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Nutrienti

Nel documento LA GESTIONE DELLE ACQUE REFLUE ENOLOGICHE (pagine 103-112)

5 SISTEMI DI TRATTAMENTO NATURALI

5.3 Fitodepurazione

5.3.4 Meccanismi di rimozione degli inquinanti ed efficienza

5.3.4.3 Nutrienti

L’azoto è presente nelle acque reflue in diverse forme: azoto organico

(Norg), ammoniaca libera (NH3) o ione ammonio (NH4+), azoto

gassoso (N2), nitriti (NO2-) e nitrati (NO3-). Tali composti sono

biochimicamente interconvertibili e partecipano al ciclo dell’azoto (Figura 5.10). L’azoto è considerato un inquinante delle acque in relazione alla sua caratteristica di nutriente dei vegetali: una sua eccessiva presenza può infatti generare una proliferazione abnorme di biomasse vegetali che provocano un forte consumo di ossigeno in seguito alla loro decomposizione (eutrofizzazione).

Figura 5.10: Ciclo dell’azoto in un impianto di fitodepurazione a flusso superficiale (US EPA, 1999)

La rimozione dell’azoto può avvenire tramite reazione chimiche e biochimiche facenti parte del ciclo dell’azoto oppure, nel caso in cui l’azoto sia associato ai solidi sospesi, mediante processi di flocculazione, sedimentazione, filtrazione e intercettamento del film biologico. In questo secondo le modalità di rimozione sono le stesse descritte per i solidi sospesi totali. Le condizioni tipicamente riducenti presenti nei liquami tendono a far prevalere la forma ammoniacale su quelle ossidate, quali nitriti e nitrati. L’azoto ammoniacale viene facilmente idrolizzato e convertito in ione ammonio per mezzo del processo di ammonificazione. Il processo può avvenire sia in condizioni aerobiche che anaerobiche e la velocità di svolgimento risulta essere influenzata principalmente dal pH, dalla temperatura e dalla concentrazione di ossigeno. L’ammonio formatosi può essere assorbito dalle piante attraverso il loro apparato radicale, immobilizzato nei sedimenti mediante lo scambio ionico, solubilizzato nella fase liquida, volatilizzato come ammoniaca gassosa, riconvertito anaerobicamente come materia organica dai batteri, assorbito dal

fitoplankton o nitrificato aerobicamente da microrganismi aerobici (Kadlec e Knight, 1996).

In ambiente aerobico l’azoto ammoniacale viene ossidato dai batteri presenti nella colonna d’acqua o nel biofilm dapprima in nitrito e successivamente in nitrato. Tale processo viene definito nitrificazione ed è operato dai batteri appartenenti al gruppo Nitroso e Nitro. Il primo stadio della nitrificazione, schematizzato nella seguente equazione, è svolto da batteri autotrofi tra cui Nitrosomonas, Nitrosospira,

Nitrosococcus e Nitrosolobus:

NH4+ + 1,5 O2 ↔ 2 H+ + H2O + NO2

I nitriti prodotti sono presenti sempre in bassissime concentrazioni perché sono composti chimici altamente instabili sia in ambienti ossidanti che in quelli riducenti nei quali tendono a trasformarsi rispettivamente in nitrati o in ammoniaca. Nel secondo stadio del processo di nitrificazione viene effettuata l’ossidazione dei nitriti con conseguente produzione di nitrati (Reddy e Patrick 1984):

NO2‾ + 0,5 O2 ↔ NO3

Anche la rimozione dei nitriti è svolta da batteri aerobi appartenenti, in questo caso, ai generi Nitrobacter, Nitrospira e Nitrococcus. Attraverso il processo di nitrificazione i batteri nitrificanti traggono energia per la loro crescita e il loro metabolismo.

La velocità del processo di nitrificazione dipende dalla temperatura, dal potenziale redox e dal pH. Le velocità massime si registrano in ambienti con una concentrazione di ossigeno disciolto maggiore di 2,5 mg/L, con pH compreso tra 7,5 e 8,5 e temperature variabili tra 15 e 30 °C. Nella reazione di nitrificazione il primo stadio è il fattore limitante in quanto la velocità di conversione dell’ammonio in nitriti è minore rispetto alla velocità di ossidazione dei nitriti in nitrati. Infatti la concentrazione di nitriti misurabile nel refluo è sempre bassa, quasi

irrilevabile, proprio perché vengono immediatamente sottratti e convertiti in nitrati. Il nitrato prodotto rimane in forma solubile nell’acqua e non viene immobilizzato nei sedimenti del suolo. In tale forma può essere assimilato dalle piante attraverso le radici oppure può subire una riduzione dissimilativa ad ossido di azoto (denitrificazione). La denitrificazione è condotta da batteri anaerobi facoltativi (Bacillus,

Micrococcus, Pseudomonas, Enterobacter, Spirillum) che in assenza di

ossigeno traggono energia dalla respirazione di NO3‾, NO2‾ o N2O. Ne

consegue che il processo di denitrificazione avviene esclusivamente in ambienti anossici in cui i batteri utilizzano come donatore di elettroni il carbonio organico e sostituiscono, come accettore terminale di elettroni, l’ossigeno con il nitrato. I batteri svolgono tale processo solo in assenza di ossigeno perché è energeticamente meno vantaggioso rispetto alla respirazione aerobiotica. Il processo di denitrificazione può essere sintetizzato dalle seguenti relazioni stechiometriche nelle quali la fonte carboniosa e il residuo di biomassa cellulare vengono indicati

rispettivamente con le formule C10H19O3N e C5H7O2N:

10 NO3‾ + C10H19O3N ↔ 5 N2 + 10 CO2 + NH3 + H2O + 10 OH‾

4 NO3‾ + 5 C5H7O2N ↔ 2 N2 + 5 CO2 + NH3 + 4 OH‾

Uno dei prodotti della detrificazione è l’azoto gassoso che a causa della sua bassa solubilità in acqua si libera, principalmente, nell’atmosfera, andando a ridurre la componente azotata presente nel sistema fitodepurante, mentre in minima parte viene fissato dal periphyton e dal phytoplankton. Affinché si possa svolgere il processo di denitrificazione è necessaria la presenza di nitrato, di una forma organica di carbonio e l’assenza di ossigeno disciolto. È per questi motivi che la reazione di denitrificazione si svolge nei siti anaerobici prossimi alle zone aerobiche (necessarie alla sintesi del nitrato). Negli impianti di fitodepurazione tali condizioni si riscontrano solo nell’interfaccia biofilm/acqua e nella zona circostante la rizosfera.

Infatti sia nella rizosfera che nel film di periphyton vengono prodotti carbonio organico e nitrato che vengono prontamente utilizzati nel processo di denitrificazione operato nelle zone circostanti anaerobiche. Il rapporto minimo carbonio/nitrato per lo svolgimento della

denitrificazione è attorno a 1 g C/ g NO3‾ (IWA, 2000). La

concentrazione di carbonio organico può costituire in alcuni casi un fattore limitante mentre il nitrato è generalmente abbondantemente presente nel refluo da trattare. Le massime velocità di svolgimento della denitrificazione si verificano, oltre che in presenza di adeguate concentrazioni di reagenti, in ambienti con pH di circa 8 aventi una concentrazione di ossigeno disciolto inferiore a 0,5 mg/L e temperature comprese tra 20 e 35 °C.

L’azoto può essere rimosso anche tramite il processo di

volatilizzazione dell’ammoniaca che determina il passaggio

dell’ammoniaca alla fase gassosa ed il suo successivo trasferimento all’atmosfera. La volatilizzazione dell’ammoniaca avviene a pH superiori ad 8 e a temperature piuttosto elevate; condizioni che si verificano normalmente solo nei mesi estivi in conseguenza anche della notevole attività fotosintetica, svolta dalle macrofite e microfite presenti nell’impianto, che ha come diretta conseguenza l’aumento del pH del liquame (US EPA, 1999).

Nei sistemi di fitodepurazione sono presenti microrganismi in grado di effettuare la fissazione dell’azoto gassoso. Alcuni batteri e le alghe azzurre-verdi contengono un sistema enzimatico (nitrogenasi) in grado di catalizzare le reazioni chimiche che coinvolgono l’azoto molecolare come fonte di energia per la crescita. La fissazione dell’azoto avviene negli strati superficiali delle acque degli impianti FWS, nel sedimento, nella rizosfera, sulle foglie e sugli steli delle piante sommerse. Il substrato, in virtù della sua capacità di scambio, può adsorbire ioni ammonio. Tale processo è comunque rapidamente reversibile quando

la nitrificazione induce una riduzione della concentrazione degli ioni ammonio nella soluzione acquosa.

Infine basse concentrazioni di azoto vengono assorbite dalle piante. Le elofite, e in parte le rizofite, assimilano l’azoto inorganico attraverso l’apparato radicale mentre le pleustofite e le rizofite assimilano l’azoto disciolto nella colonna d’acqua. Le piante utilizzano questo nutriente per la produzione di macromolecole organiche che andranno a formare la biomassa vegetale. La quantità di azoto eliminata tramite il processo di assimilazione delle piante, se non viene seguito da una raccolta delle piante stesse, ritorna rapidamente nel sistema attraverso la decomposizione dei residui vegetali. Questo fenomeno assume naturalmente una maggiore importanza nei sistemi a flusso superficiale mentre nei sistemi a flusso sub-superficilae la lettiera permane sulla superficie del medium di riempimento impedendo il riciclo dell’azoto nel sistema.

Mentre nei sistemi a flusso superficiale i principali meccanismi di rimozione dell’azoto sono la nitrificazione e la denitrificazione nei sistemi a flusso sub-superficiale verticale prevale la nitrificazione e in quelli a flusso orizzontale predomina la reazione di denitrificazione (Vymazal, 2007). Tutto ciò è giustificato dal fatto che, nei SSF-V, l’ambiente risulta essere prevalentemente aerobio, a causa dell’alimentazione discontinua che provoca un richiamo di aria dall’esterno al mezzo, mentre nei sistemi SSF-H il medium è sempre saturo e quindi anaerobico, tranne che nelle microzone ossidate aderenti alle radici delle elofite.

Il fosforo nelle acque reflue può essere sia organico che inorganico e può trovarsi sia in forma solubile che in forma particellata. Il fosforo organico è presente in quantità non superiore, in genere, al 10% del totale. Il fosforo inorganico è essenzialmente presente come polifosfati e ortofosfati. Gli ortofosfati rappresentano la forma prontamente disponibile per il metabolismo biologico. La forma predominante nelle

acque reflue è H2PO4, con variazioni che dipendono dal valore pH. Il fosforo, così come l’azoto, viene considerato un inquinante delle acque perché in grado di provocare, nel caso di eccessive concentrazioni, il fenomeno dell’eutrofizzazione.

Gli apporti individuali di fosforo tendono continuamente ad aumentare per il largo impiego di questo elemento nei detersivi sintetici e per l’uso di polifosfati quali inibitori della corrosione e delle incrostazioni negli impianti domestici di distribuzione dell’acqua, ove vengono utilizzati in concentrazioni dell’ordine dei 3-5 mg/L (Masotti, 2002).

La rimozione dell’ortofosfato avviene principalmente attraverso fenomeni di adsorbimento da parte del substrato, in presenza di composti inorganici di ferro e alluminio e da parte del calcio e dei minerali presenti nell’argilla (Vymazal, 2007). Visto il ruolo importante svolto dal substrato sono soprattutto la qualità e la grandezza del materiale di riempimento che possono favorire una maggiore rimozione di fosforo. Il fosforo viene rimosso principalmente mediante i processi di adsorbimento, complessazione e precipitazione (Figura 5.11).

Figura 5.11. Ciclo del fosforo in un impianto di fitodepurazione a flusso superficiale

Il fosforo può essere adsorbito su particelle argillose e organiche oppure può reagire con elementi quali alluminio, ferro, manganese e calcio con i quali forma dei precipitati. Le argille sono delle ottime trappole per il

fosforo che si può legare allo ione Al3+ o sostituire lo ione silicato nella

struttura argillosa. Questo fenomeno risulta favorito da bassi valori di pH. L’adsorbimento del fosforo si realizza anche sulla superficie della sostanza organica dove si lega con gli ioni ferro o alluminio formando dei complessi altamente stabili. In presenza di elevate concentrazioni di calcio questo tende a sostituire il ferro e l’alluminio nella sostanza organica riducendone la capacità di adsorbimento del fosforo. Tali elevate concentrazioni di calcio, se associate a valori di pH superiori a

7, possono risultare vantaggiose perchè favoriscono la precipitazione dei fosfati sotto forma di complessi insolubili.

Il fondo (FWS) ed il medium di riempimento (SSF) hanno una determinata capacità di adsorbimento che si estinguerà con l’esaurimento dei siti adsorbinti in essi presenti. Tuttavia tale processo viene rallentato dalla complessazione dei fosfati con gli ioni ferro, alluminio e calcio che vengono continuamente immessi con le acque reflue.

Nei sistemi a flusso superficiale, nonostante la reversibilità dei processi sopra illustrati, nel lungo termine si ha normalmente una sottrazione di fosfato grazie al graduale seppellimento del sedimento. Il fosforo ad esso legato subisce così un isolamento fisico che ne riduce nel tempo la mobilità e lo sottrae all’attività biologica che ne promuove il riciclo. I sistemi a flusso subsuperficiale sono quelli che presentano le più elevate efficienze di rimozione grazie alle maggiori opportunità di contatto tra il liquame e il sedimento. In particolare, i V-SSF sono i sistemi più indicati per la rimozione del fosforo grazie all’alternanza dei periodi ossidanti e riducenti ed all’estesa superficie di contatto tra refluo e substrato (Kadlec e Wallace, 2009). Nella tipologia tedesca dei flussi sommersi verticali, la capacità di adsorbimento del fosforo viene aumentata utilizzando come substrato di riempimento la sabbia che grazie alla presenza di tracce di ferro incrementa i fenomeni di precipitazione dei fosfati.

L’assimilazione del fosforo da parte delle piante gioca un ruolo minore, e comunque limitato, rispetto a quanto descritto per l’azoto. Infatti a fronte dell’assimilazione di 7 g di azoto viene assorbito solo 1 g di fosforo. Il fosforo, assimilato sotto forma di ortofosfato, viene assorbito dalle radici e successivamente traslocato alle parti verdi della pianta per la costituzione di nuova biomassa. La biomassa vegetale rappresenta, però, un deposito temporaneo del fosforo che ritorna nuovamente nel

refluo in seguito alla decomposizione microbica del materiale vegetale morto. È quindi consigliabile effettuare una raccolta della vegetazione che, nel caso delle elofite, deve essere effettuata alla fine dell’estate quando è iniziato il processo di senescenza e prima che avvenga il trasferimento dei nutrienti dalle parti aeree agli organi sotterranei

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