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Omelia nella celebrazione delle esequie di mons. Angelo Durighetto

■Chiesa parrocchiale di Caposile, 19 dicembre 2011

dando a quello che Caposile è oggi. Per questo il suo ricordo è tale che, se non parlassero gli uomini - traggo questa espressione dal vangelo di Luca - “gride-rebbero le pietre” (cf. Luca 19,40).

È singolare, del resto, ma anche ben comprensibile, che nessuno abbia mai osato dire all’anziano don Armando, come avviene con gli altri parroci: «Ora ba-sta, le tua età non ti consente più di fare il pastore di questa comunità», essendo troppo intenso il legame tra questo sacerdote e questo luogo. Grazie anche alla presenza di don Giancarlo e di don Flavio, egli ha potuto rimanere qui, con i suoi. Qui, fino alla fine, ha voluto bene a tutti; fino alla fine ha pregato. Mi è sta-to detsta-to: «Negli ultimi mesi si faceva centinaia di segni di croce ogni giorno e sussurrava giaculatorie. La sua anima era ormai pronta per l’ultimo viaggio».

Ed è proprio vero che mentre metteva pietra su pietra, innalzando questa chie-sa e altre strutture per la comunità, don Armando realizzava il vero progetto: quel-lo di una comunità, di un popoquel-lo dedicato al Signore. Di questa comunità è stato guida, padre, ispiratore di un modo concreto e felice di vivere da cristiani.

Le parole che abbiamo sentito scrivere da Paolo alla sua amata comunità di Filippi potrebbero ben suonare in bocca a don Armando, rivolte a tutti noi e, in particolare, ai suoi fedeli di Caposile: «Fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore, carissimi!» (Fil 4,1). E poi:

«Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia no-ta a tutti» (Fil 4,4-5). La letizia, l’allegria, la simpatia, le arguzie di don Armando hanno non solo reso liete tante persone che lo accostavano, come pure tanti ami-ci e tanti confratelli sacerdoti, ma sono state anche un suo modo peculiare di es-sere pastore amabile, seminatore di bontà, di es-serenità, di consolazione.

E, con l’apostolo Paolo, Don Armando ci ripete anche: «Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8). Con il suo stile gioioso, fraterno, accattivante, don Ar-mando ha aiutato a riconoscere tutto ciò che nella vita e nell’esperienza umana è positivo, costruisce relazioni, promuove una vita serena e desiderabile, facendo scorgere in tutto ciò la presenza discreta e amorosa di Dio. Mi permetta don Fla-vio, che in questi ultimi due e mezzo gli è stato accanto, di riportare una sua con-fidenza. Mi ha detto: «Don Armando mi ha accolto e mi ha voluto un bene im-menso; con lui ho fatto un’esperienza meravigliosa di umanità». L’umanità di don Armando difficilmente si cancellerà dalla memoria della nostra chiesa diocesana.

Noi oggi riconsegniamo al Signore il dono dei 100 anni di vita e 75 anni di sacerdozio di don Armando. Sono stati davvero dono, grazia, benedizione per lui, ma anche per i tanti che egli ha incontrato, amato, consolato, condotto per mano nell’incontro con Dio. La sua morte ci ha fatto pensare a quella degli anti-chi patriaranti-chi della Bibbia, come Abramo, padre della fede, di cui leggiamo:

«Morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni, e si riunì ai suoi antenati» (Gen 25,8): parole che ben si addicono anche a don Armando. Noi sappiamo che il

tempo è dono di Dio, e che dietro ad ogni vita, breve o lunga, vi è un disegno di-vino; siamo convinti che “tutto è grazia”, se accolto dentro il ”sia fatta la tua vo-lontà” che ogni giorno ripetiamo nel Padre nostro.

Preparandomi a dare l’ultimo saluto a Don Armando, non potevo non pen-sare che poco più di un anno fa il nostro presbiterio piangeva la morte di un sa-cerdote trentaquattrenne, ricco di doni, don Claudio; ora piange il suo decano, questo prete centenario, amato e sapiente. E pensavo che, comunque, il Signore opera cose grandi nei suoi umili servi, in coloro che lo amano e che aiutano ad amarlo. È il mistero della vita e della morte che tocca, in maniera imprevedibile, anche la nostra fraternità presbiterale trevigiana. Sono momenti in cui il presbi-terio sente la propria unità e riconosce come reale e ben radicata la propria tra-dizione di uomini dedicati al Signore e al suo popolo, educati fin dal seminario alla fedeltà e alla disponibilità.

Segno di questa comunione presbiterale ed ecclesiale è proprio la presenza di tanti sacerdoti. Il vescovo Paolo Magnani, oggi fuori diocesi, mi ha assicurato la sua comunione nella preghiera, ma so che egli è venuto qui ieri a pregare da-vanti alla salma di Don Armando. Anche l’arcivescovo Andrea Bruno Mazzoca-to ha fatMazzoca-to giungere la sua partecipazione al dolore e la sua preghiera per quesMazzoca-to sacerdote di cui ha conosciuto il valore umano e pastorale.

Sono certo che tanti altri sacerdoti avrebbero voluto essere presenti, ma gli impegni pastorali di questi giorni, prossimi al Natale, hanno reso impossibile la loro partecipazione a questa liturgia esequiale: lontani fisicamente, ma spiritual-mente non assenti da questa celebrazione. Fra tutti, desidero ricordare mons. Vi-cario Generale, il quale ha periodicamente visitato don Armando, tenendomi in-formato e partecipe dell’evoluzione della sua salute, oggi impegnato a Treviso a presiedere una improrogabile riunione di un importante organismo diocesano.

Nel suo Testamento don Armando ha scritto, rivolgendosi ai suoi parroc-chiani: «Mi sono trovato tanto bene in mezzo a voi che, se questo fosse possibi-le, desidero essere sepolto non nella chiesetta dei sacerdoti, ma in mezzo al ci-mitero, in modo che ogni volta che qualcuno entra per una visita possa dire una preghiera anche per me». È bello pensare al pastore sepolto in mezzo al suo greg-ge, come in mezzo al suo gregge si è svolta la sua vita, con la tenerezza attinta dal grande Pastore, che - secondo la descrizione del profeta Isaia - «porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11).

Il pastore si è allontanato, dicevo all’inizio, ma solo apparentemente: rimane qui, tra i defunti di questa comunità; rimane qui nel ricordo vivo di tantissime per-sone; rimane nel nostro ricordo, di noi che ora lo affidiamo alla misericordia di Dio.

Lo facciamo attraverso l’intercessione della Vergine di Lourdes, da lui tanto amata e tanto visitata (a Lourdes don Armando è andato ogni anno, fino al 2009).

Voglio esprimere, prima di concludere, il cordoglio sincero alle sorelle, ai ni-poti, in particolare don Sergio e p. Claudio, e ai parenti di don Armando.

E non posso tralasciare di dire la nostra profonda gratitudine a tante persone

che gli sono state vicine, soprattutto in questi ultimi anni. A don Flavio, che è stato accanto a lui con la tenerezza di un figlio e la sollecitudine di un padre, assicuran-do attorno alla persona dell’anziano sacerassicuran-dote un clima di serenità, di vigilanza, di comunicazione dei parrocchiani con il loro parroco. Grazie a don Giancarlo Ruffa-to, a lungo accanto a don Armando, che con la sua collaborazione a don Flavio gli ha consentito di far fronte agli impegni delle tre parrocchie a lui affidate.

Grazie al Signor Ettore, che lo ha seguito con commovente dedizione, af-frontando grandi sacrifici, che hanno suscitato l’ammirazione di tutti noi. Grazie alla fedelissima Signora Adriana. Il suo nome e quello di Ettore erano i più ripe-tuti da don Armando. Grazie ancora alla Signora Genoveva, al medico curante dott. Paolo Dalla Pozza, all’amico dott. Madeyski. Grazie a tante persone di Ca-posile che in tanti modi si sono prodigate con amore verso don Armando.

Il Signore benedica tutti e ci faccia ritrovare un giorno, assieme a don Ar-mando, là dove «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28). Amen.

Nell’antivigilia del Natale siamo qui a chiedere al Signore che questo nostro fratello sacerdote, mons. Lino Vasti, possa celebrare il suo vero dies natalis, il gior-no della sua vera nascita, come la tradizione cristiana ama definire la morte, la nascita al cielo, l’incontro definitivo e beatificante con Dio, conclusione della vi-ta terrena, ma inizio della vivi-ta eterna. La volontà del Padre - ci ha detto infatti Gesù nel brano evangelico appena proclamato - è «che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,40).

Mons. Lino Vasti è stato, come testimonia chi lo ha conosciuto, un autenti-co credente, un sacerdote dalla fede profonda. Una fede certamente vista prati-care e acquisita in famiglia, come è avvenuto per tanti fanciulli e ragazzi della sua generazione (era nato 90 anni fa) e di queste nostre terre.

È stata certamente anche questa sua fede robusta, quotidianamente coltiva-ta, a rendere intenso e totalmente dedito agli altri il suo ministero sacerdotale, svolto nella diocesi di Roma: diocesi della quale don Lino ha fatto parte a parti-re dal 1957, pur essendo cparti-resciuto nella nostra diocesi e ordinato a Tparti-reviso nel 1945. Il suo amore al Signore e la sua fedeltà alla preghiera si sono rese evidenti anche durante la sua permanenza presso la nostra Casa del Clero di Treviso, do-ve ha trascorso gli ultimi anni.

Due nostri sacerdoti trevigiani, che sono stati ospitati da don Lino negli an-ni Sessanta nella sua parrocchia di Santa Maria dell’Olivo, in località Settecami-ni, nella periferia di Roma, mi hanno parlato di lui come di un parroco zelante, dall’intensa attività, particolarmente dedito agli operai e ai poveri. Con lui vive-va la sorella Flavia, persona squisita («una “santa”, intelligente e sempre sorri-dente e ben voluta»), che con la sua dolcezza sapeva anche mitigare qualche aspetto del carattere deciso e talora focoso di don Lino; carattere che non gli im-pediva però di essere sorridente, scherzoso, capace di profonda amicizia.

Don Lino ha amato intensamente la parrocchia affidata alle sue cure pasto-rali. Grande lavoratore («non conosceva ferie o giorni di vacanza», è stato detto di lui), ma anche persona che sapeva trovare tempi adeguati per la relazione con Dio. Chi ha vissuto con lui mi ha testimoniato: «Ricordo la “cura” nel recitare il breviario e il tempo dedicato al ringraziamento dopo la S. Messa»: segni di una intensa partecipazione alla liturgia, prima fonte di ogni vera spiritualità cristiana.

Nel suo Testamento spirituale mons. Lino ha scritto: «Ringrazio il Signore per l’amore del quale sempre mi ha circondato. Mi ha colmato di grazie, e lo rin-grazio in particolare del dono del sacerdozio, la gioia della mia vita». Egli ha an-che manifestato il desiderio an-che nel ricordarlo dopo la sua morte venga riporta-to un tesriporta-to di san Paolo ai Romani, tesriporta-to che è scelriporta-to per questa ragione come

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