MISURE DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ E
3.2 NOZIONI E MISURAZIONI DELLA POVERTÀ
Negli ultimi anni sono cresciute nettamente le attenzioni per il fenomeno povertà, la sua diffusione, gli interventi per attenuarla e contenerla. Tuttavia, sebbene sia chiara a tutti la natura del fenomeno, non è affatto univoco il modo di considerarla, definirla, misurarla ed utilizzarla per analisi di approfondimento.
Preliminarmente è utile approfondire la natura stessa del fenomeno povertà. Se pure si sia tutti d’accordo sulla carenza di mezzi che la caratterizza e sul fatto che sia logico ed utile riferirsi a nuclei familiari di conviventi che condividono risorse e consumi, si può distinguere tra le due grandi categorie di povertà assoluta e rela-tiva.
La prima è forse più intuitiva, riferendosi ad una generale incapacità di assicurarsi il consumo di un insieme di beni e servizi – per sé e per la propria famiglia - ritenuti sufficienti per condurre una vita economicamente modesta, ma capace di garantire bisogni essenziali (ad es. alimentazione, dimora, igiene, salute e altro, a livelli base).
In realtà questa definizione nasconde in sé qualcosa che richiama comunque una certa relatività. Ciò che è considerato essenziale in un determinato periodo ed in un certo paese, può non esserlo in contesti di benessere economico decisamente diversi.
Il fulcro del concetto di povertà assoluta, dunque, può essere individuato in un in-sieme di bisogni materiali (beni e servizi) in un dato periodo pluriennale che un nu-cleo è o non è in grado di sostenere.
Per la povertà relativa, invece, il concetto rilevante è quello di “emarginazione”: il mondo che ci circonda, con il quale siamo in concreta relazione, vive mediamente sulla base di un certo grado di sviluppo e tenore di vita. Il benessere di un nucleo è dato anche dalla possibilità di relazionarsi agli altri che lo circondano nel proprio ambiente di vita, per cui un eccesso di distanza dal tenore di vita altrui è di per sé generatore di povertà relativa.
Se ad esempio l’ambiente di riferimento è abituato a fruire di servizi di ristorazione (pizzeria, trattoria) almeno una volta a settimana, relazionandosi in quell’occasione con amici e conoscenti, il non avere la possibilità di partecipare, per carenze di red-dito, emargina un certo nucleo dal suo mondo e lo rende, in senso relativo, “po-vero”.
Un importante sottoinsieme di entrambe le definizioni, in fase di crescente rilievo, è quello dei “lavoratori poveri” (working poors) che, come dice la definizione stessa, è costituito da poveri (variamente definiti) che percepiscono un reddito da lavoro. Contrariamente all’idea che qualsiasi lavoro – ed il conseguente reddito – elimini il rischio di povertà, negli ultimi anni, con l’accentuarsi di precarizzazione e concor-renza da paesi emergenti a più basso reddito da lavoro, è cresciuto il numero e la quota di percettori di bassi redditi che non riescono ad assicurare a sé stessi ed al proprio nucleo la fuoriuscita dalla condizione di povertà.
Un elemento di valutazione per la definizione di povertà è anche il patrimonio pos-seduto, in aggiunta o addirittura in sostituzione di definizioni fondate su reddito o spesa. In primo luogo, il reddito da patrimonio è spesso, ma non sempre, preso in considerazione insieme alle altre fattispecie per pervenire ad un reddito onnicom-prensivo del nucleo. In secondo luogo, ed in casi più rari, può essere richiesto che il patrimonio, derivante dall’accumulo di reddito risparmiato in passato, da eventi ereditari o da altro ancora, sia utilizzato dai nuclei familiari fino ad esaurimento prima di poter essere classificati in condizione di povertà. Più in generale, sebbene questa componente della situazione economica di un nucleo non sia presa quasi mai in considerazione come requisito a sé stante per la classificazione di povero, c’è generale consenso sull’influenza del possesso di patrimonio sul reddito e sulla spesa fruibili, e per questa via sulla condizione di povertà.
2 Franzini et al. (2020) richiamano i molteplici criteri di definizione concettuale di povertà e la distinzione con la più generale disuguaglianza.
3 Si veda D’Alessio (2019) per una valutazione ed una misura di questa particolare accezione.
4 Per una recente disamina delle misure di povertà fondate sul reddito o sulla spesa si veda Cutillo et al. (2020).
Un altro elemento di rilievo nella definizione concettuale di povertà è l’arco tem-porale nel quale si è poveri: si potrebbe considerare un nucleo davvero povero se la condizione di bisogno permane per un periodo sufficientemente lungo, e non sia solo la conseguenza di eventi brevi ed occasionali2 . Da questo punto di vista, l’os-servazione del consumo darebbe maggiori indicazioni rispetto al reddito, proprio per la sua correlazione con il “reddito permanente”, una valutazione più o meno conscia che considera non solo le disponibilità reddituali di oggi, ma anche quelle future.
Infine, un utile concetto di povertà è quello “soggettivo”, cioè la percezione di essere in condizioni di bisogno, con rilevanza dei fattori che si associano a tale condizione e l’eventuale differenza con le nozioni “oggettive”. In un recente studio3 la perce-zione di povertà in Italia è risultata correlata maggiormente al basso reddito, più che alla spesa, specie se accompagnato da carenza di patrimonio.
Misure della povertà
Definito il quadro concettuale attraverso il quale si definisce la condizione di po-vertà, resta da osservare l’ampio spettro di misure attraverso le quali si classificano i poveri. Tutte hanno in comune l’utilizzo di “soglie”, variamente definite, al di sotto delle quali i nuclei (e dunque tutti i loro componenti) sono definiti poveri4.
Una distinzione che è utile considerare, specie per le valutazioni indirettamente collegate alla povertà o alla disuguaglianza prevalenti in Italia, è tra le condizioni di carenza in termini di flusso, come il reddito o la spesa di un nucleo per unità di tempo, o di stock, come il possesso di patrimonio immobiliare o finanziario ad un certo tempo. Ci si può interrogare cioè non solo su quale sia la capacità di un pos-sesso patrimoniale di generare un flusso di reddito o di spesa, in definitiva di sod-disfacimento di bisogni correnti, ma anche - in un’estrema visione – come potrebbe essere utilizzato per coprire (una tantum o comunque a termine) eventuali carenze reddituali ricorrenti – in un arco di tempo necessariamente circoscritto. In questo senso, come in effetti avviene in Italia attraverso l’ISEE o come requisito per l’accesso al reddito di cittadinanza, il possesso di patrimonio potrebbe essere un fattore di esclusione in sé dalla classificazione di povero.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, tale possesso viene computato come genera-tore di quote di reddito e di spesa familiari, in questo senso utilizzati per classificare la condizione di povertà di un nucleo.
Partendo da misure internazionali della povertà, un’impostazione “assoluta” della stessa è quella della Banca Mondiale, la quale da ottobre 2017, pur aumentando i precedenti livelli soglia unici per paese, li ha fissati per tutti i paesi a due nuove “linee di povertà”, collegate a una diversa intensità, pari a 1.168 o a 2.008 dollari di reddito annuo in termini di “parità di potere di acquisto”. Si tratta di soglie estremamente basse, che stridono con quelle pure “assolute” (in quanto fondate su bisogni essen-ziali nel senso esposto di seguito) utilizzate da singoli paesi sviluppati e risultanti come un multiplo di queste.
Una rilevante misurazione di povertà è quella OCSE, che si fonda sul reddito equi-valente mediano per pervenire a due soglie di povertà:
La linea di povertà relativa in ciascun anno è quella pari ad una quota del reddito 1
disponibile equivalente mediano di quell’anno, variando dunque non solo per paese, ma anche per ciascun periodo considerato; tale quota è compresa tra il 50% ed il 60%, a seconda delle preferenze e circostanze.
La linea di povertà assoluta, invece, è il 50% del reddito equivalente mediano di 2
un anno passato, adattato negli anni solo per tener conto della variazione dell’indice dei prezzi al consumo, cioè per considerare la soglia a prezzi costanti. Periodicamente, l’anno base di riferimento viene aggiornato, cosicché si ritrova la citata tendenza degli indicatori di povertà assoluta ad essere comunque “re-lativi” ad una certa epoca.
Questo meccanismo di identificazione della povertà assoluta e relativa porta a soglie decisamente più elevate e multiple di quelle di povertà estrema identificate dalla Banca Mondiale (che per le sue funzioni deve adottare misurazioni valide per tutti i paesi del mondo, dai poverissimi ai più ricchi, a differenza dell’OCSE). Per il 2017 l’OCSE stima con questo metodo per l’Italia un tasso di povertà relativa al 13,9% della popolazione.
Anche l’Eurostat (2020) per definire i soggetti “a rischio di povertà” (relativa) sceglie una soglia fondata sul reddito disponibile equivalente mediano, con parità di potere di acquisto per tener conto del diverso livello dei prezzi nei vari paesi. La soglia è fissata al 60% di tale reddito. Nel 2018 per l’Italia era stimato un tasso di rischio di povertà relativa pari al 20,3% della popolazione, contro una media per l’UE a 27 Stati pari al 16,8%.
In Italia l’Istat, per calcolare la diffusione della povertà assoluta e relativa, utilizza in-vece i dati di spesa per consumi, ricavati dalla sua specifica indagine annua sulle fa-miglie.
La soglia per la povertà assoluta è la spesa minima necessaria per acquisire i beni e servizi “essenziali” identificati da uno specifico paniere. Tale soglia varia, per costru-zione, in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ri-partizione geografica e alla dimensione del comune di residenza, in relazione ai diversi prezzi osservati. Sulla base delle scelte di spesa dei diversi consumatori, delle citate caratteristiche di differenziazione dei prezzi e soprattutto del paniere di bi-sogni considerati essenziali, le soglie di povertà assoluta in Italia sono piuttosto ele-vate, non di rado analoghe a quelle di povertà relativa: si va da circa 500 euro mensili di un anziano solo in un piccolo comune del mezzogiorno fino ad oltre 2.000 euro mensili (24mila euro annui!) per nuclei numerosi in un’area metropolitana del nord. La soglia di povertà relativa invece per una famiglia di due componenti è calcolata come pari alla spesa media per persona in Italia (ovvero alla spesa pro-capite otte-nuta dividendo la spesa totale per consumi delle famiglie per il numero totale dei componenti). Per famiglie di ampiezza diversa il valore della soglia si ottiene appli-cando un’opportuna scala di equivalenza, che tiene conto delle economie di scala intrafamiliari all’aumentare del numero di componenti. La linea di povertà relativa per un nucleo di riferimento (“benchmark”) costituito da due persone è risultata per l’Italia quasi costante nel 2018 e 2019 e pari a circa 1.100 euro mensili a prezzi correnti.
Una volta identificate le linee di povertà, sono di norma calcolati due indicatori, ri-spettivamente di frequenza o di intensità del fenomeno povertà. L’incidenza della povertà si ottiene dal rapporto tra il numero di famiglie (oppure persone) con spesa media mensile per consumi pari o al di sotto della soglia di povertà e il totale delle famiglie (o persone) residenti. L’intensità della povertà, invece, misura di quanto in percentuale la spesa media delle famiglie definite povere sia al di sotto della soglia di povertà.
A conclusione di questa disamina sull’estrema variabilità di concetti e misurazioni della povertà, si mostrano nelle due tavole che seguono le principali quantificazioni riportate dall’Istat per l’Italia nella sua ultima relazione (2020), per gli anni 2018 e 2019 e, separatamente, per la povertà assoluta e relativa.
Tavola 3.1 Indicatori di povertà assoluta. Stime in migliaia di unità e valori percentuali
Anni 2018 - 2019 Italia 2018 2019 Valori assoluti Famiglie povere 1.822 1.674 Famiglie residenti 25.926 25.995 Persone povere 5.040 4.593 Persone residenti 60.092 59.941
Incidenza della povertà (%)
Famiglie 7,0% 6,4%
Persone 8,4% 7,7%
Intensità della povertà (%)
Famiglie 19,4% 20,3%
* Fonte Istat 2020. Le soglie sono state ricalcolate dal 2014
Tavola 3.2 Indicatori di povertà relativa. Stime in migliaia di unità e valori percentuali
Anni 2018 - 2019 * Fonte Istat 2020. Italia 2018 2019 Valori assoluti Famiglie povere 3.050 2.971 Famiglie residenti 25.926 25.995 Persone povere 8.987 8.834 Persone residenti 60.092 59.941
Incidenza della povertà (%)
Famiglie 11,8% 11,4%
Persone 15,0% 14,7%
Intensità della povertà (%)
5 Qualora il più giovane dei componenti compia il sessantasettesimo anno d’età in corso di godimento, è prevista la trasformazione da RdC in PdC.
3.3 IL REDDITO DI CITTADINANZA: DESCRIZIONE DELLA POLITICA E