veritiera e corretta, non
3.8. I nuovi mezzi: il web e le sue sfaccettature
Lo sviluppo delle tecnologie informatiche ha contribuito a rendere ancora più variegata e multiforme la disciplina in esame. Come abbiamo già visto, il codice (prima della modifica operata il 26 Ottobre 2002) vietava qualsiasi comunicazione informativa tramite l'utilizzo di mass media, Internet compreso. Con le modifiche apportate nel 2002, il regime cambia e anche gli avvocati possono "informare" attraverso un proprio sito internet; infatti, l'articolo in questione non ammette repliche: sono consentiti i soli siti web con domini propri e direttamente riconducibili al legale. Inoltre, il sito non può contenere riferimenti commerciali e pubblicitari né direttamente né tramite banner o pop-up.
Ancora, nel caso in cui l'avvocato dovesse comparire in siti gestiti da terzi, dovrebbe ad ogni modo rispettare gli altri principi deontologici: "viene interdetto, pertanto, l'utilizzo surrettizio di siti di natura diversa [...] per promuovere in realtà un'attività di studio legale; la pubblicità occulta o dissimulata è senz'altro contraria a quella lealtà e correttezza minime richieste al professionista forense. Tale ordine di considerazioni giustifica l'orientamento restrittivo assunto da alcuni ordini circondariali circa la consulenza legale via web quando realizzata attraverso siti di terzi [...], la promozione dell'attività di uno studio legale realizzata all'interno di una rete telematica di un ente [...] oppure lo sfruttamento della qualità di webmaster o di curatore di un
sito di attualità giuridica a scopi pubblicitari"30.
29
Guido Alpa e Giuseppe Colavitti, La pubblicità dell'avvocato, in La Previdenza
Forense, n. 3, 2010, p. 202.
La comunicazione online risulta assai funzionale (soprattutto ai giovani professionisti) perché necessita di un piccolo investimento monetario e, data l'enorme quantità di utenti che il web ha, perché (potenzialmente) può arrivare a chiunque.
"Tuttavia, è bene evitare il "sito vetrina", estremamente autoreferenziale. Per ottenere buona visibilità in internet è necessario trasmettere un plus aggiunto, offrire informazioni che siano realmente di aiuto per chi si trova ad avere a che fare con questioni legali. Come ad esempio la possibilità per l'utente di trovare, su supporto multimediale, una sintesi che spieghi esattamente i diritti, i doveri e gli obblighi imposti dalla normativa, o di consentirgli, attraverso la compilazione di form per la registrazione, l'accesso a servizi di newsletter" (ossia notiziari scritti o per immagine diffusi periodicamente per posta elettronica) "e ad informazioni più
approfondite sugli argomenti di interesse"31. Resta il fatto che i
contenuti del sito internet sono appannaggio del legale, che in ogni momento deve verificare il rispetto dei principi deontologici e la presenza di tutte le informazioni previste dal (vecchio) 1 co. dell'art. 17 bis. Anche la cd. consulenza on line è da ritenersi lecita se intesa come disponibilità dichiarata dal legale ad essere contattato da nuovi potenziali clienti: chiaramente deve essere corretta e rispettosa del decoro, senza cadere nel limbo dell'accaparramento della clientela. Può anche darsi che l'intera relazione professionale avvenga per via telematica, ma anche in questo caso l'avvocato deve accertarsi dell'identità del cliente e rendere nota a quest'ultimo la natura del servizio legale offertogli. In conseguenza di quanto detto finora, sembra corretta la decisione del Consiglio dell'Ordine di Firenze di censurare uno studio di infortunistica di Pistoia che, tramite il noto sito internet Groupon, proponeva l'acquisto di un voucher che dava diritto ad «una trattazione di un procedimento stragiudiziale senza
31
Giovanni Vaglio e Giulia Rizza, Professioni legali e innovazione. Il legal marketing, in Diritto e Formazione, n. 6, 2009, p. 952.
ricorrere alle vie legali a 39 euro invece di 500 oppure due procedimenti a 69 euro invece di mille». Questo annuncio, di certo, non poteva infrangere più regole: di sicuro, è lesivo del decoro e della dignità della professione (sia per le modalità con le quali viene promosso lo studio, sia per i termini economici utilizzati); inoltre viola il divieto di accaparramento di clientela proprio perché cerca di acquisire nuova clientela tramite procacciatori o agenzie; e, infine, perché la divulgazione è avvenuta tramite un sito web con dominio non riconducibile allo studio e totalmente privo del suo controllo. Intanto, una situazione analoga in Germania è stata ritenuta lecita quella della Corte Costituzionale: in quel caso l'offerta di servizi era finita su un sito di aste on-line. Come vedremo più avanti, la legge professionale tedesca vieta la pubblicità dell'avvocato solo se finalizzata ad ottenere un incarico professionale in relazione a una situazione specifica, profittando della concreta necessità per un determinato soggetto di rivolgersi a un legale. Partendo da questo presupposto, la Corte ha tralasciato le modalità con le quali è avvenuta la promozione e ha ritenuto che l'avvocato si rivolge alla collettività di tutti coloro che possono avere necessità e non ad una persona specifica. Ma queste e altre diversità tra le varie discipline statali ed
extra-statali saranno analizzato nel capitolo che segue.
E i social network?
In Italia, non sono tradizionalmente visti di buon'occhio. Nel vecchio codice non ve ne era menzione, anche perché era ancora uno strumento embrionale e conosciuto da pochi. Di conseguenza, c'era molta attesa di conoscere le modalità di regolamentazione, da parte del nuovo codice, di questo nuovo fenomeno: ma si sa, l'attesa spesso e volentieri non viene ripagata. Nonostante i migliaia di professionisti iscritti sui social, soprattutto Facebook (si pensi che, nel momento in cui si scrive, il gruppo "Gli AVVOCATI di Facebook" vanta più di 9 mila iscritti mentre "AVVOCATI, PRATICANTI e STUDENTI Vs
Riforma Esame di Abilitazione" più di 13 mila!), il nuovo articolo 35 (che va a sostituire il vecchio 17 bis) del codice deontologico non cambia il proprio orizzonte:
Testo approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 Gennaio 2014 "Articolo 35 - Dovere di corretta informazione
[...] 9. L'avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell'Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso.
10. L'avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l'indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito."
Stando al tenore letterale della norma, non si potrebbe fare informazione professionale sulle proprie specializzazioni, attività e competenze tramite i social network, dal momento che il dominio del sito web deve essere di proprietà del legale e non di terzi; d'altronde, un profilo attraverso Facebook o Twitter si appoggia sempre su un dominio appartenente ad una società esterna, ossia quella titolare del social network di riferimento. Forse suona un po' esagerata la decisione di quel tribunale australiano, che ha stabilito che queste reti sociali telematiche possono costituire mezzo idoneo per notificare informazioni legali ad imputati irreperibili, ma presenti su Facebook; però, dati l'imponente diffusione del fenomeno, i diversi atteggiamenti nei suoi confronti dagli altri ordinamenti (extra-nazionali) e, soprattutto, l'uso massiccio delle nuove tecnologie e degli strumenti di informazione e di pubblicità che ne fanno gli studi legali internazionali, era lecito aspettarsi qualcosa in più dal nostro "legislatore" di categoria. Anche se il parere del CNF, n. 49 del 27 Aprile 2011 (rel. cons. Piacci), dice espressamente che queste particolari forme di comunicazione possone essere utilizzate "tanto per messaggi a carattere strettamente personale (e quindi insindacabili
anche ove contengano riferimenti alla professione), quanto per informative volte alla conoscenza presso la clientela o alla promozione del "nome" dello studio legale (e come tali sottoposte alla disciplina e vigilanza deontologiche). Ciò che va distinto a fini deontologici non è quindi il mezzo in sé e per sé, bensì l'uso che ne viene fatto e la cerchia di destinatari che, volontariamente o meno, vengano a contatto con l'utente titolare del profilo personale online. Se l'avvocato utilizza il network per scopi di comunicazione professionale dovrà comunicare tale intendimento in via previa al Consiglio di appartenenza [...]. Ne consegue che, in mancanza di tale adempimento e valutate le circostanze concrete del caso, egli potrà essere sanzionato disciplinarmente dal Consiglio di appartenenza. Quest'ultimo sarà necessariamente chiamato, nell'esame di fattispecie di utilizzo di reti sociali, a valutare nella fattispecie concreta quegli elementi che ne siano tipici (come ad es. accessibilità del profilo,
decoro della pagina personale, contatti palesemente volti
all'acquisizione di clientela, sfruttamento della visibilità connessa al mezzo, etc.)". Resta il fatto che i tempi sembrano abbastanza maturi per introdurre una normativa ad hoc in grado di non lasciare spazio a plurime interpretazioni.
Continuando a leggere il nuovo art. 35, ci accorgiamo che le restrizioni all'utilizzo del web non sono finite: sono proibiti gli strumenti di collegamento esterni al sito. In parole povere, si vuole impedire l'utilizzo di strumenti di pubblicità online, quali AdWords (che consiste in un servizio a pagamento che permette di inserire spazi pubblicitari all'interno delle pagine di ricerca di Google). Alla medesima conclusione si deve giungere se si pensa ai siti creati
appositamente per la ricerca dei legali (come
albonazionaleavvocati.it), che corrispondono agli elenchi cartacei con inserzioni a pagamento. Citando le parole della presidente dell'A.I.G.A. (Associazione Italiana Giovani Avvocati), Nicoletta
Giorgi, quello dell'art. 35 sembra un vero e proprio "bavaglio anacronistico", dal momento che "nessun divieto di tal genere di contro viene imposto nel Codice deontologico degli avvocati europei che, al riguardo, si limita a prevedere con l’art. 2.6.1 che gli avvocati possono informare il pubblico dei servizi da essi offerti, a condizione che tali informazioni siano veritiere, corrette e non violino il segreto professionale e gli altri principi fondamentali della professione, aggiungendo poi, con l’art. 2.6.2 che la pubblicità personale degli avvocati mediante mezzi di comunicazione di massa quali stampa, radio, televisione, comunicazioni commerciali elettroniche o con altre modalità, è consentita nella misura in cui avvenga in conformità al
disposto dell’articolo 2.6.1"32
.