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La seconda area di indagine: il capitale economico e la dotazione complessiva di capitale

Banche italiane quotate (al 31 dicembre del 2009)

Tavola 8 Tecniche di attenuazione del rischio (*)

3.3 La seconda area di indagine: il capitale economico e la dotazione complessiva di capitale

Nella seconda area di indagine, “Il capitale economico e la dotazione complessiva di capitale”, si cerca di individuare quale tipo di informativa, in tema di stima di capitale economico, sia riportata da parte delle banche.

Al fine di cogliere, laddove esiste, il legame tra capitale regolamentare e capitale economico e al fine di individuare l’eventuale stima del capitale economico complessivo, sono stati considerati sia i dati riguardanti la misurazione del capitale in termini di compliance al Primo Pilastro, con riferimento all’assorbimento di capitale regolamentare, sia quelli relativi alla misurazione del capitale economico per singola tipologia di rischio, in termini di Secondo Pilastro.

Infatti la stima del capitale economico aggregato, inteso come quel capitale necessario per fronteggiare tutti i rischi assunti dalla banca, deve tener conto non solo dei rischi di Primo Pilastro ma anche dei rischi di natura diversa, quali quelli esplicitamente menzionati nel Secondo Pilastro, o qualsiasi altro rischio ritenuto rilevante.

Il lavoro svolto all’interno di questa seconda area di indagine, è stato suddiviso in tre sottoinsiemi: il primo si focalizza sui rischi di Primo Pilastro e sulla loro relativa quantificazione sia in termini di capitale regolamentare che in termini di capitale interno; il secondo è incentrato sui rischi di Secondo Pilastro e sui relativi metodi di gestione; il terzo si sofferma sulla dotazione complessiva di capitale, basata sulla disponibilità di effettive misure di rischio per tutti i rischi rilevanti che siano quantificabili, indipendentemente dal fatto che siano oggetto di uno specifico requisito patrimoniale all’interno del Primo Pilastro.

1. Il capitale economico e i rischi di Primo Pilastro

Nell’ambito dei rischi di Primo Pilastro, è stato rilevato che tutte le banche indicano dettagliatamente le metodologie adottate ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali, previsti dalla regolamentazione, indicando i dati circa l’assorbimento di capitale regolamentare.

Per quanto riguarda, invece, la problematica del capitale economico, ad eccezione di 3 banche, che non indicano in alcun modo le metodologie adottate ai fini del calcolo del capitale interno per singola tipologia di rischio, tutte le altre banche del campione affrontano tale problematica, indicando le metodologie adottate per la stima del capitale interno, anche se con un grado di approfondimento notevolmente diverso.

Dalle relazioni Pillar 3 esaminate, è stato rilevato che gli intermediari che sono autorizzati all’utilizzo di metodologie avanzate per la quantificazione del capitale regolamentare, forniscono, con buon grado di dettaglio, informazioni relative alla stima del capitale interno.

Esso viene quantificato da tali intermediari mediante l’utilizzo di modelli interni coerentemente con le Nuove Disposizioni di Vigilanza107, che affermano

che le banche attribuite alla classe 1 possono definire in piena autonomia le metodologie di misurazione più adeguate ai fini della determinazione del capitale interno relativo a ciascun rischio.

Altre 2 banche invece indicano, per la quantificazione del capitale economico, l’utilizzo delle medesime logiche seguite per il calcolo del requisito patrimoniale.

Altri 5 intermediari, per alcune tipologie di rischio, adottano le medesime metodologie utilizzate ai fini regolamentari e per altri rischi, invece, stimano il capitale interno attraverso modelli più avanzati rispetto a quelle adottati per il calcolo dei requisiti patrimoniali, motivando le scelte effettuate in merito a

distribuzioni, intervalli di confidenza e orizzonti temporali utilizzati con riferimento ai singoli rischi, coerentemente con quanto stabilito da Banca d’Italia. Le restanti banche, indipendentemente dalle logiche seguite per il calcolo del capitale regolamentare, stimano il capitale economico mediante l’adozione di modelli interni, anche se le informazioni fornite sono notevolmente sintetiche.

Tra le banche che indicano i dati relativi alla quantificazione del capitale interno ed ai modelli adottati a tal fine, 13 dichiarano di far ricorso agli esiti derivanti dalle prove di stress test, per integrare i risultati ottenuti dall’adozione dei modelli interni e determinare eventuali debolezze che non rientrano nelle potenzialità delle misure dei modelli interni.

Tali intermediari infatti ritengono che attraverso la simulazione degli impatti è possibile analizzare gli effetti sia sul requisito patrimoniale del Primo Pilastro sia sul capitale economico e verificare, quindi, la variazione del capitale stimato in caso di particolari scenari.

2. Il capitale economico e i rischi di Secondo Pilastro

Per quanto riguarda il secondo ambito analizzato, l’attenzione è stata focalizzata soprattutto sui presidi adottati per fronteggiare i rischi di Secondo Pilastro, al fine di evidenziare i rischi che concorrono alla stima del capitale interno e quelli che invece non vengono presidiati mediante il capitale economico, trattandosi di rischi esclusivamente valutabili.

Dall’analisi svolta è emerso che 9 intermediari su 25 non fanno alcun riferimento alla componente del capitale interno nell’ambito dei rischi di Secondo Pilastro, neanche per quei rischi considerati misurabili.

Ad eccezione di tali banche, il resto degli intermediari provvede a distinguere in modo esplicito i rischi valutabili da quelli misurabili, indicando per questi ultimi l’adozione di modelli quantitativi idonei a fronteggiare le potenziali perdite. Essi forniscono dati abbastanza dettagliati in merito al rischio di tasso sul Banking Book, evidenziando che il miglior presidio utilizzato per fronteggiare tale fattispecie rischiosa è la stima del capitale interno.

In particolare, si è riscontrato che per il calcolo del capitale interno a fronte di tale rischio 5 di essi ricorrono all’utilizzo di modelli interni, mentre le restanti banche ricorrono a metodologie semplificate, mutuate dall’approccio di vigilanza di Banca d’Italia.

Per quanto riguarda i rischi difficilmente quantificabili, invece, gli intermediari non ricorrono al capitale interno, ma presidiano tali rischi mediante adeguate policy e procedure di carattere finanziario ed organizzativo, dal momento che tali rischi si prestano per lo più ad approcci maggiormente qualitativi. In particolare però è stato riscontrato che un intermediario, in merito ad uno specifico rischio, quello di reputazione, dichiara di essere intenzionato ad operare verso il superamento del solo approccio qualitativo, per consentire una misurazione quantitativa anche di tale rischio (Banca Popolare di Spoleto).

È opportuno evidenziare che i rischi che non concorrono alla determinazione del capitale interno complessivo, vengono in ogni caso tenuti in considerazione per esprimere il giudizio in sede di verifica dell’adeguatezza patrimoniale.

Le stesse Disposizioni di Vigilanza, infatti, a fronte dei rischi di Secondo Pilastro, non richiedono necessariamente, neppure alle banche più avanzate, che tutte queste tipologie di rischio siano oggetto di una quantificazione del capitale economico, ma quanto meno devono essere predisposti “sistemi di controllo e attenuazione” e deve essere valutata “l’opportunità di elaborare metodologie, anche di tipo sperimentale e da affinare nel tempo per valutare l’esposizione” ( Banca d’Italia, 2006, Titolo III, pagina 10).

3. Il capitale economico aggregato

Dopo essersi soffermati sulla quantificazione del capitale interno, prima a fronte dei rischi di Primo Pilastro, poi dei rischi di Secondo Pilastro, appare opportuno dedicare l’ultima sezione di questa area di indagine al concetto di dotazione complessiva di capitale, ossia alla quantificazione del capitale aggregato a fronte della rischiosità complessiva stimata.

In particolare, appare interessante analizzare i dati relativi alla stima della rischiosità complessiva, del capitale interno complessivo e le indicazioni riguardanti la metodologia adottata per il calcolo di tale aggregato.

Da tale analisi, il cui obiettivo è quello di valutare fino a che punto emergano delle best practice in materia o fino a che punto vi sia disclosure sulle metodologie utilizzate, è emerso che non vi è omogeneità nelle indicazioni fornite dalle banche e che il grado di approfondimento è notevolmente differente.

Ciò probabilmente è dovuto non solo all’assenza di una chiara best practice in termini di metodologia impiegata e all’assenza di indicazioni circa le modalità di calibrazione dei parametri del modello adottato, ma anche alla diversa ampiezza delle tipologie di rischio prese in considerazione.

Soffermandosi sui dati analizzati, è emerso che solo 3 intermediari, e cioè coloro che adottano metodologie avanzate a fronte dei singoli rischi, forniscono informazioni abbastanza dettagliate ed adeguate in merito alla stima della rischiosità complessiva, consentendo un giudizio sull’ adeguatezza della loro dotazione patrimoniale.

Essi infatti si dilungano ampiamente sul concetto di capitale economico aggregato, inteso come il capitale necessario per fronteggiare le perdite economiche dovute al verificarsi di eventi inattesi generati dall’esposizione complessiva a tutti i rischi a cui sono esposti.

Inoltre essi approfondiscono analiticamente le metodologie adottate per giungere alla stima di tale aggregato, evidenziando il ricorso all’integrazione di tutti i rischi intesi come quantificabili e tangibili (escludendo quindi i rischi di liquidità, strategici e di reputazione, che vengono mitigati con presidi diversi da quelli economico-patrimoniali), piuttosto che procedere ad una pura somma dei rischi. I dati forniti da tali intermediari confermano dunque la previsione in base alla quale dalle banche che adottano i modelli più avanzati per i singoli rischi, ci si attende l’adozione di modelli più sofisticati per la stima del capitale complessivo, piuttosto che una semplice somma delle stime interne, pur salvaguardando un approccio prudenziale e documentando l’approccio adottato e la definizione delle ipotesi di correlazione tra rischi diversi.

I modelli di integrazione adottati, consistenti nel modello varianza-covarianza e, per un intermediario, nel modello copula-t-student, permettono di evidenziare gli eventuali benefici derivanti dalla diversificazione sia tra i rischi stessi (inter- diversificazione) sia all’interno di ciascun portafoglio (intra-diversificazione), dal momento che essi ipotizzano un’imperfetta correlazione tra i rischi, diversamente dall’alternativo Building Block Approach, che ipotizza una perfetta correlazione tra i rischi.

Tali intermediari, inoltre, accanto alla misurazione del capitale economico, ricorrono all’utilizzo delle analisi di stress test, effettuate sia in relazione alle singole tipologie di rischio, sia in relazione alla loro aggregazione, attraverso la simulazione di cambiamenti congiunti dei fattori di rischio, in modo da supportare la stima del capitale economico aggregato. Esso è integrato infatti in ottica di adeguatezza patrimoniale, considerando l’impatto dello scenario sul capitale disponibile e fornendo una rappresentazione della capacità del gruppo di far fronte ad ulteriori perdite in condizioni di stress.

In una posizione totalmente opposta alle indicazioni fornite da tali intermediari, si pongono invece i dati rilasciati da altri 4 intermediari.

Essi infatti forniscono indicazioni che riguardano unicamente l’assorbimento di capitale regolamentare, mancando qualsiasi riferimento alla misura aggregata del capitale economico e, di conseguenza, alle metodologie utilizzate ai fini di calcolo di tale grandezza. Si tratta quindi di dati totalmente privi di contenuto significativo in termini di capitale complessivo.

Altri 6 intermediari, pur facendo riferimento alla dotazione complessiva di capitale, non forniscono però alcuna indicazione in merito alle metodologie adottate per il computo di tale aggregato. Essi inoltre indicano che il calcolo di tale grandezza avviene tenendo conto di condizioni avverse, mediante l’utilizzo di stress test, oltre che delle condizioni attese.

Le altre banche del campione (12) si pongono in una posizione intermedia. Esse forniscono informazioni relative sia alla stima del capitale aggregato, sia alle metodologie adottate per giungere a tale stima, ma si tratta di informazioni fortemente sintetiche.

È lecito attendersi che tali intermediari, al fine di stimare il capitale complessivo, procedano ad una pura somma delle stime interne del capitale necessario a fronteggiare i singoli rischi individuati, trattandosi di intermediari che adottano per i singoli rischi metodologie semplificate.

Ciò è confermato dai dati forniti da tali banche, che, infatti, riferendosi al concetto di capitale complessivo, indicano esplicitamente l’utilizzo del Building Block Approach come modello per stimare tale aggregato.

Sulla base di tali indicazioni emerge che tali intermediari ipotizzano una correlazione perfetta tra i rischi, e quindi ottengano una misura sintetica di rischio coincidente con la somma delle misure di rischio delle singole componenti, ed in tal modo trascurano i possibili benefici derivanti dalla diversificazione. Inoltre si evince l’adozione di una nozione di capitale complessivo coincidente con quella di patrimonio di vigilanza e il ricorso agli stress test è solo accennato.

Conclusioni

In relazione all’importante ruolo riconosciuto negli ultimi anni alla disclosure, l’indagine empirica svolta nel corso di questo lavoro - riferita alla trasparenza informativa che le banche forniscono in merito alla loro esposizione rischiosa e al capitale necessario per fronteggiarla - ha posto in risalto gli elevati margini di incertezza e gli ambiti inesplorati che ancora oggi caratterizzano il tema della trasparenza. In particolare, è emerso che le banche quotate italiane, recentemente, hanno adottato la medesima tendenza in atto a livello internazionale: esse, cioè, si orientano verso un miglioramento del livello di trasparenza, anche se questo non può ancora considerarsi pienamente soddisfacente in termini di utilità fornita al mercato, agli investitori e agli analisti. Il risultato dell’analisi svolta si contrappone ad altri studi condotti negli anni precedenti che invece avevano evidenziato una forte reticenza delle banche italiane verso una maggiore disclosure, in quanto esse ritenevano che il ritorno atteso della trasparenza rivolta al mercato fosse notevolmente ridotto, soprattutto in relazione ai costi ad essa associati. Alla luce di ciò, il livello di trasparenza fornito dalle banche italiane in passato risultava alquanto contenuto e, in alcuni casi, notevolmente basso.

Si può senza dubbio affermare che l’aumento del livello di trasparenza in materia di rischi persegue un obiettivo principale, ossia quello di disincentivare le banche da gestioni eccessivamente rischiose. Infatti uno dei pilastri fondamentali di Basilea 2 è correttamente rappresentato dalla disciplina di mercato, e quindi dall’obiettivo di rafforzare il ruolo disciplinante del mercato, il quale, agevolato da una maggiore disclosure delle informazioni rilevanti, potrebbe discriminare fra banche più o meno rischiose, imponendo alle prime un costo del funding più elevato e in questo modo incentivando le stesse a una riduzione del rischio.

Sia le regole contenute all’interno del Terzo Pilastro di Basilea 2, sia la normativa in tema di bilancio risultano adeguate nel fornire un’efficace risposta alle esigenze di informazione espresse dal mercato. Il loro puntuale e pieno rispetto risulta quindi essenziale.

In considerazione del fatto che la gran parte delle banche esaminate presenta indici di trasparenza crescenti rispetto a quelli riscontrati negli anni precedenti, è ragionevole ipotizzare che nei prossimi anni si assista ad un ulteriore miglioramento in termini di diffusione delle informazioni in materia di rischi e di presidi idonei al loro fronteggiamento. Un simile cambiamento può infatti essere auspicato sia tenendo conto del rafforzamento degli obblighi informativi, che sarà a breve introdotto da Basilea 3, sia in considerazione del ruolo sempre più rilevante che viene attribuito ai rischi e al ruolo del capitale, inteso quest’ ultimo come presidio adeguato al fronteggiamento dell’esposizione rischiosa nell’ambito della gestione delle imprese bancarie.

Il maggior grado di disclosure, che è stato riscontrato nel corso dell’indagine, riguarda sia un miglioramento quantitativo, cioè in termini di arricchimento di spazio dedicato ai rischi, sia qualitativo, cioè in termini di miglioramento del contenuto dell’informazione. D’altra parte si deve tener presente che l’obiettivo che si intende perseguire attraverso i nuovi obblighi informativi non consiste nell’aumentare a dismisura la mole dei dati fornita al mercato, ma nell’aumentare il ritorno atteso della disclosure: non è infatti solamente il numero delle informazioni fornite che rende il mercato consapevole circa l’esposizione al rischio di una banca, ma anche la significatività dell’informativa.

Tenendo presente ciò, attraverso l’attribuzione di un rating quantitativo e di un rating qualitativo alla disclosure rilasciata dagli intermediari, l’analisi svolta ha evidenziato che la trasparenza in termini di quantità di dati forniti si attesta su livelli abbastanza buoni, o comunque medi. In relazione, invece, alla trasparenza qualitativa, si è riscontrato che i dati relativi alla descrizione dei sistemi di misurazione dei rischi di Primo Pilastro e delle metodologie adottate per la stima del capitale economico appaiono abbastanza completi, dettagliati e chiari, al contrario le informazioni relative ai sistemi di gestione adottati a fronte dei rischi

di Secondo Pilastro mostrano un livello di dettaglio fortemente limitato e contenuto. È opportuno evidenziare che solo gli intermediari più “evoluti”, cioè quelli che adottano metodologie avanzate per la gestione dei rischi, forniscono informazioni maggiormente complete e dettagliate. Inoltre è emerso che un numero elevato di pagine non è necessariamente collegato ad un elevato dettaglio e ad un’ottima qualità dell’informazione fornita: alcuni, tra gli intermediari che ricevono un elevato rating di disclosure quantitativa, non sempre ottengono un altrettanto rating a fronte della disclosure qualitativa.

Nonostante i notevoli miglioramenti nel grado di disclosure, esso non può considerarsi ancora pienamente soddisfacente dal momento che sussistono ancora delle carenze, anche se solo in alcune aree informative.

Tra queste emergono in particolare quelle relative alle metodologie di gestione e controllo dei rischi di Secondo Pilastro e quelle relative alla quantificazione del capitale economico aggregato e all’utilizzo degli stress testing.

In relazione a tali aree informative, è stata riscontrata una forte disomogeneità nelle indicazioni fornite dagli intermediari e un grado di approfondimento notevolmente differente. In alcuni casi, le informazioni appaiono prive di contenuto significativo, e spesso sono ripetitive, replicando i medesimi concetti espressi dalla regolamentazione e non offrendo alcun valore aggiunto.

La genericità rilevata in queste descrizioni non facilita la comprensione delle specificità del profilo di rischio e dell’adeguatezza del patrimonio di tali intermediari ed impedisce di fatto una piena comparabilità dei risultati con le realtà che invece forniscono descrizioni più dettagliate.

Inoltre si è riscontrato che, a seguito della crisi del 2007, alcune aree informative sono state notevolmente approfondite, come quelle relative al rischio di mercato e al rischio di liquidità - rischi che negli ultimi due anni hanno preoccupato in misura rilevante gli operatori e alla cui cattiva gestione è stata in parte attribuita la forte tensione economica e finanziaria caratterizzante lo scenario macroeconomico degli ultimi anni. Un’ulteriore sezione informativa che è stata approfondita dagli intermediari a seguito della crisi finanziaria è quella relativa all’utilizzo delle analisi di stress testing, considerate necessarie al fine di

rappresentare la capacità dell’intermediario di far fronte ad ulteriori perdite inattese che potrebbero verificarsi in condizioni di stress.

In conclusione alla luce dei risultati ottenuti dall’indagine svolta e volendo esprimere un’analisi critica, si può senza dubbio affermare che il livello di disclosure sui rischi e sul capitale delle banche quotate italiane oggi, pur mostrando un lieve miglioramento rispetto al passato, non ha ancora raggiunto un livello soddisfacente. Una delle cause principali per cui non è ancora stato raggiunto un elevato livello di disclosure consiste, in parte, nel fatto che oggi alcuni intermediari continuano a considerare la relazione Pillar 3 solo un semplice adempimento normativo, non attribuendo ad essa il concreto valore di documento strategico, attraverso il quale si potrebbe accrescere la fiducia nel mercato. Essi quindi non riconoscono ancora una piena efficacia alla trasparenza richiesta ai sensi del Terzo Pilastro. Non a caso infatti la disclosure del report Pillar 3 e l’informativa riportata in bilancio si presentano spesso molto simili e non mostrano differenze significative. La relazione Pillar 3, infatti, riporta spesso le medesime informazioni che sono contenute in bilancio, anche se in realtà essa - sulla base delle prescrizioni della Banca d’Italia - dovrebbe fornire dati maggiormente dettagliati rispetto a quelli contenuti in bilancio. In alcuni casi, paradossalmente, è emersa una maggiore chiarezza e completezza dei dati contenuti in bilancio piuttosto che in quelli contenuti nella relazione Pillar 3, soprattutto con riferimento al profilo di rischio e alle definizioni di rischio rilasciate dagli intermediari.

In futuro, quindi, se si vorrà raggiungere un maggiore livello di trasparenza, si dovrà cercare di diffondere maggiormente la cultura dell’informazione ed incentivare tutti gli intermediari ad attribuire alla trasparenza informativa, e di conseguenza alla relazione Pillar 3, una notevole importanza. Solo dopo aver riconosciuto e condiviso pienamente il vero valore aggiunto che potrebbe derivare da una maggiore disclosure, gli intermediari potranno provvedere a rilasciare in maniera dettagliata, chiara, completa e tempestiva tutte le