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Rivista della Diocesi di Treviso Atti ufficiali e vita pastorale

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Academic year: 2022

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ANNO C - Nn° 10 - 11 - 12 Ottobre - Novembre - Dicembre

ANNO C Nn° 10-11-12 OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE

Poste Italiane spa

Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 e 3 D.L. 29/12/2011, n. 216 comma 2, art. 21 NE/TV

Filiale di Treviso/Tassa pagata.

In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio di Treviso

In copertina:

Nel centenario di pubblicazione della rivista: foto del Sinodo del 1911

Atti ufficiali e vita pastorale

2011

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Direttore Responsabile:

Mons. Giuliano Brugnotto Cancelliere Vescovile

Segretario:

don Daniele Fregonese

Stampa:

Grafiche Dipro - Roncade/TV

Sede:

Curia Vescovile Piazza Duomo, 2 31100 Treviso telefono 0422 416700 Fax 0422 416715

Email: cancelleria@diocesitv.it c/c postale 120311

Registrazione Tribunale di Treviso N° (in attesa di registrazione) Finito di stampare

nel mese di novembre 2012

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Indice

ATTI DELSOMMOPONTEFICE

Angelus 251

Catechesi settimanali 252

Discorsi 253

Esortazioni apostoliche 257

Messaggi 257

Motu prop rio 258

Omelie di ottobre, novembre, dicembre 258

ATTISANTASEDE 261

ATTI DELLACONFERENZAEPISCOPALEITALIANA 263 ATTI DELVESCOVO

Omelie 265

Interventi del Vescovo 288

Impegni del Vescovo 296

ATTI DELLACURIAVESCOVILE

Nomine del clero 305

Altre nomine 312

Promulgazione Statuto Consulta diocesana delle Aggregazioni laicali 313 Dedicazione chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo apostolo in Treviso 318 Costituzione Sezione Protocollo dell’Ufficio di cancelleria 319 Nomine Consigli Parrocchiali per gli affari economici 320

Sacerdoti defunti 322

DOCUMENTAZIONE

Verbale ed atti del consiglio presbiterale del 17-18 ottobre 2011 325

Le 3 Vocazioni della cattedrale 335

Rivista della Diocesi di Treviso

Atti ufficiali e vita pastorale

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Angelus

■All’Angelus il Papa ricorda la parabola dei vignaioli infedeli: “Gli angeli se- gno della premura di Dio“ (2 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 3-4 ottobre 2011, p. 1.

■L’Angelus al termine della Messa a Lamezia Terme: “Più attenzione per il la- voro, gioventù e disabili“ (9 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 10-11 ottobre 2011, p. 7.

■All’Angelus il Papa spiega ai fedeli il senso dell’incontro con i nuovi evange- lizzatori: “Sfida urgente e appassionante per la Chiesa“ (16 ottobre 2011) in L’Os- servatore Romano, 17-18 ottobre 2011, p. 8.

■L’Angelus al termine della canonizzazione: “Luminosi testimoni del vangelo“

(23 ottobre 2011) in L’Os servatore Romano, 24-25 ottobre 2011, p. 12.

■Benedetto XVI nell’incontro con i fedeli per l’Angelus domenicale propone l’e- sempio di Gesù: “Il Mosè che estende l’alleanza a tutti i popoli“ (30 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 31 ottobre -1 no vembre 2011, p. 8.

■All’Angelus del 1 novembre il Papa ricorda anche la commemorazione dei de- funti: “La vita: una corsa verso la santità“ (1 novembre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 2-3 novembre 2011, p. 8.

■All’Angelus l’appello di Benedetto XVI per la fine delle violenze in Nigeria:

“Come una lampada con cui attraversare la notte“ (6 novembre 2011) in L’Osser- vatore Romano, 7-8 novembre 2011, p. 8.

■All’Angelus dedicato alla parabola dei talenti Benedetto XVI parla del prossi- mo viaggio in Benin: “Per la riconciliazione e la giustizia in Africa“ (13 novem- bre 2011) in L’Osservatore Romano, 14-15 novem bre 2011, p. 7.

■Al termine della Messa la preghiera dell’Angelus: “Coltivate i valori della vi- ta e della famiglia“ (20 no vembre 2011) in L’Osservatore Romano, 21-22 novembre 2011, p. 10.

Atti del Sommo Pontefice

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■All’Angelus l’appello di Benedetto XVI alla comunità internazionale alla vigi- lia della conferenza di Durban: “Una risposta credibile e solidale ai cambiamenti climatici“ (27 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 28-29 novembre 2011, p. 8.

■All’Angelus il Papa ripropone l’appello di Giovanni Battista alla conversione:

“La sobrietà stile del cri stiano“ (4 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 5-6 di- cembre 2011, p. 8.

■L’Angelus dell’8 dicembre in piazza San Pietro: “Quel sì che ha avvicinato il cielo alla terra“ (8 dicem bre 2011) in L’Osservatore Romano, 9-10 dicembre 2011, p. 8.

■All’Angelus la benedizione delle statuine dei bambinelli portate dai piccoli del Centro oratori romani: “Il valore del Natale“ (11 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 12-13 dicembre 2011, p. 8.

■All’Angelus il Papa parla dell’Annunciazione: “Il sì che Dio aspetta“ (18 di- cembre 2011) in L’Osservatore Romano, 19-20 dicembre 2011, p. 8.

■Benedetto XVI all’Angelus di Santo Stefano esprime sofferenza per l’attentato in Nigeria: “L’amore vera imitazione di Cristo“ (26 dicembre 2011) in L’Osserva- tore Romano, 27-28 dicembre 2011, p. 7.

Catechesi settimanali

■ Alla figura del pastore evocata dal Salmo 23 il Papa dedica l’udienza genera- le: “Chi sa trovare erba e ac qua nel deserto“ (5 ottobre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 6 ottobre 2011, pp. 1 e 8.

■Appello di Benedetto XVI al termine dell’udienza generale: “Coesistenza pa- cifica in Egitto nel rispetto delle minoranze“ (9 ottobre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 13 ottobre 2011, pp. 1 e 8.

■All’udienza generale il Papa parla del Salmo 136: “La storia della bontà di Dio dalla creazione alla salvezza“ (19 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 20 otto- bre 2011, p. 8.

■All’udienza generale il Papa parla della commemorazione dei defunti: “L’uo- mo ha bisogno di eternità“ (2 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 2-3 no- vembre 2011, p. 7.

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■All’udienza generale Benedetto XVI parla del salmo 119: “L’alfabeto della leg- ge di Dio“ (9 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 10 novembre 2011, pp. 7-8.

■All’udienza generale il Papa conclude con il salmo 110, le riflessioni sulla pre- ghiera del Salterio: “L’a more è più forte dell’odio e del male“ (16 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 17 novembre 2011, p. 7.

■Durante l’udienza generale Benedetto XVI riflette sul viaggio apostolico in Be- nin: “Una nuova stagione di speranza“ (23 novembre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 24 novembre 2011, p. 8.

■All’udienza generale il Papa parla della preghiera di Gesù: “Finestre aperte verso il cielo“ (30 novem bre 2011) in L’Osservatore Romano, 1 dicembre 2011, p. 8.

■ All’udienza generale il Papa prosegue la riflessione sulla preghiera di Gesù:

“Con il cuore dei piccoli“ (7 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 8 dicembre 2011, p. 8.

■All’udienza generale il Papa continua la riflessione sulla preghiera di Gesù:

“Con il cuore aperto alle necessità di chi ci sta accanto“ (14 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 15 dicembre 2011, p. 8.

■All’udienza generale Benedetto XVI spiega il senso sacro e cristiano del Nata- le: “Orizzonti aperti per entrare nel mondo di Dio“ (21 dicembre 2011) in L’Os- servatore Romano, 22 dicembre 2011, p. 8.

■Durante l’udienza generale il Papa parla della santa Famiglia: “A scuola di preghiera nella casa di Nazaret“ (28 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 29 dicembre 2011, p. 8.

Discorsi

■Con la popolazione all’arrivo a Serra San Bruno: “Il monastero modello per la società“ (9 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 10-11 ottobre 2011, p. 7.

■Ai prefetti d’Italia il Papa ricorda che la funzione civile va esercitata con di- gnità e responsabilità: “Nel l’interesse dei cittadini e del bene comune“ (14 otto- bre 2011) in L’Osservatore Romano, 15 ottobre 2011, p. 8.

Benedetto XVI ai partecipanti al convegno promosso dalla fondazione Cente- simus Annus pro Pontefice: “Per una nuova sintesi tra famiglia e lavoro“ (15 otto- bre 2011) in L’Osservatore Romano, 16 otto bre 2011, p. 8.

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■La raccomandazione del Papa a una delegazione della Chiesa siro-malabare- se: “Pace e armonia per il bene della chiesa“ (17 ottobre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 17-18 ottobre 2011, p. 6.

■La consegna di Benedetto XVI durante l’incontro con i nuovi evangelizzatori:

“L’annuncio è responsabi lità di tutti“ (15 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 17-18 ottobre 2011, p. 7.

Il Papa in visita alla Domus realizzata dai vescovi del Paese: “Un piccolo an- golo di Australia nel cuo re di Roma“ (19 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 21 ottobre 2011, p. 6.

■Benedetto XVI al Convegno internazionale degli ordinariati militari e al corso di formazione dei cappel lani militari: “La guerra oltraggia la dignità umana“ (22 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 23 ot tobre 2011, p. 8.

Il Te Deum e la nona sinfonia di Bruckner nel concerto in onore di Benedetto XVI nell’Aula Paolo VI: “Come all’interno di una grande cattedrale“ (22 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 24-25 otto bre 2011, p. 5.

■Benedetto XVI ricorda il suo predecessore durante l’udienza alla fondazione Giovanni Paolo II: “Ci ha lasciato una vasta e ricca eredità“ (24 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, p.12.

■I saluti ai partecipanti alla celebrazione della Parola: “Benedetto XVI vicino al- le popolazioni colpite dal sisma in Turchia“ (26 ottobre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 27 ottobre 2011, p. 7.

■Il discorso del Papa nella basilica di Santa Maria degli Angeli: “Il vero Dio è ac- cessibile a tutti“ (27 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 28 ottobre 2011, p. 12.

■Il Papa al termine dell’incontro nella piazza inferiore di San Francesco ad As- sisi: “Continuiamo uniti in questo cammino“ (27 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 29 ottobre 2011, p. 7.

■L’udienza del Papa alle delegazioni presenti all’incontro di Assisi: “Il viaggio dello spirito è sempre un viaggio di pace“ (28 ottobre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 29 ottobre 2011, p. 8.

■A docenti e studenti delle università pontificie il Papa parla del ministero sa- cerdotale: “Amici di Cristo“ (4 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 6 no- vembre 2011, p. 8.

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Benedetto XVI ai membri dell’Israeli Religious Council: “Pace per Gerusalemme e la Terra santa“ (10 no vembre 2011) in L’Osservatore Romano, 11 novembre 2011, p. 8.

■Il discorso del Papa per la cittadinanza onoraria conferitagli dal comune di Natz-Schabs/Naz-Sciaves: “Di casa in una terra fatta dagli angeli“ (9 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 11 novembre 2011, p. 8.

■Il Papa ai volontari cattolici europei riuniti in Vaticano: “Strumenti dell’amo- re di Dio per una società più umana“ (11 novembre 2011) in L’Osservatore Roma- no, 12 novembre 2011, p. 8.

■Benedetto XVI ai partecipanti alla conferenza internazionale sulle staminali:

“Niente giustifica la di struzione anche di una sola vita umana“ (12 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 13 novembre 2011, p. 5.

■Il discorso ai membri del Governo, ai rappresentanti delle istituzioni della Re- pubblica, al corpo diplo matico e alle autorità religiose nel palazzo presidenziale di Cotonou: “L’Africa ha bisogno di servitori della speranza“ (19 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 20 novembre 2011, pp. 6-7.

■La cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale Bernardin Gantin:

“Aperti a una modernità radi cata nei valori“ (18 novembre 2011) in L’Osservato- re Romano, 20 novembre 2011, p. 8.

■La visita alla cattedrale di Cotonou: “Al riparo della misericordia di Maria“

(18 novembre 2011) in L’Os servatore Romano, 20 novembre 2011, p. 9.

■L’incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i laici nel se- minario di San Gall, a Oui dah: “Lasciate trasparire Cristo nella vostra vita“ (19 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 20 novembre 2011, p. 10.

La firma dell’esortazione apostolica post-sinodale Africae munus: “Una chiesa segno profetico di ri conciliazione“ (19 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 20 novembre 2011, p. 11.

■La traduzione italiana del discorso del Papa nella basilica di Ouidah: “Per la giustizia e il bene di tutti” (19 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 20 no- vembre 2011, p. 12.

■L’incontro con i bambini nella parrocchia di Santa Rita a Cotonou: “Pregate per il Papa e per i piccoli che soffrono“ (19 novembre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 21-22 novembre 2011, p. 8.

(11)

■Il discorso ai vescovi del Benin: “Rinnovamento spirituale e slancio missiona- rio“ (19 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 21-22 novembre 2011, p. 9.

■Consegnata l’esortazione apostolica post-sinodale: “Africa sii luce del mon- do“ (20 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 21-22 novembre 2011, p. 10.

■La cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale di Cotonou: “Dal Benin la strada della fraternità nella giustizia“ (20 novembre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 21-22 novembre 2011, p. 11.

■Nel saluto ai gruppi presenti all’udienza il Papa ha rivolto particolari espressio- ni ai pellegrini greco-cat tolici di Krievci: “Costruttori di comunione tra occidente e oriente“ (23 novembre 2011) in L’Osser vatore Romano, 24 novembre 2011, p. 7.

■Benedetto XVI e i quarant’anni della Caritas italiana: “Il coraggio della frater- nità“ (24 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 25 novembre 2011, p. 8.

■Il Papa alla plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici: “Ricominciare da Dio“

(25 novembre 2011) in L’Os servatore Romano, 26 novembre 2011, p. 8.

■Benedetto XVI alla conferenza internazionale promossa dal Pontificio Consi- glio per gli Operatori Sani tari: “La sofferenza mette alla prova l’amore“ (26 no- vembre 2011) in L’Osservatore Romano, 27 no vembre 2011, p. 8.

■Agli studenti il Papa chiede di essere «custodi della vita e del creato»: “Una ri- sposta responsabile ai cambiamenti climatici“ (28 novembre 2011) in L’Osserva- tore Romano, 28-29 novembre 2011, pp. 1 e 8.

■Benedetto XVI al concerto dell’Orchestra Sinfonica del Principato delle Astu- rie: “Un pezzo di Spagna nell’aula Paolo VI“ (26 novembre 2011) in L’Osservato- re Romano, 28-29 novembre 2011, p. 7.

■Benedetto XVI ai partecipanti al congresso mondiale di pastorale per gli stu- denti internazionali: “Giovani artefici dell’incontro tra le culture“ (2 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2011, p. 7.

■Benedetto XVI alla Pontificia Commissione Teologica Internazionale: “Il teologo uomo dell’avvento“ (2 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2011, p. 8.

■Il Papa al termine dell’incontro d’Avvento offertogli dal Bayerischer Rund- funk: “Un tempo di silenzio per l’attesa del Signore“ (2 dicembre 2011) in L’Os- servatore Romano, 4 dicembre 2011, p. 8.

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■Benedetto XVI rende omaggio all’Immacolata in piazza di Spagna: “Giovani artefici dell’incontro tra le culture“ (8 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 9- 10 dicembre 2011, p. 8.

■Benedetto XVI alle cooperative cattoliche e alle banche di credito cooperativo richiama l’ispirazione cri stiana: “Mercato mai senza solidarietà“ (10 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 11 dicembre 2011, p. 8.

■Benedetto XVI alla delegazione dell’Ucraina che ha donato l’albero di Natale per piazza San Pietro: “Un incontro tra le ricchezze spirituali di Oriente e Occi- dente” (16 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 17 dicembre 2011, p. 8.

■Il discorso di Benedetto XVI durante la visita a Rebibbia: “Giustizia e miseri- cordia nella logica di Dio” (18 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 19-20 di- cembre 2011, p. 7.

■Il saluto del Pontefice ai ragazzi dell’Azione Cattolica Italiana: “A nessuno manchi il necessario per vivere” (19 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 19- 20 dicembre 2011, p. 8.

■Benedetto XVI al Collegio cardinalizio, alla Curia Romana e al Governatorato:

“Un modo nuovo dell’essere cristiani” (22 dicembre 2011) in L’Osservatore Roma- no, 23 dicembre 2011, p. 8.

■Il Papa nella benedizione alla città e al mondo ha ricordato le situazioni diffi- cili nei vari continenti: “Umanità ferita da tanti conflitti” (25 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 27-28 dicembre 2011, p. 8.

Esortazioni Apostoliche

Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Post-sinodale: Africae Munus (19 no- vembre 2011) in L’Osserva tore Romano, 20 novembre 2011, supplemento.

Messaggi

II Pontefice per il cinquantesimo anniversario di Adveniat: “Le radici spiri- tuali dell’aiuto sociale“ (4 ot tobre 2011) in L’Osservatore Romano, 16 ottobre 2011, p. 7.

(13)

■Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale dell’alimentazione:

“Egoismi e interessi affama no il mondo“ (17 ottobre 2011) in L’Osservatore Roma- no, 17-18 ottobre 2011, p. 6.

■Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale del migrante e del ri- fugiato 2012: “Migrazioni e nuova evangelizzazione“ (15 ottobre 2011) in L’Os- servatore Romano, 26 ottobre 2011, p. 8.

■Il Papa in un messaggio al secondo congresso nazionale della famiglia in Ecuador: “La mancanza di la voro mina la dignità dell’uomo“ (1 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 11 novembre 2011, p. 7.

■Messaggio del Papa al Patriarca ecumenico Bartolomeo I per la festa di San- t’Andrea: “Uniti per testimoniare pace e riconciliazione” (24 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 1 dicembre 2011, p. 6.

■Messaggio di Benedetto XVI al cardinale Gianfranco Ravasi in occasione del- la sedicesima seduta pubblica delle Pontificie Accademie: “Testimonianze e te- stimoni” (30 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 2 dicembre 2011, p. 5.

■Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale 2012: “Educare i giova- ni alla giustizia e alla pace” (8 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 17 di- cembre 2011, pp. 4-5.

Motu proprio

■Motu proprio di Benedetto XVI per l’indizione dell’Anno della fede che si aprirà 1’11 ottobre 2012, cin quantesimo anniversario dell’inizio del Concilio Va- ticano II: “La porta della fede“ (11 ottobre 2011) in L’Os servatore Romano, 17-18 ot- tobre 2011, pp. 4-5.

Omelie

■L’omelia durante la Messa a Lamezia Terme: “La cura dell’altro e del bene pubblico“ (9 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 10-11 ottobre 2011, p. 6.

■I secondi vespri recitati con la comunità dei monaci della certosa di Serra San Bruno: “Nel silenzio che trova l’essenziale“ (9 ottobre 2011) in L’Osservatore Ro- mano, 10-11 ottobre 2011, p. 8

■Benedetto XVI alla Messa per la nuova evangelizzazione ha annunciato l’An- no della fede: “Per porta re l’uomo dal deserto alla vita in Cristo“ (24 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 17-18 ottobre 2011, p. 8.

(14)

■In piazza San Pietro il Papa proclama santi Guido Maria Conforti, Luigi Gua- nella e Bonifacia Rodri guez de Castro: “Trasformati dalla carità“ (23 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, p. 11.

■Benedetto XVI presiede la celebrazione della Parola in preparazione alla gior- nata di Assisi: “Il mosaico della pace“ (26 ottobre 2011) in L’Osservatore Romano, 27 ottobre 2011, p. 8.

■Messa del Papa in suffragio dei cardinali e dei vescovi morti durante l’anno:

“Nel mistero del ‘terzo gior no‘” (3 novembre 2011) in L’Osservatore Romano, 4 no- vembre 2011, p. 8.

■Benedetto XVI in visita alla parrocchia romana di Santa Maria delle Grazie a Casal Boccone: “Testimoni della luce” (11 dicembre 2011) in L’Osservatore Roma- no, 12-13 dicembre 2011, p. 7.

■A San Pietro per il bicentenario dell’indipendenza dei Paesi dell’America La- tina e dei Caraibi: “Nuova vocazione alla speranza” (12 dicembre 2011) in L’Os- servatore Romano, 14 dicembre 2011, p. 8.

■Nella basilica Vaticana il Papa celebra i Vespri con gli universitari di Roma: “Il segno della pazienza di Dio” (15 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 17 di- cembre 2011, p. 8.

■Nella messa della Notte il Papa invita a seguire il cammino interiore di san Francesco ispirato alla Natività: “Dio si manifesta al cuore diventato semplice”

(24 dicembre 2011) in L’Osservatore Romano, 27-28 dicembre 2011, p. 7.

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Atti della Santa Sede

■Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Messaggio per la festa di Deepavali: “Cristiani e Indù insieme per promuovere la libertà religiosa“ in L’Osservatore Romano, 21 ottobre 2011, p. 5.

■Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: “Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’au- torità pubblica a competenza universale“ in L’Os servatore Romano, 24-25 otto- bre 2011, pp. 6-8.

(17)
(18)

■Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pa- ce. Messaggio CEI per la giornata del ringraziamento del 13 novembre: “Cam- pagna, solo con Dio c’è futuro“ in Avvenire, 18 ot tobre 2011, p. 18.

Atti della Conferenza

Episcopale Italiana

(19)
(20)

Omelia nella Celebrazione Eucaristica della Commemorazione dei fedeli defunti

■Cattedrale di Treviso, 2 novembre 2011

Fratelli e sorelle, viviamo questa celebrazione con il pensiero ai nostri cari che ci hanno lasciato, concludendo il loro cammino terreno. Oltretutto, più la no- stra età avanza, più ci ritroviamo a dover collocare tra i defunti le persone più care. Per molti di noi ricordare i defunti significa fare memoria di tante persone a cui la nostra vita è profondamente legata, addirittura coloro che ci hanno dato la vita - i nostri genitori -, ma tutti coloro che ci hanno aiutato a crescere, ci han- no trasmesso la fede e tanti altri valori, ci hanno offerto affetto, amicizia, esem- plarità di vita. Vogliamo avere in questa celebrazione anche un particolare ricor- do per i Vescovi defunti della nostra chiesa trevigiana.

La nostra preghiera di suffragio è allora un atto di amore, di fraternità, di ri- conoscenza, di intercessione. Ma più ancora è un profondo atto di fede. È un pro- fessare che la morte dei nostri defunti è stata accolta da Cristo nell’amore supre- mo espresso dalla sua morte e dunque, in Cristo, si apre anche alla luce della sua resurrezione. Questa nostra celebrazione diviene perciò un grande atto di fede nella risurrezione di Cristo.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato illumina questa nostro credere e an- che il nostro pregare.

Nella prima lettura abbiamo sentito Giobbe dichiarare: «Io so che il mio re- dentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere» (Gb 19,25).

Dicevo che più scorre la nostra esistenza, più ritroviamo tra i morti coloro a cui è legata la nostra vita. Ma su di essi, sulla polvere che essi sono, cioè sull’ap- parente nulla a cui la morte li ha condotti, si erge il Vivente. «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5) viene detto alle donne che si recano alla tom- ba di Gesù il mattino di Pasqua. Egli è vivo e «si erge sulla polvere»: domina, vit- torioso, la morte; la trasforma in vita per sempre.

Siamo spesso troppo distratti di fronte a questa verità, e rischiamo così - co- me scriveva Paolo ai cristiani di Tessalonica - di affliggerci come gli altri che non hanno speranza (cf. 1Ts 4,13). In realtà il Cristo risorto, che è anche per noi ri- surrezione e vita, conferisce un senso nuovo alla nostra esistenza, che pur scor- ge davanti a sé la morte, e la plasma come un’esistenza destinata a sfociare non nel nulla ma nell’abbraccio di Dio.

Atti del Vescovo

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Certo, può nascere in noi la domanda: ma la meritiamo davvero la vita, la vita eterna? Ci sono davvero in noi, ci sono state nei nostri cari defunti, le con- dizioni per essere uniti alla resurrezione stessa di Gesù? Se l’ingresso nella casa del Padre fosse totalmente condizionato dal nostro comportamento, difficilmen- te potremmo considerarci destinatari del dono della vita per sempre con Dio e ci porteremmo dentro un’angoscia senza fine circa la nostra salvezza.

Ma Paolo, nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, ci ha detto parole straordinariamente consolanti. Ci ha detto che «la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rom 5,5). Pensiamo alla forza di questa verità: ciò che di più grande, di più autentico, di più efficace, di più vitale esiste, l’amore senza limiti di Dio, è stato riversato nei nostri cuori, cioè nel più profondo di noi stessi. La nostra vita, la vita dei nostri cari, segnata dalla presenza e dalla grazia di Dio e del suo Spirito ricevute nel Battesimo, nella Cresima, nell’Eucarestia e negli altri sacramenti, è, è stata, oggetto dell’amore di Dio. Un amore che - come ogni altro amore, anche l’imperfetto, limitato e precario amore umano - desidera che la per- sona amata non muoia, non venga meno, ma viva per sempre. L’amore non si esprime forse nel desiderare che l’amato sia con me e lo sia per sempre?

E che questo amore di Dio riversato nelle nostre vite sia reale ci è dimostra- to - ci dice Paolo - dal fatto che Cristo ci ha amati non come risposta al nostro amore, e nemmeno come premio alla nostra conversione o alla nostra vita buo- na; ma «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rom 5,8), e

«quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo» (Rom 5,10).

È a questo amore incondizionato di Dio, che sempre precede il nostro pic- colo e povero amore, che noi facciamo appello, con fiducia, nella preghiera per i nostri defunti, convinti che - come scrive ancora Paolo ai Romani - «se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rom 8,31).

Abbiamo ascoltato, infine, parole di Gesù che ci riempiono di speranza e danno senso alla nostra preghiera.

Nel brano evangelico Gesù ci ha fatto conoscere con parole inequivocabi- li qual è la volontà del Padre nei confronti di ogni creatura umana: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,39). Non si tratta dunque di riuscire a strappare la vita eterna ad un Dio severo, che seleziona con rigore e ammette con inflessibili controlli chi può entrare o meno nella relazione de- finitiva con Lui.

Prendiamo coscienza di questa volontà di Dio: verità che si pone al di sopra di ogni tentativo di dissolvere l’amore del Padre dietro una immagine di Dio che incute solo o prevalentemente timore. Il Padre ci ha affidati alla custodia e all’a-

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morosa attenzione di Gesù, chiedendogli di “non perdere nulla”, cioè di non ab- bandonare nessuno ad un destino di morte. Certo, questo ci pone anche di fron- te al mistero della nostra libertà e della nostra responsabilità, dal momento che il nostro Dio non ci salva contro la nostra volontà. Ma la sua volontà è che tutti abbiano la vita eterna e siano associati alla resurrezione di Gesù, pastore buono che si prende cura anche delle pecore smarrire e lontane dal suo gregge.

Tutto questo ci dà fiducia e speranza, anche in relazione ai nostri cari de- funti la cui vita può apparirci non esemplare o piuttosto lontana dal Vangelo.

Noi affidiamo tutti a questo amore che la Parola ci ha rivelato, convinti che il Signore, che solo scruta in profondità ogni cuore, sa scorgere anche il bene che sfugge ai nostri occhi.

A Lui consegniamo i nostri cari defunti, perché, purificati dalla sua miseri- cordia, godano per sempre della sua pace e della sua gioia.

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Che cosa ci spinge, fratelli e sorelle, a raccoglierci in una chiesa nel cuore della notte per sentirci ripetere la strana storia di una bambino che nasce due- mila anni fa in un villaggio ai margini del grande impero romano? È solo una buona tradizione? È solo un momento (magari non proprio il più piacevole) di un più ampio “programma”, che si compone solitamente di cena-regali-Messa- riposo? È il concedere qualcosa - come qualcuno direbbe - alla “religione”, in una circostanza che, sì, forse suscita qualche buon sentimento o evoca sensazioni dol- ci che fanno riandare all’infanzia, o qualche vago fascino lontano?

Richiamo queste possibili ragioni dell’essere qui questa notte con grande ri- spetto, riconoscendole buone, tutt’altro che insignificanti, occasioni da valoriz- zare. Ma mi permetto, se necessario, di invitare ad andare oltre la buona tradi- zione, che può anche farci vivere questo momento con una certa superficialità, quasi fermandoci sulla soglia del vero Natale cristiano: un Natale da riconosce- re, o da recuperare, al di sotto di vari rivestimenti che lo rendono spesso non fa- cilmente percepibile.

Per riconoscerlo, il Natale cristiano, dobbiamo, come sempre, affidarci alla Parola che abbiamo ascoltato. Nella quale vorrei far notare una sorta di spro- porzione tra la grande attesa espressa nella prima lettura dal profeta Isaia e il semplice, umile fatto della nascita di quel bambino a Betlemme raccontata dal vangelo. Come pure la sproporzione tra questo piccolo evento della nascita e la grande interpretazione che ne fa Paolo nella lettera a Tito, ascoltata nella secon- da lettura.

Isaia, intravvedendo la figura del re che Dio invierà al popolo d’Israele (scrive alcuni secoli prima di Cristo), tratteggia anticipatamente la venuta del Messia; ma lo fa descrivendo una scena grandiosa: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1). E poi: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Con- sigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5).

Paolo aiuta a comprendere il significato della già avvenuta nascita e poi del- la vita di Gesù, scrivendo: «È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tut- ti gli uomini e ci insegna … a vivere in questo mondo …, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità…» (Tit 2,11-13) (Lc 2,6-7).

Ebbene, se uno, senza aver letto i vangeli, conoscesse solo le parole di Isaia che precedono la venuta di Gesù e quelle di Paolo che ne richiamano il senso, im- maginerebbe che il Messia nasca circondato da manifestazioni di gloria, in una scenografia che induca a riconoscere la sua potenza. Giunge nel mondo l’onni-

Omelia nella Santa messa nella notte di Natale

■Cattedrale di Treviso, 25 dicembre 2011

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potente, l’infinito, l’eterno: forse la terra intera tremerà, forse apparirà con evi- denza quanto grande sia la distanza tra la sua grandezza e la piccolezza di noi mortali, fallibili, creature di passaggio sulla terra. E invece, ci racconta Luca che

«mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei [Maria] i giorni del par- to. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,6-7).

Noi abbiamo trasformato questa scena in poesia; in realtà, essa è una prosa molto cruda, racconta una nascita fatta di povertà e di indifferenza. E se esiste una qualche attenzione verso questo neonato, proviene - ci racconta Luca - da

«alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge» (Lc 2,8): dunque da persone (poche: alcuni, non una fol- la) appartenenti ad una categoria tra le più umili di quella società in quel tempo.

Tutto questo dice qualcosa di paradossale, sembra stravolgere ogni logica.

Tanto che non è difficile che questa nascita sia percepita da molti come una fa- voletta buona per intrattenere i bambini, una storiella commovente che fa bene alle anime semplici. In realtà l’evangelista Luca la colloca dentro un preciso con- testo storico, negli anni dell’imperatore Cesare Augusto e del governatore della Siria Quirinio, in una città della Giudea chiamata Betlemme. Come a dire: non è una fiaba; è un fatto.

Ma questo è lo stile di Dio, provocatorio e, per certi aspetti, deludente ri- spetto a certe attese, o scandaloso rispetto ad un certo modo di pensare a Dio. Il Figlio di Dio non scende sulla terra dall’alto, ma vi entra, per così dire, dal bas- so: là dove si trovano gli ultimi, coloro per i quali spesso nel mondo non c’è po- sto, non c’è pane, non c’è dignità, non c’è cittadinanza, non ci sono diritti. E si fa incontrare - e ce lo farà comprendere poi bene durante la sua vita pubblica - là, e solo là, dove l’uomo riconosce la sua piccolezza, la sua fragilità, il suo peccato.

Mostrando anzi che chi si sente irreprensibile, senza peccato, si pone fuori dalla salvezza; mentre gli è vicino, anche senza avvedersene, chi si considera sincera- mente peccatore, non migliore degli altri.

Così, in questa nascita e con tutta la sua vita, ci ha detto Paolo, Gesù «ci insegna a vivere in questo mondo» (Tit 2,12). Impariamo a vivere accogliendo questo suo amore che appare impotente, questo suo donarsi non rivestito di apparati trionfali ma attuato nella ordinarietà di una vita propria dei poveri e dei semplici.

In tutto questo - è ancora Paolo a dircelo - «è apparsa la grazia di Dio» (Tit 2,11), cioè il suo donarsi. «È nato per voi un Salvatore» (Lc 2,11), è l’annuncio ai pastori; «un bambino è nato per noi», aveva dichiarato Isaia (Is 9,5); «Egli ha da- to se stesso per noi» (Tit 2,14), afferma Paolo. Dunque questo, se possiamo così chiamarlo, uscire del Figlio dalla sua condizione divina - «non ritenne un privi- legio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di ser- vo», dice Paolo ai Filippesi (Fil 2,6-7) - trova senso nel suo essere “per noi” e non

“per sé”, nell’essere Colui che dona e non colui che pretende.

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Il Natale ci indica dunque, e la Pasqua lo confermerà in maniera ancora una volta inattesa, questa grande regola cristiana: è donando, addirittura donandosi, che la vita acquista senso, anzi, che la vita viene salvata. Come recita una celebre preghiera attribuita a san Francesco d’Assisi: «Fa’ che io non cerchi tanto di es- sere consolato, quanto di consolare, di essere compreso, quanto di comprendere, di essere amato, quanto di amare. Perché è dando, che si riceve, perdonando, che si è perdonati, morendo, che si resuscita a vita eterna».

Se Natale è tempo di regali - tradizione assai bella, da vivere comunque nel- la sobrietà e nell’attenzione ai poveri - siamo chiamati a comprendere che il gran- de dono, il grande regalo natalizio è Lui: il Figlio di Dio fattosi uno di noi, per noi.

Buon Natale, dunque: una Natale cristiano, che sappia trovare nel dono che è Gesù la ragione e la forza per ogni altro dono, per una vita vissuta come dono.

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Nell’insieme dei momenti che solitamente, e auspicabilmente, caratterizza- no il Natale - il trovarsi con i propri cari, lo scambiarsi regali, anche il vivere con distensione relazioni di solito affrettate, specie con i più soli e bisognosi - il mo- mento celebrativo che qui stiamo vivendo dovrebbe aiutarci a riconoscere e ac- cogliere l’autentico Natale, quello cristiano, quello che ha per vero protagonista Gesù di Nazaret, nato da Maria, Figlio di Dio venuto in mezzo a noi.

Il significato di questa venuta ci è fatto comprendere in maniera particolar- mente densa dal prologo del vangelo di Giovanni che abbiamo appena ascolta- to: pagina altissima e preziosissima per la nostra fede. Non possiamo non tenta- re di entrare almeno in alcune delle sue espressioni. Ne scelgo tre.

1. La prima: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).

La tradizione cristiana ha sempre amato l’immagine della luce. La prima parola che esce dalla bocca di Dio nell’atto della creazione, nei primi versetti del- la Bibbia, è: «Sia la luce!» (Gen 1,3). Gesù stesso ha usato la simbologia della lu- ce per dirci chi è Lui per noi: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cam- minerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). E la sua nascita era stata profetizzata da Zaccaria con le parole:«Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge» (Lc 1,78). È per questa ragione che le antiche chiese romane e gotiche ve- nivano solitamente costruite con l’abside rivolta verso oriente: dove sorge il so- le che è Cristo.

Forse la nostra civiltà, in cui illuminare la notte è diventato assai più sem- plice rispetto ai secoli passati, rende meno ricco questo simbolo (ma chi va, per esempio, in certi paesi dell’Africa ne riconosce meglio tutta l’efficacia). Senza lu- ce non riconosciamo le persone, non vediamo la strada, non scorgiamo neppure noi stessi riflessi in uno specchio, non conosciamo le bellezze presenti nel mon- do; si spegne la vita; si vive nell’angoscia.

Il credente è convinto che senza la luce che è Cristo si fa buio sulla propria identità, non si riconoscono agli altri per quello che sono non solo in se stessi ma davanti a Dio, alla luce di Dio, rimane offuscato il senso dell’esistenza, non si può scorgere che cosa ci attende oltre la vita presente.

Fare il Natale cristiano significa anzitutto riconoscere che questo bambino, nato nel rifiuto e nella povertà, illumina la nostra esistenza.

2. Nato non solo nella povertà, ma venuto “nella carne”. Giovanni usa le ce- lebri parole: «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14): ecco la seconda espressione su cui vor- rei portare l’attenzione. “Si fece carne” significa che il Figlio di Dio si è calato in

Omelia nella Santa messa nel giorno di Natale

■Cattedrale di Treviso, 25 dicembre 2011

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quella debolezza, in quell’esperienza del limite, della precarietà, della fatica, che è ben conosciuta da ogni mortale, soprattutto da coloro che appartengono agli emar- ginati della storia. Gesù lo sperimenterà soprattutto quando subirà, Lui innocente e santo, la morte infame del malfattore, schiacciato dal male del mondo.

È davvero un Dio singolare quello che si riveste di umanità, deponendo, per così dire, la sua divinità. Essendo uno di noi, ci conosce dal di dentro, si fa par- tecipe di ciò che ci fa gioire e soprattutto di ciò che ci fa gemere, ci fa soffrire. Pos- siamo rivolgerci a Lui con i celebri versi di un grande poeta italiano: «Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli» (G. Ungaretti). Anzi, dove l’umanità è più ferita, più schiacciata, più offesa, dove la dignità dell’uomo è negata, lì c’è Cristo con la sua umanità.

Abbiamo bisogno di riflettere su questo totale scomparire della distanza tra Dio e l’uomo, in cui il Creatore si fa creatura. Ha scritto qualcuno: «Il vasaio si fa argilla di un vaso fragile e bellissimo. E nessuno può dire: qui finisce l’uomo, qui comincia Dio, perché Creatore e creatura ormai si sono abbracciati» (E. Ronchi).

3. Infine una terza espressione del prologo di Giovanni ci aiuta a capire per- ché il Figlio di Dio è venuto in mezzo agli uomini: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18).

Questa espressione ci mette ancora di fronte alla grande distanza che esiste tra Dio eterno ed infinito e la creatura umana limitata, che vive nel tempo e nel- lo spazio: Dio nessuno lo ha mai visto. In effetti non lo si può né vedere né co- noscere: la distanza è troppa, e poi il nostro peccato ci situa “all’estremo oppo- sto” rispetto alla sua santità. Per di più l’uomo è sempre tentato di porre sul vol- to di Dio maschere create da lui, che ne deformano la vera fisionomia: per esem- pio, quella del dio vendicativo e violento, o quella del giudice severo e intransi- gente pronto a punire chi sbaglia, o quella della divinità che desidera più farsi temere che farsi amare, e via di seguito.

Ma il Figlio, venuto tra noi, ci ha rivelato chi è veramente Dio, ha tolto il ve- lo che copriva il suo volto. Ce lo ha detto con la sua vita, con i suoi gesti, con le sue parole, con le sue parabole, con la sua particolare attenzione ai più poveri e sofferenti, con il suo andare a tavola con i peccatori, con il suo essere crocifisso tra due delinquenti, con la sua risurrezione.

Ecco perché abbiamo bisogno della luce che è Cristo, il quale “nella carne”

dell’umanità ha impresso il vero volto di Dio, che è il volto dell’amore.

Fare Natale, augurarci un buon Natale, significa prima di tutto riconoscere e accogliere l’amore che Gesù di Nazaret è venuto a dirci e a darci. Per poi tra- smetterlo attorno a noi, con semplicità e con gioia.

Buon Natale a tutti, dunque: un vero Natale cristiano.

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Affidiamo all’abbraccio del Padre, carissimi fratelli e sorelle, un sacerdote che ha concluso una lunga esistenza interamente donata al Signore e alla chiesa, rag- giungendo traguardi non comuni: oltre un secolo di vita e 75 anni di sacerdozio.

1. «Si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato”» (Is 25,9), abbiamo ascoltato dal profeta Isaia, che ci ha descritto ciò che avverrà alla fine, quando il Signore si farà conoscere come il Padre che fa festa con coloro che da sempre ha amato e chiamato. “Ecco il mio Dio, in cui ho sperato” sembrano anche le parole di chi, giunto alla fine del suo percorso terreno, incontra il Padre dopo averlo amato intensamente e servito generosamente per tutta la vita: pro- prio come è avvenuto nell’esistenza del nostro Don Marino.

Anche per Don Marino il germe della fede e della speranza cristiane, ma- turato poi nel lungo cammino della sua vita cristiana e presbiterale, è stato il suo Battesimo, ricevuto - come allora si usava - il giorno successivo alla sua nascita, avvenuta il 5 maggio 1911. Ma lo sviluppo di questo germe, di questo dono che lo ha reso figlio di Dio, è avvenuto grazie ad una intensa formazione cristiana in una famiglia cristiana, che ha reso i suoi anni adolescenziali e giovanili, ma più probabilmente già la sua stessa fanciullezza, terreno fertile per la chiamata alla vita sacerdotale.

2. A questo proposito, è interessante leggere le informazioni relative al gio- vane chierico Marino richieste dal suo rettore del Seminario al parroco di Ospe- daletto, don Giovanni Bacchion, in vista del conferimento degli ordini sacri, nei lontani anni 1933-1935. Per esempio, alla domanda “se abbia dato segni di voca- zione allo stato ecclesiastico”, il parroco rispondeva nel 1933 che Marino “fin da bambino mostrava segni di vocazione per la sua pietà e l’amore allo studio”; e alla domanda “quale in genere la sua vita passata e presente?”, la risposta era sempre “ottima”; e ancora, alla domanda: “quale sia la pubblica opinione sulla sua vocazione?”, don Bacchion rispondeva più volte: “Marino diverrà un buon pretino”, aggiungendo in un caso: “vox populi”. Anche gli altri giudizi sui com- portamenti del giovane Marino venivano espressi con: ottimo, esattissimo, pre- muroso in tutto, obbedientissimo, umile, esemplare in tutto, e anche la sua fa- miglia veniva giudicata ottima.

Credo che queste lontane valutazioni del parroco sul giovane candidato al sacerdozio ci facciano intuire che don Marino è stato fin dall’infanzia una perso- na innamorata del Signore, profondamente convinto della sua chiamata al sa- cerdozio e fedele nella sua risposta alla vocazione.

3. Non gli verranno affidati dai superiori incarichi di particolare responsabi- lità; ma la sua è stata una vita trascorsa nello svolgimento quotidiano del suo mi-

Omelia nella celebrazione delle esequie di don Marino Cavasin

■Chiesa arcipretale di Ospedaletto di Istrana, 10 ottobre 2011

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nistero, con dedizione, semplicità, profondo amore al suo essere prete. Ha eserci- tato il suo ministero come cappellano a Zerman, Torreselle, Maserada, Loreggiola, Biancade. Ben 31 anni della sua lunga vita sacerdotale sono stati donati, come par- roco, alla comunità cristiana di San Bartolomeo di Piave: dal 1957 al 1988.

Concluso, a 77 anni, il suo servizio di parroco, Don Marino ha via via ridotto il suo impegno ministeriale per l’avanzare dell’età, fino agli anni dell’infermità. Po- tremmo dire anni di silenzio, di vita nascosta; potremmo dire ancora una volta ob- bediente, come in gioventù, in questo caso alle condizioni imposte dal peso degli anni e della malattia; curato con amore e delicatezza presso la Casa del Clero - il cui direttore, Don Giovanni Semenzato, e con lui tutto il personale, voglio ringraziare vivamente -, abitualmente visitato dall’affezionato nipote Adelino.

4. Abbiamo sentito Paolo dichiarare: «Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4,16). Il passare degli anni ha fiaccato il corpo e annebbiato la mente di Don Marino: con- dizioni di vita che noi abbiamo affidato al Signore, convinti che nessuna situazione fisica o mentale diviene ostacolo alla misteriosa, impercettibile relazione che si sta- bilisce tra ogni persona umana e Dio. «Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visi- bili, ma su quelle invisibili» (2Cor 4,18), ci ha detto ancora Paolo. Spesso rimane in- visibile e impenetrabile al nostro sguardo il rapporto tra Dio e colui che ci appare limitato nella sua coscienza. Ma siamo convinti che Dio sa ascoltare e interpretare ogni linguaggio, anche quello per noi più oscuro e recondito, ogni sospiro, ogni mo- to dell’anima, anche ogni gemito del corpo.

Del resto tutta la lunga esistenza di Don Marino, fin dalla sua infanzia, co- me abbiamo potuto ricordare, è stata vissuta con riferimento costante alle “cose invisibili”.

E possiamo immaginare quanto aiuto egli abbia offerto a tante persone, nei suoi lunghi anni di ministero, a scorgere le “cose invisibili”: quante Eucarestie cele- brate, quante confessioni, quanta catechesi, quanto aiuto anche personale a situa- zioni umane e spirituali difficili, quanti ammalati visitati, quanti morenti accompa- gnate all’incontro con Dio. Don Marino si presenta al Signore carico non solo di an- ni ma anche di tutto questo bene, compiuto - noi crediamo - con la premura e la dis- ponibilità di cui già parlava il suo antico parroco negli anni ’30.

5. Anche a lui il Signore ha preparato un posto: « Vado a prepararvi un posto (…) perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,3), abbiamo sentito dire da Gesù agli apostoli. Noi crediamo che a Don Marino è stato preparato, e a Don Marino vie- ne donato, il posto del servo fedele, del buon amministratore della Grazia del Si- gnore, del pastore animato da autentico amore per i fratelli affidati alle sue cure.

Purificato da ogni ombra di male, vicino al suo Signore, accolto nell’abbraccio del Padre amoroso, egli continui ad essere ministro di intercessione per questa chie- sa di Treviso, che ha tanto amato e al cui servizio ha posto la sua lunga esistenza sa- cerdotale. Amen.

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1. «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37). Dunque, va’ - dice Gesù - e anche tu fatti prossimo, affiancati al povero, al sofferente, alla persona sola, all’immigrato smarrito, al fratello, o al confratello, in difficoltà, in conflitto, in ricerca.

Noi riconsegniamo al Padre, carissimi fratelli e sorelle, il nostro, il suo, don Giuseppe: questo fratello buono che ci è stato donato per aiutarci ad essere buo- ni. Don Giuseppe, vero buon samaritano che non si preoccupava di sapere - come traspare dalla domanda del dottore della legge - fino a dove si è obbligati ad amare, ma che aveva la capacità di farsi vicino a chiunque, di fasciare ferite, di versare - come la liturgia ci fa dire di Gesù, buon samaritano per eccellenza - «l’o- lio della consolazione e il vino della speranza» (Prefazio comune VIII); che sape- va prendersi cura dell’altro non con dichiarazioni o facili esortazioni, ma con i fatti. Pareva che i suoi occhi e il suo cuore vedessero e sentissero anche ciò che altri occhi e altri cuori né vedevano, né sentivano.

Don Giuseppe faceva venire alla mente le parole di Paolo: «Il Signore ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). Donava con gioia e donava gioia: con il suo sor- riso, che sembrava far trasparire l’innocenza di un bambino, con il suo rallegra- re la fraternità e anche con il suo stemperare le situazioni di tensione con battu- te scherzose, con le sue famose rime che allietavano confratelli e amici.

2. Uomo per gli altri, don Giuseppe, avendo avuto, come egli dichiara nel suo Testamento, una prima fondamentale scuola nella sua famiglia. «Lì - scrive - ho ricevuto vita, affetto, sicurezza, protezione, gusto e passione per l’onestà e la giustizia, e, da parte di mia madre specialmente, per la carità. Lì ho imparato a conoscere e ad esercitare i necessari distacchi che la vita ti impone, soprattutto con i fratelli maggiori emigrati in Australia. Lì ho cominciato a capire i drammi dell’emigrazione di allora e quelli dell’attuale immigrazione».

Ma un’altra scuola è stata per lui l’esperienza alla Caritas, di cui è stato di- rettore per quattro anni. La Caritas «mi ha aiutato - ha scritto nel suo Testamen- to - a prendere coscienza delle responsabilità di cittadino e di prete che ogni gior- no va incontro a Cristo, presente in tutti, ma, in modo particolare, nei poveri».

Ma la sua attenzione ai poveri non era solo un fatto, per così dire, di cuo- re, di bontà innata: era anche una questione di coscienza, di riflessione sui pro- blemi della società. Don Giuseppe non rispondeva d’istinto ad ogni richiesta di aiuto, ma indagava sulla verità delle situazioni e delle richieste, sapendo anche distinguere i veri dai falsi poveri.

3. Il suo amore a chi era nel bisogno sgorgava però anche, o forse soprat- tutto, dal suo rapporto con Cristo, in particolare con l’Eucarestia: da Cristo che si è immolato, che si è fatto nostro cibo, aveva imparato a diventare “buon pa-

Omelia nella celebrazione delle esequie di don Giuseppe Pettenuzzo

■Chiesa arcipretale di Possagno, 11 ottobre 2011

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ne”. «Chi è il prete se non un uomo mangiato?», affermava il beato Antoine Che- vrier, fondatore del Prado.

Ancora nel suo Testamento don Giuseppe afferma: «Un grande dono è sta- ta la famiglia del Prado, che mi ha aiutato ad andare oltre i confini naturali per ritrovare numerosi altri fratelli, che vivono in varie parti del mondo e che hanno come riferimento per la propria vita la Parola di Dio, l’Eucarestia, con la spinta ad essere pane buono, fragrante per gli altri, e l’evangelizzazione dei poveri».

Attraverso l’appartenenza all’Istituto del Prado don Giuseppe ha curato la propria vita spirituale, il suo spirito di preghiera, e ha affinato le sue attitudini pastorali.

Mi sia permesso riprendere alcune righe della testimonianza che mi ha tra- smesso un suo confratello del Prado: «Il segreto del suo cuore penso sia stato dav- vero l’attrattiva per Gesù e per una sua conoscenza sempre più grande, per se- guirlo sempre più da vicino. La conoscenza di Gesù, penso sia stato l’elemento che l’ha umanizzato, che l’ha reso un fratello tra fratelli. Il forte tratto umano del- la sua personalità non era solo una dotazione naturale. Il suo applicarsi allo stu- dio del Vangelo alla maniera di Chevrier (contemplare e conoscere Gesù Cristo per poi annunciarlo ai poveri) ha fatto sì che nel suo cuore si dessero appunta- mento la persona di Gesù e le persone che incontrava nel ministero. Il suo cuore nell’atto contemplativo era come un crogiuolo in cui avveniva come la fusione e la purificazione dell’esperienza. Da qui il suo andare, il suo ottimismo, il suo da- re tempo, il saper aspettare con pazienza la risposta di chi era chiamato, come lui, a seguire il Signore».

4. E qui emerge la figura di don Giuseppe, pastore buono. «Vi porto nel cuo- re (…) Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nel- l’amore di Cristo Gesù» (Fil 1,7-8), abbiamo sentito dichiarare Paolo ai Filippesi.

Sono parole che possiamo mettere in bocca anche a don Giuseppe, in relazione ai fedeli affidati alle sue cure pastorali.

Nel suo Testamento scrive: «Un grande dono per me sono state le esperien- ze pastorali fatte in Seminario e nelle parrocchie di Selvana, Castagnole, S. Ma- ria del rovere, Sacro Cuore e S. Andrea. Da ogni persona incontrata ho ricevuto molto, di sicuro una parte di quell’amore e di quella misericordia di Dio che so- no in attesa di incontrare“. E aggiunge: «A quanti ho procurato del male o reca- to offesa chiedo scusa e perdono».

Il Testamento è scritto nel 2000, e dunque prima della sua presenza a Pos- sagno, dove don Giuseppe è entrato come parroco esattamente tre anni or sono.

Con la nomina ad arciprete di Possagno, il Vescovo Andrea Bruno pensava di of- frire a don Giuseppe un ministero che gli consentisse, ormai compiuti i 68 anni, di esprimere il meglio della sua ricchezza sacerdotale e di pensare di più alla sa- lute (nel Testamento aveva scritto: «Dopo l’infarto, ogni giorno di vita l’ho con- siderato un ulteriore dono»). Egli è salito con gioia verso i monti ed è entrato in questa comunità col suo sorriso e con la sua immediata umanità, che è divenuta

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amore reciproco a prima vista. Ma a Possagno Dio gli ha rivolto l’ultima impe- gnativa chiamata.

5. Uomo di Dio e uomo per gli altri, don Giuseppe. E chi viveva accanto a lui, come i sacerdoti che hanno costituito la comunità presbiterale al Sacro Cuo- re di Treviso, e, più ancora, la fedele Elisabetta, che ha curato la casa canonica a Treviso e a Possagno per vent’anni, tutti avevano imparato che le porte doveva- no essere sempre aperte, in modo che tutti capissero che in canonica erano a ca- sa propria.

Don Giuseppe amava tutti con pienezza di sentimenti, ma anche con so- vrana, sacerdotale, libertà: non legava a sé le persone. Per questo ha potuto pas- sare nei diversi luoghi del suo ministero senza abbandonare nessuno, ma anche senza lasciarsi fermare.

La mai domata e insidiosa patologia cardiaca lo ha fermato in un pomerig- gio dedicato al catechismo, in mezzo ai suoi ragazzi. Con loro ha trascorso i suoi ultimi momenti. Poi, per 11 mesi e 20 giorni, la sua vita ha riposato nel mistero di Dio, accompagnato dalla preghiera, dalla speranza, da una progressiva con- sapevolezza dell’irreparabile.

Nelle epigrafi don Giuseppe viene ricordato come Arciprete di Possagno. È una verità onorata da voi, cari fedeli di questa comunità parrocchiale: da Elisa- betta anzitutto, che è stata un angelo custode accanto a lui; e poi dalle quasi quo- tidiane visite di tanti possagnesi, consapevoli che don Giuseppe, il pastore ama- tissimo, diventava ogni giorno di più una immagine di Cristo crocifisso.

Accanto a lui anche i familiari, i suoi fratelli, i nipoti e pronipoti, che gli ri- costruivano attorno l’amata famiglia, parte in Italia e parte in Australia.

6. Il presbiterio diocesano riflette, prega e piange in questo momento: i suoi compagni di ordinazione, i preti del vicariato di Treviso e di Asolo, i preti del Pra- do, la comunità della Casa del Clero, che ha accolto don Giuseppe dopo le degenze ospedaliere, e che lo ha circondato di silenziosa, affettuosa amicizia e preghiera.

Don Giuseppe, ricorda nel suo Testamento anche il Seminario, a cui ha do- nato i suoi anni giovanili come educatore ed insegnante. È un richiamo che di- venta per tutti noi un impegno a pregare per le vocazioni sacerdotali, e anche a non aver paura di proporre la chiamata sacerdotale ai ragazzi e ai giovani, anche di questa comunità, che è stata nel passato così generosa di figli donati a Dio nel- la vita sacerdotale diocesana, religiosa e missionaria.

7. Non posso dimenticare che, se don Giuseppe, pur fermato dalla malattia e lontano, ha potuto in un certo senso, continuare a fare il parroco, ciò è stato pos- sibile grazie alla generosità di don Piergiorgio Guarnier, che ha svolto in que- st’anno il ministero di amministratore parrocchiale. Grazie anche alla costante collaborazione di don Rino Cunial, cui il Signore ha concesso di tornare nella sua Possagno a restituire, nel ministero, quello che da questa comunità ha ricevuto. E infine desidero segnalare la fraterna presenza dei Padri Cavanis, soprattutto del rettore dell’Istituto Canova, padre Giuseppe Francescon, i quali hanno interpre-

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tato in modo esemplare questo momento di emergenza della parrocchia metten- dosi a disposizione delle esigenze pastorali. Tutto questo è scritto nel Libro di Dio.

8. «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere»

(Gb 19,25). Vogliamo fare nostra questa professione di fede che abbiamo sentito pronunciare da Giobbe, e riaffermare il nostro credere in Gesù Cristo, vita nostra oltre la morte. Lo facciamo con la fede stessa, genuina, robusta e gioiosa, di don Giuseppe. Al quale diciamo grazie per essere stato tra noi autentico cristiano, prete, discepolo di Gesù, amico dei poveri.

Il suo volto sorridente, il suo cuore grande, il suo spirito sacerdotale, il suo amore a Cristo ci mancheranno. Vogliamo tuttavia custodirli come memoria pre- ziosa, come tesoro di famiglia, con la certezza che don Giuseppe, purificato da ogni peccato, è ora con Cristo e dunque con noi: ancora fratello buono che ci accompa- gna mentre proseguiamo nella speranza il nostro cammino terreno. Amen.

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Fratelli e Sorelle,

alla notizia che il nostro don Armando si era spento, il pensiero è andato ad un’espressione che nella liturgia, solenne e austera, del Sabato santo, giorno del- l’assenza e dell’attesa, esprime il dolore per la morte di Gesù: «Si è allontanato il nostro pastore». Dopo 56 anni di presenza in questa comunità parrocchiale, si è allontanato il pastore, ha lasciato il suo gregge.

E non potevamo non riascoltare, in questa circostanza, la pagina evangelica su Gesù Buon Pastore: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, (…) e do la mia vita per le pecore» (Gv 10,14-15). Don Ar- mando è stato presenza di Gesù Buon Pastore, è stato egli stesso pastore buono, interamente donato al suo gregge di Caposile.

Qui è venuto nel lontano 1955 come cappellano, divenendo parroco l’anno successivo, dopo aver prima svolto il suo ministero sacerdotale a Pederobba, a S.

Nicolò in Treviso, a Tombolo e a Monastier. Don Armando ha amato profonda- mente questa parrocchia. Nel suo Testamento spirituale, scritto ancora nel 1972, rivolgendosi ai suoi fedeli di Caposile dichiara: «Miei figli spirituali, vi ho vo- luto tanto bene, sono sempre stato felice in mezzo a voi e ho sempre predicato la carità». E più avanti scriveva: «Vi ringrazio tutti per la vostra cooperazione. In- sieme abbiamo costruito asilo, oratorio, chiesa, canonica».

E in una lettera indirizzata ai suoi parrocchiani nel giorno del suo 97° com- pleanno, nel 2008, scriveva: «Con voi ho trascorso tanti anni felici e dolorosi. La vostra vita è stata anche la mia vita. Da quando nel lontano 1955 sono venuto a Caposile ho sentito che questa era la mia famiglia, dove con amore ho speso le mie energie. Con voi ho condiviso tutti questi anni per costruire una famiglia più grande: la nostra parrocchia. Ma ho condiviso anche tutto quello che passa in ogni singola famiglia: la nascita, la crescita, la festa e il dolore per la perdita di persone care. (…) Nessuno di voi pensi di essere escluso dal mio pensiero e dal- la mia preghiera».

Don Armando, coltivando l’attitudine ad essere presente al proprio tempo, con la sua lunga esistenza ha veramente attraversato dal di dentro la storia di un secolo: dai primi ricordi della prima guerra mondiale, fino ai primi eventi del nuovo millennio. È stato un anello di congiunzione fra tempi distanti, custode di una tradizione che, come nel costume della civiltà delle nostre terre, era insieme religiosa, civile, sociale. Potremmo dire che nulla c’è a Caposile che non si ri- chiami a lui, tanto che si può scrivere la storia di Caposile raccontando la storia di don Armando, e, viceversa, si può ricostruire la vita di don Armando guar-

Omelia nella celebrazione delle esequie di mons. Angelo Durighetto

■Chiesa parrocchiale di Caposile, 19 dicembre 2011

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dando a quello che Caposile è oggi. Per questo il suo ricordo è tale che, se non parlassero gli uomini - traggo questa espressione dal vangelo di Luca - “gride- rebbero le pietre” (cf. Luca 19,40).

È singolare, del resto, ma anche ben comprensibile, che nessuno abbia mai osato dire all’anziano don Armando, come avviene con gli altri parroci: «Ora ba- sta, le tua età non ti consente più di fare il pastore di questa comunità», essendo troppo intenso il legame tra questo sacerdote e questo luogo. Grazie anche alla presenza di don Giancarlo e di don Flavio, egli ha potuto rimanere qui, con i suoi. Qui, fino alla fine, ha voluto bene a tutti; fino alla fine ha pregato. Mi è sta- to detto: «Negli ultimi mesi si faceva centinaia di segni di croce ogni giorno e sussurrava giaculatorie. La sua anima era ormai pronta per l’ultimo viaggio».

Ed è proprio vero che mentre metteva pietra su pietra, innalzando questa chie- sa e altre strutture per la comunità, don Armando realizzava il vero progetto: quel- lo di una comunità, di un popolo dedicato al Signore. Di questa comunità è stato guida, padre, ispiratore di un modo concreto e felice di vivere da cristiani.

Le parole che abbiamo sentito scrivere da Paolo alla sua amata comunità di Filippi potrebbero ben suonare in bocca a don Armando, rivolte a tutti noi e, in particolare, ai suoi fedeli di Caposile: «Fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore, carissimi!» (Fil 4,1). E poi:

«Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia no- ta a tutti» (Fil 4,4-5). La letizia, l’allegria, la simpatia, le arguzie di don Armando hanno non solo reso liete tante persone che lo accostavano, come pure tanti ami- ci e tanti confratelli sacerdoti, ma sono state anche un suo modo peculiare di es- sere pastore amabile, seminatore di bontà, di serenità, di consolazione.

E, con l’apostolo Paolo, Don Armando ci ripete anche: «Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8). Con il suo stile gioioso, fraterno, accattivante, don Ar- mando ha aiutato a riconoscere tutto ciò che nella vita e nell’esperienza umana è positivo, costruisce relazioni, promuove una vita serena e desiderabile, facendo scorgere in tutto ciò la presenza discreta e amorosa di Dio. Mi permetta don Fla- vio, che in questi ultimi due e mezzo gli è stato accanto, di riportare una sua con- fidenza. Mi ha detto: «Don Armando mi ha accolto e mi ha voluto un bene im- menso; con lui ho fatto un’esperienza meravigliosa di umanità». L’umanità di don Armando difficilmente si cancellerà dalla memoria della nostra chiesa diocesana.

Noi oggi riconsegniamo al Signore il dono dei 100 anni di vita e 75 anni di sacerdozio di don Armando. Sono stati davvero dono, grazia, benedizione per lui, ma anche per i tanti che egli ha incontrato, amato, consolato, condotto per mano nell’incontro con Dio. La sua morte ci ha fatto pensare a quella degli anti- chi patriarchi della Bibbia, come Abramo, padre della fede, di cui leggiamo:

«Morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni, e si riunì ai suoi antenati» (Gen 25,8): parole che ben si addicono anche a don Armando. Noi sappiamo che il

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tempo è dono di Dio, e che dietro ad ogni vita, breve o lunga, vi è un disegno di- vino; siamo convinti che “tutto è grazia”, se accolto dentro il ”sia fatta la tua vo- lontà” che ogni giorno ripetiamo nel Padre nostro.

Preparandomi a dare l’ultimo saluto a Don Armando, non potevo non pen- sare che poco più di un anno fa il nostro presbiterio piangeva la morte di un sa- cerdote trentaquattrenne, ricco di doni, don Claudio; ora piange il suo decano, questo prete centenario, amato e sapiente. E pensavo che, comunque, il Signore opera cose grandi nei suoi umili servi, in coloro che lo amano e che aiutano ad amarlo. È il mistero della vita e della morte che tocca, in maniera imprevedibile, anche la nostra fraternità presbiterale trevigiana. Sono momenti in cui il presbi- terio sente la propria unità e riconosce come reale e ben radicata la propria tra- dizione di uomini dedicati al Signore e al suo popolo, educati fin dal seminario alla fedeltà e alla disponibilità.

Segno di questa comunione presbiterale ed ecclesiale è proprio la presenza di tanti sacerdoti. Il vescovo Paolo Magnani, oggi fuori diocesi, mi ha assicurato la sua comunione nella preghiera, ma so che egli è venuto qui ieri a pregare da- vanti alla salma di Don Armando. Anche l’arcivescovo Andrea Bruno Mazzoca- to ha fatto giungere la sua partecipazione al dolore e la sua preghiera per questo sacerdote di cui ha conosciuto il valore umano e pastorale.

Sono certo che tanti altri sacerdoti avrebbero voluto essere presenti, ma gli impegni pastorali di questi giorni, prossimi al Natale, hanno reso impossibile la loro partecipazione a questa liturgia esequiale: lontani fisicamente, ma spiritual- mente non assenti da questa celebrazione. Fra tutti, desidero ricordare mons. Vi- cario Generale, il quale ha periodicamente visitato don Armando, tenendomi in- formato e partecipe dell’evoluzione della sua salute, oggi impegnato a Treviso a presiedere una improrogabile riunione di un importante organismo diocesano.

Nel suo Testamento don Armando ha scritto, rivolgendosi ai suoi parroc- chiani: «Mi sono trovato tanto bene in mezzo a voi che, se questo fosse possibi- le, desidero essere sepolto non nella chiesetta dei sacerdoti, ma in mezzo al ci- mitero, in modo che ogni volta che qualcuno entra per una visita possa dire una preghiera anche per me». È bello pensare al pastore sepolto in mezzo al suo greg- ge, come in mezzo al suo gregge si è svolta la sua vita, con la tenerezza attinta dal grande Pastore, che - secondo la descrizione del profeta Isaia - «porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11).

Il pastore si è allontanato, dicevo all’inizio, ma solo apparentemente: rimane qui, tra i defunti di questa comunità; rimane qui nel ricordo vivo di tantissime per- sone; rimane nel nostro ricordo, di noi che ora lo affidiamo alla misericordia di Dio.

Lo facciamo attraverso l’intercessione della Vergine di Lourdes, da lui tanto amata e tanto visitata (a Lourdes don Armando è andato ogni anno, fino al 2009).

Voglio esprimere, prima di concludere, il cordoglio sincero alle sorelle, ai ni- poti, in particolare don Sergio e p. Claudio, e ai parenti di don Armando.

E non posso tralasciare di dire la nostra profonda gratitudine a tante persone

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che gli sono state vicine, soprattutto in questi ultimi anni. A don Flavio, che è stato accanto a lui con la tenerezza di un figlio e la sollecitudine di un padre, assicuran- do attorno alla persona dell’anziano sacerdote un clima di serenità, di vigilanza, di comunicazione dei parrocchiani con il loro parroco. Grazie a don Giancarlo Ruffa- to, a lungo accanto a don Armando, che con la sua collaborazione a don Flavio gli ha consentito di far fronte agli impegni delle tre parrocchie a lui affidate.

Grazie al Signor Ettore, che lo ha seguito con commovente dedizione, af- frontando grandi sacrifici, che hanno suscitato l’ammirazione di tutti noi. Grazie alla fedelissima Signora Adriana. Il suo nome e quello di Ettore erano i più ripe- tuti da don Armando. Grazie ancora alla Signora Genoveva, al medico curante dott. Paolo Dalla Pozza, all’amico dott. Madeyski. Grazie a tante persone di Ca- posile che in tanti modi si sono prodigate con amore verso don Armando.

Il Signore benedica tutti e ci faccia ritrovare un giorno, assieme a don Ar- mando, là dove «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28). Amen.

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