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B OCCACCIO E P ETRARCA FRA M EDIOEVO E U MANESIMO : RIDEFINIZIONE DI UN SODALIZIO LETTERARIO ED EPISTOLARE

I.1 P ROGETTO DI RACCOLTA DEL CARTEGGIO TRA B OCCACCIO E P ETRARCA : PREMESSE METODOLOGICHE

I.3.2 B OCCACCIO E P ETRARCA FRA M EDIOEVO E U MANESIMO : RIDEFINIZIONE DI UN SODALIZIO LETTERARIO ED EPISTOLARE

Innanzitutto occorre svolgere un’importante premessa prima di affrontare nel dettaglio la problematica inerente alla necessità di definire nei suoi molteplici aspetti l’evolversi del percorso epistolare e letterario tra Petrarca e Boccaccio, quale esso emerge nel loro carteggio. Come già sottolineato, difatti, una solida tradizione critica ha contribuito a proporre l’immagine del Certaldese secondo lo stereotipo del discepolo ed imitatore devoto, sempre sotto l’egida letteraria del più illustre Aretino, quasi che il venir meno ad un tale dato di fatto potesse, in qualche modo, ledere la riconosciuta superiorità del fondatore dell’Umanesimo europeo. A partire da qualche decennio, tuttavia, grazie a studi che si sono concentrati sull’analisi dei testi dei due intellettuali, è stato possibile verificare la distanza di questi eidola in rapporto alla realtà effettiva esposta dalle rispettive produzioni letterarie; tuttavia, se sotto tale profilo queste ricerche hanno dimostrato come occorra sempre ripartire dall’analisi testuale per poter costruire un panorama culturale che altrimenti rischia di divenire puro frutto dei giudizi critici, occorre altresì sottolineare che la mia attenzione si concentrerà non tanto sulla complessiva verifica di echi e rimandi tra le opere petrarchesche e boccacciane, quanto piuttosto nella messa in evidenza delle convergenze di interessi ed esperienze letterarie ed erudite quale esse emergono all’interno della mia sezione della corrispondenza, dal momento che esse ci consentono di delineare il complesso rapporto di quelle due corone che, pur nella loro diversa identità letteraria, vivono e condividono la medesima atmosfera di mutamento e rinnovamento culturali.

Indubbiamente occorre sottolineare che gli esordi del sodalizio epistolare tra Boccaccio e Petrarca, a partire dalla scrittura della Mavortis milex, seguono uno schema ben definito in cui è lo stesso Certaldese a porsi nei panni dell’inesperto discepolo, bisognoso dell’aiuto spirituale e letterario di una guida in grado di mostrargli la retta via del proprio percorso formativo. Tuttavia un tale incipit deve necessariamente tener conto della natura peculiare della composizione di questo primo dictamen boccacciano, così come appare evidente e comprensibile l’ossequio che un giovane autodidatta, mai dimentico dell’irregolarità della propria vicenda di formazione intellettuale, deve nei confronti di un

265 La ricerca di una conciliazione tra le ideologie dantesca e petrarchesca appare testimoniata emblematicamente

dall’excursus sull’origine della poesia contenuto nel Trattatello, in cui il materiale della Fam. X 4 viene volgarizzato per i lettori di Dante. Cfr. MARCOZZI, La biblioteca di Febo, pp. 26-29.

62 intellettuale di cui era già ampiamente riconosciuto il valore della produzione poetica e letteraria. Un tale percorso di discepolato, secondo l’immagine stessa che Petrarca e Boccaccio sembrano condividere in un primissima fase dello scambio epistolare, con l’uso dei termini preceptor e discipulus, risultò sicuramente di fondamentale importanza per l’apprendistato culturale del Certaldese, il quale, grazie alle ideali lezioni di poetica del corrispondente, ebbe di certo modo di vivere con più consapevolezza e modificare con maggior cognizione di causa le proprie convinzioni ideologiche.

Tuttavia il segno di più spiccato rilievo che colgo nell’incontro con il maestro aretino appare, senza dubbio, la nascita e lo sviluppo di un filone della personalità culturale di Boccaccio, il quale, su impulso petrarchesco, riscopre l’amore per le antichità classiche e l’importanza del recupero di tale erudizione da parte di chi si professa dotto ed intellettuale; la riscoperta dei numerosi tesori ad opera di Petrarca nelle biblioteche europee, infatti, significava non soltanto riportare alla luce le fondamenta della coeva tradizione letteraria, bensì permetteva anche di intraprendere un’approfondita riflessione di carattere poetico ed ideologico sul valore della letteratura e del ruolo dell’intellettuale. Boccaccio, però, non dimostra semplicisticamente di accogliere il valore immenso di queste riscoperte del corrispondente, ma, grazie a quella curiositas intellettuale a lui connaturata, si pone sul percorso indicatogli, rendendosi attivamente partecipe di importanti riscoperte; a lui va il merito di rimettere in circolazione numerosi testi della classicità latina, quali gli epigrammi di Marziale, la Pro Flacco e la Pro Quinctio di Cicerone, alcune opere di Seneca, parte dell’Appendix virgiliana, l’Ibis di Ovidio, opere di Apuleio e molti altri scritti.

È in questa prospettiva, dunque, che devono essere analizzati gli episodi contenuti nella corrispondenza in cui si registra l’invio di manoscritti e codici ad opera del Certaldese, il quale risulta già in grado di comprendere l’importanza e il valore di queste sue imprese di carattere filologico. Il recupero del manoscritto, mirabile in fattezze ed ornamenti, contenente l’intero testo delle Enarrationes in Psalmos di Sant’Agostino,266

dovette fortemente impressionare l’animo letterario di Petrarca, il quale percepì indubbiamente l’alto profilo del proprio corrispondente, giudizio confermato quando ricevette da Boccaccio anche i rarissimi frammenti del De lingua latina di Varrone accompagnati dalla Pro Cluentio ciceroniana,267 trascritti autografi da un codice rinvenuto nella biblioteca di Montecassino, in una delle incursioni ad opera del Certaldese. Boccaccio, inoltre, partecipò attivamente anche a vere e proprie ricognizioni di carattere filologico, alla ricerca di manoscritti o codici che permettessero di rinvenire importanti testi dell’antichità oppure su stimolo o richiesta del

266 Petrarca Di questo invio di materiale agostiniano siamo a conoscenza grazie all’epistola di ringraziamento da

parte dell’Aretino; cfr. PETR. Fam. XVIII 3 (= Corr. XIII).

267 La ricezione di questo codice autografo di Boccaccio è confermata in P

63 corrispondente; è quanto accade in occasione della missione ravennate tenuta per conto di Petrarca, il quale voleva ottenere informazioni attendibili in merito alla figura e alla vita di Pier Damiani,268 un’indagine dalla quale emerse con chiarezza la capacità filologica ormai sviluppata dal Certaldese nel reperire materiali di prima mano, le cui notizie potessero essere considerate in linea con la verità storica.

Ad ogni modo il recupero dei testi classici fu di fondamentale interesse anche perché consentì ai due intellettuali di riflettere su questioni di carattere letterario ed erudito, in particolare quando Petrarca rese partecipe il corrispondente della scoperta del testo della Pro

Archia ciceroniana, considerata il simbolo della nuova stagione culturale di cui si faceva

promotore, inviata all’entourage fiorentino tramite Lapo da Castiglionchio.269 La lettura di quest’opera classica a cui si andarono ad aggiungere importanti epistole petrarchesche che Boccaccio ebbe l’occasione di copiarsi durante il soggiorno padovano, in particolare la Epyst. II 10 a Zoilo e la Fam. X 4 al fratello Gherardo, permisero al Certaldese di poter formalizzare il contributo di queste nuove conquiste e conoscenze di poetica all’interno di opere dal carattere più strettamente enciclopedico-erudito, sviluppando una concezione poetica che, rispetto alla rigida prospettiva intellettuale proposta dall’Aretino, lasciava emergere un più forte ed autentico sentimento da verace cultore della poesia;270 infatti, all’interno delle formulazioni ideologiche teorizzate nei libri XIV e XV della Genealogia, Boccaccio, mai dimentico della lezione dantesca, propose una propria valutazione della poesia, la quale, a partire dall’analisi dei testi di Cicerone e di Petrarca precedentemente citati, non poteva arrivare a teorizzare in Dio l’oggetto poetico, dal momento che quest’ultimo doveva piuttosto prendere in considerazione le grandi opere dell’uomo e della natura, le quali andavano così a costituire una nuova teologia poetica. Appare dunque evidente che, se è possibile osservare orientamenti culturali boccacciani che potremmo dire ancora aderenti all’estetica medievale, anche nella concezione della verità poetica che deve essere proposta sub velamento nella finzione letteraria, sembra altresì innegabile l’importanza che il sodalizio epistolare e l’incontro con Petrarca assunsero nel progetto letterario ed erudito di Boccaccio, il quale, su impulso e stimolo del maestro aretino, venne immesso in una prospettiva che potremmo definire più marcatamente preumanistica, senza di fatto venir meno allo sperimentalismo e all’eclettismo che gli erano connaturati, dunque a tratti unici che rendevano originale ed estroversa la sua identità di intellettuale.

268

La missione compiuta a Ravenna da Boccaccio conclusasi con il ritrovamento della Vita Petri Damiani di Giovanni da Lodi viene ampiamente descritta, in BOCC. Ep. XI (= Corr. XXX).

269 Con la Var. XLV, infatti, Petrarca spediva a Lapo da Castiglionchio il testo della Pro Archia di Cicerone; per

la ricostruzione di tale vicenda, cfr. Introduzione, § I.3.3.

270

In particolare questa passione profonda dimostrata da Boccaccio nei confronti della poesia emerge in Genealogia XV, 10 6-8.

64 Allo stesso tempo, tuttavia, occorre anche sottolineare come, in una fase non troppo avanzata della corrispondenza, a seguito dei primi colloqui padovani, il rapporto tra i due intellettuali sembri divenire molto più prolifico e costruttivo, in conseguenza dell’avvenuto riconoscimento da parte di Petrarca del valore di poeta del corrispondente, affermazione che si trova ribadita anche all’interno del carteggio stesso.

Irasceris, ut reliqua sileam, quia te poetam in literis meis voco…Sed quia temporum magnis angustiis coarto, de hoc tecum scrupolosius litigare non est animus; tu videris quem te dici velis, ego quem te habeam statutum semel est michi;271

Il sodalizio epistolare si avvia dunque nella direzione di una vera e propria convergenza di interessi, esperienze e pensieri, in cui ognuno dei due corrispondenti, alla pari e attraverso il proprio singolare bagaglio culturale e letterario, offre rilevanti contributi.

In primo luogo il frutto di tale fortunata collaborazione culturale lo si ritrova nelle numerose iniziative erudite, che attestano singolari corrispondenze nella produzione dei due intellettuali, volte alla rinascita o alla ridefinizione di specifici generi letterari; entrambi gli interlocutori infatti sperimentano il genere epico e si dedicano alla composizione di biografie di uomini illustri o alla trattazione in ambito geografico, sebbene particolarmente emblematico del meccanismo di confronto tra Petrarca e Boccaccio risulti la volontà comune di dar vita ad un Bucolicum carmen.

Tale vicenda compositiva necessita di essere brevemente riassunta perché essa costituisce l’exemplum dimostrativo del rapporto di interazione culturale che si era venuto a creare fra le due corone trecentesche; se, infatti, l’esigenza di trovare una nuova definizione del genere bucolico era emersa in primo luogo attraverso lo scambio tra Dante e Giovanni del Virgilio, tale questione dovette essere colta da Boccaccio, il quale raccolse materiale sul genere bucolico, arrivando a trascriversi anche l’egloga petrarchesca Argus,272

e dando vita ad alcune prodotti letterari in linea con il modello dantesco-delvirgiliano, quali la Comedia delle

Ninfe fiorentine e la corrispondenza bucolica con Checco di Meletto Rossi. Allo stesso tempo,

però, il Certaldese decise di affrontare la problematica di genere anche con il suo interlocutore privilegiato, Petrarca, il quale, secondo il proprio progetto intellettuale, si era impegnato, anche in questo specifico genere, nel ripristino di una bucolica ispirata ai grandi modelli dell’antichità, in particolare ovviamente Virgilio. Ecco che da questo percorso all’interno del genere bucolico lo slancio che sembra venire dalla coppia Dante-Boccaccio si risolve in un’adesione da parte del Certaldese al ritorno, promosso da Petrarca, verso la forma pastorale classica in cui la bucolica era intesa come sistematico travestimento della realtà, mediante

271

Cfr. PETR. Fam. XVIII 15 (= Corr. XXI) § 2-3.

65 l’utilizzo di un linguaggio “cifrato” comprensibile ad un ristretto ed esperto pubblico;273

di questa prospettiva con cui viene valutato il genere bucolico ne abbiamo prova anche all’interno della stessa corrispondenza, in cui Boccaccio nell’Ep. X,274

trovandosi nella necessità di esprimere il proprio dissenso nei confronti della scelta del destinatario della dimora milanese, ricorrerà alla fictio bucolica al fine di scongiurare critiche che sarebbero potute risultare eccessivamente dure e polemiche se scagliate direttamente al corrispondente.

Infine per proporre un quadro completamente esaustivo che permetta di delineare nella loro complessità i rapporti epistolari e letterari intercorsi tra Petrarca e Boccaccio occorre mettere in evidenza anche un altro dato culturale di estremo rilievo; se, infatti, all’Aretino si deve l’aver dato un contributo decisivo alla nascita e all’evoluzione dell’ideologia letteraria sviluppata nella stagione cosiddetta umanistica, allo stesso tempo appare anche opportuno sottolineare l’apporto che pure il Certaldese seppe garantire ai posteri e che lo rendono, almeno sotto alcuni profili, molto più “umanistico” dello stesso corrispondente. Proprio in virtù delle resistenze che Boccaccio pose ad alcuni punti della poetica propostagli da Petrarca, egli elaborò una diversa concezione di eruzione e cultura, assai meno restrittiva e rigida rispetto a quella del proprio interlocutore, anzi la quale considerava in un’ideale continuità letteraria la tradizione latina accanto alla produzione greca e ai prodotti in volgare, consentendo di abbracciare tutta l’eterogenea varietà culturale che per Boccaccio risultava determinante ai fini di una corretta analisi della tradizione letteraria coeva. Non era possibile, difatti, per il Certaldese annunciare la superiorità della letteratura latina su quella greca,275 così come impensabile era affidare alla scrittura in latino una maggiore dignità letteraria rispetto alle opere composte in volgare, dal momento che egli considerava un iter unico ed ideale quello che consentiva di legare Omero e Platone a Cicerone e Orazio fino a giungere allo stimato maestro Dante e allo stesso Petrarca.

Sotto questo profilo appare imprescindibile non prendere in considerazione un’iniziativa di cui Boccaccio si fece portavoce, dalla quale emerge chiaramente il proprio pensiero in materia di cultura e poetica; egli, infatti, così come attesta la Disp. 46,276 fu il

273 Sulla questione inerente la rinascita del genere bucolico cfr. in particolare G.M

ARTELLOTTI, La riscoperta dello stile bucolico (da Dante al Boccaccio), in «Dante e Boccaccio e altri scrittori dall'Umanesimo al Romanticismo», Firenze, Olschki, 1983, pp. 91-106; G. VELLI, «Tityrus redivivus»: the rebirth of Vergilian pastoral from Dante to Sannazaro (and Tasso), in «Forma e parola», 1992, pp. 67-79 e G.ALBANESE, Tradizione e ricezione del Dante bucolico nell'Umanesimo: nuove acquisizioni sui manoscritti della Corrispondenza poetica con Giovanni Del Virgilio, in «Nuova Rivista di Letteratura Italiana», XIII (2010) , 1-2, pp. 237-326

274

All’interno di quest’epistola, infatti, Boccaccio scaglia una dura critica alla scelta petrarchesca di dimorare a Milano; cfr. BOCC. Ep. X (= Corr. XI) e Introduzione, § I.3.3.

275 Petrarca, infatti, aveva più volte ribadito all’interno delle proprie opere la superiorità della letteratura latina su

quella greca, fondando le proprie argomentazioni sui testi ciceroniani, in particolare sul De finibus. Cfr. PETR. Secr. II e Sen. XII 2.

276 Cfr. P

66 primo intellettuale a risollevare il velo sulle antichità e le opere greche, rimaste oscure durante i secoli medievali a causa della riconosciuta ignoranza di tale lingua e letteratura anche all’interno delle élites culturalmente più dotte, senza dimenticare ciò che lo stesso Petrarca affermava di se stesso.

…Homerus…apud me mutus, imo vero ego apud illum surdus sum. Gaudeo tamen vel aspectu solo et sepe illum amplexus ac suspirans dico: O magne vir, quam cupide te audirem!277

Ecco che dunque l’operazione culturale di cui Boccaccio si fa promotore attraverso la mediazione inevitabile e necessaria dell’italo-greco Leonzio Pilato rivela tutta la sua portata innovatrice; fu, infatti, grazie all’impegno del Certaldese che si rese possibile istituire la prima cattedra di Greco nell’Europa occidentale, così come fu garantita la nascita delle traduzioni dei testi omerici. Per quanto concerne la rinascita della letteratura greca, però, per quanto larga parte del merito debba essere giustamente affidata a Boccaccio, il quale non indugia nello stabilire per sé il primato di un evento di portata così epocale,

Ipse…fui, qui primus meis sumptibus Homeri libro set alios quosdam grecos in Etruriam revocavi, ex qua multis ante seculis abierant non redituri: nec in Etruriam tantum, sed in patriam deduxi. Ipse ego fui, qui primus ex latinis a Leontio in privato Yliadem audivi: ipse insuper fui, qui, ut legerentur publice Homeri libri, operatus sum.278

tuttavia occorre altresì riconoscere che la realizzazione di un tale progetto avvenne sempre all’interno del sodalizio letterario ed epistolare tra i due intellettuali; fu infatti Petrarca che parlò al corrispondente dell’incontro con quello che egli credeva essere un bizantino a Padova, il quale gli aveva redatto un saggio sull’Iliade omerica, di cui l’Aretino poter far mostra all’interlocutore durante il soggiorno milanese. Tale incontro tra i due intellettuali a Milano nel 1359, dunque, deve essere considerato di fondamentale interesse per la successiva operazione culturale di cui Boccaccio si fece promotore, sempre rendendo partecipe il corrispondente sugli esiti e gli sviluppi di una tale iniziativa, dal momento che quest’ultima veniva giustamente recepita come il frutto dei loro colloqui e dei loro più intimi intendimenti. Ecco che dunque, a conclusione di quest’analisi esaustiva del sodalizio letterario e culturale intrapreso da Petrarca e Boccaccio, il cui prodotto più emblematico appare appunto il carteggio stesso, occorre sottolineare quanto il percorso di ricerca messo a punto ci consenta di ritrarre un rapporto dai connotati squisitamente ideali, nel quale i due intellettuali più rilevanti del Trecento affrontano questioni di alto profilo letterario ed erudito sulle quali offrono il proprio personale contributo, che finisce con il diventare però, all’interno della

277 Cfr. P

ETR. Fam. XVIII 2, 10. Sulla questione della professata ignoranza petrarchesca della lingua e letteratura greca, cfr. anche PETR. Disp. 46 (= Corr. XXIX) § 14.

278 Cfr. B

67 corrispondenza, argomento di discussione, distanza ideologica, ma in ogni caso oggetto di mutua condivisione e reciprocità, permettendo così ai nostri occhi di lettori moderni di possedere una prospettiva privilegiata con la quale poter seguire gli sviluppi, tra rotture ed accelerazioni, originalità e compromessi, dell’ideale continuità che dall’ultimo Medioevo ci introduce progressivamente nella più matura e consolidata stagione umanistica.

68

I.4 DALL’ARTE MEDIEVALE DI DICTARE EPISTOLE ALLA CORRISPONDENZA DI

BOCCACCIO E PETRARCA.

All’interno di questo quarto capitolo prenderò in considerazione le scelte di cui i due corrispondenti si fanno portavoce in materia di lingua e stile, dal momento che l’analisi approfondita delle caratteristiche e dell’evoluzione dei modelli stilistici e linguistici all’interno della corrispondenza si dimostra un dato non secondario del rilievo che il carteggio tra Boccaccio e Petrarca assume, in particolare qualora sia legato ad un’attenta riflessione sul genere epistolare. Se difatti è possibile registrare la presenza di un ampio volume di studi prodotti e volti all’analisi evolutiva dell’epistolografia in ambito medievale e alla descrizione dei molteplici esiti che questo genere realizza nella stagione umanistica, tuttavia altrettanto non può dirsi della ricerca finora svolta nell’analisi del percorso che si è realizzato nel genere epistolare tra Medioevo e Umanesimo, periodo in cui lo studio della produzione epistolografica consente invece di verificare il graduale superamento dei modelli dei secoli tardo-antichi e medievali verso una concezione rivoluzionaria dell’epistola e dell’epistolario, soprattutto ad opera del modello petrarchesco. Ecco che dunque uno studio sistematico delle peculiarità stilistiche e linguistiche realizzate nel carteggio consente anche di riflettere più attentamente sui complessi meccanismi realizzatisi nel genere epistolare in questo complesso periodo di transizione.

Appare dunque opportuno compiere una precisa ricerca sul genere epistolare attraverso l’ottica privilegiata che ci viene offerta dalla corrispondenza tra le due corone del Trecento, grazie alla quale saremo in grado non soltanto di mettere in evidenza le adesioni di fatto presenti ad un modello epistolografico ancora tipicamente medievale, ma di poter seguire, per così dire in presa diretta, il complesso processo di evoluzione di un genere che, ad opera di Petrarca, subisce un impulso nuovo e straordinario. In primo luogo occorre dunque realizzare un’analisi approfondita dell’epistolografia di epoca tardo-antica e medievale, giungendo fino allo studio del rilevante modello dantesco, al fine di comprendere con maggior chiarezza quale fosse l’effettivo punto di partenza, dal quale la corrispondenza tra i due intellettuali prese avvio, in un contesto letterario che appare ancora immerso nel Medioevo, per quanto concerne sia la concezione che si aveva dell’epistola sia le principali fonti di riferimento. In un secondo momento, invece, si rende opportuna l’analisi della portata