico alle costruzioni che il piano ha incentivato. Come rimarcato dallo stesso Poretti64 la necessità di

produrre occupazione nel settore edilizio spinge i promulgatori del piano a stabi- lire una strategia operativa a bassa efficienza e produttività: il paradigma keyne- siano, come interpretato in questa esperienza, implica la necessità di coinvolgere il maggior numero possibile di attori economici per massimizzare l’occupazione. Di conseguenza, data l’importanza del piano, blocca il settore delle costruzioni in uno stato di arretratezza tecnologica che, comparato alla tendenza alla mecca- nizzazione e prefabbricazione, e di conseguenza alla specializzazione che invece caratterizza le esperienze analoghe in ambito europeo, condanna l’Italia a rima- nere ancorata ad una tradizione costruttiva di stampo artigianale, penalizzando la costituzione di grandi gruppi industriali e premiando la piccola impresa e le ma- estranze locali. Tutto corrispondente, ovviamente, alle aspettative dell’estensore della legge.

La seconda conseguenza, è quella, più sottile, di promuovere dei modelli urbani collegati alla dimensione vicinale, rifiutando nettamente la propagazione dei mo- delli elaborati nell’ambito modernista. Vengono quindi sconsigliate e disincenti- vate le morfologie geometricamente “rigide”: la ripetizione a matrice delle unità

62 Poretti (2009:10).

63 Gabellini (2010) I manuali: una strategia normativa.

Fig. 44 - Ludwig Hilbersherimer, New Regional Pattern, p. 136. ‘Settlement Unit’: Unità di vicinato infinitamente repli- cabili, all’interno delle quali le variaizoni formali (disposizio- ne dei blocchi, distanze, orientamento, forma dei blocchi etc..) possano essere assorbite senza comportare una dissoluzione della regola che li genera.

Fig. 45 - Secondo manualetto, vista prospettica delle unità di vicinato inacasa.

abitative, il susseguirsi di stecche parallele, l’high rise, i tessuti a scacchiera, a favore di morfologie miste ed adattate alla topografia e schemi incentrati sull’u- tilizzo di spazi interclusi allo scopo di creare piccole unità di vicinato (Fig. 40). Ciò che dei modelli di stampo modernista viene recuperato è invece il rapporto tra pieno e vuoto —i quartieri sono spesso ispirati all’idea di città giardino di origine anglosassone e ancora di più alle ‘settlement units’ del new regional pattern di Hilbersheimer65 (Fig.41)— e, soprattutto, la distanza tra gli edifici che determina

il ritmo pieni-vuoti che si distingue nettamente dai tessuti storici cui a volte que- ste espansioni, urbane ma periferiche, sono giustapposte. Arnaldo Foschini, che ricoprirà il ruolo di presidente della gestione INA Casa, enuncia che tra le finalità del piano vi sia quella di “raggiungere quell’armonia architettonico-urbanistica che è sempre stata vanto del nostro paese nei secoli scorsi, quando si curavano in sommo grado non soltanto i centri monumentali ma anche i centri più modesti”66.

Queste due cifre caratterizzanti gli aspetti tecnologici e morfologici dei quartieri INA Casa possono ovviamente essere considerate indipendenti. È infatti possi- bile pensare ad una morfologia perfettamente inquadrata nel paradigma dell’e- dilizia modernista e realizzata però da maestranze locali con sistemi costruttivi tradizionali, a bassa specializzazione e a bassa produttività; viceversa è altrettanto concepibile la costruzione di quartieri rispondenti a caratteristiche urbanistiche di aggregazione di unità vicinali e diversificazione tipologica e morfologica descritte ma realizzati con tecniche avanzate —per l’epoca— di prefabbricazione. Tuttavia i due aspetti convergono all’interno del paradigma ideologico nel quale il piano INA Casa si colloca: esso risponde alla necessità di costruire degli alloggi tipolo- gicamente moderni ma inseriti all’interno di un quadro urbano rassicurantemente tradizionale, abitati dagli stessi operai che le hanno costruite con un approccio tra-

65 cfr. Hilberseimer, 1949 in particolare nelle pagg. 135-136 vengono riportati schemi plani- metrici delle ‘settlement units’ che pur avendo una scala decisamente maggiore rispetto alla consisten- za tipica dei quartieri INA-Casa, non può mancare di innescare dei parallelismi nella disposizione, nel rapporto con le strade e con il verde e più in generale nell’impostazione per unità vicinale dei volumi.

dizionale altrettanto rassicurante (Fig. 42). La carica ideologica alla base del piano è soprattutto una necessità politica. È quindi di fondamentale importanza, per i promotori politici del piano, dotarsi di strumenti adeguati ad assicurare che queste premesse vengano rispettate e che sia quindi garantito il successo dell’operazione. Riporta Di Biagi67 che ai concorsi del primo settennio partecipano trecentoquaran-

ta progettisti tra ingegneri ed architetti, per arrivare a coinvolgere un totale di un circa un terzo dei 17000 progettisti attivi durante i due settenni di attuazione del piano. È quindi centrale, in rapporto alle specifiche necessità ideologiche e all’in- terno della cornice istituzionale nel quale il piano viene approvato, l’istituzione di un sistema di riferimento a cui conformare le azioni progettuali per convogliare nel tracciato ideologico desiderato gli sforzi di un così gran numero di progettisti. Questo sistema di riferimento viene elaborato, a più riprese, dall’ufficio Archi- tettura, sotto forma di una serie di libercoli, due per il primo settennio, due per il secondo e uno —successivo, ma analogo ai precedenti per obiettivi e forma editoriale— della “Gestione Case per Lavoratori” del 1964. Questo ufficio è or- ganico alla Gestione INA Casa presieduta da Foschini (Fig. 43), e per i primi tre anni dall’approvazione è diretto da Adalberto Libera —con il coinvolgimento di architetti come Vaccaro, De Renzi e Ridolfi68 come consulenti esterni. Questo non

poteva però occuparsi direttamente della progettazione dei singoli edifici, in parte in virtù della difficoltà di centralizzare un così gran numero di interventi edilizi, ma soprattutto poiché avrebbe contraddetto l’impostazione ideologica —orientata alla massimizzazione e alla dispersione delle possibilità di impiego— che infor- mava tutto il piano fin dal concepimento. Le attività condotte dall’ufficio quindi erano prevalentemente di indirizzo e controllo dei progettisti coinvolti, da cui la necessità di elaborare degli strumenti informativi non esplicitamente normativi tramite i quali indirizzare l’attività progettuale dispersa.

67 ibid.