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D OCUMENTAZIONE MEDIEVALE VERONESE E STORIA DELLA C HIESA TRENTINA A PPUNTI E SPUNT

Nel documento Studi di storia trentina (pagine 41-51)

1. Per una lunga spanna cronologica, corrispondente ai secoli dell’alto e del pieno medioevo – sino a quella che può essere defi- nita la ‘svolta’ di età comunale nella produzione delle fonti scritte dell’Italia medioevale – la situazione della documentazione trenti- na non si differenzia molto da quella di altre città dell’Italia centro- settentrionale, e pure di altre zone d’Europa, né quantitativamente, né qualitativamente.

La ben nota quasi assoluta carenza di fonti documentarie pro- dotte nel Trentino, e sul Trentino, nell’alto medioevo,1 non confi-

gura infatti di per sé una situazione eccezionale, visto che anche per altre città e territori dell’Italia centro-settentrionale (basti citare Padova, Vicenza, Bologna...) i documenti anteriori all’anno 1000 si contano sulle dita di una mano o poco più. Nei secoli VIII-XI, se- gnati dall’«egemonia della tradizione ecclesiastica»2 per quanto ri-

guarda la produzione delle fonti scritte, tra i soggetti istituzionali atti a produrre e conservare documenti – in linea di massima, epi- scopi, capitoli cattedrali, monasteri – solo i primi due sono presenti nel Trentino (che manca di insediamenti monastici importanti), e nulla è rimasto della loro documentazione.

Per converso, nei secoli VIII-X la città di Verona ha nel conte- sto padano un ruolo di grande rilievo sotto il profilo politico e isti- tuzionale, e ciò che più conta, ospita importanti centri di produzio- ne di scritture, che ne fanno – per questo periodo – una delle aree meglio documentate dell’intero regno d’Italia; e sia il capitolo della cattedrale di Verona, sia i grandi monasteri benedettini della città (Santa Maria in Organo, San Zeno), sia infine l’episcopio, produ- cono e conservano documentazione relativa anche al Trentino al- tomedioevale. Questa circostanza è dovuta non tanto alle ben note e discusse questioni di assestamento territoriale fra i due territori

1 Per una valutazione al riguardo si può partire per esempio da Gerola, I testi

trentini dei secoli VI-X. Si veda poi Andreolli, Proprietà fondiaria, pp. 189 ss.

2 Riprendo il termine dall’importante volume di Cammarosano, Italia medie-

diocesani, già definite all’epoca in cui compaiono le prime attesta- zioni documentarie,3 quanto all’ampiezza degli interessi patrimo-

niali degli enti veronesi,4 che si proiettano sull’intera area nord-

orientale del regnum. Così come si irraggia verso il Veneto orienta- le (nel Trevigiano e nel Padovano), allo stesso modo la sfera di in- fluenza degli enti ecclesiastici veronesi5 si proietta verso nord e

verso l’area trentina: nella Vallagarina6 e nell’Alto Garda, innanzi-

tutto. Nel medesimo contesto si colloca il cospicuo radicamento patrimoniale nel Trentino di singoli personaggi: come un Notkerio vescovo di Verona che – lo attesta il suo codicillo del 9277 – trasfe-

risce al capitolo della cattedrale i beni posseduti nell’area delle val- li Giudicarie.8

È solo nell’età altomedioevale che la documentazione prodotta e conservata a Verona ha un rilievo davvero significativo, anzi preminente, per la storia trentina. Ma naturalmente le conseguenze di questa situazione maturata prima del Mille durano, se pure in modo non omogeneo, assai a lungo. Certo, i diritti dell’episcopio veronese su Riva vengono meno; ma ancora a fine XI secolo i rap- porti fra il monastero di Santa Maria in Organo e l’ambiente della Vallagarina sono così vitali da determinare consistenti donazioni all’ente veronese, da parte di un ecclesiastico residente a Marco.9 E

i diritti signorili del capitolo della cattedrale di Verona su Bondo, Breguzzo e Bolbeno (le tre ville delle Giudicarie a esso soggette) sono esercitati sino all’inoltrato Duecento.

3 Come è noto, «con l’inclusione della Val Lagarina fino ad Ala (senza però le

due pievi di Avio e di Brentonico, che restavano di appartenenza veronese) [...] la diocesi di Trento era entrata in possesso fin dal secolo VII o VIII di quei territori già veronesi [...] sui quali, stando alla narrazione degli Atti di s. Vigilio, s’era dila- tata la missione del santo presule con la fondazione di oltre trenta chiese»: Rog- ger, Testimonia, p. XV.

4 Si vedano questi atti in Codice diplomatico veronese. Sono tutti ovviamente

citati e utilizzati nella ricerca di Andreolli, Proprietà fondiaria.

5 Come del resto degli enti bresciani (San Benedetto di Leno, Santa Giulia) e

in genere padani (Bobbio): Andreolli, Proprietà fondiaria, p. 190.

6 Per il celeberrimo documento dell’845 si veda Andreolli, Montanari,

L’azienda curtense, pp. 106-112.

7 Andreolli, Proprietà fondiaria, p. 194.

8 Si tratta dunque di beni posseduti allodialmente dal vescovo, non dall’epi-

scopio.

Documentazione medievale veronese e storia della Chiesa trentina 33

Nei secoli del pieno e basso medioevo, un filone di documenta- zione archivistica veronese relativo al Trentino va dunque indivi- duato negli esiti degli antichi rapporti patrimoniali, consolidatisi nei secoli IX-X. È un filone, peraltro, già sfruttato nelle sue com- ponenti principali dalla ricerca storica: sulla signoria rurale del ca- pitolo cattedrale veronese nelle Giudicarie si sono ad esempio esercitati, ai primi del Novecento, tanto il Simeoni10 quanto il Vol-

telini.11 Tale documentazione (certamente il corpus di documenti

trentini più cospicuo esistente negli archivi veronesi) potrebbe tut- tavia essere utilmente rivisitata sotto il profilo della storia agraria e sociale; né è da escludere che l’analisi degli atti non datati dei se- coli XII e XIII, conservati nell’Archivio del capitolo veronese, si riveli fruttuosa.12 Nella seconda metà del Duecento, comunque, il

capitolo veronese perde – come quasi tutti gli enti ecclesiastici ve- ronesi – ogni prerogativa di tipo pubblico, nel distretto trentino come in quello veronese, e la documentazione relativa a Bondo, Breguzzo e Bolbeno si esaurisce in via definitiva: l’ultima attesta- zione della dipendenza di queste ville dall’ente veronese, come ri- corda il Voltelini, è del 1284.

Una conoscenza abbastanza ampia della documentazione vero- nese inedita dei secoli XI e XII mi consente di escludere l’esistenza di giacimenti documentari cospicui, addensati attorno a una locali- tà; anche se è ben probabile che uno spoglio a tappeto porti al- l’emergere di qualche dato ulteriore.

A partire dal XII secolo, e soprattutto nel XIII, la situazione isti- tuzionale – e di conseguenza la ‘geografia’ documentaria – si viene divaricando profondamente, fra Trento e Verona. Nel territorio trentino, come ben si sa, si consolida il potere del principe vescovo, e con esso cresce – in particolare nel Duecento – l’attitudine del-

10 In una delle sue prime ricerche d’impegno sul piano della storia politico-

istituzionale: Simeoni, I comuni di Bondo, Breguzzo e Bolbeno.

11 Si veda il suo contributo in Voltelini, Giurisdizione signorile, pp. 11-42. 12 L’Archivio capitolare di Verona dispone di eccellenti strumenti di corredo

per la ricerca, che permettono di utilizzare ancora oggi il vecchio inventario cin- quecentesco redatto su base topografica da Alessandro Canobbio, anche dopo che nei decenni scorsi il Turrini ha provveduto a una nuova inventariazione delle per- gamene (ora cronologicamente disposte). Si veda Zivelonghi, Strumenti e spunti, pp. 117-176.

l’episcopio a produrre e conservare documentazione.13 Non si svi-

luppa invece, a Trento, il nuovo ‘polo’, quello laico-comunale, di produzione documentaria:14 quindi nella geografia documentaria

trentina si mantiene una sostanziale esclusività delle istituzioni ec- clesiastiche nella tradizione documentaria, che si viene vieppiù ar- ticolando con la nascita degli archivi di San Lorenzo, il più impor- tante ente monastico cittadino, e del capitolo della cattedrale. Va inoltre osservato che è attorno agli enti ecclesiastici che sono attivi anche i soli notai duecenteschi, operanti a Trento e nella diocesi trentina nei decenni centrali del Duecento, le cui carte si siano con- servate: carte ben note, grazie alle esemplari edizioni del Voltelini e dello Huter.15

A Verona invece a partire dalla seconda metà del secolo XII l’affermazione del comune cittadino modifica profondamente il panorama della documentazione. Si continua naturalmente a pro- durre documentazione che riguarda anche il Trentino: tuttavia, non solo è ‘nuovo’ l’ente che produce documentazione (il comune ap- punto), ma è anche diversa per così dire la filosofia, il principio che presiede alla produzione di questa documentazione. Il comune, nel suo sforzo di affermazione e di definizione territoriale, non può in- fatti non produrre documentazione che riguarda le zone di confine. Emblematica al riguardo la nota circostanza che il liber iurium del comune di Verona (iniziato nel 1184, l’anno successivo alla pace

13 Oltre che per l’episcopio, per capitolo e monasteri trentini, è sufficiente rin-

viare qui alla recente sintesi di Rando, Vescovo e istituzioni ecclesiastiche, con rinvio alla bibliografia precedente (in particolare alle ricerche del Rogger). È su- perfluo sottolineare la centralità, sotto il profilo documentario, dell’episcopato di Federico Wanga.

14 Per le caratteristiche dell’archivio del magistrato consolare di Trento – cioè

per la sua esilità e per il ritardatissimo o addirittura mancato sviluppo delle caratteri- stiche tipiche della documentazione comunale – si veda Casetti, Guida, pp. 882 ss. (con bibliografia: Cresseri ecc.); inoltre Leonardelli, «Comunitas Tridenti», con amplissima bibliografia. Sulle caratteristiche che assume la documentazione co- munale negli Stati cittadini dell’Italia centro-settentrionale (enorme crescita quan- titativa nel Duecento, nascita della documentazione d’ufficio) e sui processi socia- li e politici a esse sottesi (ad esempio la centralità del notariato), si veda la sintesi di Bartoli Langeli, La documentazione degli stati italiani.

15 Die Südtiroler Notariats-imbreviaturen. Su queste fonti si veda anche la

poco nota ricerca (di taglio storico-giuridico) di Grispini, Note sulle imbreviature (ove a una lunga introduzione, alle pp. 5-116, segue un’ampia scelta di atti, nell’edizione Voltelini).

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di Costanza) riporti in limine un elenco delle ville «que distrin- guuntur et ex antiquo distringuebantur per commune Verone»: è un documento che si può definire una sorta di ‘manifesto’, l’enuncia- zione di un programma politico di affermazione territoriale. Tra queste ville figurano anche le località del Trentino meridionale, come Ala e Avio:16 ed è in questo contesto che viene prodotta a

Verona, a partire dall’età comunale, documentazione inerente alla Vallagarina, nonché la zona montana al confine fra i due territori e le due diocesi; documentazione, appunto, ‘di confine’. Si può esemplificare ulteriormente con un importante atto del 1145 (pro- prio agli albori dunque dell’età comunale veronese), noto già al- l’erudizione settecentesca ma recentemente valorizzato dal Rogger e dal Leonardelli,17 nel quale si menziona la consacrazione della

cattedrale di San Vigilio da parte del vescovo Altemanno, nonché i consoli della città di Trento:18 la sua stesura è determinata, a Vero-

na, dalla donazione di pascoli nella zona di confine, sui monti Les- sini all’estremo limite meridionale del territorio di Trento.

Per una zona circoscritta del territorio trentino – in buona so- stanza per la Vallagarina – a questa altezza cronologica si apre dunque, teoricamente, una nuova potenzialità documentaria nel- l’area veronese. Tale potenzialità è peraltro drasticamente condi- zionata, se non proprio vanificata, dai danni gravissimi subiti dalle fonti pubbliche veronesi due e trecentesche, a causa della quasi completa distruzione della documentazione comunale e signorile sino al 1387, all’inizio della dominazione viscontea (cui seguì nel 1405 quella veneziana). Documenti pubblici veronesi relativi a quest’area per i secoli XIII e XIV sono dunque sopravvissuti in numero ridotto e casuale. È solo a partire dal Quattrocento che nel- le serie delle Ducali veneziane, negli atti dei rettori veneti in Vero- na, e anche nella documentazione del comune di Verona, si trovano

16 Cipolla, Verona, p. 478.

17 Rogger, Testimonia chronographica, pp. 62-63; Leonardelli, «Communitas

Tridenti».

18 Leonardelli, «Communitas Tridenti», pp. 339-340. Senza entrare qui nel

merito delle gravi perplessità che crea l’attestazione, a un’epoca così alta, di con- soli trentini, va detto che a un attento controllo il documento (ASVr, Archivi tra-

sferiti da Venezia nel 1966, S. Nazaro e Celso, perg. 808; ma si veda il citato sag- gio di Leonardelli, anche per la bibliografia), pervenuto in originale, appare inec- cepibile sotto il profilo diplomatistico.

non raramente fonti relative al Trentino veneziano, che per vari aspetti fu soggetto ai rappresentanti veneti a Verona e alle istitu- zioni municipali veronesi.19 Ciò ha riflessi precisi anche in ordine

alla storia delle istituzioni ecclesiastiche, sia per quanto della mate- ria beneficiale ricadeva sotto il controllo del governo veneziano,20

sia più latamente per la storia, ovviamente connessa, della società rurale.21

Al di là dell’area di confine, comunque, e al di fuori dell’ambito delle fonti comunali e ‘pubbliche’, è opportuno (anche se ovvio) ribadire che il reperimento di documentazione inerente al Trentino non può mai essere del tutto escluso, tra la fine del secolo XII e la fine del XIV, per gran parte dei ricchi fondi archivistici veronesi pertinenti alle corporazioni religiose soppresse, e che per questo arco cronologico di fatto non esiste un punto di riferimento preciso per chi persegua, nella documentazione veronese, obiettivi trenti- ni.22 Nella prospettiva di un ‘codice diplomatico trentino’, analogo

al Tiroler Urkundenbuch, di cui ogni tanto si torna a discutere, tut-

ta la documentazione veronese dovrebbe essere rivista. Del resto, i criteri che dovrebbero o dovranno presiedere alla predisposizione

19 Per tutto ciò mi limito a rinviare qui agli atti del congresso Il Trentino in età

veneziana (in particolare a Law, A new frontier, e a Varanini, Le istituzioni eccle-

siastiche).

20 Sia consentito rinviare a Varanini, Le istituzioni ecclesiastiche, pp. 435-524. 21 In questa direzione è utile ricordare anche un altro fondo importante pubbli-

co veronese quattrocentesco, quello dell’Ufficio del Registro, nelle due serie

Istrumenti e Testamenti. Esso surroga in parte la mancanza dell’archivio notarile. La serie Istrumenti, costituita dalle copie degli istrumenti versate dai notai (è un qualche cosa di simile ai Memoriali bolognesi) ha del resto già mostrato, ai primi del Novecento, con gli spogli archivistici compiuti dal Gerola, dall’Avena, dal Montini e da altri, la sua fecondità per la storia della Vallagarina e in tale contesto anche per la storia delle istituzioni ecclesiastiche. La serie Testamenti, fornita di indici, raccoglie per il solo XV secolo 14.000 testamenti, e può ovviamente inte- ressare anche l’area trentina per l’intensissimo interscambio socio-economico fra i due territori.

22 Lo esemplifica bene il caso «strategico» dei Castelbarco: la documentazione

veronese che li riguarda è estremamente frammentaria, dispersa nei fondi eccle- siastici più disparati e negli archivi familiari che – in assenza delle fonti pubbliche e del notarile – sono la spina dorsale della documentazione locale due e trecente- sca, e solo pazienti spogli dell’erudizione otto-novecentesca veronese e trentina hanno potuto portarla parzialmente alla luce. Intendo comprovare questa afferma- zione con l’edizione di alcuni significativi documenti castrobarcensi dei secoli XII e XIII reperiti negli archivi veneziani, vaticani e veronesi.

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di questo strumento dovranno essere discussi con attenzione; e par- ticolarmente delicata sarà la scelta del termine cronologico ad

quem. Mi limito qui a un cenno, relativo alle fonti veronesi ma estendibile forse anche a qualche altro contesto territoriale/docu- mentario contiguo al principato vescovile e suscettibile di fornire sostanziosi contributi, come Brescia. Se si ritiene infatti, come è giusto che sia, di progettare un codice diplomatico che tenga conto di ogni e qualsiasi riferimento, anche indiretto, al territorio trenti- no, è consigliabile a mio avviso un limite cronologico piuttosto al- to, non oltre la fine del secolo XII o al massimo al primo quarto del Duecento. È facile infatti constatare che il Duecento segna a un tempo una grande espansione quantitativa della documentazione veronese (come di ogni altra città), e un incremento sostanziale e una capillarizzazione delle relazioni economico-sociali e politico- istituzionali fra Verona e Trento: due circostanze che renderebbero lunghissimo, faticosissimo e sproporzionato ai presumibili risultati lo spoglio della documentazione. Porto soltanto un ulteriore esem- pio: sui circa 7500 cittadini veronesi che giurano nel 1254 il patto fra Oberto Pallavicino ed Ezzelino da Romano circa il 20% risulta- no immigrati di prima o seconda generazione, e una consistente percentuale di costoro proviene da Trento o da territori appartenen- ti alla diocesi trentina, o dalla val Venosta.23 Ne discende una pre-

senza capillare dei trentini nella società urbana, controllabile solo a prezzo di uno spoglio completo della documentazione.

2.1. Sembra lecito inserire qui qualche cenno riguardo alla do- cumentazione veronese inerente alle pievi di Avio e Brentonico, sulla riva destra dell’Adige, dipendenti da Trento sotto il profilo civile ma appartenenti fino al 1785 alla diocesi di Verona.24 È ov-

vio cercarne traccia nell’Archivio della curia vescovile,25 che non è

23 Per un cenno a questi dati si veda Varanini, L’espansione urbana.

24 Per questo aggiustamento territoriale basti qui rinviare a Costa, I vescovi di

Trento, p. 207, e alla trattazione (manoscritta) di L. Castellani, Notizie di parroc-

chie cedute a Trento e a Mantova (in BCVr, ms. 2355), segnalata dal Segala nel- l’opera citata alla nota seguente (p. 62, nota 41).

25 Per una descrizione del quale si veda Segala, L’archivio storico. Ivi (pp. 50-

51) si ricorda anche lo smembramento – effettuato nel 1875 dal vescovo, il card. Canossa – del fondo Mensa vescovile, la cui parte più antica fu depositata presso

tuttavia per il basso medioevo particolarmente ricco. I registri tre- centeschi della mensa vescovile sono cronologicamente il primo riferimento utile, a far data dal 1351 e dall’episcopato di Pietro del- la Scala. Si tratta di registri miscellanei,26 comprendenti sia docu-

mentazione inerente al governo disciplinare del clero (come le promozioni agli ordini sacri),27 sia documentazione relativa alla

materia beneficiale e all’amministrazione patrimoniale (investiture decimali, fiscalità ecc.). La documentazione relativa ad Avio e Brentonico non è abbondante, ma non è del tutto trascurabile, e la- scia intravedere alcune particolarità interessanti, determinate dalle vigenti condizioni politiche.

La comune dipendenza dai Castelbarco tanto delle zone eccle- siasticamente veronesi quanto delle trentine e il relativo allenta- mento del controllo veronese favorisce non solo una certa conta- minazione, con preti trentini che officiano in territorio veronese e viceversa, ma anche una minore concentrazione in città delle por- zioni beneficiali (molto forte nella Chiesa veronese, durante la do- minazione scaligera) e nel complesso una tenuta dell’istituzione pievana forse migliore che non altrove.28

Per l’età veneziana, dopo le ripetute commende episcopali della prima metà del Quattrocento, la documentazione di curia veronese si fa relativamente abbondante, e si viene articolando e differen- ziando tipologicamente, in coincidenza con il riassetto della diocesi impostato dopo la metà del Quattrocento da Ermolao Barbaro il Vecchio.29 Questa significativa diversificazione del quadro docu-

mentario è conseguente anche alla riorganizzazione della cancelle- ria episcopale; oltre all’importante visita pastorale del 1454-60, tut- tora inedita,30 compaiono alcuni registri di collazioni31 e di atti di-

gli antichi archivi annessi alla Biblioteca comunale, ed è conservata oggi presso l’ASVr.

26 Vedine un cenno complessivo, e la descrizione di uno di essi, in Fresco, La

chiesa veronese, pp. I-VI dell’Appendice.

27 Bianchi, Per la storia della chiesa veronese.

28 Per qualche cenno in questa direzione: Varanini, Le istituzioni ecclesiasti-

che, pp. 438-439.

29 Per questo episcopato è sufficiente rinviare qui a De Sandre Gasparini, Go-

verno della diocesi.

30 Tonolli, Il «liber visitationum». 31 Cipriani, Per lo studio dell’episcopato.

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versi.32 Si ha l’impressione tuttavia che l’impegno notevole nel go-

verno pastorale profuso dal Barbaro e dai suoi collaboratori duran- te quasi tutto l’episcopato (1453-71) non abbia avuto continuatori, nei decenni seguenti; il fatto che non si ritrovi documentazione in forma di registro (per le collazioni o altro) sembra in qualche modo confermarlo. È verosimile comunque che i citati registri della Men-

sa vescovile33 forniscano, per l’area della diocesi veronese che qui

interessa, ulteriori elementi, che consentano di riallacciarsi poi al quadro offerto nel Cinquecento dalla visita pastorale del Giberti34 e

alla serie delle visite pastorali dei suoi successori a partire dalla se- conda metà del Cinquecento.35

2.2. Pur esulando dai limiti cronologici imposti a questo contri- buto, riteniamo utile dare infine un cenno al materiale documenta- rio di età moderna, relativo alle pievi di Avio e di Brentonico, che si trova nelle buste intitolate a dette istituzioni nel titolo XVII («Amministrazione particolare della diocesi») dell’attuale ordina- mento dell’Archivio della curia vescovile di Verona: documenta- zione che è poco nota e poco utilizzata dai ricercatori trentini. Que- sto titolo raccoglie – parrocchia per parrocchia – materiale miscel- laneo (costituito da decreti di nomina o rinuncia di parroci, docu- mentazione inerente ai benefici, alle confraternite, ai rapporti con l’autorità civile ecc.) probabilmente ordinato nell’Ottocento.36

Non di rado la documentazione archivistica relativa alle pievi veronesi conservata in queste buste risale anche al Quattrocento.37

Non è però il caso delle due pievi di confine che qui interessano,

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