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La nozione di oralità si lega, innanzitutto, in maniera indissolubile a quella

di scrittura in senso antitetico118.

Da ciò scaturisce la radicata distinzione tra processo orale e processo scritto: il primo è caratterizzato dall‟assunzione “a viva voce” dell‟apporto conoscitivo dei singoli interessati e dal fatto, quindi, che il giudice percepisce direttamente gli elementi probatori raccolti oralmente in sua presenza, e sugli stessi normalmente fonda anche il suo convincimento; il secondo è, invece, dominato dall‟intenso ricorso al materiale cartaceo e caratterizzato, quindi, dal dato che la convinzione del giudice e la sua decisione si fondano esclusivamente su elementi che risultano da atti scritti, che possono essere compiuti da un giudice diverso da quello che decide.

Se col principio di oralità, allora, c‟è il prevalere della parola come mezzo di espressione, è necessario che ad esso si accompagni un principio di immediatezza, che, insieme al primo, caratterizza e qualifica il processo orale, diversamente dal

processo scritto, dominato dal principio della mediatezza119.

117

F. CORDERO, Ideologie del processo penale, op. cit., p. 218 ss.

118

A. MALINVERNI, Il principio dell‟oralità e pubblicità (dir. proc. pen.), in Enc. giur., XXII, 1991, p.1 ss.

119

46 La contrapposizione tra questi due concetti contrari, processo scritto – processo orale, determina il dosaggio dei rispettivi principi all‟interno di ogni ordinamento positivamente vigente, soprattutto dal punto di vista contenutistico.

Dalla difficoltà di individuare una definizione chiara e univoca del concetto

di oralità discende la plausibile distinzione in due possibili significati120.

Dal punto di vista letterale, la parola oralità alluderebbe semplicemente ad una forma di comunicazione del pensiero, alternativa non solo alla scrittura ma anche agli altri immaginabili modi di manifestazione del pensiero o dei

sentimenti, sebbene con essi non sia necessariamente incompatibile121.

In questa accezione, il principio si considera osservato da ogni manifestazione del pensiero che assuma la forma parlata e, quindi, anche dalla riproduzione sonora di un documento fonico: in tal senso, è difficile riconoscere al criterio in oggetto la validità di un principio rivoluzionario, capace di caratterizzare il sistema processuale che lo adotta.

E‟ diversa, invece, la situazione in cui il concetto di “oralità” si è andato modellando in relazione alla “prova”, in modo specifico in rapporto a quella che consente di affermare, o negare, i fatti rilevanti del processo per mezzo di dichiarazioni: qui l‟oralità, soprattutto se messa in correlazione col contraddittorio, svolge un‟importante funzione maieutica.

La conoscenza umana è caratterizzata dalla soggettività e si realizza mediante i sensi che influiscono, limitatamente, sulle diverse percezioni. Anche il processo di memorizzazione e di rievocazione di ciò che è stato percepito è soggettivo poiché varia in ogni persona la capacità di comunicare le proprie sensazioni. Per la difficoltà di valutare il contenuto mnemonico di un dichiarante, l‟esperienza indica il colloquio orale con chi ha percepito delle sensazioni quale

strumento idoneo ed incisivo per scoprirlo e manifestarlo122.

Esso è l‟unico modo consentito dal nostro ordinamento che, all‟art. 188 c.p.p., vieta espressamente l‟uso di metodi o tecniche idonee ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e valutare i fatti, come la narcoanalisi, il lie detector (macchina della verità) o l‟ipnosi.

120

La distinzione è riportata da I. CALAMANDREI, Oralità, (dir. e proc. pen.), in Enc. giur., XXI, 1999, p.1 ss.

121

In tal senso cfr. P. FERRUA, Oralità nel giudizio e le letture di deposizioni testimoniali, 1981, p. 282.

122

A. MALINVERNI, Vero e falso nella testimonianza, in AA.VV, La testimonianza nel processo penale, 1974, p. 185.

47 Infatti, nell‟esame, il dichiarante contribuisce a formare la prova non soltanto rispondendo alle domande postegli, ma anche offrendo la sua persona all‟osservazione di chi lo interroga, permettendo così, al contempo, la valutazione del contenuto delle risposte e dei limiti della prova formata.

Questo principio, che assume il carattere della “personalità” della prova, non solo della sua oralità, non è contraddetto dalla visione di documenti nel corso dell‟esame, se di ausilio alla ricostruzione dell‟esatto contenuto della memoria del dichiarante, sempre che il documento consultato sia stato redatto da lui personalmente (o sotto il suo controllo), quando comunque il ricordo dei fatti percepiti è ancora recente.

Il termine “oralità”, riferito al processo, quindi, ha una funzione denotativa, perché indica un sistema processuale e non singole forme espressive: in tal senso, si deve fare riferimento non ad una vuota oratoria o ad una mera esercitazione dialogica, ma ad uno specifico modello processuale connotato dal legame e dall‟intersecarsi di tutti i suoi caratteri, che nella formazione della prova raggiunge il suo apice in senso funzionale.

Quindi, si finisce per considerare l‟oralità come un principio comprensivo di tutti gli altri canoni dibattimentali, “che prende nome, per via d‟una sineddoche,

da una delle sue unità elementari123”.

Già agli inizi del secolo sorse l‟esigenza di improntare il processo (civile) al sistema dell‟oralità, integrato da regole e da strumenti di conoscenza dove le parti

agiscono coram e compiono in praesenti le loro attività124.

Si auspicava la realizzazione di un modello processuale costituito da una serie di istituti strettamente correlati tra di loro: in primo luogo, l‟adozione di un metodo di comunicazione di conoscenze fondato sul discorso parlato dove la scrittura non è bandita, ma assolve soltanto ad una funzione di preparazione e documentazione; in secondo luogo, affiancare ad esso vari caratteri non in

funzione accessoria, ma integrativa. Quindi, all‟oralità si aggiunge

l‟immediatezza, come raccolta diretta dei dati di conoscenza dalla viva voce del narrante (la scrittura è considerata lo strumento degli assenti, l‟oralità dei presenti); il contraddittorio, concepito come contestualità del dialogo tra i

123 C.

VOCINO, Oralità nel processo, Dir. proc. civ., in Enc. dir., XXX, 1980, p. 579.

124

48 protagonisti del processo, come “coralità” del messaggio orale nel contesto continuativo di domande e risposte coram partibus; l‟immutabilità dell‟organo giudicante che raccoglie e valuta i dati di conoscenza in una situazione nella quale la formazione del convincimento finalizzato alla decisione avviene in modo progressivo e dialogico; la concentrazione sia delle udienze, sia della decisione (immediatamente dopo la chiusura del dibattimento, senza soluzione di continuità), tale da assicurare la vivacità e la ricchezza della discussione orale

nello svolgimento ininterrotto del procedimento di cognizione per la decisione125.

Da questa esigenza avvertita, sostanzialmente, per il processo civile, è stata considerata la necessità di riconoscere, nell‟ambito del processo penale, all‟oralità la “funzione caratteristicamente strumentale rispetto agli altri principi del dibattimento

perché ne rende possibile o comunque più agevole l‟attuazione126”.

Secondo altri, quest‟ultima impostazione, di tipo strumentalizzante, potrebbe accentuare l‟indubbia natura “servile” del canone di oralità tale da trasformarlo in mero accessorio dei principi a cui accede con la conseguente degradazione da cardine dell‟ordinamento. Per questa ragione, a tutela della “purezza” del principio, è opportuno calcare la mano nella sua funzione di sintesi, la cui operatività è condizionata “alla contemporanea soddisfazione delle esigenze di

immediatezza e concentrazione del processo127”.

Da questa riflessione ne scaturisce un‟altra necessaria: mentre “la discontinuità degli atti, le effimere esplicazioni del contraddittorio, la mutabilità degli organi che presiedono all‟istruzione … finiscono per circoscrivere la portata

125

Cfr. P. CALAMANDREI in G. LOZZI, I principi dell‟oralità e del contraddittorio nel processo penale, in

Riv it. dir. e proc. pen., 1997, p. 669 ss., il quale riprendendo G. Chiovenda, osserva: “oralità significa

dialogo diretto fra l‟organo giudicante e le persone di cui esso deve raccogliere e valutare le dichiarazioni (immediatezza). Questo è dell‟oralità, forse, l‟aspetto processualmente più importante”; “oralità significa identità delle persone fisiche che costituiscono l‟organo giudicante durante la trattazione della causa”; “oralità significa concentrazione della trattazione della causa in un unico periodo (dibattimento), contenuto in una sola udienza o in poche udienze successive”; P. CALAMANDREI, Oralità del processo, in Nov. Dig. it., IX, 1939, p. 178, in cui l‟insigne giurista efficacemente sostiene che il concetto di oralità serve per “esprimere con una formula semplice e rappresentativa un complesso di idee e di caratteri” di cui essa “costituisce la sintesi ed il simbolo”.

126

G. FOSCHINI, in Dibattimento, op. cit., p. 347; in tal senso cfr. G. UBERTIS, Dibattimento (principi

del), op. cit., p. 464-465; A. CRISTIANI, Le letture vietate e libero convincimento del giudice, 1964, p. 645,

dal quale, secondo l‟A., deriva come conseguenza ineluttabile la piena rispondenza del meccanismo delle letture al canone dell‟oralità: esse non sono inquadrabili tra le deroghe al principio, ma ne sostanziano una conferma indiretta, in quanto “la lettura è la forma con la quale taluni atti scritti del processo diventano orali”.

127

In tal senso cfr. M. DEGANELLO, Oralità, in Dig. pen., 1995, p. 16, il quale riprende il portato della riflessione processualcivilistica dovuta a G. Chiovenda e ripresa da P. Calamandrei.

49

dell‟acquisizione “orale” della prova128”, soltanto nel dibattimento è consentito la

piena attuazione dell‟oralità.

A tal punto, sembra opportuno individuare il rapporto fra il principio di

oralità e gli altri principi del dibattimento129.

L‟oralità, dunque, è un aspetto indivisibile del contraddittorio, il quale

appare il fine e la garanzia dell‟oralità130, però la stessa diventa solo momentanea

se non è assicurata una difesa effettiva: nell‟ambito delle prove dichiarative il legame tra questi due valori è più profondo poiché “il diritto a provare” implica che gli interessati abbiano avuto la possibilità di essere attivamente presenti alla formazione della prova. Quindi, a tale scopo, l‟oralità della comunicazione è da considerare rispettata nel momento in cui il dichiarante trasmetta delle proprie percezioni, che di persona manifesta nel corso del colloquio con le parti, di fronte al giudice.

Il “diritto a provare” non può considerarsi esaurito nella conoscenza, pur trasmessa in modo orale, di dati che altri hanno assunto in un‟altra sede.

Allo stesso modo, l‟oralità consente l‟immediatezza, ed il rapporto tra giudice e prova consente l‟attuazione piena dell‟oralità. Nelle prove dichiarative questo legame appare indissolubile, adattando un concetto di immediatezza nel duplice senso di assenza di intermediazione fra il soggetto che rende la dichiarazione e i fatti oggetto di dimostrazione; e fra lo stesso soggetto e colui che deve valutare la dichiarazione, sia esso il giudice, la parte o un terzo

osservatore131.

I due principi non possono, però, essere confusi poiché ci sono delle ipotesi in cui l‟immediatezza si realizza a prescindere totalmente dall‟oralità come in relazione alle prove che consistono in “attività”: ad esempio, in una ispezione il rapporto diretto con i fatti oggetto di prova deriva dall‟osservazione, perciò se essa è compiuta dal giudice, in presenza delle parti e del pubblico, l‟oralità non ha spazio.

Nel caso di atti compiuti nella fase delle indagini preliminari, il materiale probatorio potrebbe affluire in dibattimento tanto in forma orale, che in forma

128

D. SIRACUSANO, Dibattimento, in Enc. giur., X, 1988, p. 10.

129

A. A. DALIA, Le regole normative per lo studio del contraddittorio nel processo penale, 1970, p. 184; I. CALAMANDREI, Oralità, op. cit., p. 1 ss.

130

A. DE MARSICO, Diritto processuale penale, a cura di G. D. PISAPIA, IV, 1966, p. 237.

131

50 documentale: quindi, sia attraverso la testimonianza di colui che ha compiuto l‟atto o ha assistito al suo compimento, sia ricorrendo all‟utilizzo del verbale.

Nella prima ipotesi (testimonianza dell‟agente o spettatore), l‟oralità svolge un importante ruolo, potendo dare buoni risultati la descrizione delle operazioni svolte, fatta dalla “parola” dell‟agente. Queste considerazioni possono essere fatte

in relazione alle “prove documentali dirette132”, nelle quali la realtà è memorizzata

da una macchina senza che vi concorra l‟uomo.

In tale caso, l‟immediatezza si realizza mediante il contatto diretto del giudice, delle parti e del pubblico col documento attraverso il valore che serve meglio allo scopo del caso di specie: ad esempio, il documento visivo (foto, film, cassetta videoregistrata), la cui conoscenza è possibile tramite l‟ispezione, prescindendo totalmente dall‟oralità. In questo quadro, l‟oralità “scade a pura

forma” se il giudice è condizionato dalle scritture nel suo rapporto con la prova133

. L‟oralità consente anche una maggiore funzionalità degli altri criteri che governano il dibattimento e, in esso, la fase dell‟istruzione probatoria: quindi, l‟oralità richiede una tempestiva e sollecita successione degli atti; grazie all‟ascolto coevo di tutti coloro che sono messi nella condizione di sentire la voce, essa consente uno svolgimento concitato dell‟udienza a vantaggio del principio di concentrazione; però, l‟oralità perde la sua funzionalità se la continuità del dibattimento cede di fronte alla prassi della sospensione e dei rinvii.

Allo stesso modo, l‟oralità realizza in maniera più spedita il principio di

pubblicità, sia quella c.d. “esterna134”, prevista per consentire al quivis de populo

di controllare l‟andamento del dibattimento e, in esso, la correttezza dell‟esercizio della funzione giurisdizionale; sia quella c.d. “interna”, in quanto tutti gli interessati al processo, presenti all‟atto, vengono informati della dichiarazione orale.

A screzio di siffatto legame, però, la pratica dell‟automatica rinnovazione dell‟atto istruttorio inaridisce l‟idea di un processo coram populo.

132

F. CARNELUTTI, Documento, in Noviss. Dig., VI, 1960, p. 85 ss.

133

In senso contrario cfr. G. BELLAVISTA – G. TRANCHINA, Lezioni di diritto processuale penale, 1982, p. 406.

134

51 2.5. Oralità nel diritto positivo.

Dal punto di vista ideologico, non può essere negato che la battaglia per ottenere il riconoscimento pieno del valore dell‟oralità abbia provocato delle

esagerazioni e delle mitizzazioni135; questo è accaduto soprattutto nel settore

processualpenalistico, nel quale la drammaticità degli interessi coinvolti rende problematica una soluzione di contrasti.

Questi eccessi si ripetono puntualmente allorché si analizza l‟iter storico delle diverse vicende che individuano un certo avvicendamento del principio di

oralità e l‟opposizione di fondo fra sistema inquisitorio e sistema accusatorio136

. Bisogna sottolineare che “il canone orale si propone costantemente quale epifenomeno rivelatore di una realtà più vasta caratterizzata da una feconda

progettualità politico – sociale137”.

Il fatto di privilegiare un sistema processuale caratterizzato dal “momento

orale” sta a significare l‟esigenza di ripudiare le abusate modalità del passato138

, con l‟intenzione di valorizzare la gestione diretta dell‟affaire ad opera dei soggetti processuali, supportata anche dal compiuto svolgimento della pubblicità del contraddittorio. Questo discorso incontra delle analogie, sia pure in modo parziale, se si guarda al passaggio, nel nostro Paese, dal codice del 1930, con impronta tipicamente inquisitoria, a quello attualmente in vigore, di tipo tendenzialmente accusatorio.

In base a queste considerazioni non si può fare a meno di sostenere l‟indiscutibile ed irrimediabile antinomia fra il modello processuale adottato dal legislatore del ‟30 e la piena adozione del metodo orale.

Il codice Rocco, chiaramente orientato in senso ideologico, si rivela funzionale all'opera di svalutazione del canone dell'oralità. Come già individuato in precedenza, nel vecchio sistema il compito di ricerca delle prove è affidato ad un funzionario operante in segreto, con totale esclusione delle parti da tale

135

P. FERRUA, La testimonianza nell‟evoluzione del processo penale italiano, in Studi sul processo penale,

II, Anamorfosi del processo accusatorio, 1992, p. 87, in cui ci si riferisce alle innegabili esasperazioni

connesse all‟adozione del metodo orale durante il periodo rivoluzionario francese: un esempio di episodio eclatante fu il divieto di verbalizzazione delle deposizioni testimoniali per non pregiudicare il libero convincimento del jury.

136

P. TONINI, Cade la concezione massimalistica del principio di immediatezza, in Riv. it. dir. proc. pen, 1992, p. 1137, in cui, fin dal titolo, si svela un marcato intento polemico.

137

M. DEGANELLO, Oralità, op. cit., p. 17.

138

Ad es., l‟enfasi della rivoluzione in Francia intendeva proporsi come momento di soluzione rispetto al passato di cui l‟Ordonnance Criminelle del 1670 costituiva uno dei capisaldi indiscussi.

52 dinamica; le risultanze ottenute possono concorrere a formare il libero convincimento del giudice dibattimentale, poiché entrano a far parte del suo patrimonio conoscitivo per la risoluzione del binomio condanna - assoluzione.

Il meccanismo per “recuperare” gli elementi raccolti durante la fase istruttoria è minuziosamente disciplinato agli artt. 462 – 466 c.p.p. abr., dedicati alle letture139.

Nel processo, allora vigente, sia l'interpretazione eccessivamente ardita dei limiti di ciò che era consentito da parte di una giurisprudenza troppo

“indulgente140”, nondimeno l‟inequivoca formula dell‟ultimo comma dell‟art. 466

c.p.p. 1930, che permetteva la lettura “di ogni atto o documento non espressamente vietato a norma degli articoli precedenti”, indicavano nel rapporto scrittura-oralità, che alla prima spettasse la qualifica di regola.

Neanche gli interventi legislativi o interpretativi diretti ad attenuare il nucleo originario del codice del „30 sono apparsi idonei a ribattere i presupposti di partenza. Allorquando, sulla scorta delle elaborazioni della Corte costituzionale, si tese a “processualizzare” la fase antecedente il dibattimento, si finì, in modo implicito, per legittimare l'utilizzo di attività assunte in sede istruttoria ai fini del giudizio, sempre che fosse stata soddisfatta la condizione che esse erano state svolte in presenza del difensore. In realtà, però, l'equiparazione atti garantiti - atti utilizzabili, fondata sul paradigma del c.d. “sistema misto”, non produce alcun risultato se non quello di trasformare il giudizio in uno scialbo retaggio di ciò che

è avvenuto prima141.

Il disposto dell‟art. 138 c.p.p. abr. impone all‟esaminando di rispondere oralmente, non concedendogli la possibilità di avvalersi di dichiarazioni scritte in suo aiuto. Questa disposizione ha significato se inserita nel contesto sistematico

139

Per l'analisi del contenuto di tale articolo cfr. C. CASTELLANI, Artt. 462 – 466 c.p.p., in G. CONSO – V. GREVI, Commentario breve al codice di procedura penale, 1987, p. 1224 ss.

140

Ci si riferisce al consolidato indirizzo che consentiva la trasfusione per tabulas nel rapporto di polizia delle sommarie informazioni dei testimoni: quindi, ne derivava la legittimità dell'utilizzazione per il giudizio dei dati così raccolti.

141 Il “sistema misto”, non integra altro che una forma “raffinata” d‟inquisitorietà. È poco significativo

sostenere che il momento delle indagini presenti i caratteri della scrittura e della segretezza e la fase dibattimentale è dominata dall‟oralità e dalla pubblicità, se poi, quest'ultima, si riduce ad un vacuo controllo circa la correttezza di quanto compiuto anteriormente.

53 del modello di riferimento: dunque, essa deve essere intesa come traduzione

normativa dell'accoglimento del concetto “debole” di oralità142

.

La realizzazione completa del canone dell'oralità nel suo senso “forte”, non può prescindere da un‟attenta analisi delle dinamiche che intercorrono

necessariamente fra la fase procedimentale e la fase dibattimentale143.

Questo assioma di partenza si può ritenere realizzato soltanto nel momento in cui si sostiene, sia pure in via tendenziale, l‟impermeabilità del dibattimento rispetto quanto avvenuto fuori di esso, e soprattutto del materiale raccolto ante iudicium.

Nel corpo normativo del codice del 1988 si cerca di soddisfare quest'esigenza appena evidenziata, pur in assenza di una disposizione equiparabile all‟art. 138 del vecchio codice: l'assenza di qualsiasi norma avente una ratio simile a quella dell'articolo abrogato porta a legittimare a contrario una “ampia” recezione del canone dell'oralità.

Dalla legge – delega n. 81/1987, agli artt. 1 e 2, n. 2 (dove è richiesta, appunto, “l'adozione del metodo orale”, per il disposto del comma 1 in cui è prevista l'attuazione “nel processo penale” dei “caratteri del sistema accusatorio”, di cui il metodo orale è un principio regolatore), insieme alla valutazione sistematica delle linee portanti del nuovo codice, si ricava che il “processo pienamente orale” è “quello retto dalla regola per cui il giudice deve fondare la

decisione soltanto sulla base delle risultanze probatorie direttamente percepite144”.

Quindi, dalla lettura contestuale del 1° comma e del n. 2 dell‟art. 2, scaturisce uno stretto legame tra modello processuale prescelto e i modi predisposti alla sua realizzazione: questo filo conduttore assume i caratteri della concretezza in diverse disposizioni del codice.

Nell‟art. 514, comma 1, c.p.p., dal quale deriva la c.d. “tassatività” delle

letture145, si capovolge rapporto regola - eccezione fra oralità e scrittura (“l‟art.

466, comma 3, c.p.p. abr., stabiliva che era permessa la lettura di ogni atto o

142Per l‟aggettivazione cfr. M. CHIAVARIO, La riforma del processo penale. Appunti su un nuovo codice,

1990, p. 32.

143

Per M. DEGANELLO, Oralità, op. cit., p. 16, secondo cui questa affermazione ha un equilibrio fragile: “l'inversa proporzionalità fra l'estensione delle garanzie difensive agli atti effettuati nella fase procedimentale e il pieno realizzassi del metodo orale. Le opposte spinte centrifughe e centripete determinano la stabilità del sistema”.

144

M. CHIAVARIO, op. ult. cit., p. 32 ss.