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Struttura del retablo a coppie di tavole verticali secondo l’ipotesi di Panera Cuevas sulla base del restauro del

3.1.3-Q

UESTIONI APERTE

Non potendo disporre di ulteriori, approfondite verifiche sull’effettiva struttura del retablo dobbiamo considerare valida questa tipologia di assemblaggio e di conseguenza analizzare come tale processo influì sul modus operandi della bottega e degli artisti coinvolti - costretti a lavorare simultaneamente su coppie di scene verticali - e le possibili ripercussioni sulla scansione temporale del lavoro, verosimilmente avviato e portato avanti seguendo il seguente schema: 1° Fase (corpo 1, in simultanea registri A-B), 2° Fase (corpo 2, in simultanea registri C-D), 3° Fase (registro E) (tavola III).

Considerando il consueto modus operandi di una bottega di pittura, tale ripartizione in coppie di scene verticali induce, ad una prima analisi, ad immaginare che ognuna di esse sia stata necessariamente eseguita in bottega da un’équipe di artisti attivi sotto la guida di uno stesso maestro. Se così fosse sarebbe si comprensibile riscontrare nelle varie coppie di scene interferenze o scarti stilistici imputabili all’intervento di mani differenti ma inglobate in un complesso compositivo uniforme, come accade ad esempio nei primi due scomparti (1a-1b; 2a-2b), dove all’esteso intervento di Dello Delli e ad un coerente disegno generale si affiancano combine di mani tra loro affini.

In realtà, in numerosi altri casi, come ad esempio nella coppia del corpo superiore (3d-3c), tra le due scene emergono non solo differenze stilistiche evidenti, ma anche una totale difformità compositiva e narrativa tra le storie, ad indicare la compresenza di due distinti schemi progettuali, spiegabile solamente ammettendo l’intervento su quella coppia scene di due maestri o due botteghe, anche in momenti diversi.

Per questo motivo non dobbiamo escludere un’altra affascinante ipotesi legata alla peculiare tipologia strutturale del retablo salamantino, ovvero che il complesso, nella sua unicità dimensionale e nella sua complessità compositiva, sia stato concepito quale perfetta fusione tra il genere del polittico a scomparti narrativi, rispondente al gusto della committenza ecclesiastica castigliana, e la tradizione italiana della grande superficie murale dipinta a fresco. Questo suggerirebbe una nuova lettura del metodo di messa in opera del retablo, la cui struttura potrebbe essere stata assemblata e fissata preliminarmente alle pareti dell’abside, così che le varie maestranze avrebbero potuto lavorare secondo il consueto modus operandi adottato nei grandi dipinti murali, con l’impiego di impalcature che consentivano anche a nuclei diversi di artisti di lavorare simultaneamente sullo spazio orizzontale dei vari registri, non dovendo così necessariamente seguire un andamento esecutivo legato a coppie di scene verticali.

Il sistema dell’esecuzione in loco, oltre a ridurre le difficoltà di trasporto delle tavole, esposte al rischio, date le dimensioni, di movimenti di flessione, che avrebbero comportato irreparabili danni alla superfice pittorica, avrebbe garantito anche un migliore coordinamento dell’impresa e della spartizione del lavoro, dal disegno generale delle scene, all’intervento di personalità secondarie, incaricate di interventi accessori come la realizzazione delle architetture, del repertorio vegetale (dove

spicca la mano di un raffinato miniatore), o nella pittura degli sfondi paesistici che appare, salvo rari casi, molto omogenea ed uniforme.

Siamo di fronte effettivamente ad un complesso figurativo che spicca - favorito dalla considerevole distanza di osservazione - per una straordinaria uniformità conferitagli dalle cromie uniformemente sgargianti e dall’omogeneità dell’impaginato architettonico e paesistico che da lontano permette la lettura delle storie tutta d’un fiato.

Ad un’analisi ravvicinata - come ci hanno ormai abituato le tecniche fotografiche moderne - le varie scene presentano al contrario evidenti e persistenti dissonanze stilistiche, percepibili in maniera netta anche in storie adiacenti o addirittura anche nella stessa scena, mettendo in risalto un modus operandi spesso svincolato dalle consuete gerarchie di bottega; l’intervento di quelli che riconosciamo come i pittori principali, Dello, Niccolò Delli e in parte Sansone, non sempre possiamo riscontralo nelle parti narrative più in vista, nelle scene di maggior risalto iconografico o nelle figure predominanti, in numerosi casi portate avanti da artisti secondari.

Questo potrebbe essere spiegato con una presenza disomogenea e scostante del capobottega Dello, continua e integrale nelle prime scene e nel disegno generale almeno del primo corpo, saltuaria e svincolata da regole prefisse in altre zone del retablo dove ricompare, anche a distanza di anni e senza apparenti motivazioni, in parti narrative di piccolissimo formato (Adorazione dei Magi), portate ad un livello di finitezza considerevole e inusitato data la distanza del punto di vista dell’osservatore. Non sono rari invece i casi in cui si ritrovano artisti più deboli ad eseguire alcune tra le scene iconograficamente più importanti o i personaggi principali, come la figura Cristo, la cui immagine, che dovrebbe rispondere in tutto il complesso ad un medesimo prototipo fisionomico, si ritrova dipinta anche in scene adiacenti in almeno venti varianti fisionomiche ed espressive (figg. 12-17). Lo stesso vale per i numerosi volti maschili e femminili presenti nel retablo, di cui è possibile rintracciare almeno sei distinti prototipi fisionomici, ciascuno riferibile a mani differenti combinate nelle varie scene senza continuità e al di fuori di qualunque vincolo figurativo o iconografico, in alcuni casi ricalcando il disegno della mano principale, in altri lavorando autonomamente anche su basi grafiche del tutto slegate rispetto all’indirizzo ‘italiano’ delle primissime o delle ultime scene35.

35 Un’analisi compiuta da questo punto di vista è stata compiuta minuziosamente nello studio di Francisco Panera Cuevas, in cui un capitolo è dedicato proprio alle “diferencias anatómicas y fisionómicas” individuate nelle scene del retablo: Panera Cuevas 1995, pp. 234-241.

3.1.4–

UNA NUOVA PROPOSTA PER I MAESTRI DEL RETABLO

Prima di avviare un’analisi di carattere stilistico sulle varie scene del retablo mirato ad una lettura complessiva dell’opera e ad una distinzione delle varie mani coinvolte nel cantiere, è necessario aprire una parentesi sui possibili confronti tra le pitture di Salamanca e le opere note o riferibili con sicurezza alla mano dei fratelli Delli. L’assenza quasi totale di una loro produzione autografa, porta necessariamente ad estendere ed integrare questa analisi ai vari contesti culturali percorsi o assimilati dai tre fratelli nelle precedenti esperienze italiane ma anche nelle successive parentesi lavorative nella penisola iberica.

Fino al cantiere di Salamanca della produzione artistica di Dello conosciamo solamente un gruppo uniforme di sculture fittili legate al cantiere fiorentino di Santa Maria Nuova o flebili tracce della sua attività al fianco di Giuliano di Nofri nel cantiere della cattedrale di Barcellona che permettono di tracciare un profilo coerente del fiorentino quantomeno nel campo delle arti plastiche36. Non rimane

alcunché invece della sua produzione pittorica, né alcuna attestazione documentaria che ne certifichi la presenza a Salamanca negli anni della realizzazione del grande retablo. Per definire la portata del suo intervento all’interno delle cinquantatre scene risulterà quindi essenziale l’identificazione di quei caratteri stilistici e culturali che il pittore poté assimilare preliminarmente nelle tappe italiane della sua carriera (Firenze, Siena, Venezia) integrandoli con le notizie biografiche, gli spostamenti geografici certificati del maestro (Napoli e Firenze nel 1446) e le nuove ipotesi di ricerca che spingono, come vedremo nei capitoli successivi, a ricercare tracce dell’artista fino a Siviglia (1446-1465?).

Per quanto riguarda invece Niccolò, oltre all’affresco del Giudizio Universale e al San Cristoforo nella chiesa di Santa Maria del Castillo di Cantalapiedra (Salamanca) (figg. 103-104)37, l’unica altra opera

certa è il monumentale affresco, riportato su tela, con l’Adorazione dei Magi collocato nella parete laterale d’ingresso della cappella del Santo Calice nella cattedrale di Valencia (cap. 4, figg. 53-56)38;

un’opera che purtroppo restituisce solo in minima parte l’evoluzione stilistica del fiorentino a quasi trent’anni dal suo esordio spagnolo, essendo stata eseguita nel 1470 a pochi giorni dalla sua morte, quando ormai versava in condizioni fisiche precarie e coadiuvato in larga parte da collaboratori. Si tratta, oltretutto, di una testimonianza in condizioni conservative oggi drammatiche, vessata anche da antichi interventi di restauro che hanno compromesso pesantemente la lettura di molte figure e che non aiutato a comprendere l’evoluzione dell’artista come frescante nel corso della sua permanenza ventennale nella penisola iberica. Il suo profilo artistico di pittore su tavola è solo parzialmente recuperabile all’interno del retablo di Salamanca nelle ultimissime scene della sezione destra dell’ultimo corpo grazie al confronto con l’affresco del catino absidale e grazie all’esistenza di un’altra

36 Si rimanda ai capitoli 1, paragrafo 1.1 e al capitolo 2, paragrafo 2.3 37 Si veda cap. 3, paragrafo 3.2.3.

preziosa testimonianza lasciata a Salamanca, la tavola con la Santa Elisabetta d’Ungheria presso l’omonimo monastero cittadino.

Più difficoltosa risulta invece la comprensione del profilo di Sansone, il terzo dei fratelli Delli, del quale, pur in assenza di opere, è documentata un’attività trentennale ad Ávila alla guida del cantiere della cattedrale e in altri edifici religiosi del territorio. L’unica opera conservatasi di quella fortunata parentesi è la tavola con la Madonna col Bambino e Sant’Anna, Santa Caterina d’Alessandra e San Cristoforo nel Museo della cattedrale abulense, eseguita vent’anni dopo l’impresa salamantina e solo parzialmente collegabile per via stilistica a questo cantiere39.

Il solo apporto fornito negli ultimi anni dalla critica, in grado di facilitare questo studio, è rappresentato dal ritrovamento, pubblicato da Carmen Bambach sulle pagine della rivista americana Apollo, di una straordinaria pergamena dipinta con il Cristo alla colonna tra donatori (cap. 4, fig. 13), acquisita dal Metropolitan Museum of Art e ricondotta dalla studiosa alla mano congiunta di Dello e Sansone Delli40. L’opera trova puntuali riscontri con alcune scene ‘italiane’ del retablo salamantino e

risulta fondamentale per cercare di ricostruire in maniera più approfondita la strutturazione della bottega dei Delli a Salamanca e nel corso dei successivi anni di attività fuori della città, ramificatasi tra Siviglia, Cantalapiedra ed Ávila.

CORPO 1, REGISTRI A-B-IL RUOLO DI DELLO DELLI

Il primo gruppo di scene da cui prese avvio il cantiere del retablo è composto dalle seguenti coppie: Strage degli innocenti /Natività della Vergine (1a-1b), Sposalizio della Vergine/Gesù nel tempio dei dottori (2a-2b), Annunciazione/Battesimo di Cristo (3a-3b),Visitazione/Le tentazioni nel deserto (4a-4b), Gesù servito dagli angeli/Sogno di Giuseppe (5a-5b) progettate ed eseguite da una stessamano, da riconoscere in quella del fiorentino Dello Delli, al cui interno possono isolarsi i primi interventi anche del fratello Niccolò. Siamo senza dubbio di fronte al linguaggio più antico e il più prossimo culturalmente alle esperienze assimilate da Dello durante il suo percorso lavorativo tra Firenze, Siena, Venezia e poi nuovamente Firenze, prima di prendere il mare per la penisola iberica. Tali assimilazioni si ritrovano qui perfettamente codificate e rilette alla luce di un’immersione, ormai quasi decennale, nel contesto culturale dei territori aragonesi e castigliani fortemente aperti agli afflussi artistici provenienti dalle Fiandre, dalla Borgogna e dai paesi germanici, giunti soprattutto attraverso l’illustrazione libraria e la produzione tessile. Eloquente appare la capacità dell’artista di immergere la narrazione, di grande minuzia narrativa e aneddotica, in scenografie sottili e calibrate, in un’atmosfera assopita, quasi fiabesca, condita di tonalità cromatiche sgargianti e rifulgenti, in cui i personaggi, dalle aristocratiche,

39 Si veda capitolo 4, paragrafo 4.3.

disinvolte posture perdono la consistenza dei propri corpi entro modulate e setose vesti dalla ricaduta curvata e tubolare.

La prima forte ingerenza che possiamo registrare in questa fase del retablo viene dal contesto artistico veneziano della prima metà del Quattrocento. I confronti più immediati, come già suggerito in passato a partire dall’ipotesi di Gamba e Fiocco, si scorgono con le quattro tavole raffiguranti Storie di Santa Apollonia (figg. 18-21) che in origine dovevano far parte di una monumentale pala d’altare agiografica dedicata alla santa forse all’interno della chiesa veneziana dei santi Filippo e Giacomo, edifico che in origine vantava un’intitolazione proprio a sant’Apollonia41. Le opere, con una cronologia tra il 1440 e

il 1450, sono oggi assegnate a Giovanni d’Alemagna, pittore unito dal 1441 al cognato Antonio Vivarini, cui un tempo erano riferite le tavolette, in una prolifica bottega consorziata che diede vita ad uno dei momenti più affascinanti dell’arte veneziana nel passaggio dal gotico fiorito e dalle eleganze cortesi di Gentile da Fabriano e della pittura padana, verso le più aggiornate tendenze umanistiche fiorentine e della Padova squarcionesca42.

I confronti possono estendersi anche ad un’altra serie di sei tavolette riferibili alla mano consorziata dei due pittori veneziani con Storie della vita della Vergine (Berlino, Gemäldegalerie)43, così come ad altre due

serie di tavolette riferite ai primissimi anni del quinto decennio e con una consolidata attribuzione alla mano del Vivarini: le Storie di santa Monica e sant’Agostino, in origine destinate a comporre una pala agiografica eseguita intorno al 1441 e ricordata da Francesco Sansovino nel 1581 nella chiesa di Santo Stefano a Venezia44, e le Storie di San Pietro martire, anch’esse parte anticamente di un articolato polittico

proveniente forse dalla chiesa veneziana dei Santi Giovanni e Paolo (detta anticamente San Zanipolo quale contrazione dialettale del nome dei due santi) (figg. 22-23; 25)45.

41 Le tavole oggi note di questo complesso sono divise tra l’Accademia Carrara di Bergamo (Santa Apollonia accecata; Santa

Apollonia privata dei denti; 53,5x30,5 e 54,5x34,3 cm), il Museo Civico di Bassano del Grappa (Sant’Apollonia trascinata da un cavallo, 52x33 cm) e la National Gallery di Washington (Sant’Apollonia distrugge un idolo, 59,4x34,7):Holgate 2003, pp. 15-18, note 37-39. Per le tavolette di Bergamo: G. Valagussa, in I Vivarini 2016, pp. 133-134, n. 5. Sulla tavoletta di Washington: Boskovits 2003, pp. 315-323. Sulla tavoletta di Bassano del Grappa: Ericani 2008, pp. 143-145.

42 Originariamente attribuite ad un anonimo pittore veneto, le quattro tavolette sono state oggetto di una lunga vicenda critica. A partire da Longhi hanno avuto una prima attribuzione ad Antonio Vivarini, passata con Zeri alla mano del cognato Giovanni d’Alemagna e poi, in alcuni casi, alla mano congiunta di entrambi: Longhi 1949, pp. 50 ss.; Bisogni 1975, pp. 41- 47; Delaney 1978, pp. 81-95: Zeri 1971, pp. 40-49; Boskovits 2003, Holgate 2003, pp. 9-29.

43 Berenson 1957, I, p. 197; Pallucchini 1962, p. 102; Gemäldegalerie Berlin. Gesamtverzeichnis, 1996, p. 127.

44 Le tavolette sono oggi divise tra le Gallerie dell’Accademia di Venezia (Matrimonio di Santa Monaca), l’Accademia Carrara di Bergamo (sant’ Ambrogio battezza sant’Agostino davanti a santa Monica), il Courtauld Institute of Art di Londra (Nascita di

Sant’Agostino,), il Detroit Institute of Art (Santa Monica converte il marito morente) e il Museo Amedeo Lia di La Spezia (Santa Monica in preghiera con sant’Agostino fanciullo). Sulle opere: De Marchi 1997, pp. 354-356; in ultimo: G. Valagussa, in I Vivarini 2016, pp.

132-133, n. 4, con bibliografia precedente.

45 Sono otto le tavolette finora rintracciate provenienti dal complesso smembrato per l’antica chiesa di San Zanipolo (poi di San Giovanni e Paolo): Chicago Institute of Art (San Pietro esorcizza una posseduta), Metropolitan Museum di New York (San

Pietro Guarisce la gamba di un malato), Berlino, Gemäldegalerie (Gaufredo da Como geta nel fuoco la veste miracolosa di San Pietro; San Pietro entra nell’ordine domenicano a Bologna), Firenze, Galleria Frascione (San Pietro nella cella del monastero di Como), Newark

(Delaware), collezione Alana (San Pietro Martire dialoga con il Crocifisso; San Pietro scaccia il diavolo). Altri esemplari furono identificati da Rodolfo Pallucchini presso la collezione Mario Crespi a Milano (Funerali di San Pietro), presso il conte Leonardo Vietti a Roma (La Vergine appare a San Pietro martire): Pallucchini 1962, pp. 27-29, 97-98; Pallucchini 1967, p. 200. Sulla serie di dipinti si veda: Fiocco 1948, pp. 20-25, che ne suggerisce la provenienza dalla chiesa dei Santi Giovanni e Paolo; Zeri - Gardner 1973, pp. 89-90, n. 100; con una datazione intorno al 1450 e una proposta sull’identificazione di un retablo centrale

Tra le serie veneziane citate e il primo gruppo di storie del retablo salamantino, possiamo scorgere simili ambientazioni favolistiche cittadine, con spazi molto rarefatti, conditi di riferimenti archeologici, scorci e sfondati pseudo-prospettici che fanno aggettare la narrazione sul piano principale mentre sullo sfondo virtuosismi architettonico-decorativi di ispirazione orientaleggiante si alternano a comparse cortigiane affacciate dalle balaustre (figg. 18-21). Le donne, che indossano ardimentosi copricapi dalle fusciacche pendenti, sono avvolte in vesti rispondenti alla moda lagunare, dalle tonalità pastello che vanno dal verde al rosa pallido, aderenti ai corpi e dalle ricadute tubolari, mentre gli uomini, che vestono abiti corti, con calzamaglie ornate da preziosi ricami, borchiature e fibbie, calzari appuntiti dalle eleganti trafilature, indossano copricapi a bombetta e turbanti. Il tutto sembra improntato ad un gusto quasi miniaturistico che possiamo ritrovare in alcuni particolari fisionomici e di abbigliamento nello Sposalizio, nella Natività della Vergine, nell’Annunciazione e nella Visitazione (1-4a). In quest’ultima in particolare, la figura di fanciulla in primo piano, in perfetto profilo, intenta a sorreggere le vesti della donna davanti a sé, sembra evocare, per caratteristiche dimensionali e fisionomiche, la fanciulla presente nella scena di San Pietro la gamba di un giovane (New York, Metropolitan Museum of Art) (figg. 24-25).

Le analogie riscontrabili tra le tavole del retablo di Salamanca e le opere di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna non possono però andare oltre a questioni di ordine tipologico o culturale, dato che la cronologia sul quinto decennio del Quattrocento ormai appurata per tutte le serie veneziane, contemporanea al cantiere di Salamanca, esclude una conoscenza diretta di quelle opere da parte di Dello, così come una frequentazione dello stesso Vivarini, più giovane del nostro e sicuramente non ancora attivo in maniera indipendente quando il fiorentino è documentato a Venezia nel terzo decennio del secolo. Tali assonanze suggeriscono piuttosto per Dello un’educazione artistica analoga a quella di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna, condotta sui medesimi testi pittorici della tradizione tardogotica veneta prodotti da Jacobello del Fiore o Niccolò di Pietro, e un aggiornamento sulle opere di Gentile da Fabriano e Pisanello. In Dello tale fascinazione tende ad estendersi a ritroso fino alle pitture architettoniche di Altichiero e della sua scuola rivelando significati molto più profondi e implicazioni con l’arte veneta più significative di quanto finora considerato46.

Come ricorda Vasari l’esordio dell’artista e le prime fasi della sua attività, almeno fino al 1424, avvennero in ambito scultoreo a Firenze, ed anche se ad apertura del 1425 egli risulta impegnato a Siena nel campo della toreutica e della pittura murale, è solo a Venezia che iniziò a confrontarsi, in maniera più diretta, con la produzione pittorica. Sebbene si sia parlato di una formazione poliedrica, vissuta all’interno o in prossimità della bottega di Lorenzo di Ghiberti47, della possibilità di una

con una figura a grandezza naturale, dipinta o scolpita di San Pietro martire; Pudelko 1937, pp. 283-286; Lloyd 1993, pp. 296-299, con una datazione dei pannelli al 1440 ca.; Humfrey 2014, pp. 5, 10–11, 14–15, con una datazione al 1450-1455. Per una più recente ricostruzione del percorso critico e storico-attributivo delle tavolette si veda: Vinco 2018.

46 I riferimenti alla cultura prospettica di Altichiero, evidente in diverse scene di Salamanca riferibili sia all’intervento di Dello Delli che a quello della sua bottega, compresi entrambi i fratelli minori è stata evidenziata, seppur senza approfondimenti specifici anche in: Panera Cuevas 1995, pp. 214-215, fig. 137.

formazione parallela vissuta nella bottega di un maestro fiorentino di cultura tardo-trecentesca o di un legame con pittori attivi in spazi adiacenti ai suoi luoghi di frequentazione, come Lorenzo Monaco o Bicci di Lorenzo, col quale risulta coinvolto in almeno tre commissioni tra il 1420 e il 1424, è solo in Laguna che Dello avviò un’attività di pittore indipendente che gli consentì, ritornato a Firenze, di iscriversi alla corporazione dei Medici e Speziali e di avviare in proprio una bottega.

I primi passi dovette muoverli inevitabilmente nel contesto della folta colonia di artisti fiorentini che comprendeva, anche se per poco, l’influente Lorenzo Ghiberti e l’amico Paolo Uccello. A raccogliere larghi consensi in area lagunare in quegli anni erano principalmente gli scultori, traghettatori del linguaggio fiorentino attraverso le arti plastiche, come Michele da Firenze, Nanni di Bartolo, Pietro e Niccolò Lamberti, esperienze che aprirono a Dello le porte, anche solo come spettatore, dei principali cantieri attivi in quegli anni presso la Basilica di San Marco. Più difficoltosa fu l’affermazione di pittori di alto rango come Paolo Uccello, ormai celebre in patria ma che in Laguna, sovrastato da una solida tradizione cittadina e dal peso di influenti personalità, non trovò sufficiente spazio finendo per accontentarsi di incarichi legati a discipline a lui non del tutto congeniali, come l’arte musiva, considerate a Firenze non allo stesso livello della pittura murale o su tavola48.

L’attenzione di Dello e di Sansone, presumibilmente al suo fianco nei cinque anni di soggiorno veneziano tra il 1425 e il 1430, dovette rivolgersi in maniera analitica alla produzione di quei maestri locali attivi tra il 1415 e il 1430 e ai frutti di una feconda interazione tra l’ambiente lagunare, i domini d’entroterra, in primis Verona e Padova, e il raffinato contesto culturale del ducato di Milano. Uno