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La pubblicita informativa degli avvocati

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Academic year: 2021

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(1)

A chi mi ha messo al mondo

e mi ha insegnato a camminare

(2)

INDICE

Introduzione

1. La deontologia Forense

2. Il nuovo Codice Deontologico Forense italiano

2.1. Le sanzioni

2.2. La composizione

3. La pubblicità degli avvocati: la regolamentazione

vigente

3.1. La figura dell'avvocato

3.2. Perché nasce la pubblicità

3.3. La reputazione

3.4. La Direttiva Bolkestein e il contesto europeo

3.5. La sentenza del 5 Aprile 2011

3.6. Vietato falsare il mercato

3.7. Nascita e sviluppo della pubblicità informativa

3.8. I nuovi mezzi: il web e le sue sfaccettature

3.9. I prezzi delle prestazioni

3.10. Il nome del socio defunto

3.11. La casistica

4. Confronto con le normative di altri Stati

4.1. La pubblicità professionale in Francia

4.2. La pubblicità professionale in Germania

4.3. La pubblicità professionale in Spagna

(3)

4.4. La pubblicità professionale in Inghilterra

4.5. La pubblicità professionale nell'Unione Europea

4.6. La pubblicità professionale in Turchia

4.7. La pubblicità professionale negli Stati Uniti

d'America

Conclusioni

Bibliografia

Testi in appendice

(4)

Introduzione

"Imputato #1: Avevo un buon lavoro, ma un giorno il mio capo mi ha accusato di furto! Mi conviene chiamare Saul!

Imputato #2: Avevo bevuto a una festa, non facevo niente di male! Poliziotta: Signore, lei è in arresto.

Imputato #2: Mi conviene chiamare Saul!

Saul Goodman: Il mio nome è Saul Goodman. Sapevi di avere dei diritti? Lo dice la nostra costituzione e lo dico anch'io. Finché non si dimostra io credo che ogni uomo, donna o bambino sia innocente! Ed è per questo che intendo lottare per te! Ti conviene chiamare Saul! Chiama il 505 164! Ripeto 505 164! Parliamo spagnolo!"

Il mio percorso parte proprio da questo spot pubblicitario (tratto da una serie tv americana, Breaking Bad), un po' fantasioso ma di certo molto vicino alla realtà dei fatti al di là dell'oceano: i diritti dei cittadini diventano prodotti acquistabili all'ingrosso e, soprattutto, gli avvocati si travestono da attori navigati e si fanno pubblicità in televisione.

L'obiettivo del mio lavoro è analizzare, prima di tutto, la disciplina italiana e poi, una volta messi a fuoco i limiti e i passi avanti fatti nel corso degli anni, spostarmi nei paesi più vicini alla nostra tradizione giuridica, fino ad arrivare al legal marketing a stelle e strisce.

Tra i vari testi consigliati per la preparazione dell'esame di "Logica e argomentazione giuridica e sociologia del diritto con elementi di deontologia professionale e informatica giuridica" c'è il saggio di un avvocato a me sconosciuto (ai tempi): "La deontologia forense in Italia" di David Cerri. La lettura prosegue liscia e piacevole fino al paragrafo 11, intitolato "Un caso paradigmatico: la pubblicità degli avvocati": è lì che si accende la mia curiosità, è lì che si materializza la voglia di approfondire e di fare mio l'argomento. Grazie al benestare e alla disponibilità del Professore Greco, il docente della

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materia succitata nonché mio relatore, ho il piacere di conoscere quello stesso avvocato che aveva fomentato il mio interesse: sarà lui stesso a fornirmi la maggioranza dei testi consultati per la redazione di questa mia tesi e a seguirmi passo passo, fino alla stesura finale. La mia indagine conoscitiva comincia con un breve preambolo sulla deontologia professionale, globalmente intesa, fino ad arrivare a quella specificatamente forense.

Di seguito si sposta proprio sulla pubblicità informativa: un'analisi storica, tecnica e socio-economica metterà a fuoco i dettagli ed i risvolti che questo profilo della deontologia forense ha avuto e che ha nel momento in cui si scrive.

Allargando il raggio d'azione, l'esplorazione si trasferisce negli ordinamenti di civil law come il nostro, poi si ferma nel Regno Unito per poi ripartire alla volta della Turchia, passando e soffermandosi sugli enti sovranazionali che fanno capo all'Unione Europea. Infine, come anticipato, si mette sotto la lente d'ingrandimento la disciplina della nazione dove il tutto ha visto i natali: nemmeno a dirlo, gli U.S.A..

Non mancherà un'analisi sul nuovo Codice Deontologico Forense, entrato in vigore lo scorso 15 Dicembre 2014: l'attenzione si concentrerà sul nuovissimo impianto sanzionatorio, sulla rivisitata composizione dei titoli e degli articoli che ne fanno parte e, per finire, su quegli istituti che hanno appena (ri)visto la luce.

Utile e fondamentale è risultata la consultazione di testi e di saggi dedicati all'argomento trattato: molti dei quali portano la firma di Cerri. Degni di nota sono anche gli scritti del Prof. Avv. Guido Alpa (presidente uscente del Consiglio Nazionale Forense), del Prof. Avv. Giuseppe Colavitti (coordinatore del comitato di redazione di Rassegna forense, rivista trimestrale del Consiglio Nazionale Forense diretta dal Prof. Alpa, e dell’Ufficio studi del CNF) e del Prof. Aldo Berlinguer (docente ordinario di Diritto Comparato presso l'Università

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di Cagliari); in particolare, il testo di quest'ultimo intitolato "La professione forense: modelli a confronto" ha ricoperto un ruolo basilare per la stesura del III capitolo, dedicato appunto al raffronto delle varie discipline normative degli stati esteri.

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1. La deontologia forense

L'etimologia della parola "deontologia" è da ricondursi al greco "deo" (che significa "dovere") e "ontos" (participio presente del verbo essere). Per Kant la correttezza etica di un comportamento era un dovere assoluto e innegabile: è la logica che, attraverso l'imperativo categorico, deve determinare l'irreprensibilità di un'azione. D'altro canto, Schopenhauer, ideologicamente contrario al suo connazionale, sosteneva che il concetto di dovere ha senso solo se messo in relazione a una promessa di premio o a una minaccia di castigo: l'imperativo non sarebbe mai categorico (incondizionato), bensì soltanto ipotetico

(perché condizionato dal premio o dalla minaccia).

Fatto sta che oggi la deontologia viene intesa come l'insieme di norme etico - sociali che disciplina l'esercizio di una categoria professionale. Alcune di queste - perlopiù si tratta di professioni intellettuali - a causa delle loro peculiari caratteristiche sociali, comportano l'iscrizione all'Ordine di appartenenza e devono rispettare un determinato codice comportamentale, il cui scopo è impedire di ledere la dignità o la salute di chi sia oggetto del loro operato. L'art. 2229 del codice civile (contenuto nel Titolo III dedicato al lavoro autonomo) dichiara espressamente che spetta all'Ordine il potere disciplinare sugli iscritti:

Art. 2229 c.c. - Esercizio delle professioni intellettuali

La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi.

L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente.

Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all'esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali.

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Ed è proprio per questo motivo che gli ordini professionali hanno sviluppato dei codici deontologici, di cui sarebbero tutori mediante l'esercizio dei poteri disciplinari. Si tratta, appunto, di codici di comportamento cui il professionista deve attenersi per l'espletamento della sua attività; si tratta frequentemente di un atto di soft law, vale a dire una norma che non rientra tra le fonti tradizionali del diritto e che, di conseguenza, nella sua formazione, non conosce l'iter procedimentale delle fonti statali ma solo quello dell'organismo della categoria professionale che se ne vuole dotare. Anche l'Ordine degli avvocati ha conosciuto il suo Codice Deontologico che, dal 1997 al momento in cui si scrive, ha subito diverse modifiche vuoi per interventi legislativi, vuoi per uniformarsi al mutato contesto socio-economico che ruota attorno alla figura dell'avvocato.

Figura che ha avuto diverse sfaccettature, a partire dai nutricola causidicorum (come li chiamava Giovenale) dell'Antica Roma, passando per l'Azzeccagarbugli raccontatoci da Manzoni, fino ad arrivare alla più recente riforma, ovvero quella della legge del 2012, ma che ha sempre conservato quell'aura di quasi sacralità, degna di grande considerazione. Ed in conseguenza di ciò e del suo ruolo di fondamentale importanza che riveste nello Stato di diritto in cui viviamo che l'avvocato è obbligato a mantenere sempre una condotta irreprensibile, ed è tenuto ad uniformarsi "ai principi contenuti nel codice deontologico emanato dal Consiglio Nazionale Forense ai sensi degli articoli 35, comma 1, lettera d), e 65, comma 5 (della legge 247 del 2012). Il codice deontologico stabilisce le norme di comportamento che l'avvocato è tenuto ad osservare in via generale e, specificatamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti. Il codice espressamente individua fra le norme in esso contenute quelle che, rispondendo alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione, hanno rilevanza disciplinare. Tali norme, per quanto possibile, devono

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essere caratterizzate dall'osservanza del principio della tipizzazione della condotta e devono contenere l'espressa indicazione della

sanzione applicabile"1. Da ciò si evince che la regolamentazione della

deontologia forense costituisce la base su cui poggia l'affidamento del pubblico interesse al corretto esercizio della professione, dal momento che la difesa ha funzione sociale e rappresenta un modo per concretizzare i diritti a rilevanza costituzionale (art. 24 Cost.). Il codice deontologico elenca doveri, regole di condotta, canoni, principi e norme di comportamento: la loro violazione rappresenta un illecito disciplinare, che viene accompagnato da una sanzione (prevista sempre dal codice) irrogata dai consigli distrettuali di disciplina. Ma non è sempre stato così.

La prima legge in materia, risalente al 1874, non fa espresso riferimento all'etica professionale: si limita a catalogare una serie di principi, tratti dalla prassi forense e dall'antica saggezza, riprodotti sinteticamente e a mo' di enciclopedia a beneficio di chi leggeva. "Le regole etiche in un certo senso si confondevano con quelle giuridiche, ma erano così note da non richiedere ulteriori illustrazioni: chi

apparteneva a quel ceto le conosceva naturaliter"2. I capisaldi della

deontologia forense vengono individuati per la prima volta con la legge professionale novecentesca (r.d.l. 27.11.1933 n. 1578): si comincia a parlare di dignità e decoro; chi non vi rende conforme la propria condotta viene sottoposto a procedimento disciplinare, che consta di decisioni - provvedimento (atti amministrativi) degli Ordini territoriali e di decisioni - sentenza (atti giurisdizionali) del Consiglio nazionale forense, al quale possono appellarsi gli avvocati "condannati in primo grado". Il combinarsi delle regole scritte con la prassi giurisprudenziale contribuì a far acquisire al CNF il rango di giudice,

1

Art. 3, co. 3, l. 247/2012.

2

Guido Alpa, Etica e Responsabilità - Principi fondamentali della deontologia

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equiparato a quello ordinario. Non solo: da ciò il dibattito sulla natura delle norme etiche, delle decisioni del Consiglio e sul suo ruolo. "Quando il Consiglio nazionale forense, nei compiti disciplinari e di gestione degli albi professionali, esercita la sua funzione giurisdizionale, non si pone come giudice speciale nella applicazione del sistema normativo legale, bensì come giudice (etico) nella applicazione del sistema normativo etico che governa l'attività della

professione forense"3: ad oggi, questo è l'orientamento tenuto sia dalla

Corte Costituzionale che dalla Corte di Cassazione. È il 1997 quando vede la luce il primo Codice deontologico forense: si tratta di un "contenitore" di principi articolati in formule di natura generale e canoni dimostrativi. Elenca esemplificazioni di condotte scorrette, neppure collegate a specifiche sanzioni; di conseguenza anche l'illecito ha carattere generale, senza essere raccolto in un numero chiuso: sono grandi le differenze con l'ultimo Codice del 2014. Si viene a creare una sorta di "trinità" deontologica composta dalla legge forense, dalla giurisprudenza del CNF e, appunto, dal nuovo codice. Se dal punto di vista strettamente normativo pareva che fosse stata raggiunta una certa stabilità, questa viene minata da alcune direttive dell'Unione Europea e dall'azione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. È proprio l'AGCM, tramite due indagini conoscitive (datate 1997 e 2009), che ritiene i codici deontologici una barriera al libero esercizio dell'attività professionale e alla libera concorrenza: dove c'erano restrizioni, queste dovevano essere rimosse. Il tutto veniva aggravato dal disposto dell'art. 14 del d.l. 233/2006: «nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave ed irreparabile per la concorrenza, l'Autorità può, d'ufficio, ove constati ad un sommario esame la sussistenza di un'infrazione, deliberare l'adozione di misure cautelari».

Ed è proprio grazie a questi poteri che l'AGCM ha provveduto ad

3

Angelo Falzea, Sulle funzioni giurisdizionali del Consiglio nazionale forense, in

(11)

esaminare se gli ordini professionali (compreso quello forense) avessero abrogato le norme sul divieto di pubblicità, sul divieto del patto di quota lite e sull'applicazione delle tariffe. Il CNF, quando ha dovuto adeguarsi, ha fatto eccezione per il divieto di pubblicità comparativa, ritenendo che la sua abolizione dovrebbe presupporre una completa assimilazione ai servizi d'impresa. Altre disposizioni (una su tutte, la "legge sulle liberalizzazioni") hanno portato il CNF a ribadire che principi quali la dignità e il decoro sono irrinunciabili, come del resto anche la trasparenza e la conformità dell'attività promozionale agli standard posti a tutela dell'affidamento della clientela, avendo sempre a mente il principio sancito dall'art. 24 della Costituzione.

Più rispettosa dell'autonomia deontologica delle organizzazioni professionali è la direttiva europea n. 123 del 2006 (cd. ex Bolkestein) che, nel considerando n. 100, recita:

«occorre sopprimere i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per professioni regolamentate, revocando non i divieti relativi al contenuto di una comunicazione commerciale bensì quei divieti che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, ad esempio il divieto assoluto di pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di comunicazione. Per quanto riguarda il contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali, occorre incoraggiare gli operatori del settore ad elaborare, nel rispetto del diritto comunitario, codici di

condotta a livello comunitario».

Tenuto conto anche di queste indicazioni, il CNF, nel Dicembre del 2006, ha affermato il principio opposto a quello seguito fino a quel momento : ossia la libertà di forme nella comunicazione di informazioni sull'attività professionale; mentre, in precedenza, lo stesso Codice elencava i mezzi attraverso i quali era possibile comunicare a terzi l'attività dello studio.

(12)

La succitata direttiva, all'art. 24, dispone così:

«1. Gli Stati membri sopprimono tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate. 2. Gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni

commerciali che emanano dalla professioni regolamentate

ottemperino alle regole professionali, in conformità del diritto comunitario, riguardanti, in particolare, l'indipendenza, la dignità e l'integrità della professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e proporzionate».

L'intento , chiaro ed univoco, del legislatore comunitario è quello di

incoraggiare all'autoregolamentazione delle professioni, che

riscontriamo anche nella questione delle assicurazioni professionali4, e

non vuole farsi fautore di una "rivoluzione liberale, ma semmai si limita a registrare esiti già acquisiti negli stati membri, talvolta anche in forma volontaria da parte delle categorie, [...] forse la maggiore novità consiste nella prospettiva generale nella quale gli obblighi informativi sono inquadrati. Il punto di vista che la direttiva assume è quello del fruitore dei servizi, e pertanto gli obblighi di informazione che gravano sui prestatori di servizi sono considerati altrettanti oggetti di diritti in capo ai fruitori degli stessi"5.

4

Con il d.p.R. 137/2013, tutte quelle categorie di lavoratori che si trovano spesso ad affrontare problemi dovuti a richieste di risarcimento per responsabilità civile, sono obbligare a stipulare un'apposita polizza assicurativa per responsabilità RC professionale.

5

Giuseppe Colavitti, La direttiva Bolkestein e la liberalizzazione dei servizi

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2. Il nuovo codice deontologico forense italiano

Il 15 Dicembre 2014 è entrato in vigore il nuovo codice deontologico, approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 31 Gennaio scorso e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 Ottobre 2014. Queste che seguono sono le parole con cui Guido Alpa, presidente del C.N.F., ha presentato - il 19 Febbraio 2014 - la nuova raccolta: «con il nuovo codice deontologico, moderno ed aggiornato, configuriamo l’Avvocato del nuovo millennio a fianco dei cittadini, delle imprese, degli organismi intermedi, con le sue capacità di assistenza e soprattutto di consiglio» e, ancora, «diamo un segnale

forte di serietà, correttezza e responsabilità sociale».

Della redazione del nuovo testo si è occupata in particolare la commissione deontologica del C.N.F. coordinata dal Consigliere Avv. Stefano Borsacchi; questo codice rappresenta l'ultimo tassello, in ordine di tempo, della riforma dell'ordinamento forense, partita con la l. 247/2012. Ed è la stessa legge di riforma che ha previsto, agli articoli di seguito riportati, la revisione del C.D.F. entro un anno dalla data di entrata in vigore della stessa legge e, sopra ogni cosa, che la condotta del professionista sia uniformata ai principi elaborati dal codice:

"Articolo 3 - Doveri e deontologia

[...] 3. L'avvocato esercita la professione uniformandosi ai principi contenuti nel codice deontologico emanato dal CNF ai sensi degli articoli 35, comma 1, lettera d), e 65, comma 5. Il codice deontologico stabilisce le norme di comportamento che l'avvocato è tenuto ad osservare in via generale e, specificamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti. Il codice deontologico espressamente individua fra le norme in esso contenute quelle che, rispondendo alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione, hanno rilevanza disciplinare. Tali norme, per quanto possibile, devono essere caratterizzate dall'osservanza del principio della tipizzazione della condotta e devono contenere l'espressa indicazione della sanzione applicabile."

(14)

"Articolo 35 - Compiti e prerogative 1. Il CNF:

[...] d) emana e aggiorna periodicamente il codice deontologico, curandone la pubblicazione e la diffusione in modo da favorirne la più ampia conoscenza, sentiti i consigli dell'ordine circondariali, anche mediante una propria commissione consultiva presieduta dal suo presidente o da altro consigliere da lui delegato e formata da componenti del CNF e da consiglieri designati dagli ordini in base al regolamento interno del CNF".

"Articolo 65 - Disposizioni transitorie

[...]5. Il codice deontologico è emanato entro il termine massimo di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il CNF vi provvede sentiti gli ordini forensi circondariali e la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense in relazione alle materie di interesse di questa. L'entrata in vigore del codice deontologico determina la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche se non specificamente abrogate. Le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato."

Grazie a questo combinato di norme, si fa luce su alcune questioni che negli anni sono sempre state spinose; innanzitutto, si legittima, una volta per tutte, il Consiglio Nazionale Forense ad emanare il codice deontologico: si tratta di una competenza normativa esclusiva. Ancora, seguendo l'indirizzo espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 26810/2007), con la necessità della pubblicazione nella "Gazzetta Ufficiale" si consolida l'idea della natura giuridica del codice. Per finire, con l'ultima parte del quinto comma dell'art. 65, viene introdotto il principio del favor rei, che mai era stato riconosciuto a causa della natura non giurisdizionale dei procedimenti disciplinari tenuti dai Consigli dell'Ordine.

Come espresso a chiare lettere nella relazione illustrativa6, tutte le

norme del nuovo codice hanno rilievo disciplinare, dal momento che "le previsioni deontologiche tutelano, in ogni caso, l'affidamento della

6

Il testo della relazione è reperibile all'indirizzo URL che segue:

http://www.consiglionazionaleforense.it/site/home/area-cittadino/codice-deontologico-forense/articolo8605.html

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collettività ad un esercizio corretto della professione che esalti lo specifico ruolo dell'avvocato come attuatore del diritto costituzionale di difesa e garante della effettività dei diritti, salvaguardandosi, al contempo, quella funzione sociale della difesa richiamata anche nelle disposizioni di apertura della legge n. 247/2012" e, di conseguenza, tutte queste norme "possono [...]ritenersi non espressioni di istanze corporative bensì veicolo del pubblico interesse al corretto esercizio della professione se è vero che la difesa ha funzione sociale ed è

mezzo di attuazione di diritti a rilevanza costituzionale"7.

Ai sensi di altri articoli della stessa legge del 2012, che verranno richiamati successivamente, il codice prevede doveri, regole di condotta, canoni e principi, ai quali il legale deve uniformarsi altrimenti il comportamento contrario costituisce illecito disciplinare.

"Articolo 51 - Procedimento disciplinare e notizia del fatto

1. Le infrazioni ai doveri e alle regole di condotta dettati dalla legge o dalla deontologia sono sottoposte al giudizio dei consigli distrettuali di disciplina."

"Articolo 17 - Iscrizione e cancellazione

1. Costituiscono requisiti per l'iscrizione all'albo:

[...] h) essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense."

2.1. Le sanzioni

È proprio l'elemento dell'illecito disciplinare, collegato alla sanzione applicabile, che costituisce un elemento di novità rispetto al passato. Il codice previgente sottolineava in particolare i principi generali, esemplificando i comportamenti deontologicamente scorretti, non collegati a specifiche sanzioni; di conseguenza, anche l'illecito assumeva carattere generale. Adesso invece, di regola e "per quanto possibile", l'illecito diviene tipico e tipizzato e, qualora non lo fosse,

7

Ottavio Panone, Nuovo codice deontologico forense: dovere di corretta

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può essere in ogni caso ricostruito prendendo spunto dalla norma di chiusura della legge forense:

"Articolo 3 - Doveri e deontologia

[...] 2. La professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza."

In questo modo si è venuto a creare un tendenziale processo di tipizzazione, dove ad ogni illecito è collegato un tipo di sanzione applicabile, senza esserci più discrezionalità nella scelta. Questo aspetto è un'assoluta novità del codice, dal momento che, fino alla precedente versione, la norma di chiusura (il vecchio articolo 60) recitava così: «le disposizioni specifiche di questo codice costituiscono esemplificazione dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l'ambito di applicazione dei principi generali espressi». Il principio regolatore era che i comportamenti illeciti erano tratti dall'esperienza giurisprudenziale e davano concretezza alle regole generali, motivi per i quali la loro elencazione non poteva esaurire la tipologia delle condotte punibili.

Con l'affermarsi del nuovo principio, però, non verrà meno l'attività interpretativa della giurisprudenza disciplinare, che "costituirà lo strumento che nel rispetto del principio di tipicità consentirà di conservare al codice la necessaria elasticità apparentemente persa col

passaggio dal sistema dell'atipicità a quello della tipicità"8.

Nello specifico sono due gli articoli del codice che si occupano di illeciti e sanzioni: gli artt. 21 e 22, che vanno a chiudere il Titolo I della raccolta. Il primo, citando la relazione illustrativa, si impegna a recuperare e a razionalizzare i principi ed i criteri, conducenti ed ispiratori, anche sulla scorta del "consolidato" giurisprudenziale, che presiedono al sistema sanzionatorio" mentre il secondo "riproduce

8

Ubaldo Perfetti, Avvocati: operativo dal 15 dicembre 2014 il Codice Deontologico, in Guida al Diritto/Il Sole 24 Ore, n. 2, 2015.

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l’apparato punitivo previsto dalla legge prevedendo e regolando, ai commi 2 e 3, ed una volta per tutte, il meccanismo del possibile aggravamento e della possibile attenuazione della sanzione edittale che è stata espressamente indicata e prevista per ognuna delle norme della parte speciale e ciò in stretto ossequio al dettato della legge". La suddetta sanzione edittale è stata individuata confrontando la diversa esperienza disciplinare e la casistica giurisprudenziale. All'ultimo comma, infine, nonostante non sia dichiaratamente una sanzione disciplinare vera e propria, viene anche individuato il "richiamo verbale" come uno degli esiti della decisione che può definire il procedimento disciplinare.

"Articolo 21 - Potestà disciplinare

1. Spetta agli Organi disciplinari la potestà di applicare, nel rispetto delle procedure previste dalle norme, anche regolamentari, le sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione deontologica commessa.

2. Oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato; la sanzione è unica anche quando siano contestati più addebiti nell’ambito del medesimo procedimento.

3. La sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all’eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell’incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione. 4. Nella determinazione della sanzione si deve altresì tenere conto del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell’immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti disciplinari."

"Articolo 22 - Sanzioni

1. Le sanzioni disciplinari sono:

a) Avvertimento: consiste nell’informare l’incolpato che la sua condotta non è stata conforme alle norme deontologiche e di legge, con invito ad astenersi dal compiere altre infrazioni; può essere deliberato quando il fatto contestato non è grave e vi è motivo di ritenere che l’incolpato non commetta altre infrazioni. b) Censura: consiste nel biasimo formale e si applica quando la gravità dell’infrazione, il grado di responsabilità, i precedenti dell’incolpato e il suo

(18)

comportamento successivo al fatto inducono a ritenere che egli non incorrerà in un’altra infrazione.

c) Sospensione: consiste nell’esclusione temporanea, da due mesi a cinque anni, dall’esercizio della professione o dal praticantato e si applica per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi o quando non sussistono le condizioni per irrogare la sola sanzione della censura. d) Radiazione: consiste nell’esclusione definitiva dall’albo, elenco o registro e impedisce l’iscrizione a qualsiasi altro albo, elenco o registro, fatto salvo quanto previsto dalla legge; è inflitta per violazioni molto gravi che rendono incompatibile la permanenza dell’incolpato nell’albo, elenco o registro. 2. Nei casi più gravi, la sanzione disciplinare può essere aumentata, nel suo massimo:

a) fino alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per due mesi, nel caso sia prevista la sanzione dell’avvertimento;

b) fino alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale non superiore a un anno, nel caso sia prevista la sanzione della censura;

c) fino alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale non superiore a tre anni, nel caso sia prevista la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale fino a un anno;

d) fino alla radiazione, nel caso sia prevista la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

3. Nei casi meno gravi, la sanzione disciplinare può essere diminuita: a) all’avvertimento, nel caso sia prevista la sanzione della censura;

b) alla censura, nel caso sia prevista la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale fino a un anno;

c) alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale fino a due mesi nel caso sia prevista la sospensione dall’esercizio della professione da uno a tre anni. 4. Nei casi di infrazioni lievi e scusabili, all’incolpato è fatto richiamo verbale, non avente carattere di sanzione disciplinare.

Con l'art. 22 la sanzione assume elasticità, poiché è in grado di uniformarsi all'effettiva consistenza del comportamento, alleggerendo l'eccessiva rigidità della tipizzazione. Tra le sanzioni irrogabili viene meno la cancellazione, mentre restano in vita l'avvertimento, la censura, la sospensione (elevata nel massimo a 5 anni) e la radiazione. Anche nella precedente versione del codice non era prevista la possibilità di aggravare la sanzione in sede di appello.

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"La questione della riformabilità in pejus è complessa. Da un lato la possibilità di incidere su tipo e durata della sanzione consentirebbe di apprezzare meglio la pena edittale, rispetto a quella disposta in prime cure e consentirebbe anche di uniformare le sanzioni per medesimi fatti e comportamenti che nelle diverse sedi potrebbero avere trattamenti diversi. Dall’altro lato, in un’ottica garantista, il divieto di modificare in pejus la pena affida alla valutazione effettuata dall’ organo locale l’apprezzamento del quantum, e limita, sotto questo profilo, il controllo in sede di appello solo al profilo dell'an. Anche

nella nuova versione si è privilegiata quest’ultima soluzione"9

.

2.2. La composizione

La nuova raccolta, entrata in vigore lo scorso 15 Dicembre, contiene 73 articoli riuniti in 7 titoli: il primo (artt. 1-22) individua i principi generali; il secondo (artt. 23-37) è riservato ai rapporti con il cliente e la parte assistita; il terzo (artt. 38-45) si occupa dei rapporti tra colleghi; il quarto (artt. 46-62) attiene ai doveri dell'avvocato nel processo; il quinto (artt. 63-68) concerne i rapporti con terzi e controparti; il sesto (artt. 69-72) concerne i rapporti con le Istituzioni forensi; il settimo (art. 73) contiene la disposizione finale precisando la data di entrata in vigore.

Nel primo titolo abbiamo tre tipi diversi di norme: quelle che disciplinano l'ambito di applicazione (soggettivo ed oggettivo), quelle che elencano i doveri e, infine, quelle che si occupano di responsabilità e sanzioni.

Tra i principi generali individuati dal primo titolo, preme ricordare quelli di indipendenza, di autonomia, di leale concorrenza, di diligenza, di competenza, di aggiornamento e di formazione continua; l'art. 16 poi impone all'avvocato gli adempimenti di ogni onere fiscale,

9

Guido Alpa, Nel solco della riforma il nuovo codice deontologico per un avvocato

(20)

previdenziale, assicurativo e contributivo. Infine, l'art. 9 ("Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza") ricalca la "valvola" collegata alla norma di chiusura contenuta nell'art. 3, co. 2, della legge forense, che mantiene e valorizza i principi cardine della professione.

Il titolo successivo, relativo ai rapporti con il cliente e la parte assistita, nel codice previgente era inserito subito dopo a quello che si occupava dei rapporti con i colleghi: l'attuale inversione, segnalata anche dal C.N.F., sta a sottolineare la vocazione pubblicistica delle norme. Il titolo in questione marca distintamente le tappe del rapporto professionale, con i relativi obblighi informativi che ne conseguono: prevedibile durata del processo e oneri ipotizzabili, preventivo scritto

(solo se richiesto)10 e gli estremi della polizza assicurativa. L'art. 25

definisce gli accordi sulla pattuizione del compenso e reintroduce il

divieto del patto di quota lite11. Inoltre, l'avvocato non deve

consigliare azioni inutilmente gravose e deve emettere documento fiscale ad ogni versamento ricevuto. Il "dovere di corretta informazione" (art. 35), per la prima volta in questo titolo, ha il compito di affinare, semplificare gli artt. 17 e 17 bis ed in "diretta saldatura" con il "divieto di accaparramento di clientela" (art. 37).

Rispetto alla precedente versione, il titolo III ("Rapporti con i colleghi" non solo è stato "declassato" ma ha anche perso parte dei suoi contenuti: la norma che riguarda i rapporti con il Consiglio dell'Ordine è stata trapiantata nel nuovo art. 70, contenuto nell'altrettanto nuovo titolo VI ("Rapporti con le istituzioni forensi"); anche l'altro titolo che ha appena visto la luce (il IV, "Doveri

10

Bisogna aggiungere che nell'ultimo disegno di legge sulla concorrenza approvato dal Governo lo scorso 20 Febbraio 2015 il preventivo perde la sua discrezionalità (da parte del cliente): se il Parlamento approverà il testo, scatterà l’obbligo di presentare un preventivo in forma scritta. Al suo interno devono essere contenuti tutti i costi della prestazione fornita, distinguendo tra oneri, spese e compenso professionale.

11

Anche questo, come la richiesta facoltativa del preventivo scritto, potrebbe venire meno con l'approvazione dell ddl concorrenza.

(21)

dell'avvocato nel processo") ha confermato il precedente divieto contenuto nell'attuale titolo III: quello di produrre in giudizio la corrispondenza scambiata con il collega (art. 48). La responsabilità dei collaboratori, sostituti ed associati e la responsabilità disciplinare della società si sono trasferite nel titolo I (rispettivamente agli artt. 7 e 8). Stando a ciò che resta del titolo preso in considerazione, nel proprio studio l'avvocato dovrà favorire la crescita formativa dei propri collaboratori, compensandone in maniera adeguata la collaborazione, tenendo conto dell'utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio (art. 39). Ai praticanti dovrà assicurare l'effettività e la proficuità della pratica forense e, fermo l'obbligo del rimborso delle spese, riconoscergli, dopo il primo semestre di pratica, un compenso adeguato (art. 40). Ad ogni modo, resta sempre vivo il "principio che, in caso di contrasto, il dovere di difesa prevale sempre sul rapporto di colleganza. L'obbligo di colleganza infatti non può essere invocato per ledere i diritti della parte"12.

Il titolo IV ("Doveri dell'avvocato nel processo") raccoglie sistematicamente quelle disposizioni sparse in diversi ambiti del vecchio codice; inoltre, disciplina: il "dovere di verità" (art. 50), il tema della "testimonianza dell'avvocato" (art. 51), il "divieto di uso di espressioni offensive o sconvenienti (art. 52), il dovere da osservare nei rapporti con gli organi di informazione. L'aspetto più significativo è, di sicuro, l'introduzione di una nuova norma: il nuovo art. 56 ("Ascolto del minore"13). I restanti articoli si occupano dei "rapporti con i magistrati" e con gli altri "soggetti" (artt. 53, 54 e 55), e di buona parte dei "momenti" di cui vive la giurisdizione: la "notifica in proprio" (art. 58), il "calendario del processo" (art. 59), l'"astensione dalle udienze" (art. 60), l'"arbitrato" (art. 61) e, per finire, la

12 Remo Danovi, Il nuovo codice deontologico forense, in La previdenza forense, n.

2, 2014, p. 156.

13

David Cerri, Il ruolo dell’avvocato nell’ascolto del minore: la deontologia della competenza, in Cultura e diritti, 2014,3,83.

(22)

"mediazione" (art. 62). Tutte queste norme possono essere racchiuse in tre gruppi che regolamentano i diversi tipi di comportamenti: i doveri dell'avvocato nel processo, l'avvocato con particolari funzioni e, per finire, i rapporti dell'avvocato con vari soggetti.

Il titolo V, rimasto orfano di molti articoli trasferitesi nel precedente titolo esaminato, focalizza le proprie attenzioni sui "rapporti con i terzi e controparti", definendo il comportamento extra-processuale (la "vita privata") dell'avvocato secondo quanto previsto dai principi generali, contenuti nel titolo che apre la raccolta.

"Sostanzialmente l’avvocato deve adempiere a tutte le obbligazioni assunte nei confronti dei terzi e comportarsi con correttezza anche nei confronti della controparte, evitando di minacciare o proporre azioni onerose o vessatorie"14.

Degna di nota è l'introduzione di un nuovo comma (il quinto) all'art. 68 (vecchio art. 51), il quale prevede che "l'avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa".

Come abbiamo già visto, anche il titolo VI ("Rapporti con le istituzioni forensi") rappresenta una novità rispetto alla precedente versione. Anche in questo caso vengono valorizzati i principi generali della professione quando l'avvocato entra in contatto con le istituzioni forensi, regolando i rapporti che i legali devono intrattenere con queste ultime. Preme sottolineare la riproduzione del vecchio art. 24 ("Rapporti con il Consiglio dell'Ordine") nel nuovo art. 71 ("Dovere di collaborazione", con le istituzioni forensi in linea generale), tenendo conto dell'ultima giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Per concludere, l'art. 72 ("Esame di abilitazione")

(23)

sanziona l'attività volta a favorire candidati durante l'esame di abilitazione, soprattutto da parte dell'avvocato-commissario d'esame.

Il titolo VII contiene un'unica disposizione, quella finale, sull'entrata in vigore del codice.

(24)

3. La pubblicità degli avvocati: la

regolamentazione vigente

Il nuovo articolo 17 del Codice deontologico forense (al primo comma) recita così:

L'avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale.

Locuzione che può significare tutto e può non significare nulla. Può significare tutto perché lo stesso articolo, giusto 17 anni prima, affermava un categorico impedimento in materia, tant'è vero che il titolo della norma era "Divieto di pubblicità". Ma non ci sono voluti 17 anni al "legislatore" per cambiare idea, bensì solamente due: l'articolo venne modificato il 16 Ottobre 1999 e si consentì all'avvocato di dare informazioni sulla propria attività. Ma con dei precisi limiti.

L'informazione poteva avvenire onorando i principi di correttezza e verità, nel rispetto della dignità del decoro della professione stessa e degli obblighi di segretezza e di riservatezza. Successivamente venivano elencate le modalità per mezzo delle quali poteva essere diffusa l'informazione.

3.1. La figura dell'avvocato

Ma andiamo con ordine; le domande che ci dobbiamo porre sono: cos'è la pubblicità informativa oggi? Che funzione ha all'interno del nostro contesto sociale? Prima di rispondere a queste domande bisognerebbe chiarire la posizione che l'avvocato ricopre. Per il nostro Codice deontologico, rappresenta il tutore del "diritto alla libertà, (del)l'inviolabilità e (del)l'effettività della difesa, assicurando, nel processo, la regolarità del giudizio e del contraddittorio" come pure vigila "sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell'Ordinamento dell'Unione Europea e sul rispetto dei medesimi

(25)

principi, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a tutela e nell'interesse

della parte assistita"15. Quello che se ne ricava è che, all'esterno, viene

visto come "strumento d'attuazione del diritto costituzionale alla

difeso e [...] principale strumento di tutela della libertà dei cittadini"16

e, per questo, inquadrato tra le professioni liberali protette, sia dall'ordinamento sia dall'Ordine di riferimento. "Gli avvocati sono [...] gli intermediari tra lo Stato, con le sue strutture che assicurano [...] il perseguimento di fini di interesse generale della collettività, ed il cittadino o l'ente che agiscono in giudizio. L'avvocato [...] riveste [...] la figura di un operatore sociale, con una funzione ed una responsabilità etiche che trascendono il suo mero interesse economico

personale"17. E cos'altro potrebbe essere se non la pubblicità una

connotazione marcante della professione forense?

3.2. Perchè nasce la pubblicità

Per riuscire ad inquadrarla meglio con i connotati che più ci interessano, dobbiamo arrestare il passo per un momento, guardarci indietro e chiederci: la pubblicità serve? Il mercato funzionerebbe alla stessa maniera anche senza di essa? La pubblicità funziona? E cos'è? Il termine ha origine dal francese publicité, che a sua volta deriva da public (pubblico) e prende piede nella seconda metà del XVII secolo, anche se la definitiva consacrazione la si avrà con la rivoluzione industriale. Se ci limitiamo ad associare la pubblicità alla pura e semplice propaganda, forme primordiali le possiamo scorgere anche a Pompei e risalgono al I secolo d. C.: si tratta di scritte sui muri delle case romane, distrutte dal vulcano nel 79 d.C., che invitano i passanti a votare per un certo candidato alle elezioni. Riprendendo il

15 Art. 1, co. 1-2, Codice deontologico forense.

16 Guido Calvi, Relazione al Progetto di legge sull'ordinamento professionale (A.S.

963 del 20/06/2007).

17

David Cerri, Pubblicità e professione forense, in Rassegna Forense, n. 2, 2009, p. 227.

(26)

significato letterale del termine, la pubblicità sta ad indicare qualsiasi forma di propaganda e di promozione dirette a ottenere dalla collettività la preferenza nei confronti di un prodotto o di un servizio. E perché dovremmo optare per quello o quell'altro avvocato in base ad una "spicciola" campagna pubblicitaria? Possiamo davvero affidare le nostri sorti giudiziarie a un presunto principe del foro che magari è solo un esperto di marketing? Ne potrebbe andare della nostra libertà personale...

3.3. La reputazione

D'altronde la storia e un'indagine socioeconomica da parte del Censis (datata 2009) ci insegnano che la scelta dell'avvocato è ancora dettata dai suggerimenti di conoscenti ed amici e, in misura minore, dalla notorietà locale del professionista. Strettamente collegata a questi parametri solo in parte meritocratici riscontriamo la cosiddetta reputazione: ossia "la valutazione che il professionista riceve nel giudizio collettivo diffuso tra i colleghi all'interno di una certa comunità professionale e, per quanto con minore nettezza certezza, a livello di opinione pubblica. Tale giudizio collettivo a sua volta consiste in un distillato del tutto sistematico di valutazioni professionali, osservazioni casuali, dicerie, attribuzioni di carattere personale, stereotipi, e così via... Generalmente, per chi necessiti di assistenza legale, il criterio distintivo tra avvocati [...] consiste

appunto nella reputazione"18. Rispetto ad essa, la pubblicità si può

porre come parziale integrazione o come congegno creativo di una (reputazione) del tutto artificiale. Ed è proprio per questo motivo che la pubblicità necessita di limiti, vuoi che siano naturali vuoi che siano fissati dal legislatore di turno.

18

Geoffrey Cornell Hazard - Angelo Dondi, Etiche della professione legale, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 200.

(27)

3.4. La Direttiva Bolkestein e il contesto europeo

In ambito europeo, la già citata Direttiva Bolkestein, riferendosi ai professionisti, tecnicamente non parla di pubblicità, ma di

"comunicazioni commerciali emananti dalle professioni

regolamentate", tracciando una netta linea di confine con la pubblicità

strettamente commerciale:

«le informazioni che il prestatore ha l'obbligo di rendere disponibili nella documentazione con cui illustra in modo dettagliato i suoi servizi non dovrebbero consistere in comunicazioni commerciali di carattere generale come la pubblicità, ma piuttosto in una descrizione

dettagliata dei servizi proposti»19.

Analizzando il testo normativo non riscontriamo divieti in materia di comunicazione informativa: anzi, in via generale, sono tutti soppressi. In ogni caso, viene prevista un'attitudine che prescrive la conformità del messaggio informativo alle regole (deontologiche) professionali, con riguardo rispetto alla specifica professione, e, tanto più, all'indipendenza, all'integrità, alla dignità e al segreto professionale. D'altronde anche una direttiva di ambito più ristretto in materia, la n. 31 del 2000, relativa alle informazioni diffuse tramite il web (attuata in Italia con il d.lgs. n. 70 del 2003), faceva il medesimo affidamento agli stessi valori elencati prima. Tutto questo ci conferma il chiaro intento del legislatore europeo: ossia quello di stabilire che la comunicazione pubblicitaria venga disciplinata dalle norme deontologiche professionali piuttosto che dal legislatore ordinario. Altra normativa europea è stata pensata e, successivamente, emanata per regolamentare le pratiche commerciali: come ad esempio la direttiva n. 29 del 2005 (conseguentemente attuata con il d.lgs.

(28)

146/2007). Essa, nello specifico, fa riferimento alle pratiche c.d. sleali: vengono proibite quelle ingannevoli, moleste e contrarie alle norme di diligenza professionale. Proprio quest'ultima viene definita, dalla direttiva in esame, come «il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista». Ritornando alla distinzione desunta dalle fonti europee tra la pubblicità commerciale e l'attività informativa del professionista, è impossibile non rammentare ciò che viene statuito dalla Corte di giustizia europea il 13 Marzo 2008, nella causa n. 446 del 2005: vale a dire la compatibilità con le norme comunitarie in tema di libera concorrenza di normative nazionali che prevedano un divieto assoluto di pubblicità per alcune categorie di operatori professionali (nello specifico la legge belga 15 Aprile 1958 relativa alla pubblicità in materia di cure dentistiche). "Anche il divieto assoluto di pubblicità dunque, in via di principio, potrebbe costituire un'opzione

legittimamente perseguibile da un ordinamento interno"20.

3.5. La sentenza del 5 Aprile 2011

Un importante riferimento giudiziario a livello europeo, rimanendo in tema, resta la sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione) del 5 Aprile 2011, in merito agli atti di promozione commerciale diretta (démarchage) da parte di un professionista. Il contendere proveniva direttamente da un rinvio pregiudiziale del Conseil D'État, che doveva pronunciarsi su una controversia tra la Sociéte fiduciaire nationale d'expertise comptable e il Ministero del tesoro e del Bilancio francese, avente ad oggetto la richiesta di annullamento del decreto n. 1387 del 27 Settembre 2007, recante il codice deontologico della professione di dottore commercialista. La Corte ha deciso che "l'art. 24, n. 1, della

(29)

direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 Dicembre 2006, 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale vieti totalmente agli esercenti una professione regolamentata, come quella di dottore commercialista/esperto contabile, di effettuare atti di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi (démarchage)". Tutto questo che ricadute può avere sulla professione forense? Il nostro quadro di riferimento è rappresentato dal nuovo art. 37 (Divieto di accaparramento di clientela), che prima dell'ultima modifica era l'art. 19, del Codice Deontologico Forense che, al comma IV ( prima can. III), vieta di "offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico", nonché da una parte del Codice del Consumo (D. lgs. 206/2005) che disciplina i "contratti negoziati fuori dei locali commerciali" (artt. 45-49) e i "contratti a distanza (artt. 50-61).

Le conclusioni che trae la Corte di Giustizia sono le seguenti: - il démarchage (la cd. offerta di servizi "porta a porta") rappresenta una forma di comunicazione di informazioni, mettendo in pratica un atto di esercizio di marketing diretto;

- l'art. 12 del codice degli esperti contabili francesi viola le previsioni della Direttiva Servizi per il suo divieto assoluto per qualsiasi forma di comunicazione non sollecitata;

- lo stesso art. 12 costituisce una restrizione alla libera prestazione di servizi transfrontalieri, rendendo più difficoltosa agli operatori stranieri la penetrazione dei mercati interni.

Preso atto delle motivazioni del tribunale europeo, possiamo chiederci: il nostro art. 37 (all'ultimo comma) qualora venisse sottoposto all'interpretazione della Corte di Giustizia supererebbe l'esame?

(30)

La risposta (positiva) possiamo trovarla combinando la stessa Direttiva Bolkestein e gli altri articoli del Codice Deontologico che si occupano di pubblicità informativa: da una parte la stessa direttiva afferma che le limitazioni in materia, che, come abbiamo visto prima, in astratto sono possibili e lecite, possono essere giustificate da "motivi imperativi di interesse generale nel rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità"; dall'altra, i nuovi artt. 17 e 35 garantiscono all'avvocato di offrire un'informazione pubblicitaria completa e dettagliata, non potendosi riscontrare alcun divieto che sia assoluto.

Anche se una regolamentazione in merito non è da ritenersi una chimera: l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico nel 2008 ha pubblicato i risultati della sua indagine sulle

restrizioni alla concorrenza nel settore legale21, dicendo chiaramente

che "un mercato completamente libero porta con sé il rischio di servizi legali di qualità scadente. Le asimmetrie dell’informazione possono causare un peggioramento della qualità e ciò a sua volta determina la domanda di una nuova regolamentazione, come è illustrato dal caso dei paesi nordici". Dello stesso avviso è l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che, in merito al controllo cautelativo delle comunicazioni pubblicitarie da parte degli Ordini di appartenenza, riferisce che "la trasmissione del messaggio pubblicitario potrebbe, invece, essere prevista per la tutela di interessi pubblici la cui preponderante rilevanza giuridica tuttavia deve essere attentamente giustificata, come nel caso della pubblicità dei servizi medici, che non dovrebbe creare bisogni artificiali di cure mediche". Di conseguenza "creare [...] un bisogno artificiale di procedimenti giudiziari (è l'esperienza straniera) non dovrebbe meritare una riflessione diversa, ché non vi è dubbio che l'offerta di servizi porta a porta condotta

21

In lingua inglese e francese all'indirizzo web:

http://www.olis.oecd.org/olis/2007doc.nsf/ENGREFCORPLOOK/NT0000F872/$FILE /JT03239332.PDF

(31)

secondo modalità commerciali potrebbe effettivamente portare al proliferare di iniziative giudiziarie da cui effettiva necessità sarebbe

discutibile, con i conseguenti, immaginabili, costi sociali"22.

3.6. Vietato falsare il mercato

Rientrando nei nostri confini, cerchiamo di mettere ulteriori "paletti" e di marcare il territorio legislativo applicabile (e applicato). Abbiamo detto che lo scopo della norma (intesa in senso lato) in materia è quello di tutelare l'affidamento della collettività e, di conseguenza, evitare che si possa giungere a falsare il mercato e mantenere il già

citato divieto di accaparramento della clientela23.

Un mercato cosiddetto falsato è un mercato dove il professionista (l'avvocato) si fa preferire ad altri colleghi non per le sue qualità o per la sua preparazione professionale, bensì per le sue capacità di orientare il consumatore con qualsiasi strumento. Un esempio può essere la presentazione del vantaggio (?) della riduzione dei costi come conseguenza del completo svilupparsi di ogni pratica giudiziaria; ma la storia dei notai olandesi ci insegna che la liberalizzazione ha portato, al contrario, un aumento dei costi, la diminuzione della qualità dei servizi e uno scarso incremento della concorrenza.

A rendere un po' più chiare le cose ci viene in soccorso, come spesso accade, la normativa a tutela del consumatore: nello specifico, i due decreti legislativi dell'estate 2007 (n. 146 - 147), che danno attuazione alla Direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, ci forniscono specifiche definizioni delle pratiche commerciali vietate dal nostro ordinamento: vale a dire, quelle comparative, denigratorie e, soprattutto,

22 David Cerri, Corte di Giustizia, démarchage e avvocati, Diritto e Formazione, n. 3,

2011, 404 ss..

23

David Cerri, Pubblicità e Professione Forense, in Rassegna Forense, n. 2, 2009, p. 230.

(32)

ingannevoli. Ancor più preciso è il nostro Codice del Consumo che, all'art. 18, definendo cosa significhi «falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori», recita come segue: «l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di

natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

Tutte queste norme (considerando anche la lettera h dello stesso art.18 e l'art. 20 sempre del Codice del Consumo) sembrano però contenere clausole generali apparentemente vuote: bisogna sempre fare riferimento ai rispettivi codici deontologici professionali per dare loro la giusta concretezza.

3.7. Nascita e sviluppo della pubblicità informativa

"Il divieto di propaganda costituisce un principio deontologico importante, diretto a sottolineare la particolare dignità della professione forense, che non è equiparabile ad una qualunque attività di servizi"24.

Nelle parole sopracitate è racchiuso il pensiero e l'opinione che si avevano della pubblicità agli inizi degli anni '90: ovviamente, circoscritti all'Italia. Già, perché i "cugini" francesi, nel 1991, si erano dotati di una normativa che consentiva agli avvocati di fare propaganda pubblicitaria, ma entro certi limiti: essa doveva servire a dare informazione al pubblico sull'attività svolta e non doveva avere un aspetto commerciale; lo stesso in Germania.

In Italia, la prima normativa in materia la si ha nel 1997 con l'emanazione del primo Codice deontologico forense (sempre all'art. 17) ma i contenuti sono diversi: viene permessa una limitata attività di informazione, che sia veritiera e rispettosa dei doveri di dignità e decoro. La pubblicità (in senso stretto) restava comunque vietata.

24

Edilberto Ricciardi, Lineamenti dell'ordinamento professionale, 1990, Milano, p. 335.

(33)

Testo e rubrica originari, del 17 Aprile 1997: "Art. 17 - Divieto di pubblicità

È vietata qualsiasi forma di pubblicità dell'attività professionale. I. È consentita l'indicazione e nei rapporti con i terzi (carta da lettere, rubriche professionali e telefoniche, repertori, banche dati forensi, anche a diffusione internazionale) di propri particolari rami di attività.

II. È consentita l'informazione agli assistiti, ai colleghi sulla organizzazione dell'ufficio e sull'attività professionale svolta.

III. È consentita l'indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte dello studio purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso unanime dei suoi eredi.

IV. In ogni caso l'attività di informazione consentita deve essere attuata in modo veritiero e nel rispetto dei doveri di dignità e decoro."

Per vedere delle modifiche bisogna aspettare quelle del 1999 e del 2002: la prima muta il titolo dell'articolo in questione (che prima era Divieto di pubblicità) in Informazioni sull'esercizio professionale; la seconda approfondisce le modalità attraverso le quali è ritenuto legittimo informare i (potenziali) clienti. Il pensiero che ancora predomina è che si ha "la volontà [...] di distinguere tra informazione e pubblicità, considerando la prima un diritto dell'avvocato derivante dal mutato assetto sociale, e la seconda una indecorosa attività mercantile"25.

Testo modificato con delibera del 16 Ottobre 1999: "Articolo 17 - Informazioni sull'esercizio professionale.

È consentito all'avvocato dare informazioni sulla propria attività professionale, secondo correttezza e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione e degli obblighi di segretezza e riservatezza.

I. L'informazione può essere data attraverso opuscoli, carta da lettere, rubriche professionali e telefoniche, repertori, reti telematiche, anche a diffusione internazionale.

25

Antonino Ciavola, Pubblicità dell'avvocato: cosa cambia nel nuovo codice

(34)

II. È consentita l'indicazione nei rapporti con i terzi di propri particolari rami di attività.

III. È consentita l'indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte dello studio purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso unanime dei suoi eredi."

Testo modificato con delibera del 26 Ottobre 2002: "Articolo 17 - Informazioni sull'esercizio professionale.

È consentito all'avvocato dare informazioni sulla professionale, secondo correttezza e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione e degli obblighi di segretezza e riservatezza.

L'informazione è data con l'osservanza delle disposizioni che seguono. 17.I) Quanto ai mezzi di informazione:

A) Devono ritenersi consentiti:

- i mezzi ordinari (carta da lettere, biglietti da visita, targhe);

- le brochures informative (opuscoli, circolari) inviate anche a mezzo posta a soggetti determinati (è da escludere la possibilità di proporre questionari o di consentire risposte prepagate);

-gli annuari professionali, le rubriche, le riviste giuridiche, i repertori e i bollettini con informazioni giuridiche (ad es. con l'aggiornamento delle leggi e della giurisprudenza);

- i rapporti con la stampa (secondo quanto stabilito dall'articolo 18 del codice deontologico forense);

- i siti web e le reti telematiche (Internet), purché propri dell'avvocato o di studi legali associati o di società di avvocati nei limiti della informazione, e previa segnalazione al Consiglio dell'Ordine. Con riferimento ai siti già esistenti l'avvocato è tenuto a procedere alla segnalazione al Consiglio dell'Ordine di appartenenza entro 120 giorni.

B) Devono ritenersi vietati:

- i mezzi televisivi e radiofonici (televisione e radio);

- i giornali (quotidiani e periodici) e gli annunci pubblicitari in genere;

- i mezzi di divulgazione anomali e contrari al decoro (distribuzione di opuscoli o carta da lettere o volantini a collettività o a soggetti indeterminati, nelle cassette delle poste o attraverso depositi in luoghi pubblici o distribuzione in locali o sotto i parabrezza delle auto, o negli ospedali, nelle carceri e simili, attraverso cartelloni pubblicitari, testimonial, e così via);

(35)

- le telefonate di presentazione e le visite a domicilio non specificatamente richieste; - l'utilizzazione di Internet per offerte di servizi e consulenze gratuiti, in proprio o su siti di terzi.

C) Devono ritenersi consentiti se preventivamente approvati dal Consiglio dell'Ordine (in relazione alla modalità e finalità previste):

- i seminari e i convegni organizzati direttamente dagli studi professionali. 17.II) Quanto ai contenuti della informazione:

A) Sono consentiti e possono essere indicati i seguenti dati:

- i dati personali necessari (nomi, indirizzi, anche web, numeri di telefono e fax e indirizzi di posta elettronica, dati di nascita e di formazione del professionista, fotografie, lingue conosciute, articoli e libri pubblicati, attività didattica, onorificenze e quant'altro relativo alla persona, limitatamente a ciò che attiene all'attività professionale esercitata);

- le informazioni dello studio (composizione, nome dei fondatori anche defunti, attività prevalenti svolte, numero degli addetti, sedi secondarie, orari di apertura); - l'indicazione di un logo;

- l'indicazione della certificazione di qualità (l'avvocato che intenda fare menzione di una certificazione di qualità deve depositare presso il Consiglio dell'Ordine il giustificativo della certificazione in corso di validità e l'indicazione completa del certificatore e del campo di applicazione della certificazione ufficialmente riconosciuta dallo Stato).

B) È consentita inoltre l'utilizzazione della rete Internet e del sito web per l'offerta di consulenza, nel rispetto dei seguenti obblighi:

- indicazione dei dati anagrafici, Partita Iva e Consiglio dell'Ordine di appartenenza;

- impegno espressamente dichiarato al rispetto del codice deontologico, con la riproduzione del testo, ovvero con la precisazione dei modi o mezzi per consentirne il reperimento o la consultazione;

- indicazione della persona responsabile;

- specificazione degli estremi della eventuale polizza assicurativa, con copertura riferita alle prestazioni on-line e indicazione dei massimali;

- indicazione delle vigenti tariffe professionali per la determinazione dei corrispettivi.

C) Devono ritenersi vietati:

- i dati che riguardano terze persone;

- i nomi dei clienti (il divieto ritenersi sussistente anche con il consenso dei clienti); - le specializzazioni (salvo le specifiche ipotesi previste dalla legge);

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