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PER UNA NUOVA GEOGRAFIA ARTISTICA DELLA PITTURA FIORENTINA NEL REGNO DI CASTIGLIA: IL CANTIERE DELLA

“CATEDRAL VIEJA” DI SALAMANCA (1438-1447)

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3.1

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Il grande retablo di Salamanca, un unicum nel panorama artistico iberico del XV secolo e opera insuperata per complessità tecnica, figurativa e compositiva, costituisce uno snodo fondamentale per comprendere le articolate vicende degli scambi artistici tra Italia e Spagna a cavallo tra tardo Medioevo e Rinascimento, e la reale portata dell’attività dei fratelli Delli all’interno della penisola iberica, oggi purtroppo compromessa dalla perdita quasi totale delle loro opere.

Il complesso decorativo della cappella maggiore, intitolata alla Vergine Maria, risponde ad un unico progetto iconografico-figurativo comprendente il grande retablo con Storie della vita della Vergine e di Cristo, l’affresco del catino absidale con il Giudizio Finale e le pitture con scene di battaglia lungo le pareti laterali dello spazio liturgico, oggi in larga parte perdute (fig. 1).

In passato si è tentato di riconoscere il committente dell’intero ciclo nel vescovo salamantino Diego de Anaya, (1357-1437)1, grande umanista scelto come precettore dei figli del re di Castiglia Giovanni I e

come membro del consiglio reale, che fu vescovo di Salamanca dal 1392 al 1408, dove scelse di essere sepolto all’interno del pantheon di famiglia acquistato dal capitolo e posto in una cappella del chiostro della cattedrale vecchia, e dal 1418 fino al 1437, anno della sua morte, in carica come arcivescovo di Siviglia2.

In realtà, come già ipotizzato da Gómez Moreno e dimostrato in ultimo da Panera Cuevas, il committente dell’intero ciclo, anche per questioni essenzialmente cronologiche, va riconosciuto nel vescovo salamantino don Sancho Lopez de Castilla, membro della famiglia Trastámara, cugino di Giovanni II, esponente di spicco del consiglio reale e attivo nel ruolo di ambasciatore del re presso la corona d’Aragona3. Don Sancho fu in carica come vescovo di Salamanca in maniera continuativa dal

1422 fino alla sua morte avvenuta nell’ottobre del 1446.

La decorazione della cappella maggiore trova un sicuro termine post quem nel 1438, anno in cui sono registrate le prime elargizioni al capitolo da parte del vescovo, effettuate attraverso la vendita di alcuni possedimenti e con l’intento di promuovere il culto della Vergine all’interno dello spazio della cappella

1 La proposta è stata avanzata da Barbara Borngässer: Borngässer 1987; Vedere anche Silva Maroto 2004 2González de Ávila, 1606, pp. 319-339; Ruiz de Vergara 1661; Goñi Gaztambide 1972, ad vocem.

La testi che il committente del ciclo decorativo della cappella maggiore della cattedrale sia stato il vescovo Diego de Anaya è stata inizialmente sostenuta in: Borngässer 1987, pp. 237-290; in seguito anche in Condorelli 1991, pp. 143-144.

maggiore, dove fu disposto che tutti i sabati si celebrasse una solenne messa cantata alla presenza di tutto il capitolo4. Qui don Sancho acquisì il diritto di essere sepolto alla sua morte e di trasformare

quello spazio liturgico nel suo sacello personale impegnandosi, da li in avanti, a promuoverne la decorazione attraverso tre diversi cicli pittorici rispondenti ad un progetto iconografico univoco5.

Il grande retablo fu il primo di questi ad essere avviato, verosimilmente a poca distanza da quel 1438, risultando già concluso nel dicembre del 1445, quando l’atto di allogazione del Giudizio Finale a Niccolò Delli ricorda come il grandioso complesso figurativo fosse stato da poco messo in opera6.

Il retablo dalla fine del XIX secolo, quando iniziarono a delinearsi i primi importanti studi di Gómez Moreno, non ha mai trovato, né una definita cronologia, né una paternità certificata dai documenti custoditi nell’archivio della cattedrale di Salamanca, molto scarni per quel frangente cronologico, tuttavia ha mantenuto nel corso dei decenni un unanime riferimento attributivo a Dello Delli - artista di cui le fonti celebravano una fiorente e longeva attività in Spagna, sebbene non supportata da opere pittoriche certe - o a Niccolò Delli, la cui mano risulta effettivamente riconoscibile, oltre che nel Giudizio Finale a lui riferibile sulla base dei documenti, anche nelle ultime scene del retablo.

3.1.1-L

A VICENDA CRITICA

La vicenda critica legata al retablo della cattedrale vecchia di Salamanca ha inizio con la pubblicazione da parte di Falcón (1868) di un documento datato 14 dicembre 1445 nel quale il capitolo commissionava al pittore “Nicolao Florentino” la decorazione a fresco del catino absidale con il Giudizio Universale7. Le notizie riportare da Vasari nella biografia dedicata al fiorentino Dello Delli in

merito ad una sua feconda esperienza lavorativa in Spagna, integrate con le notizie fornite sul pittore da Ceán Bermudez nel Diccíonario (1800)8, spinsero lo studioso iberico Gómez Moreno ad identificare il

“Nicolao” di Salamanca - cui aveva nel frattempo collegato un altro documento che lo attestava nel 1466 a Cantalapiedra9 - con Dello Delli, credendo che quest’ultimo, noto anche con il patronimico

4 Tale circostanza è certificata da due documenti datati 4 dicembre 1437 e 15 luglio 1438, conservati presso l’Archivio della cattedrale di Salamanca: Panera Cuevas 2000a, pp. 386-387; APPENDICE DOCUMENTARIA doc. n. 16.

5 L’impegno di Don Sancho nella decorazione della cappella maggiore è ricordato per la prima volta in: González de Ávila,

1606, pp. 358-366.

6 vedi nota successiva.

7 Falcón 1868, p. 80; APPENDICE DOCUMENTARIA doc. n. 20. 8 Bermudez 1800, p. 11.

9 Lo studioso aveva nel frattempo rintracciato il documento di cui parleremo nel capitolo dedicato all’attività di Sansone ad Ávila (cap. 4.3), in cui “Nicolao florentyn pintor” abitante a Cantalapiedra, nel 1466 prendeva a bottega un giovane apprendista: Gómez Moreno 1928, p. 14; Panera Cuevas 2000a, p. 237 (trascritto con numerose inesattezze). In ultimo in: Sans Fuentes 2014, pp. 83-84, n .133; APPENDICE DOCUMENTARIA doc. n. 21.

Dello di Niccolò Delli attestato dalle ricerche di Gaetano Milanesi,10 avesse iniziato a farsi conoscere

nella penisola iberica con il nome del padre11.

Tale ipotesi raccolse l’unanime favore della critica fino alle scoperte di Adele Condorelli (1968) che, riportando alla luce la composizione del nucleo famigliare dei Delli descritto nelle portate catastali fiorentine, ha definitivamente riconosciuto al fianco di Dello e di Sansone la presenza di un terzo fratello pittore di nome Niccolò, da identificare quindi con l’artista citato nel contratto salamantino del 144512.

Uno degli elementi che da subito ha messo d’accordo la critica, prima ancora della rivelazioni sulla famiglia Delli, è stata la convinzione di poter scorgere nel complesso delle cinquantatre tavole del retablo la mano e la forma mentis di un artista italiano formatosi nel multiforme contesto della pittura fiorentina ad apertura del XV secolo, attratto dalle emergenti tendenze umanistiche, ma anche indissolubilmente ancorato alle ornate eleganze ed effusioni della cultura tardogotica lombardo-veneta e al contempo fiorentino-senese.

Questo risultò evidente già nei primi contributi sul complesso salamantino di Gómez Moreno che riconobbe in varie scene del retablo i più svariati riferimenti alle opere di Beato Angelico (scena dell’ Annunciazione, 3a), una spiccata predisposizione verso ampie aperture paesistiche, per una narrazione episodica fatta di scene affollate e minuziosamente descrittive, che dimostravano la fascinazione dell’autore verso l’arte di Masolino, Gentile da Fabriano e Pisanello tra il secondo e terzo decennio del secolo13. Al contempo colpivano le argute ambientazioni prospettiche che evocavano le novità

brunelleschiane e il gusto per i riferimenti all’architettura classica; elementi che convinsero lo studioso a riconoscere, sulla base di un percorso biografico ben documentato tra Firenze, Siena e Venezia, la mano dell’artista fiorentino Dello Delli, celebrato da Vasari per la lunga attività nei territori iberici. Sulla stessa linea si pose anche Emile Bertaux (1908) il quale, oltre alla cultura puramente fiorentina delle tavole, riconosceva un intervento essenzialmente spagnolo nella fattura della preziosa carpenteria lignea che incornicia il grande complesso14.

Più articolata l’analisi di Carlo Gamba (1927) che individuava in larga parte delle cinquantatre storie la compresenza di un fondamento essenzialmente fiorentino, “temperato d’influenza umbro- lombarda” e di caratteri veneziani in modo particolare nelle architetture, uniti aelementi fisionomici e d’abbigliamento di cultura borgognona15. Nella scena dello Sposalizio della Vergine (2a) in particolare

10 Vasari [1568], ed. 1878-1885, II 1878, pp. 147-153.

11 Il primo contributo sul retablo di Salamanca fu realizzato dallo studioso in occasione del Catálogo Monumental de Salamanca, dove furono pubblicate anche le prime fotografie del complesso pittorico: Gómez Moreno [1905]1966, pp. 97-112. Questo fu seguito da un secondo contributo monografico uscito qualche anno dopo e in seguito confluito nel celebre articolo sulla rivista Archivo Español de Arte y Arqueologia: Gómez Moreno 1905, II, pp. 131-138; Id. 1928, pp. 5-16.

12 Condorelli 1968. Le vicende critiche legate alle iniziali, problematiche identificative su Dello e gli scambi di personalità con il fratello ad esso collegati sono ripercorse in maniera puntuale in: Panera Cuevas 2000a, pp. 31-39.

13 Gómez Moreno 1928, pp. 5-16. 14 E. Bertaux, in Michel 1908, p. 757. 15 Gamba 1927-1928, pp. 219-225.

Gamba sottolineava la netta ascendenza veneziana delle balconate dalla merlatura orientale, tracciate con una prospettiva ancora empirica, non determinata, riscontrabile nei dipinti dei primitivi di area veneta tra Gentile da Fabriano e Jacopo Bellini. Secondo lo studioso i riscontri più prossimi si potevano rintracciare nella Crocifissione del Museo d’Arte della città di Ravenna - opera attribuita alla mano di Antonio Vivarini tra il 1440 e il 1445 - e le tavolette con storie del Martirio e della vita di Sant’Apollonia (fig. 18-21), originariamente parte di un dossale d’altare dedicato alla santa oggi smembrato e parzialmente perduto, in passato attribuite ad Antonio Vivarini, ma oggi restituite alla mano del cognato pittore Giovanni d’Alemagna16.

Anche Giuseppe Fiocco, ritornando sulle questioni del retablo in due momenti a distanza di anni (1927 e 1966), si allineava con Gamba nel riconoscere la mano di Dello nelle prime scene del retablo salamantino in cui forti apparivano gli echi veneziani di Gentile da Fabriano e Pisanello, ma anche la lezione prospettica dei maestri fiorentini. Anche in questo caso era lo Sposalizio ad attirare le attenzioni dello studioso, per lo sfondo alla veneziana evocante i taccuini di disegni di Jacopo Bellini e per i puntuali riscontri che quelle scene recavano, ancora una volta, con le storie di Sant’Apollonia; un confronto per Fiocco così stringente da assegnare la paternità anche di quelle tavolette allo stesso Dello Delli17.

Un’ampia trattazione sulle scene del retablo, analizzate e confrontate una ad una con il repertorio figurativo italiano coevo, compare nel corposo lavoro di Chandler Rathfon Post dedicato alla History of Spanish Painting (1930) in cui le osservazioni della critica precedente venivano sostanzialmente confermate con analoghi riferimenti alla pittura di Pisanello, Jacopo Bellini, Masolino da Panicale, Gentile da Fabriano, Beato Angelico, confermando per l’artista una cultura composita, di elementi veneziani e fiorentini18.

Le più strette consonanze con l’ambiente fiorentino furono puntualizzate per la prima volta da Mario Salmi (1934-1935), il quale fece notare le strette affinità con alcuni lacerti di affreschi in terra verde da lui attribuiti a Dello Delli, che in origine facevano parte di un ciclo murale con Storie di Cristo e che prima della loro dispersione nel corso della Seconda Guerra Mondiale, si conservavano nel convento fiorentino di Santa Maria Novella (figg. 2-4). I confronti stringenti tra le scene affrescate e le tavolette salamantine costituivano per lo studioso la prova del coinvolgimento di Dello anche in altre scene del retablo rispetto a quelle indicate da Gamba e Fiocco, in particolare in quella con la Samaritana al pozzo (4c; fig. 5), effettivamente affine nei particolari fisionomici, nel panneggiare ampio e nella morfologia

16 Le tavolette oggi sono divise tra l’Accademia Carrara di Bergamo, il Museo Civico di Bassano del Grappa e la National Gallery di Washington: Ibidem. Per le tavolette di Bergamo si rimanda ad una recente scheda redatta in occasione della mostra sui Vivarini: G. Valagussa, in I Vivarini 2016, pp. 133-134, n. 5. Sulla tavoletta di Washington: Boskovits 2003, pp. 315-323. Sulla tavoletta di Bassano del Grappa: Ericani 2008, pp. 143-145.

17 Il primo intervento di Fiocco è contenuto nella sua monografia L’Arte di Andrea Mantegna: Fiocco 1927. In maniera più puntuale lo studioso tornò sull’argomento in occasione di un contributo dedicato direttamente alla figura di Dello Delli: Fiocco 1966, pp. 345-346.

delle mani dalle dita tozze e meccaniche, alla figura della Vergine di Santa Maria Novella19. I lacerti

fiorentini, oggi dispersi, mettevano in stretto rapporto Dello alla figura di Paolo Uccello, per via di un coinvolgimento del primo al fianco del secondo, celebrato da Vasari, nelle Storie della Genesi e dell’Antico Testamento nel chiostro verde di San Maria Novella, ma anche in relazione alle pitture murali della cappella dell’Assunta nella cattedrale di Prato che Salmi riteneva strettamente imparentate con le scene di Salamanca per via delle somiglianze tra alcuni Profeti della predella del retablo, in particolare Samuele, analogo, nell’espressione accigliata a stupefatta, ad uno dei personaggi raffigurati nella Disputa di Santo Stefano della cattedrale pratese.

Sulla linea di Salmi, propenso quindi ad estendere l’intervento riconoscibile del più anziano dei fratelli Delli a numerose altre scene, Adele Condorelli (1991) incrementava il corpus salamantino di Dello con la Purificazione della Vergine (9a), la Visitazione (4a), l’Adorazione dei Magi (8a), la Circoncisione (7a), l’Assunzione della Vergine (10e), l’Annunciazione (3a), storie tra loro anche molto diverse stilisticamente e culturalmente che andavano a complicare la prima, selettiva distinzione delle varie mani intervenute nel retablo di Salamanca ponderata, solo pochi anni prima, da Barbara Borngässer, la quale per la prima volta aveva suggerito la presenza nel cantiere di una strutturata e complessa bottega guidata da più personalità italiane affiancate da artisti di cultura locale20 (tav. I).

Si deve infatti alla studiosa tedesca il primo importante contributo mirato a ricostruire in maniera analitica la vicenda ideativa delle scene del retablo e il funzionamento di una poliedrica e multiforme bottega del primo Rinascimento italiano in Spagna. All’interno del grande cantiere la presenza di Dello veniva nettamente ridimensionata e privata del ruolo prominente a lui assegnato sin dai più antichi contributi. Il ruolo del maestro fiorentino andava fondendosi in maniera quasi irriconoscibile all’interno di una schiera di artisti solo apparentemente di cultura spagnola, costituita invece da quattro maestri di cultura italiana, affiancati da due aiutanti di cultura iberica e di capacità inferiore. Il primo maestro, riconoscibile nelle scene della Vita della Vergine del primo e del secondo registro (Natività, Sposalizio, Annunciazione, Visitazione; 1-4a), venne identificato con un pittore veneto in grado di assimilare pienamente la lezione dei maestri del primo Rinascimento fiorentino, senese e veneziano, per via delle strettissime affinità con le opere della bottega di Antonio Vivarini; il secondo, fu riconosciuto come l’autore della maggior parte delle tavole del complesso figurativo, ed in particolare di quelle della zona centrale con Storie della vita pubblica di Cristo. Tale artista, la cui pittura si caratterizza per le tendenze fortemente tardo-gotiche, per l’adesione alla cultura di Paolo Uccello anche se rielaborata in moduli architettonici, compositivi ed espressivi più sommari, poteva forse essere identificato con Dello Delli, sebbene i confronti con le opere di scultura realizzate dall’artista nel cantiere di Santa Maria Nuova a Firenze e l’assenza di sue testimonianze pittoriche lasciassero questa interessante ipotesi avvolta da un certo alone di incertezza.

19 Salmi 1934-1935, pp. 180-186.

L’attività del terzo maestro veniva circoscritta esclusivamente al terzo e al quarto registro, sintomo quindi di un coinvolgimento nel cantiere in un momento più avanzato; secondo Borngässer, tale mano rispondeva al profilo di una personalità stilisticamente indipendente rispetto alle altre, con un ruolo di deuteragonista nelle fasi più tarde al fianco di un quarto maestro, che per la studiosa corrispondeva a Niccolò Delli, il più aggiornato dei quattro sulle novità della pittura fiorentina degli anni trenta e coerente con le pitture murali del catino absidale a lui ascritte con certezza per via documentaria. Sarebbero invece da riconoscere in pittori spagnoli le ultime due deboli personalità coinvolte, riconoscibili solo in tre scene dell’ultimo registro, qualitativamente inferiori rispetto alle tavole precedenti21.

Questa tipologia di approccio fu riproposta in due occasioni a distanza di qualche anno da Francisco Panera Cuevas (1995; 2000), il quale fornì una revisione e una nuova lettura dei vari interventi nella decorazione absidale della cattedrale, grazie anche ai risultati emersi in occasione del restauro del retablo nel 1999 e da alcune fonti documentarie fornitegli dallo studioso salamantino Antonio Casaseca ma non riportate nel testo, che confermavano il coinvolgimento anche di Sansone in alcune scende del complesso22.

Anche Panera Cuevas riconosceva nelle cinquantatre scene la mano varie personalità: tre di prim’ordine, cui si devono le parti principali del complesso all’inizio e alla fine, affiancate da due o forse tre collaboratori che offrirono un apporto complementare e frazionato all’esecuzione delle tavole (tav. II). Lo studioso proponeva di reintegrare Dello Delli quale personalità dominante all’interno di quel cantiere, a cui spetterebbero la progettazione ed il disegno generale dell’opera, poi gradualmente affidata a Niccolò e a Sansone, come potremmo desumere anche dalla duplice presunta firma che entrambi i fratelli minori di Dello apposero a due delle cinquantatre scene salamantine (Orazione nell’Orto; Guarigione dell’Emorroissa).

Lo studioso proponeva di riconoscere la mano di Dello nelle prime scene del primo e del secondo registro (1-5a/b), non specificate con precisione, forse le stesse che Borngässer aveva raccolto attorno al corpus del “pittore veneto”23. Da queste emergerebbe la mano di un maestro specializzato in scene

di piccolo formato, con spiccato gusto italianizzante, in grado di amalgamare frutti di diverse esperienze, fiorentine, senesi e veneziane.

Al secondo maestro, in grado di padroneggiare una narrazione di respiro monumentale, figure di prestanza volumetrica e cognizione spaziale collocate all’interno di scenografie rarefatte ma ben calibrate, lo studioso riferiva invece gli ultimi cinque pannelli collocati nella fascia superiore del retablo (7-11e) e l’affresco del Giudizio Universale del catino absidale. Questa seconda personalità era quindi da

21 Ibidem.

22 Panera Cuevas 1995; Id. 2000a; Id. 2000b; quest’ultimo con una larga parte dedicata ai risultati del restauro del 1999. Il documento cui faceva riferimento Panera Cuevas potrebbe indentificarsi in quello recentemente menzionato in un volume dedicato al patrimonio archivistico della cattedrale di Salamanca, in cui in data 19 aprile 1445 esiste effettivamente un pagamento di 14.000 mila maravedíes (la cifra per gli affreschi absidali era di 75.000) corrisposto dal capitolo a Sansone Delli, in vece di Niccolò, per alcuni lavori eseguiti a ridosso della messa in opera del retablo: Vicente Baz 2008, p.338, n. 895. 23 Borngässer 1987, pp. 237-290.

riconoscere in Niccolò Delli intervenuto, secondo lo studioso, anche nella progettazione e nel disegno generale del complesso figurativo al fianco del fratello maggiore in virtù dell’iscrizione “NICHOLAS FECCIT” (fig. 6) emersa in occasione del restauro sulla bordura della tunica di Cristo nella scena della Orazione nell’Orto (5d). Panera Cuevas considerava tale firma il marchio distintivo apposto dal pittore fiorentino Niccolò Delli quale segno del suo probabile intervento anche in fase progettuale di parte del grande complesso pittorico24.

In questa particolare situazione rimane difficile spiegare la motivazione che spinse Niccolò a firmare, di tutte le storie a lui riferibili, per giunta estremamente coerenti da un punto di vista culturale, stilistico e qualitativo con gli affreschi del Giudizio, l’unica tavola in cui in realtà molto netta sembra apparire una linea di demarcazione tra il linguaggio prettamente italiano emerso bel retablo salamantino e quello aperto fortemente agli influssi della miniatura d’oltralpe e dell’illustrazione libraria emergente proprio nella scena dell’Orazione (5d), che sembrerebbe invece far coppia, quale frutto di un intervento univoco di un diverso ed isolato maestro, con la Trasfigurazione (7c)25.

Una seconda iscrizione, “SANPISONE” (fig. 7), apposta sulla bordura della tunica di un Apostolo nella scena della Guarigione dell’Emorroissa (6c), spingeva infine lo studioso a riconoscere un ulteriore personalità all’interno del cantiere, non identificabile con alcuno degli artisti attivi in quegli anni in Castiglia, che in occasione di questo studio proporrò di riconoscere in Sansone Delli26. La mano del

terzo dei fratelli Delli, Sansone, era invece riconoscibile, secondo lo studioso, già nelle fasi preliminari del retablo, nella fascia superiore della tavola con la Natività (6a), in particolare nelle figure dei pastori che evidenziano, così come altri vari personaggi dai volti grotteschi nelle scene della Vita pubblica di Cristo, consonanze stilistiche con i personaggi della predella della Pala della Ermita de San Segundo ad