• Non ci sono risultati.

NOVITÀ SULLA TECNICA DEI PITTORI VENEZIANI DEL RINASCIMENTO

Nel documento collegArti 1/2018 (pagine 59-63)

Incontro con Michel Hochmann Silvia Testino

Il 22 marzo, presso l’Aula Magna di S. Cristina, si è tenuto l’incontro intito- lato “Colorito. Novità sulla tecnica dei pittori veneziani del Rinascimento”, coordinato dalla professoressa Sandra Costa in collaborazione con l’Alliance Française e l’Ambasciata di Francia. Il relatore, Michel Hochmann, è uno storico dell’arte rinascimentale specializzato in storia del collezionismo e nel- lo studio della pittura veneziana del XVI secolo. È stato responsabile per la storia dell’arte all’Académie de France a Roma (Villa Medici) e in seguito ha insegnato Storia dell’arte moderna all’Università di Grenoble. Nel 2000 è di- ventato direttore di studi all’Ècole pratique des hautes études ed è attualmente decano della sezione di Sciences historiques et philologiques dell’EPHE.

Nella sua ricerca, confluita nel volume “Colorito. La technique des peintres vénitiens à la Renaissance” (Turnhout, Brepols, 2015), Michel Hochmann ha trattato sia del rapporto tra disegno e colore nella pittura veneziana che delle modalità sociali e culturali con le quali veniva gestito il commercio dei pigmenti.

Il mito secondo il quale la tecnica dei pittori veneziani era basata sulla stesura diretta del colore senza disegno preparatorio è nato a partire da quan- to Giorgio Vasari aveva scritto ne Le Vite, in cui raccontava che Giorgione dipingeva direttamente senza disegno preparatorio facendo nascere, così, una prima contrapposizione tra l’uso del colore nella scuola veneziana e quello del disegno sviluppatosi nel centro Italia.

Solo negli ultimi decenni, grazie alle più recenti tecnologie informatiche e a strumenti diagnostici quali le riflettografie a infrarosso e le analisi chimiche

Giorgione, I tre filosofi, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

dei dipinti - utilizzati in occasione di mostre, restauri e progetti di studio di grandi musei - sono state possibili nuove scoperte basate su evidenze scientifi- che. Queste indagini hanno ribaltato completamente le vecchie teorie, dimo- strando quanto il disegno sia stato usato dai pittori veneziani del XVI secolo sia per preparare i dipinti sia come mezzo per istruire gli allievi nelle botteghe. Le prime riflettografie di opere di Giorgione, pubblicate nel 1991, hanno creato un certo scalpore in quanto hanno rivelato un disegno ben definito sottostante la pittura. Osservando la spettrografia de I tre filosofi, per esem- pio, si può notare la precisione dei lineamenti del volto dell’uomo al centro della composizione e la presenza di un tratteggio per delinearne i volumi. Un altro esempio è offerto dal paragone di tre dipinti di madonne con bambino

derivanti da un’invenzione di Bellini: la Madonna di Maastricht di Pasqualino Veneto, quella del Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City e quella della National Gallery of Art di Washington. Sovrapponendo con il computer le riflettografie dei disegni di queste tre opere si vede chiaramente che i contorni sono quasi identici, il che porta a pensare che sia stato utilizzato addirittura un cartone. Inoltre la riflettografia del quadro di Maastricht ha rivelato dei pun- tini sul bordo inferiore dell’occhio destro, provando che l’autore si è servito della tecnica dello spolvero.

Anche dalla ricerca d’archivio è emerso che nelle botteghe circolavano dise- gni preparatori o utili alla riproduzione di figure. Nonostante non siano giunti a noi i disegni originali, le prove indirette della loro esistenza, venute alla luce grazie alle ricerche di Michel Hochmann, sono talmente convincenti da far ritenere plausibile che i disegni siano banalmente andati perduti.

Altrettanto interessanti si sono rivelati gli studi sulla composizione dei colo- ri utilizzati dai pittori veneziani, considerata il “segreto” della qualità pittorica di questi artisti. La tradizione critica si è rafforzata durante il XVIII secolo, quando i fabbricanti di colori della città lagunare vendevano i pigmenti con- tribuendo ai risultati ottenuti dagli artisti. Cominciarono così le ricerche sulle ricette usate dai grandi maestri veneti, tanto più che per tutto l’Ottocento vennero pubblicati anche numerosi trattati e manuali su questo tema.

La ricerca di Michel Hochmann si basa parallelamente sugli studi condot- ti grazie alle nuove tecnologie e sulla ricerca d’archivio. La consultazione di documenti storici ha permesso, infatti, di reperire importanti informazioni sull’uso ed il commercio dei pigmenti, mettendo in evidenza come Venezia ne fosse, nel Cinquecento, il più importante centro di produzione ed esporta- zione in tutta Europa. Il loro commercio era, infatti, gestito dai “vendicolori” che costituivano una corporazione come i “battioro” e gli “stagneri” e com- merciavano i propri prodotti in tutto il mondo. Per esempio, oggi sappiamo che il blu oltremare di Venezia, prodotto con il lapislazzuli proveniente dai commerci con l’oriente e quindi molto costoso, veniva spesso sostituito con prodotti più economici come l’azzurrite importata dalla Germania o il vetro polverizzato al cobalto. Quest’ultimo, che arrivava da Murano, era l’azzurro più simile all’oltremare più economico sul mercato, ma con il grave difetto che in un periodo prolungato di tempo si scolorisce tendendo al marrone. Non essendo, però, una reazione immediata, i pittori del tempo non se ne accorsero e continuarono ad utilizzare questo colore creando innumerevoli

dipinti destinati ad un inesorabile deterioramento.

Grazie alle fonti e alle analisi chimiche conosciamo ora la composizione e le caratteristiche originarie di questo e di molti altri pigmenti diffusi a Vene- zia nello stesso periodo, come ad esempio alcuni tipi di smalto e di lacca, il bianco di piombo e l’orpimento – un giallo acceso che dalla fine del quattro- cento diventò la firma cromatica veneziana, incompatibile, però, con diversi pigmenti.

Michel Hochmann ha concluso la propria lectio magistralis dicendo che ci sono ancora molti pigmenti e supporti da studiare, ma già dagli esempi da lui illustrati durante l’incontro emerge il grande potenziale degli studi basa- ti contemporaneamente sulle indagini scientifiche e quelle documentarie e archivistiche. Ed è proprio questo il motivo, secondo lui, per cui gli storici dell’arte ed i restauratori dovrebbero collaborare negli studi con gli scienziati per garantire di conservare al meglio il patrimonio artistico.

Il pubblico, composto non solo da studenti della Laurea Magistrale in Arti Visive, ma anche da docenti e studiosi, ha seguito in modo partecipe e si è dimostrato entusiasta di questo interessantissimo incontro che ha aperto a nuovi spunti di riflessione sia sul fronte della ricerca metodologica che della visione storico artistica.

Nel documento collegArti 1/2018 (pagine 59-63)