Capitolo 2. La disclosure sulla rischiosità bancaria: la disciplina di Pillar 3 e di Bilancio
2.3 L’obbligatorietà della disclosure alla luce del Terzo Pilastro
L’ idea condivisa negli ultimi anni dalla maggior parte degli studiosi è che un’elevata disclosure possa esercitare una notevole spinta verso un’efficace disciplina di mercato.
Come già annunciato, quando si parla di disciplina del mercato si fa riferimento alla possibilità che il mercato finanziario, sia esso rappresentato dal mercato bancario o dal mercato dei capitali, si trovi nelle condizioni di valutare, prezzare e controllare il grado di rischio delle imprese.
Qualora un’impresa, industriale o commerciale, dovesse aumentare in modo considerevole il proprio grado di rischio, si troverebbe a subire la penalizzazione del mercato sotto forma di un significativo incremento del costo del proprio indebitamento.
Per questo motivo quindi la disclosure rappresenterebbe quella condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché le forze del mercato possano ridurre la rischiosità delle aziende di credito e quindi il pericolo di crisi71.
71 In tal caso ci si riferisce a A. Sironi, “ Nuovo accordo di Basilea: implicazioni per le banche”, 2001,
A fronte della forte complementarietà che caratterizza la trasparenza informativa e la disciplina del mercato, e a fronte dell’importante azione disciplinante svolta dalla trasparenza informativa sul mercato, negli ultimi anni sono stati effettuati numerosi interventi nel settore bancario, tutti volti a rafforzare la disclosure delle banche.
Tra questi si ricordano la Circolare n. 262 del 2005 emanata dalla Banca d’Italia in materia di “Il bilancio bancario: schemi e regole di compilazione”, il Terzo Pilastro introdotto da Basilea 2, con il quale sono state introdotte precise regole in tema di risk disclosure nelle banche; il codice di autodisciplina introdotto da Borsa Italiana per le società quotate; la direttiva MiFID; le disposizioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia a Marzo del 2008 in materia di organizzazione e governo societario delle banche.
Soffermandoci sugli aspetti peculiari del Terzo Pilastro di Basilea 2, innanzitutto si può affermare, così come si può già intuire dal titolo “Disciplina del mercato”, che esso costituisce la conferma dell’importanza del mercato come regolatore dei sistemi capitalistici, anche nel settore finanziario.
Dato il notevole contributo che potenzialmente la disciplina di mercato può esercitare nel contenere il pericolo di crisi72, il Terzo Pilastro intende rimuovere i
fattori che impediscono un’adeguata disciplina di mercato nei confronti delle banche, e cerca di rafforzare la stabilità delle banche, prevedendo una serie di obblighi di trasparenza e informativa al mercato, da affiancare ai requisiti patrimoniali minimi stabiliti nel Primo Pilastro e al processo di controllo prudenziale affrontato nell’ambito del Secondo Pilastro73.
Da ciò si può dedurre che lo scopo essenzialmente perseguito nell’ambito del Terzo Pilastro consiste nell’ integrazione dei requisiti patrimoniali minimi (Primo Pilastro) e del processo di controllo prudenziale (Secondo Pilastro), attraverso il ricorso ad una migliore informazione al pubblico.
72 Si veda A. Piazza Spessa, “Basilea 2 e crisi finanziaria – L’applicazione del terzo pilastro
nell’esperienza delle banche italiane”, Relazione al Convegno ABI su Basilea 2 2009. L’evento ABI sui 3 Pilastri di Basilea 2, 4-5 giugno, Roma.
73 Ci sono infatti forze contrastanti che agiscono e che potrebbero limitare l’azione di disciplina del
In particolare, la nuova disciplina di vigilanza contenuta nel Terzo Pilastro del Nuovo Accordo di Basilea prevede diversi elementi innovativi.
Essa, innanzitutto, impone alle banche severi criteri di trasparenza (disclosure) e la redazione di un’informativa più dettagliata sulla gestione delle banche, definita Relazione o Report redatto ai sensi del Terzo Pilastro.
Attraverso un più completo ed adeguato regime di trasparenza informativa si vuole consentire agli operatori del mercato di disporre di informazioni fondamentali sul profilo di rischio e sui livelli di capitalizzazione di ciascuna banca, in maniera tale da poter valutare la complessiva adeguatezza patrimoniale degli intermediari e, di conseguenza, porre il mercato nelle condizioni di penalizzare le banche più rischiose, incentivandole, così, verso comportamenti più virtuosi.
Con l’introduzione dei nuovi obblighi di trasparenza informativa si è quindi cercato di passare da una vigilanza fortemente basata sull’azione delle norme regolamentari e delle Autorità ad un maggior ruolo del mercato finanziario nel disciplinare l’assunzione dei rischi da parte delle banche.
Gli obblighi di trasparenza informativa, in particolare, riguardano l’adeguatezza patrimoniale, l’esposizione ai rischi ( nello specifico le metodologie utilizzate per la misurazione dei rischi) e le caratteristiche generali dei sistemi preposti all’identificazione, misurazione e gestione dei rischi.
In particolare il Comitato ha previsto due diversi livelli di informativa: un livello minimo che deve essere garantito da tutti gli intermediari, indipendentemente dai sistemi di ponderazione del rischio scelti nell’ambito del Primo Pilastro e delle metodologie di gestione implementate ai fini del Secondo Pilastro, al fine di informare il mercato circa il profilo di rischio dell’istituzione, ed un ulteriore livello che, invece, deve essere garantito solo dagli operatori che hanno scelto le metodologie maggiormente sofisticate per il calcolo dei requisiti patrimoniali, al fine di fornire un’informativa che sia coerente con il grado di complessità, dell’intermediario stesso.
In relazione a ciò, infatti, si ritiene che le banche debbano approfondire il grado di disclosure in base alla propria complessità organizzativa e al tipo di
operatività svolta. Un’operatività articolata porrà quindi le banche nella necessità di espandere l’informativa74.
Al fine di garantire un quadro uniforme di disclosure da parte di tutte le banche vigilate, il Comitato ha definito le caratteristiche fondamentali che dovrebbero guidare gli intermediari nella realizzazione dell’informativa di Terzo Pilastro.
Tra le caratteristiche principali, innanzitutto, è stato previsto uno schema di rilevazione comune a cui dovrebbe rispondere la Relazione Pillar 3, al fine di mantenere sempre al corrente il mercato circa l’esposizione ai rischi delle istituzioni creditizie e ad aumentare la comparabilità delle informazioni fornite dalle banche.
Nell’ambito di questo formato standard, si richiedono indicazioni qualitative sull’assetto dei processi e sulle politiche, ed informazioni quantitative sulla struttura del capitale e sulla distribuzione delle esposizioni e dei rischi75.
Le prime dovrebbero avere una frequenza annuale, mentre le seconde, che fanno riferimento esclusivamente a dati numerici, dovrebbero essere comunicate semestralmente o trimestralmente76.
Il Comitato infatti precisa a tal proposito che la frequenza delle informazioni fornite deve essere correlata alla rilevanza e alla tipologia di fenomeno in esse rappresentato.
È opportuno evidenziare che gli obblighi di disclosure non valgono, tuttavia, per alcune tipologie di informazioni, come quelle riservate e quelle confidenziali
77.
74 Si può riscontrare in tale ambito il principio di proporzionalità evidenziato nell’ambito del Secondo
Pilastro di Basilea 2.
75 Si veda A. Gaetano, L. Giannini, “Pillar 3: criticità e aspetti problematici nella predisposizione
dell’informativa ai mercati”, Relazione al Convegno ABI su Basilea 2 2009. L’evento ABI sui 3 Pilastri di Basilea 2, 4-5 giugno, Roma.
76 Oltre alla pubblicazione annuale al 31/12, sono previsti due aggiornamenti trimestrali ( al 31/03 e al
30/09) relativi alle informazioni di carattere quantitativo che riguardano il patrimonio di vigilanza e l’adeguatezza patrimoniale, ed un aggiornamento semestrale ( al 30/06) relativo a tute le informazioni di carattere quantitativo.
77 Si ricorda che per informazioni riservate si intendono quelle informazioni che, se note alla concorrenza,
rischiano di diminuire il valore dell’investimento di una banca in tali prodotti e di indebolire così la sua posizione competitiva, mentre per informazioni confidenziali si intendono quelle informazioni ricevute nell’ambito di un accordo contrattuale o di un rapporto di clientela.
A tal proposito infatti il Comitato fa riferimento al cosiddetto principio della
necessità della riservatezza delle informazioni fornite nella disclosure. Tale
principio presuppone che i requisiti di trasparenza devono contemperare in modo appropriato l’esigenza di pubblicare informazioni significative con quella di protezione delle informazioni riservate e confidenziali.
Inoltre al fine di stabilire quali informazioni sia opportuno diffondere, il Comitato fa riferimento al principio della rilevanza.
Sulla base di tale criterio si dovranno divulgare quelle informazioni che risultano rilevanti, ossia quelle informazioni che se omesse o divulgate in modo non corretto possono modificare o influenzare il giudizio o le valutazioni di coloro che si basano su di esse per assumere decisioni di carattere economico.
L’informativa fornita sulla base di tali principi dovrà comunque essere tale da garantire un’adeguata percezione del profilo di rischio dell’intermediario.
Inoltre essa dovrà prevedere al tempo stesso un’adeguata interazione con le altre informazioni di natura contabile e di vigilanza. L’informativa al pubblico infatti è prevista anche da altri provvedimenti, tra i quali in primis emerge il bilancio bancario.
Nell’intento di evitare che il più ristretto campo di applicazione del Terzo Pilastro, finalizzato alla trasparenza in ambito di adeguatezza patrimoniale delle banche, possa essere in contrasto con i più ampi requisiti ed obblighi previsti dalla disciplina contabile, il Comitato lascia alle banche ampia discrezionalità sulla scelta dei mezzi e delle sedi più adatte per diffondere le informazioni.